Turchia: uno sguardo da vicino

Nel corso delle ultime settimane mercati e governi centrali hanno posto molta attenzione alla situazione turca.

Occorre pertanto valutare anche l’impatto potenziale di un nuovo periodo di tensioni finanziarie in Turchia attraverso tre canali: esposizione in valuta estera, comportamento nei pagamenti e potenziali ricadute.

Dopo il recente intervento militare turco nella Siria settentrionale, l’amministrazione statunitense ha reagito con una tariffa del 50% sulle importazioni di acciaio turco, misura recentemente revocata in via provvisoria. L’impatto diretto di questa misura è stato, e sarebbe in caso di riattivazione, piuttosto contenuto dato che gli US sono un partner di esportazione minore per l’economia turca (4.9% del totale).

Tuttavia, gli impatti indiretti, come l’evoluzione della lira turca (TRY), il differimento del debito e il comportamento in materia di pagamenti, avrebbero conseguenze più ampie.

L’economia turca non è immune da un nuovo shock. Sebbene sia già uscita dalla profonda recessione del secondo semestre 2018, innescata da un forte shock dei tassi di cambio (fino a -50% di deprezzamento del tasso di cambio), la crescita del PIL rimane contenuta (-0,2% nel 2019 e +2,3% nel 2020). Dovrebbe tornare al livello precedente la crisi solo nel 2021.

Diventerebbe invece assai problematico per la Turchia se l’UE aderisse a nuove eventuali sanzioni statunitensi (come ha fatto con la Russia nel 2014). Ad ogni modo riteniamo che, poiché l’esposizione dell’Europa all’economia turca è significativa, ciò renda al momento improbabili sanzioni finanziarie severe. In aggiunta l’UE dipende dalla Turchia per trattenere un afflusso potenzialmente enorme di rifugiati verso l’UE.

Le riserve estere della Turchia hanno recuperato in parte grazie al riequilibrio della bilancia commerciale. Tuttavia, le riserve in valuta estera sono ancora sotto il livello adeguato: non coprono tutte le potenziali esigenze di liquidità che si presenterebbero in caso di shock.

Il deterioramento dei termini di pagamento è il risultato di un fabbisogno di liquidità maggiore da quando i giorni medi di pagamento (DSO) sono aumentati di +11 giorni dal 2008 (68 giorni) al 2018 (79 giorni). Parallelamente, prevediamo che le insolvenze aziendali cresceranno del +8% nel 2019 raggiungendo un livello pari a +20% in confronto al valore minimo del 2016.

Le economie europee non sono immuni da eventuali contagi. Il circuito bancario-sovrano è il canale d’impatto più probabile. Le banche dell’UE hanno una delle più ampie esposizioni verso la Turchia e, allo stesso tempo, alcune economie europee devono ancora affrontare un livello significativo di crediti in sofferenza nei loro sistemi bancari e livelli elevati di debito pubblico. Le banche spagnole, francesi e britanniche sono le più esposte con la Turchia e l’esposizione complessiva è ancora rilevante, nonostante un calo simmetrico nell’ultimo anno (-20% circa).

Testo a cura di Marco Arrighini, Head of Southern Region, Euler Hermes Switzerland, Lugano

Libro “Incoterms 2020” in vendita

Il primo gennaio 2020 sono entrate in vigore le nuove regole Incoterms ICC. Presso la Cc-Ti è acquistabile il libro in versione italiano/inglese.

Si è concluso il processo di revisione delle Regole Incoterms®, avviato nel 2016, e il 1° gennaio 2020 sono entrate in vigore le nuove clausole di resa. Ogni dieci anni la Camera di commercio internazionale effettua questo esercizio di rinnovamento per renderle più performanti e per adattarle alle necessità pratiche degli attori attivi nel commercio internazionale.

La nuova edizione degli Incoterms® presenta alcune novità che saranno approfondite durante il corso di aggiornamento, in agenda il 23 gennaio.

Come noto gli Incoterms® sono di supporto alle imprese nell’evitare di incorrere in costi non necessari chiarificando, all’interno del contratto, le obbligazioni delle parti, i costi e i rischi sostenuti da ciascuna di esse durante le operazioni di import ed export delle merci.

Presso la Cc-Ti sono disponibili i libri “Incoterms 2020” nella versione italiano/inglese. Per chi desiderasse acquistarne una o più copie è pregato di scrivere un email con i propri dati.

Costi: (70 CHF per i soci / 82 CHF per i non soci + spese di spedizione).


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La riforma del sistema dell’IVA nell’UE: Quick Fixes

Il presente articolo a firma di Bernardo Lamoni è il terzo aggiornamento inerente la riforma del sistema dell’IVA nell’UE. I contenuti di questo testo saranno integrati anche durante il corso di formazione “IVA: Cessioni intracomunitarie” in agenda il 19 novembre.

In data 4 dicembre 2018 il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato una serie di misure urgenti, integrate nella normativa IVA comunitaria, denominate “Quick Fixes” e che riguardano quattro specifiche tematiche. Le misure sono finalizzate a migliorare il funzionamento pratico di determinate aree storicamente problematiche e saranno applicabili a partire dal 1° gennaio 2020 a tutti i soggetti passivi registrati ai fini IVA in uno Stato Membro dell’Unione Europea, senza distinzioni in base all’ubicazione della sede dell’attività operativa all’interno o all’esterno del territorio comunitario (1).

Di seguito le caratteristiche principali ed alcune osservazioni relative alle quattro misure adottate:

1 – Obbligo dell’acquirente di disporre di un numero di identificazione per le cessioni intracomunitarie

L’acquirente di una cessione intracomunitaria dovrà registrarsi ai fini dell’IVA in uno Stato diverso da quello in cui ha inizio il trasporto dei beni. Nel caso di una cessione intracomunitaria tra due operatori, l’acquirente sarà identificato nello Stato UE di destinazione dei beni.

L’adempimento di quest’obbligo rappresenta un requisito sostanziale per consentire al fornitore di applicare, per la cessione intracomunitaria, l’esenzione ad IVA nello Stato UE di partenza della spedizione.

L’attuale regime IVA prevede per il fornitore, l’obbligo di trasmissione dei dati alle autorità fiscali dello Stato UE di arrivo dei beni, attraverso l’inoltro degli elenchi riepilogativi. Tuttavia ad oggi, il mancato inoltro degli stessi comporta solamente l’applicazione di sanzioni, senza causare il diniego dell’esenzione all’IVA nel caso di cessioni intracomunitarie debitamente comprovabili.

Le modifiche in oggetto prevedono che anche la corretta presentazione degli elenchi riepilogativi diventino un requisito sostanziale per il riconoscimento dell’esenzione all’IVA alle cessioni intracomunitarie (2).

2 – Creazione di disposizioni comuni inerenti alle prove documentali del trasferimento fisico delle merci nell’ambito delle cessioni intracomunitarie

Il fornitore di una cessione intracomunitaria per poter beneficiare dell’esenzione all’IVA nello Stato UE di partenza del bene ha da sempre l’onere della prova del trasferimento fisico della merce. A tutt’oggi le normative UE non prevedono disposizioni comuni circa i documenti utilizzabili, lasciando ai singoli Stati l’emanazione di normative locali.

A partire dal 1° gennaio 2020 saranno considerati elementi di prova:

a) i documenti relativi al trasporto o alla spedizione dei beni, quali ad esempio un documento o una lettera CMR riportante la firma, una polizza di carico, una fattura di trasporto aereo, oppure una fattura emessa dallo spedizioniere;

b) una polizza assicurativa relativa alla spedizione o al trasporto dei beni o i documenti bancari attestanti il pagamento per la spedizione o il trasporto dei beni; documenti ufficiali rilasciati da una pubblica autorità, ad esempio da un notaio, che confermino l’arrivo dei beni nello Stato membro di destinazione; una ricevuta rilasciata da un depositario nello Stato membro di destinazione che confermi il deposito dei beni in tale Stato UE

Nel caso in cui il trasporto sia organizzato dal venditore si presume avvenuto il trasferimento intracomunitario dei beni in presenza di almeno due elementi di prova non contradditori rilasciati da parti indipendenti dal venditore e dall’acquirente, di cui alla lettera a).

In via alternativa quando il venditore è in possesso di uno qualsiasi degli elementi probatori di cui alla lettera a), in combinazione con uno degli elementi probatori non contradditori di cui alla lettera b), che confermino il trasporto e che siano stati rilasciati da due diverse parti indipendenti l’una dall’altra e rispetto al venditore ed all’acquirente.

Inoltre, qualora il trasporto sia organizzato dall’acquirente occorrerà aggiungere come ulteriore elemento di prova, in aggiunta agli elementi prodotti secondo la combinazione summenzionata, una dichiarazione scritta rilasciata dall’acquirente che certifica che i beni sono stati trasportati da quest’ultimo in un determinato altro Stato UE.

Si tratta delle uniche disposizioni che non saranno integrate nella direttiva comunitaria sull’IVA 2006/112/CE ma che andranno a modificare il regolamento UE 282/2011. In quest’ambito è rimasta tuttavia invariata la disposizione contenuta nella direttiva che delega agli Stati UE la scelta della documentazione probatoria (3). Questo principio è stato citato anche dalla Corte di Giustizia Europea (4).

Occorreranno quindi ulteriori chiarimenti in merito alla possibilità di utilizzo degli attuali set documentali previsti in determinati Stati UE, come prove alternative, qualora la presunzione dell’avvenuto trasporto intracomunitario venisse rigettata da parte delle autorità fiscali, seguendo i nuovi criteri visti sopra (5).

Favorevoli in questo senso sono anche le note esplicative ai “Quick Fixes” (non vincolanti), che sono attualmente in fase di elaborazione da parte del Group of the Future of VAT, sottostante alla Direzione generale della fiscalità e dell’Unione doganale (TAXUD).

Infine il nuovo principio che esige che i documenti di trasporto intracomunitari debbano essere emessi da “parti indipendenti” andrebbe chiarito riguardo all’eventualità nella quale il trasporto dei beni sia effettuato con mezzi propri (esempio trasporto carburanti in autocisterne o in altri mezzi di trasporto) o con mezzi di trasporto di una società appartenente al medesimo gruppo.

3 – Disposizioni comuni in regime di “Call-off stock”

Le nuove disposizioni in regime di “Call-off stock” (conosciuto anche come “Consignment stock”), mirano ad evitare che un fornitore di uno stato UE, che detiene merci proprie in un altro Stato UE e le mette a disposizione di un suo cliente stabilito nel medesimo stato, debba anche identificarsi ad IVA nello Stato UE del cliente.

In una prima fase il trasferimento dei beni a destinazione del cliente, senza che vi sia passaggio di proprietà degli stessi, non ha rilevanza ai fini impositivi. Solamente al momento del prelevamento dei beni per le proprie necessità imprenditoriali da parte del cliente, si genererà una cessione intracomunitaria tra fornitore e cliente con relativo passaggio di proprietà. Evidentemente il trasferimento fisico intracomunitario dei beni ha già avuto luogo in precedenza.

Le attuali normative comunitarie sono per contro più articolate ed obbligano il fornitore a registrarsi nello Stato UE del cliente, poiché:

  • La spedizione della merce all’acquirente genera nello Stato UE del fornitore un trasferimento intracomunitario di beni “a sé stesso” in uscita, rilevante perciò ai fini IVA, da dichiarare con gli stessi criteri delle usuali cessioni intracomunitarie.
  • Il successivo l’arrivo della merce negli stabilimenti del cliente genera sempre per il fornitore un trasferimento di beni “a sé stesso” in entrata, pure rilevante ai fini IVA, da dichiarare con gli stessi criteri degli usuali acquisti intracomunitari nello Stato UE del cliente.
  • All’atto del successivo prelevamento dei beni da parte dell’acquirente si genererà la cessione rilevante ai fini dell’IVA che si qualificherà come cessione nazionale imponibile.

Va tuttavia precisato che alcuni Stati UE hanno già sviluppato misure di semplificazione personalizzate, attuabili solamente nel caso in cui lo Stato UE di controparte disponga di norme analoghe, allo scopo di evitare lacune di imposizione o doppie tassazioni.

A fronte di queste casistiche, si è quindi reso necessario formulare una solida base giuridica comune per permettere la sincronizzazione degli scambi commerciali di questo tipo e per evitare il rischio di eventuali ricorsi alla Corte di Giustizia Europea, la quale non avrebbe avuto alcuna normativa comunitaria di appoggio se chiamata ad esprimersi sulle misure semplificative unilateralmente adottate da taluni Stati UE.

Le nuove disposizioni potrebbero quindi essere interessanti anche per soggetti passivi non UE che già dispongono di un magazzino merci in uno Stato UE e che vorrebbero evitare di doversi registrare anche in un altro Stato UE dove dispongono di merci proprie presso un loro cliente secondo il regime in oggetto.

A livello pratico le nuove norme in regime di “Call-off stock” implicano alcune misure di gestione di tipo organizzativo ed informatico che vanno affrontate per tempo. Se la società effettua già cessioni intracomunitarie propriamente dette, dove cioè la fatturazione della cessione intracomunitaria è direttamente collegata alla documentazione di trasporto, essa dovrà prevedere nuove misure per i presenti casi di cessioni intracomunitarie “differite”. In questo caso infatti la documentazione di trasporto sarà collegata ai beni inizialmente trasferiti e dovrà in un secondo momento essere abbinata ai beni successivamente fatturati, in modo frazionato, al momento del prelevamento da parte del cliente. Il tutto dovrà essere predisposto anche in senso inverso in caso di reso.

4 – Disposizioni concernenti le operazioni a catena tra tre operatori, quando il trasporto è organizzato dall’operatore intermedio

Le operazioni a catena, rientranti nel campo di applicazione della proposta in oggetto, sono caratterizzate da cessioni successive della stessa merce che viene trasferita da uno Stato UE ad un altro Stato UE mediante un unico trasporto. Le operazioni a catena si differenziano dalle triangolazioni intracomunitarie (6) in quanto in quest’ultime l’operatore intermedio è identificato ad IVA in uno Stato UE terzo, che non deve quindi essere né lo Stato UE di partenza del trasporto delle merci, né lo Stato UE di destinazione delle stesse.

Nelle operazioni a catena tra tre operatori (A, B e C) l’assenza di disposizioni comunitarie aveva costretto varie volte i soggetti interessati a ricorrere alla Corte di Giustizia Europea (CGE) per conoscere il trattamento ad IVA delle due cessioni. Nelle sue sentenze la CGE aveva stabilito che in un’operazione a catena potevano realizzarsi due scenari:

  1. qualora la prima cessione fosse stata quella collegata al trasporto delle merci (cessione intracomunitaria da A a B, esente da IVA), la seconda andava qualificata come cessione nazionale nello Stato UE di destinazione delle merci (cessione imponibile da B a C).
  2. viceversa, qualora la seconda cessione fosse stata quella collegata al trasporto delle merci (cessione intracomunitaria da B a C, esente da IVA), la prima andava qualificata come cessione nazionale nello Stato UE di partenza delle merci (cessione imponibile da A a B).

Per quanto riguarda i criteri da considerare al fine di stabilire quando si sarebbe verificato il primo o il secondo scenario, la GCE stabiliva che la risposta dipendeva da una valutazione globale di tutte le circostanze del singolo caso che doveva essere effettuata dal giudice nazionale.

In particolare occorreva determinare “il momento in cui il potere di disporre del bene come proprietario era stato trasferito al destinatario finale. Infatti, nell’ipotesi in cui il secondo trasferimento del potere di disporre del bene come proprietario (cessione da B a C) avesse avuto luogo prima che fosse stato effettuato il trasporto intracomunitario, quest’ultimo non avrebbe più potuto essere imputato alla prima cessione in favore del primo acquirente.” In tal caso si sarebbe quindi realizzato il secondo scenario. Mentre nei rimanenti casi si sarebbe realizzato il primo scenario (7).

Questi criteri, di difficile realizzazione pratica, avevano generato parecchie insicurezze nelle amministrazioni fiscali dei vari Stati UE. Si è quindi reso necessario creare a livello di direttiva UE una nuova normativa più semplice e sicura.

I nuovi criteri, applicabili a decorrere dal 1° gennaio 2020 e che determinano la cessione intracomunitaria quando il trasporto è organizzato dal fornitore intermedio B in un’operazione a catena tra tre operatori (A-B-C), dipendono esclusivamente dall’utilizzo della partita IVA da parte di B e si possono così riassumere:

  • se B è identificato ad IVA nello Stato UE di arrivo dei beni, la cessione tra A e B qualificherà come intracomunitaria e la successiva cessione tra B e C sarà imponibile nello Stato UE di destinazione dei beni,
  • mentre se B comunica ad A la propria partita IVA dello Stato UE di partenza, la cessione tra B e C qualificherà come intracomunitaria e l’anteposta cessione tra A e B sarà imponibile nello Stato UE nel quale ha avuto origine la spedizione.

Pur trattandosi di un passo importante e utile per i numerosi operatori attivi in campo intracomunitario, occorre tuttavia considerare che in alcune specifiche situazioni, ad esempio nel mercato delle materie prime, le cessioni a catena avvengono spesso tra numerosi operatori in un lasso di tempo assai ridotto. Questa nuova normativa dovrebbe quindi senz’altro essere ulteriormente approfondita ed affinata al fine di considerare le reali molteplici casistiche che posso presentarsi.

Per contro non si è ritenuto necessario estendere a livello di normativa comunitaria le ipotesi nelle quali il trasporto sia organizzato dal primo fornitore A o dall’ultimo acquirente C. In questi casi, la regola generalmente adottata dagli Stati UE è la seguente:

  • se il trasporto è organizzato da A: la cessione da A a B si qualificherà come intracomunitaria, mentre la successiva cessione da B a C sarà imponibile ad IVA nello Stato UE di destinazione;
  • mentre se il trasporto è organizzato da C: la cessione da A a B sarà imponibile nello Stato UE di partenza dei beni, la successiva cessione da B a C si qualificherà come intracomunitaria.

Queste semplici regole sono state considerate talmente ovvie da parte della Commissione Europea da ritenere superflua la loro integrazione nella nuova normativa in oggetto (8). Tuttavia proprio di recente la Corte di Giustizia ha avuto modo di esprimersi su un caso di cessione a catena nella quale il trasporto dei beni era organizzato dall’ultimo acquirente, ribadendo ancora una volta il proprio orientamento, come descritto precedentemente, alla luce di una “valutazione globale di tutte le circostanze del singolo caso” (9).  Un vero peccato che anche quest’ultime regole non siano state conglobate nelle presenti “Quick Fixes”.

Testo a cura di
Bernardo Lamoni,
MA Business and Economics Università di Zurigo
Fiduciario commercialista, Rappresentante IVA
Via Bosia 13, 6900 Paradiso
Email



Riferimenti: 

  1. Direttiva UE 2018/1910, Regolamenti di esecuzione UE 2018/1909 e 2018/1912 pubblicati nella Gazzetta ufficiale UE in data 7 dicembre 2018
  2. Art 138 Direttiva 2006/112/CE, modificato con decorrenza 1.1.2020
  3. Art 131 e Art 138, 1 della Direttiva 2006/112/CE
  4. Cfr. Sentenza CGE, causa C-26/16 del 14.06.2017 (Santogal)
  5. Cfr. nuovo Art 45 bis, cpv 2 Reg. n. 282/2011.
  6. Art 141 Direttiva 2006/112/CE
  7. Cfr ad esempio Sentenze CGE cause C-245/04 (EMAG) del 06.04.2006, oppure C-587/10 del 27.09.2012 (VSTR)
  8. Cfr. COM (2017) 569 final del 04.10.2017, versione italiana pag.12
  9. Sentenza CGE causa C-273/18 (Kursu Zeme) del 10.07.2019

I nuovi Incoterms 2020

La clausola DPU e altre novità per le regole internazionali di resa

Lo scorso 12 settembre la Camera di commercio internazionale (ICC) ha pubblicato le nuove clausole di resa Incoterms che entreranno in vigore il 1° gennaio 2020. È dal 1936 che l’ICC propone regole standard che definiscono gli obblighi e i rischi degli acquirenti in una compravendita internazionale. La nuova versione conferma l’attuale suddivisione delle 11 clausole: quelle per tutti i modi di trasporto (EXW, FCA, CPT, CIP, DAP, DPU, DDP) e le regole applicabili solo per i trasporti marittimi o fluviali (FAS, FOB, CFR, CIF).

Il più grande cambiamento è sicuramente l’eliminazione del DAT (Delivered at Terminal), sostituito con il DPU (Delivered at Place Unloaded). DPU prevede la consegna della merce non più in un determinato punto, solitamente un terminal, ma in un qualsiasi luogo definito con la merce scaricata dal vettore. Con questa clausola il venditore si assume quindi il rischio non solo del trasporto, ma anche del suo scaricamento.

Anche la resa FCA ha avuto un’evoluzione. La versione 2020 prevede la possibilità per l’acquirente, in accordo con il venditore, di richiedere una polizza di carico che indichi che la merce è a bordo del vettore. Qualora vi sia una lettera di credito, il venditore potrà così avere il documento per poter emettere il credito documentario. Va rilevato che questo meccanismo è facoltativo e potrebbe far sorgere più problemi di quanti ne possa risolvere.

Vi sono cambiamenti anche per i termini assicurativi, CIF e CIP. Per la clausola marittima CIF è stato deciso lo statu quo mantenendo quindi un grado di copertura minima, la “C” secondo l’Istitute Cargo Clauses (fermo restando che le parti possono convenire un’assicurazione più completa). Nel caso della resa CIP invece, il venditore è tenuto a presentare una copertura assicurativa conforme alla clausola A, detto altrimenti una “all risk”, anche se venditore e acquirente possono accordarsi per un livello inferiore.

Infine, la versione 2020 inserisce per le clausole FCA, DAP, DPU E DDP la possibilità di utilizzare i propri mezzi di trasporto per lo spostamento delle merci, senza quindi dover far capo a un vettore terzo.

Articolo a cura di

Monica Zurfluh, Responsabile S-GE per la Svizzera italiana e
Valentina Rossi, Responsabile Servizio Export Cc-Ti

Desideri saperne di più? Partecipa al corso “Incoterms 2020” oppure all’aggiornamento mirato “Incoterms 2020: cosa cambia

Consigli utili per affrontare un nuovo mercato

L’individuazione di un nuovo mercato e la scelta del modello di elaborazione si basano sia su fattori interni all’azienda sia su fattori legati al mercato prescelto. A tal proposito, è innanzitutto opportuno conoscerlo da vicino.

Tastare il polso del mercato

Aggregarsi a viaggi di prospezione o ancora partecipare a fiere internazionali in qualità di espositori o visitatori consente di “sentire il polso” del mercato. Le opzioni sono diverse e la Cc-Ti e S-GE vi supportano volentieri: sapevate ad esempio che ad ottobre S-GE organizza un viaggio negli Emirati Arabi Uniti per le PMI attive nelle tecnologie per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti, mentre a novembre la Cc-Ti terrà una missione economica multisettoriale a Shanghai? In alternativa, perché non esporre ad una fiera internazionale nel quadro di uno SWISS Pavilion ed approfittare della notorietà e visibilità del marchio “Svizzera.”?

Collaborare con un partner di vendita

Dopo aver acquisito le conoscenze fondamentali del mercato target, l’identificazione della modalità d’ingresso più adeguata è sicuramente una delle decisioni più difficili da affrontare, ma anche quella più strategica in quanto determina il successo o meno dell’intera operazione. Nell’accedere a un nuovo mercato, spesso la scelta ricade sul modello d’esportazione indiretta, ovvero sulla collaborazione con un partner commerciale locale (in generale un distributore) per beneficiare della sua rete di vendita, dei suoi clienti e della sua competenza. D’altra parte però, la vicinanza diretta al cliente finale viene meno e il controllo sulle attività per l’elaborazione del mercato spetta al partner. Deve quindi prima essere instaurato un rapporto di fiducia. La selezione del partner è una tappa fondamentale: andrebbe evitato di affidarsi al primo incontrato in fiera e che si dice entusiasta dei prodotti o servizi, sarebbe invece opportuno selezionare più candidati, esaminandoli sotto vari aspetti: dalla copertura del mercato alla solidità finanziaria, passando per il suo portafoglio di prodotti, la possibilità di gestire uno stock, le attività di marketing fornite o ancora, e se del caso, il servizio tecnico offerto. Nel formalizzare la collaborazione, sarebbe altresì opportuno fissare obiettivi periodici (di fatturato o di acquisizione di nuova clientela) e pattuire un periodo di prova.

Le possibilità di sondare il mercato sono molteplici, la scelta del partner di distribuzione è fondamentale. Fatevi consigliare. Siamo a disposizione.

Articolo a cura di

Monica Zurfluh, Responsabile S-GE per la Svizzera italiana e
Valentina Rossi, Responsabile Servizio Export Cc-Ti

La Cina e le sue curiosità

La Cc-Ti si appresta a tornare in Cina con una missione organizzata in collaborazione con la Città di Lugano, la Swiss Chinese Chamber of commerce, Swiss Centers China e S-GE. Vorremmo quindi cogliere l’occasione per dedicare uno spazio ai “do’s and dont’s” di questo Paese.

Nei contatti di business, per esempio, è importante arrivare puntuale agli incontri, non arrivare per tempo potrebbe essere percepito come estremamente irrispettoso. Salutare in cinese prima di iniziare la discussione è sempre apprezzato. È consigliato, inoltre, limitarsi a salutare verbalmente, invece di stringere la mano. Abbracciarsi o baciarsi non è comune in Cina, basta un leggero cenno col capo. Negli incontri di business non bisogna puntare subito al risultato, ma coltivare anche le relazioni. Non presentarsi mai a mani vuote! Durante qualsiasi tipo di incontro è uso scambiarsi regali in segno di gentilezza e amicizia. Quando qualcuno offre un regalo, accettarlo con entrambe le mani e utilizzarle entrambe mentre si offre il proprio. Il medesimo consiglio vale per il biglietto da visita. Fatto curioso: non regalare un orologio in quanto nella cultura cinese rimanda al funerale. Allo stesso modo, meglio evitare di offrire forbici e altri oggetti appuntiti poiché rappresentano il taglio delle relazioni. Unica eccezione è il tradizionale coltellino svizzero, sempre molto apprezzato dai Cinesi! In merito ai colori, rosso e oro sono di buon auspicio, mentre è meglio evitare di vestirsi di bianco in quanto in Cina è associato al lutto.

Al ristorante

Alle nostre latitudini è educazione finire quello che si ha nel piatto, in Cina è invece uso lasciare una piccola parte di cibo come segno di aver mangiato abbastanza. Provare tutto: è educazione assaggiare ogni piatto disponibile. Non bisogna lasciare la mancia infatti la maggior parte dei ristoranti non hanno una politica al riguardo e i camerieri sono spesso a disagio poiché è considerato un gesto sgarbato. Su una tavola cinese troverete sempre del pesce, è segno di buon auspicio.

Per concludere un’ultima curiosità, We-Chat è l’alternativa a Whatsapp ed è molto utilizzato, anche per i contatti lavorativi. La prima versione di We-Chat è stata distribuita nel 2011 e conta attualmente oltre 980 milioni di utenti. Non si tratta unicamente di un sistema di messaggistica, ma permette per esempio di completare transazioni online e trasferire denaro. Si può persino pagare il taxi con We-Chat.

Maggiori dettagli sulla missione in Cina di novembre 2019 sono disponibili qui o contattando il nostro International Desk.

Germania: principale partner per l’export elvetico

Continuano gli eventi Paese promossi dalla Cc-Ti in stretta collaborazione con Switzerland Global Enterprise volti a presentare le opportunità per le aziende ticinesi che desiderano esportare i loro prodotti all’estero. Dopo aver approfondito il Canada e il Giappone, il prossimo 19 settembre è il turno della Germania.

Potenza mondiale e leader delle nazioni europee, con i suoi oltre 80 milioni di cittadini la Germania è la terza nazione più grande al mondo in fatto di esportazioni. L’economia è sostenuta da grandi imprese multinazionali e da un’ampia base di piccole e medie imprese (il 99,3% di tutte le aziende, oltre il 60% dei posti di lavoro e il 47% del PIL). I tre stati federali del Baden-Württemberg, della Baviera e della Renania settentrionale-Vestfalia contribuiscono per oltre la metà del PIL.

Primo mercato d’esportazione per le imprese elvetiche, la Germania rappresenta un partner fondamentale per la sua vicinanza geografica e culturale. Non a caso, il volume commerciale della Svizzera con il Baden-Württemberg equivale a quello con la Cina. La Germania è un mercato importante soprattutto per l’industria meccanica, elettrotecnica e metallurgica (industria MEM) nonché per il settore dell’industria farmaceutica. Come per tutte le nicchie tedesche, il mercato si presenta già molto attivo e per potersi posizionare in qualità di leader, gli esportatori svizzeri devono sottolineare l’unicità e la qualità “Swiss Made” dei loro prodotti. Il prezzo inoltre è un fattore fondamentale per poter introdursi con successo nel mercato.

Durante l’incontro informativo previsto al Gran Hotel Villa Castagnola e al quale sono invitate tutte le aziende interessate, i partecipanti verranno sensibilizzati sulla situazione macroeconomica della Germania, sulle opportunità d’affari nonché sulle problematiche commerciali più ricorrenti. Infine, come di consueto, grazie alla collaborazione con Switzerland Global Enterprise (S-GE), vi è la possibilità di fissare dei colloqui individuali gratuiti per una consulenza mirata durante la giornata.

Articolo a cura di

Monica Zurfluh, Responsabile S-GE per la Svizzera italiana e
Valentina Rossi, Responsabile Servizio Export Cc-Ti

Le sfide nell’export

Trovare il giusto partner nel paese di destinazione è la maggiore sfida con cui si confrontano le PMI svizzere nell’ambito dell’esportazione di beni e servizi, secondo un’indagine condotta da Switzerland Global Enterprise (S-GE). Al secondo posto si situa la commercializzazione di beni o servizi e al terzo la creazione di una rete di contatti.

Anche le oscillazioni delle valute e il superamento delle barriere commerciali rappresentano una difficoltà per le PMI, mentre al momento attuale sono meno rilevanti le differenze culturali e i problemi nell’applicazione degli accordi di libero scambio.

La metà delle PMI dichiara di aver creato le competenze necessarie per affrontare le sfide dell’export all’interno dell’impresa, mentre un quarto si affida al know-how di esperti esterni all’azienda o a consulenti. Il 9% cerca invece di aggirare gli ostacoli.

Nell’esportazione di beni e servizi possono risiedere notevoli insidie. Infatti, un terzo delle PMI intervistate conferma di avere già rinunciato a un progetto di esportazione perché determinate sfide non erano superabili, mentre più della metà della PMI afferma di non aver mai avuto questo problema. In questo contesto le barriere commerciali stanno assumendo un ruolo vieppiù importante: a titolo di esempio, il 31% delle PMI intervistate ribadisce che nel commercio con gli USA vi sono ora maggiori ostacoli.

Crescita dinamica delle esportazioni dell’industria farmaceutica

Il barometro delle esportazioni di Credit Suisse si situa al punto più basso da ottobre 2013 con 0,35 punti e quindi nettamente sotto la media a lungo termine di 1,0 punti. Ciononostante Credit Suisse prevede globalmente una crescente richiesta di beni svizzeri da esportare, anche se non a livello dello scorso anno. In Europa, secondo Credit Suisse, la richiesta si è perlomeno stabilizzata mentre negli USA rimane un po’ più fosca.

Tra i settori analizzati spicca l’industria farmaceutica che continua a registrare una crescita dinamica nell’esportazione (+10,1% nel primo trimestre 2019 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), contribuendo in tal modo nettamente all’aumento delle esportazioni di beni dalla Svizzera, in particolare verso gli USA e l’Olanda.

Anche Switzerland Global Enterprise (S-GE) registra un sentimento migliore presso le PMI in relazione alle esportazioni. La metà delle PMI intervistate prevede maggiori esportazioni nel 3. trimestre e la Germania resta di gran lunga il mercato di destinazione più importante verso cui l’83% delle PMI intende esportare beni o servizi. Seguono la Francia, l’Austria e gli USA e in seguito l’Italia, la Cina, l’Olanda e la Spagna. Tra i nuovi paesi di destinazioni verso cui esportare, le PMI hanno indicato in particolare la Russia, gli Stati del Golfo, la Scandinavia e il Giappone.

Altre informazioni a riguardo: sondaggio di Switzerland Global Enterprise; ricerca del Credit Suisse 

 

Articolo a cura di
Roberto Gagliardi, Responsabile Trade Finance
Credit Suisse (Svizzera) SA, Regione Ticino

I trasporti eccezionali e le sfide quotidiane

I trasporti eccezionali sono quei mezzi che viaggiano con carichi che eccedono i limiti di sagoma o di massa arrivando anche oltre le 40 tonnellate e che vengono accompagnati da una scorta con lampeggianti accesi.

Cosa occorre e come si gestiscono i trasporti eccezionali? Si necessita molta esperienza e soprattutto la conoscenza delle lingue nazionali e l’inglese.

Sono 2 i fattori determinanti nell’organizzazione di questi trasporti:

  1. Il mezzo di trasporto: gli operatori devono studiare le dimensioni e il peso della merce per decidere il camion, la nave o l’aereo più idoneo al trasporto. Nel trasporto stradale si deve scegliere attentamente il tipo di rimorchio da utilizzare. I criteri base sono l’altezza del rimorchio da terra, il numero di assali per la distribuzione del peso, la lunghezza.
  1. L’itinerario: una volta scelto tipo di mezzo si studia l’itinerario migliore e adatto alle dimensioni del nostro trasporto. Se pesante si valuta la portata dei ponti, se ingombrante si calcolano le dimensioni delle gallerie, dei cantieri e la larghezza delle strade.

Con il mezzo giusto e l’itinerario ideale si inizia la fase della richiesta delle autorizzazioni di trasporto. Ogni Nazione ha la sua modalità di rilascio dei permessi; in Svizzera gli enti principali per il rilascio dei permessi sono l’USTRA e i Cantoni. Le tempistiche per l’ottenimento dei permessi possono durare da pochi giorni a un mese, a dipendenza delle dimensioni e delle Nazioni dove viene fatta la richiesta.

I trasporti particolarmente ingombranti o pesanti necessitano di scorte di polizia. L’abilità sta nel sincronizzazione al meglio le scorte tra i Cantoni e le Nazioni: in questo i nostri collaboratori sono veramente speciali. L’obiettivo è arrivare a destino nel modo più veloce e fluido possibile.

Un viaggio, un esempio

Una commessa molto impegnativa e stimolante è stata l’organizzazione del trasporto di un impianto di verniciatura dalla Germania alla Svezia. Per il trasporto dell’intero impianto sono stati mobilitati oltre 50 automezzi. Le dimensioni erano variegate: alcuni camion erano larghi fino a 5 metri.

L’itinerario era molto complesso e differenziato e per arrivare a destinazione è stato necessario utilizzare diversi metodi di trasporto: Camion – Chiatta – Nave – Camion.

Si è partiti da tre diversi luoghi in Germania con i camion fino al porto fluviale di Dresda. A Dresda le merci sono state trasbordate sulle chiatte che hanno navigato fino al porto marittimo di Amburgo. Ad Amburgo le merci sono state trasbordate su una nave con destinazione sul porto di Oskarshamm in Svezia. Arrivati al porto abbiamo di nuovo trasbordato le merci sui camion fino allo stabilimento del destinatario sempre nella città di Oskarshamn
L’intera operazione era suddivisa in 3 spedizioni separate (15-18 camion per volta). La fase di progettazione e contrattualizzazione è stata intensa e ha richiesto la messa in campo di numerose competenze tecniche.

La “mediazione” tra le parti, per coordinare le singole esigenze, è stata indubbiamente la porzione più impegnativa dell’intera operazione, ma anche la più affascinante ed emozionante. La consegna dell’ultimo camion in Svezia ha lasciato un senso di soddisfazione che è andato oltre ogni aspettativa puramente professionale.

In questi trasporti coinvolgere il proprio spedizioniere, in fase di stesura del contratto di fornitura, è estremamente importante per evitare sorprese indesiderate. Lo spedizioniere deve essere un partner competente che aiuta le aziende nella gestione logistica, doganale e di trasporto. È un “angelo custode” che insieme fa in modo che le vostre merci arrivino a destino pronte per essere finalmente utilizzate.

 

Testo a cura di


Angelo Betto 
Direttore Operativo Cippà Trasporti SA – Chiasso

 

 

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Corso di formazione “L’ABC dell’export: Le diverse modalità di trasporto di merci“, mercoledì 9 ottobre 2019, relatore: Maikol Soares, Cippà Trasporti SA

L’apertura dei mercati esteri

L’apertura di nuovi mercati acquisisce un’importanza sempre maggiore per le piccole e medie imprese (PMI) svizzere al fine di assicurare la continuità della loro attività, incrementare il loro fatturato ed anche il loro prestigio.

Un buon posizionamento sulla piazza elvetica non è garanzia di un successo rapido all’estero, ma è un buon punto di partenza: vale infatti la pena sviluppare in Svizzera una solida base di esperienze, know-how e fatturato prima di aprirsi oltre i confini nazionali.

Esportare o internazionalizzare?

La complessità del prodotto o del servizio, l’intensità delle relazioni con i propri clienti, l’onere in fatto di logistica, la necessità di disporre di un servizio clienti o le aspettative legate al business internazionale influenzano la scelta della presenza aziendale all’estero. Le PMI che acquisiscono i clienti internazionali direttamente dalla Svizzera o lavorano in stretto contatto con partner locali operano con un “modello di export”, quelle che invece elaborano il mercato estero direttamente in loco, delocalizzando alcune attività della catena del valore, quali la vendita, il marketing o la logistica operano invece con un “modello di internazionalizzazione”.

Non vi è un modello giusto o sbagliato per l’elaborazione dei mercati esteri. Le domande da porsi sono diverse e vanno dalla conoscenza del Paese alle proprie capacità economiche sino alla fattibilità o meno di gestire i propri clienti internazionali dalla Svizzera.

Primo passo: individuare il mercato

Il primo passo da effettuare è sicuramente quello di individuare un mercato target. Un errore comune a molte aziende è infatti quello di investire tempo e denaro sparando nel mucchio, con l’obiettivo di trovare contemporaneamente clienti, ad esempio, in Cina, Giappone e Corea, senza una minima roadmap e strategia. Un secondo errore comune è la mancanza di un’analisi delle dimensioni del mercato e del suo funzionamento, delle caratteristiche e delle esigenze dei potenziali clienti, dei canali di distribuzione esistenti, dei concorrenti nonché dei prezzi di vendita e dei margini. Nella riflessione vanno altresì integrate valutazioni sulla distanza geografica, le barriere culturali e linguistiche, gli ostacoli normativi e legali.

Esaminare l’attrattività e l’accessibilità di un mercato sono aspetti fondamentali. Cc-Ti e S-GE vi supportano in questo senso con missioni economiche volte a farvi toccare con mano nuove realtà e ad incontrare potenziali partner, oppure con analisi di mercato specifiche, verifiche mirate e ricerche di partner vere e proprie.

Articolo a cura di

Monica Zurfluh, Responsabile S-GE per la Svizzera italiana e
Valentina Rossi, Responsabile Servizio Export Cc-Ti