Unione europea: la nozione di immissione sul mercato

La data di “immissione sul mercato” di un prodotto stabilisce il termine entro il quale il produttore deve poter dimostrare che tale prodotto soddisfa i requisiti essenziali di sicurezza e di tutela della salute di consumatori e operatori. Quando un prodotto è considerato immesso sul mercato?

La corretta individuazione del momento della cosiddetta “immissione sul mercato” costituisce un aspetto importante per le aziende che operano nel mercato dell’Unione europea, indipendentemente dalla loro ubicazione (UE/extra-UE): a prescindere dalla loro origine, infatti, solo i prodotti conformi alla legislazione ad essi applicabile possono essere immessi sul mercato comunitario.

Una prima definizione di “immissione sul mercato” europeo è data dal Regolamento (CE) n. 765/2008: con tale nozione si intende “la prima messa a disposizione di un prodotto sul mercato comunitario”, ovvero “la fornitura di un prodotto per la distribuzione, il consumo o l’uso sul mercato comunitario nel corso di un’attività commerciale, a titolo oneroso o gratuito”. Le stesse definizioni sono state riprese nel Regolamento (UE) n. 2019/1020 che ridefinisce la “messa a disposizione sul mercato” come “qualsiasi fornitura di un prodotto per la distribuzione, il consumo o l’uso sul mercato dell’Unione nel corso di un’attività commerciale, a titolo oneroso o gratuito”.

Su queste definizioni (e non solo) viene in ulteriore aiuto la Guida blu all’attuazione della normativa UE sui prodotti, un documento della Commissione europea che, seppur puramente orientativo e non giuridicamente vincolante, contribuisce fattivamente a un’interpretazione e applicazione uniforme delle varie normative europee sui prodotti. Nella sua più recente edizione (2022), la Commissione europea offre infatti importanti precisazioni su questi concetti. Di seguito sono riassunti i punti principali.

La Guida blu (cf. sezioni 2.2 e 2.3) chiarisce innanzitutto che un prodotto è considerato come “immesso sul mercato” quando è messo a disposizione per la prima volta sul mercato unionale e che tale operazione è riservata al fabbricante o all’importatore. Qualsiasi operazione successiva, ad esempio da distributore a distributore o da distributore a utilizzatore finale, è definita “messa a disposizione”. Infine, la fornitura di un prodotto è considerata una messa a disposizione sul mercato comunitario esclusivamente quando il prodotto è inteso per l’uso finale nel mercato dell’UE: la fornitura di prodotti (per l’ulteriore distribuzione, per l’incorporazione in un prodotto finale, per l’ulteriore lavorazione o la raffinazione) allo scopo di esportare il prodotto finale fuori dal mercato comunitario non è considerata una messa a disposizione.

Il concetto di “immissione sul mercato” così come di “messa a disposizione” si riferisce poi a ogni singolo prodotto e non a una tipologia di prodotto, a prescindere dal fatto che questi sia stato fabbricato in esemplare unico o in serie. L’immissione sul mercato unionale può pertanto avvenire solo una volta per ogni singolo prodotto in tutta l’UE e non ha luogo in ciascuno Stato membro. Anche se una tipologia o un modello di prodotto è stato fornito prima dell’entrata in vigore di una nuova normativa che stabilisce nuovi requisiti obbligatori, i singoli esemplari della stessa tipologia o modello immessi sul mercato dopo che nuovi requisiti sono diventati applicabili devono conformarsi a questi ultimi.

Se i prodotti sono fabbricati su ordinazione, un’offerta o un accordo concluso prima che sia stata ultimata la fase di fabbricazione non possono essere considerati come una “immissione sul mercato”. È il caso, ad esempio, di un’offerta per fabbricare un prodotto conformemente a determinate specifiche concordate dalle parti contrattuali se il prodotto sarà fabbricato e consegnato solo in una fase successiva.

La Guida blu stabilisce altresì che i prodotti messi in vendita online o tramite altri canali di vendita a distanza sono considerati disponibili sul mercato dell’Unione se l’offerta è destinata agli utilizzatori finali dell’UE (cfr. sezione 2.4). Tali prodotti devono pertanto essere conformi alle norme UE applicabili e possono essere soggetti a controlli da parte delle autorità di vigilanza del mercato UE.

Prodotti importati da paesi extra-UE

La normativa europea si applica ai prodotti extra-UE quando essi sono messi a disposizione sul mercato comunitario per la prima volta (cfr. sezione 2.4). Essa si rivolge non solo ai prodotti di nuova fabbricazione, ma anche ai prodotti usati e di seconda mano.

Prima di raggiungere l’utilizzatore finale nell’UE, i prodotti provenienti da paesi extra-UE sono presentati in dogana nell’ambito della cosiddetta “procedura di immissione in libera pratica”. Scopo dell’immissione in libera pratica è l’espletamento di tutte le formalità di importazione in modo che i prodotti possano essere messi a disposizione sul mercato comunitario come qualsiasi prodotto fabbricato nell’UE. Di conseguenza, quando si presentano prodotti in dogana nell’ambito della procedura di immissione in libera pratica si può di norma ritenere che tali merci siano immesse sul mercato dell’UE e queste dovranno quindi essere conformi alla normativa unionale applicabile. Può però anche accadere che l’immissione in libera pratica e l’immissione sul mercato non avvengano contemporaneamente. L’immissione sul mercato è il momento in cui il prodotto è fornito per la distribuzione, il consumo o l’uso e può avvenire prima dell’immissione in libera pratica, ad esempio in caso di vendite online da parte di operatori extra-UE, anche se il controllo materiale della conformità dei prodotti può essere effettuato soltanto non appena i prodotti arrivano in dogana nell’UE.

I prodotti entrati nel territorio unionale e che richiedono un’ulteriore trasformazione per essere conformi alla normativa prodotto applicabile devono essere vincolati al regime doganale che consente tale lavorazione e possono essere dichiarati per la libera pratica solo dopo essere stati resi conformi.

Esempi pratici

La Guida blu analizza alcune casistiche sulla base di esempi pratici:

  • esempio di vendita di prodotto extra-UE ad un utilizzatore finale nell’UE: un’apparecchiatura a raggi X, fabbricata negli Stati Uniti, che è stata venduta a un ospedale nei Paesi Bassi il 15 marzo 2019 arriverà alla dogana olandese solo il 5 aprile 2019. Il prodotto è venduto dal fabbricante extra-UE direttamente al cliente UE tramite vendita a distanza.
    In questo caso la data dell’immissione sul mercato dell’apparecchiatura a raggi X è il 15 marzo 2019, data in cui l’utilizzatore finale nell’UE ha acquistato da un fabbricante extra-UE un prodotto già fabbricato e data in cui è stato effettuato e accettato l’ordine di un prodotto pronto per la spedizione (cfr. sezione 2.4);
  • esempio di vendita di prodotto extra-UE ad un importatore: una stampante fabbricata in Cina viene spedita nell’UE a un importatore spagnolo, per l’ulteriore distribuzione nell’UE, il 15 febbraio 2019, ed è immessa in libera pratica nell’UE il 15 marzo 2019. Il prodotto è fabbricato al di fuori dell’UE e immesso sul mercato unionale da un importatore. In questo caso la data di immissione sul mercato è il 15 marzo 2019, che corrisponde alla data di immissione in libera pratica. In genere si può dire che, nel caso di vendite ad un importatore, l’immissione nel mercato coincide con l’immissione in libera pratica (cfr. sezione 2.5);
  • esempio di vendita di prodotto extra-UE da fabbricare a utilizzatore finale nell’UE: una macchina completa viene ordinata da un utilizzatore finale dell’UE il 1° aprile 2019 sulla base di un’offerta/un modello contenuti in un catalogo. La macchina è successivamente fabbricata in Cina e spedita all’utilizzatore finale il 1° giugno 2019. Arriva in dogana il 20 giugno 2019. Il prodotto è venduto dal fabbricante extra-UE direttamente al cliente UE tramite vendita a distanza. In questo esempio la data dell’immissione sul mercato è il 1° giugno 2019, data in cui il prodotto che l’utilizzatore finale dell’UE ha acquistato da un fabbricante extra-UE è già fabbricato e pronto per la spedizione (cfr. sezione 2.4);
  • esempio di spedizione di prodotto extra-UE da fabbricare a un prestatore di servizi di logistica: il 15 marzo 2019 un fabbricante di giocattoli extra-UE spedisce a un prestatore di servizi di logistica 100 giocattoli dello stesso modello che sono immessi in libera pratica il 20 marzo 2019. Il fabbricante inizia a vendere tali prodotti sul proprio sito web a partire dal 1° aprile 2019. I prodotti sono fabbricati al di fuori dell’UE e materialmente trasferiti a un prestatore di servizi di logistica per essere distribuiti sul mercato unionale. In questo esempio la data di immissione sul mercato non è la data della vendita online, ma la data dell’immissione in libera pratica, ovvero il 20 marzo 2019 (cfr. sezione 2.4).

Link utili:

Requisiti dell’UE per i prodotti (europa.eu)

Elusione sanzioni Russia: nota delle autorità USA

Sono in aumento gli operatori che si avvalgono di intermediari per eludere le restrizioni verso la Russia. Per aiutare gli operatori economici ad individuare questi tentativi di elusione, le autorità americane hanno emanato una nota congiunta che riporta i segnali di allarme più comuni. Un documento utile anche alle aziende estere coinvolte nella riesportazione di beni o tecnologie USA o che utilizzano componenti o tecnologie di origine USA nei loro prodotti poiché assoggettate alle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni.

A fine gennaio, la Cc-Ti aveva segnalato l’emergenza di alcune pratiche di elusione delle sanzioni nei confronti della Russia.

Ad inizio marzo l’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del Dipartimento del Tesoro, il Bureau of Industry and Security (BIS) del Dipartimento del commercio e il Dipartimento della giustizia (DOJ) degli Stati Uniti hanno pubblicato un’interessante nota di conformità congiunta volta a dare un giro di vite all’utilizzo di intermediari per eludere le restrizioni verso la Russia.

Nella nota, le autorità americane sottolineano come la Russia utilizzi attivamente intermediari di terze parti e/o punti di trasbordo per aggirare le restrizioni e mascherare il coinvolgimento dei cosiddetti “cittadini specialmente designati e persone bloccate” (Specially Designated Nationals And Blocked Persons, SDN) o di entità elencate nella rispettiva lista (Entity list) allo scopo di oscurare le vere identità degli utenti finali russi.

Per aiutare gli operatori economici ad individuare eventuali tattiche di evasione e ad implementare le misure di compliance appropriate, nella loro nota le autorità USA elencano una serie – non esaustiva – di segnali d’allarme (red flags):

  • utilizzo di persone giuridiche, società di comodo e accordi legali per oscurare la proprietà, la fonte dei fondi o i Paesi coinvolti, in particolare quelli sottoposti a sanzioni;
  • riluttanza di un cliente a condividere informazioni sull’utilizzo finale di un prodotto e a compilare la relativa documentazione;
  • utilizzo di società di comodo per effettuare bonifici internazionali, spesso coinvolgendo istituzioni finanziarie in giurisdizioni diverse da quella di registrazione della società;
  • rifiuto della consueta installazione, formazione o manutenzione degli articoli acquistati;
  • indirizzi IP che non corrispondono ai dati di localizzazione segnalati da un cliente;
  • modifiche dell’ultimo minuto alle istruzioni di spedizione, diverse da quelle consone del cliente o alle pratiche commerciali;
  • pagamenti provenienti da un Paese terzo o da un’azienda non menzionati nella dichiarazione di uso finale (end-user statement, modulo BIS-711) o di altro modulo applicabile;
  • utilizzo di caselle di posta elettronica personali al posto di quelle aziendali;
  • gestione di attività complesse e/o internazionali utilizzando indirizzi residenziali o comuni a più entità societarie strettamente controllate;
  • modifiche alle lettere di incarico standard che oscurano il cliente finale;
  • transazioni che comportano una modifica delle spedizioni o dei pagamenti precedentemente programmati per la Russia o la Bielorussia;
  • transazioni che coinvolgono entità con scarsa o nessuna presenza sul web;
  • instradamento degli acquisti attraverso punti di trasbordo comunemente utilizzati per reindirizzare illegalmente prodotti soggetti a restrizioni verso la Russia o la Bielorussia, come Cina (inclusi Hong Kong e Macao), Armenia, Turchia e Uzbekistan (elenco non esaustivo).

Le autorità americane sottolineano la necessità di sviluppare, implementare e aggiornare programmi interni di compliance su prodotti e servizi, clienti e controparti nonché aree geografiche.

Il documento è di utilità non solo per le aziende americane, ma anche per le aziende non statunitensi coinvolte nella riesportazione di beni o tecnologie americane o che utilizzano componenti o tecnologie di origine USA nei loro prodotti poiché assoggettate anche alle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni (le cosiddette “sanzioni secondarie”). Non meno importante, esso fornisce spunti di riflessione anche per quelle aziende estere che non sono direttamente toccate dalle regolamentazioni americane.

La Convenzione CITES celebra il suo 50° anniversario

La CITES è stata istituita il 3 marzo 1973 a Washington con l’accordo di diversi Stati. Cinquant’anni dopo, è considerata la più importante convenzione nel suo genere.

Nel frattempo ha raggiunto 184 Paesi membri e protegge dallo sfruttamento eccessivo decine di migliaia di specie di fauna e di flora, a cui se ne aggiungono sempre di nuove: in occasione dell’ultima conferenza CITES svoltasi nel novembre 2022 gli Stati membri hanno aggiunto alla Convenzione oltre 500 specie di fauna e di flora, tra cui anche numerose specie di squali e razze. La Svizzera detiene la presidenza del Comitato per gli animali e contribuisce nel suo ruolo a monitorare l’attuazione delle disposizioni di protezione.

La Svizzera ne fa parte dal 1973, anno della sua istituzione. Rappresentata dall’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria (USAV).

La Convenzione CITES

Oltre 5’000 specie animali e più di 37’000 specie vegetali sono soggette alla Convenzione CITES delle Nazioni Unite. Sono suddivisi in tre livelli di protezione (i cosiddetti allegati), a seconda del grado di pericolo. L’allegato I contiene circa 1’000 specie minacciate di estinzione e anche dal commercio internazionale. Il commercio di questi esemplari è vietato. L’allegato II elenca oltre 37’000 specie che, senza controlli commerciali, rischiano di estinguersi. In questi casi il commercio è consentito, ma solo se è dimostrabilmente sostenibile. L’allegato III contiene poco più di 200 specie per le quali un singolo Paese ritiene necessario un controllo commerciale.

Fonte: USAV
Comunicato stampa: La Convenzione CITES celebra il suo 50° anniversario (admin.ch)

Spagna: in vigore la tassa sulla plastica

Il 1° gennaio 2023 è entrata in vigore in Spagna la nuova tassa sugli imballaggi in plastica non riutilizzabili, inclusi quelli da trasporto.

Posticipata più volte, il 1° gennaio 2023 è entrata in vigore in Spagna la cosiddetta “plastic tax”, una tassa pari a € 0,45 per chilogrammo di imballaggi in plastica non riciclabili prodotti nel mercato spagnolo, acquistati nell’UE oppure importati da Paesi terzi e destinati ad essere utilizzati all’interno del mercato ispanico.

La tassa copre sia i materiali di imballaggio (vuoti) sia i prodotti confezionati ed è applicabile agli imballaggi primari, secondari e terziari. Rientrano tra i beni tassabili anche

  • i semilavorati in plastica quali film/fogli termoplastici, preforme, tappi e chiusure destinati alla produzione di contenitori in plastica non riutilizzabili;
  • i prodotti in plastica volti a facilitare la chiusura, la commercializzazione o la presentazione dei contenitori non riutilizzabili.

Sono previste eccezioni per alcuni prodotti, come gli imballaggi in plastica per i prodotti farmaceutici o altri tipi di beni sanitari e ad uso ospedaliero.

I prodotti contenenti più materiali vengono tassati esclusivamente in base al peso effettivo della plastica non riciclata. A differenza della tassa sugli imballaggi in plastica introdotta lo scorso anno nel Regno Unito (cfr. nostro articolo del 23 giugno 2022), nel caso della plastic tax spagnola non vige una soglia di contenuto riciclato minimo per determinare la tassabilità del prodotto, ma viene considerata la quantità di plastica non riutilizzabile, espressa in chili.

I fornitori sono tenuti a specificare in fattura i quantitativi di plastica non riciclata inclusi nel prodotto e gli importatori ad indicare tali quantitativi nella dichiarazione doganale di importazione e a pagare la relativa tassa allo sdoganamento della merce.

Link utili:
Legge 7/2022 dell’8 aprile 2022 sui rifiuti e il suolo contaminato per un’economia circolare
(vedasi nello specifico il “Título VII Medidas fiscales para incentivar la economía circular” > “Capítulo I Impuestos especial sobre los envases de plástico no reutilizables”)

Il valore in dogana: come determinarlo

Tra gli elementi essenziali della dichiarazione doganale, oltre alla classificazione doganale della merce e alla sua origine, figura anche il suo valore in dogana. Una valutazione errata del valore doganale può infatti comportare conseguenze sia sotto il profilo tributario sia sotto il profilo commerciale.

Per “valore in dogana” delle merci si intende il valore attribuito alle merci all’atto dell’importazione, al fine di applicare i dazi (da cui il termine dazi ad valorem). Tale valore costituisce anche la base per il calcolo dell’imposta all’importazione (generalmente: l’IVA) e di altri tributi, così come per la compilazione delle statistiche del commercio estero. Una valutazione non corretta del valore doganale delle merci può esporre l’azienda al pagamento di differenze daziarie, di quelle degli altri tributi e persino a sanzioni, così come a errori di valutazione in merito alle effettive opportunità di approvvigionamento dall’estero.

Salvo altre modalità di misura prescritte, in Svizzera le merci sono generalmente tassate secondo il peso lordo (cfr. art. 2 della Legge sulla tariffa delle dogane, LTD). Pertanto, se il valore in dogana delle merci è irrilevante dal profilo daziario (a maggior ragione per i prodotti industriali con l’abolizione dei dazi all’importazione dal 01.01.2024), tale valore resta invece importante sia per il calcolo dell’IVA e degli altri tributi sia a livello statistico.

Come determinare il valore in dogana?

La legislazione sul valore in dogana si basa sull’art. VII dell’Accordo sul valore in dogana dell’OMC e prevede i seguenti metodi di valutazione, applicabili in modo gerarchico, ossia per esclusione del metodo precedente:

  1. metodo del valore di transazione, dove con “valore di transazione” si intende il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci all’atto della vendita per l’esportazione nel paese d’importazione (cfr. art. 1 dell’Allegato 1A.9 all’Accordo che istituisce l’OMC);
  2. metodo del valore di transazione di merci identiche (cfr. art. 2);
  3. metodo del valore di transazione di merci simili (cfr. art. 3);
  4. metodo del valore dedotto, ovvero del valore basato sul prezzo unitario al quale le merci importate (o merci identiche o simili importate) sono vendute nel quantitativo complessivo maggiore a compratori non collegati ai venditori, previa deduzione dei costi aggiuntivi sostenuti per la commercializzazione (commissioni dovute o margini di utile, spese di trasporto o di assicurazione, spese di sdoganamento compresi i tributi, cfr. art. 5);
  5. metodo del valore calcolato (o ricostruito): il valore in dogana viene “ricostruito” sommando il costo o il valore delle materie prime utilizzate e dei processi di fabbricazione o di altre lavorazioni, gli utili e le spese generali (uguali a quelli solitamente presi in considerazione in analoghe condizioni di mercato), del costo o del valore di qualsiasi altra spesa (cfr. art. 6). Nota: su richiesta dell’importatore, l’ordine di applicazione degli art. 5 e 6 può eventualmente essere invertito (cfr. art. 4);
  6. metodo del valore determinato ricorrendo a mezzi ragionevoli e sulla base dei dati disponibili: questo metodo è da utilizzarsi come extrema ratio, ovvero quando non è possibile terminare il valore in dogana con nessuno dei metodi precedenti e quindi ci si basa sui dati esistenti e riscontrabili oggettivamente.

Ulteriori link utili:
Base di calcolo doganale (admin.ch)
WTO | Customs valuation gateway

Emirati Arabi Uniti: nuova procedura di legalizzazione fatture online

Gli Emirati Arabi Uniti introducono un nuovo sistema per l’attestazione elettronica delle fatture commerciali di importazione.

A partire dal 1° marzo 2023, le fatture di importazione di valore pari o superiore a AED 10’000 (ca. CHF 2’500) devono essere attestate dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale degli Emirati Arabi Uniti (MoFAIC) tramite il sistema eDAS, a cui è necessario registrarsi e dove è altresì possibile scaricare un manuale in formato PDF. L’“electronic attestation reference number” (numero di riferimento eDAS) così generato deve in seguito essere inserito nella dichiarazione doganale di importazione.

La fattura legalizzata dalla propria Camera di commercio (nel caso specifico: la Cc-Ti) e il certificato d’origine possono essere caricati al momento dell’arrivo della merce in dogana e in fase di dichiarazione doganale. Il MoFAIC riscuote una commissione di AED 150 (ca. CHF 37.50) per ogni fattura commerciale del valore uguale o superiore all’importo sopra indicato.

L’attestazione elettronica tramite eDAS va a sostituire quelle della Camera di commercio arabo-svizzera (CASCI) e della rappresentanza ufficiale emiratina in Svizzera.

Sono esentate dalla procedura le importazioni di beni di valore inferiore a AED 10’000, le importazioni personali, quelle provenienti da Paesi del GCC e quelle a destinazione di una zona franca, così come le merci in transito, gli invii e-commerce B2C e le importazioni diplomatiche, militari, di NGO e di organizzazioni internazionali.

La nuova procedura è già operativa a Dubai e sarà presto integrata nel sistema doganale degli altri emirati, tra cui Abu Dhabi, Sharjah e RAK.

Altri link utili:
Customs Notice No. 11/2022 (Dogana di Dubai)

Fonte: IHK Bonn/Rhein-Sieg; adattamento: Servizio Commercio Internazionale Cc-Ti

Stati Uniti: nuova normativa sui cosmetici

Il 29 dicembre 2022 è stato approvato il Modernization of Cosmetics Regulation Act of 2022 (MoCRA), che modifica in modo significativo l’attuale quadro normativo relativo ai cosmetici negli Stati Uniti: l’industria del settore è chiamata a prepararsi allo sviluppo di sistemi di farmacovigilanza, alla registrazione dei propri stabilimenti e prodotti, alle buone pratiche di fabbricazione e alla nuova autorità di richiamo obbligatorio.

Il Modernization of Cosmetics Regulation Act of 2022 (MoCRA), firmato dal Presidente Biden il 29 dicembre 2022, è la prima modifica della legislazione statunitense sui cosmetici effettuata a livello federale dal 1938 e allinea i cosmetici agli altri prodotti di consumo regolamentati dalla Food and Drug Administration (FDA). Le aziende cosmetiche sono assoggettate ai requisiti di registrazione degli stabilimenti produttivi e dei prodotti, alla segnalazione e alla registrazione di reazioni avverse gravi subite dai consumatori, alle buone pratiche di fabbricazione (GMP) e alla tenuta dei registri e delle prove di sicurezza. Inoltre, il MoCRA conferisce alla FDA l’autorità di ordinare un richiamo obbligatorio di un prodotto cosmetico e di sospendere la registrazione di uno stabilimento se li ritiene connessi con gravi problemi di salute.

Di seguito, e in breve, i nuovi obblighi:

  • Gli stabilimenti coinvolti nella fabbricazione o nella lavorazione di cosmetici distribuiti negli Stati Uniti devono essere registrati presso la FDA entro il 29 dicembre 2023. Per i nuovi stabilimenti vige la regola dei 60 giorni dall’inizio dell’attività. La registrazione deve essere rinnovata ogni due anni. Gli stabilimenti esteri devono avere un agente americano. Sono esentati dall’obbligo di registrazione gli stabilimenti che si limitano a etichettare, confezionare, immagazzinare o distribuire prodotti cosmetici, gli stabilimenti che producono ingredienti ma non prodotti finiti e gli stabilimenti utilizzati esclusivamente per scopi di ricerca e valutazione dei prodotti.
  • Entro il 29 dicembre 2023 la cosiddetta “responsible person” – ovvero il produttore, confezionatore o distributore il cui nome compare sull’etichetta del prodotto cosmetico – deve presentare alla FDA un elenco dei cosmetici già in commercio, compresi i suoi ingredienti (entro 120 giorni per i cosmetici commercializzati dopo tale data). L’elenco dei prodotti deve essere aggiornato annualmente.
  • La persona responsabile deve notificare alla FDA ogni reazione avversa grave collegata con l’utilizzo di un prodotto cosmetico negli Stati Uniti entro 15 giorni dal ricevimento della relativa segnalazione. È altresì tenuta a conservare ogni dossier relativo a dichiarazioni di reazione avversa per 6 anni, o 3 anni per le piccole imprese non coinvolte nella produzione o lavorazione di prodotti cosmetici.
  • La persona responsabile è tenuta a conservare i registri che attestano la sicurezza di un prodotto cosmetico con “prove adeguate”. I prodotti cosmetici che non dispongono di adeguate prove di sicurezza saranno considerati adulterati.
  • Il MoCRA introduce modifiche all’etichettatura dei prodotti: l’etichetta dovrà includere le coordinate della persona responsabile (a cui segnalare reazioni avverse), gli allergeni dei profumi, l’eventuale uso professionale.
  • La FDA è chiamata a stabilire buone pratiche di fabbricazione (GMP) per proteggere la salute pubblica e garantire che i prodotti cosmetici non siano adulterati. Una proposta di regolamentazione in tal senso dovrà essere pubblicata entro dicembre 2024, norme definitive dovranno seguire entro dicembre 2025.
  • Se la FDA ritiene che il prodotto cosmetico sia stato adulterato o sia etichettato in modo errato e che il suo utilizzo possa provocare gravi conseguenze per la salute dei consumatori, potrà richiedere alla persona responsabile un richiamo volontario del prodotto. Se la persona responsabile non vi dà seguito, la FDA può ordinare un richiamo obbligatorio. La FDA è altresì autorizzata a sospendere la registrazione di uno stabilimento.

Link utili:
Modernization of Cosmetics Regulation Act of 2022 (MoCRA), sottotitolo E “Cosmetics”, sezione 3501 e ss.

Nuove regole per l’export di alimenti in India

L’India richiede la registrazione obbligatoria degli stabilimenti alimentari stranieri per l’importazione di alcune categorie di alimenti e posticipa l’introduzione dei certificati sanitari.

A partire dal 1° febbraio 2023, i produttori stranieri di alimenti che esportano i seguenti prodotti in India devono di registrare i propri stabilimenti presso la Food Safety and Standards Authority of India (FSSAI):

  • latte e prodotti lattiero-caseari
  • carne e prodotti a base di carne, compresi pollame, pesce e loro prodotti
  • polvere d’uovo
  • alimenti per bambini
  • nutraceutici.

A tale scopo, devono compilare il modulo di registrazione (documento Word) messo a disposizione dall’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria (USAV) e inviarlo all’autorità cantonale competente (Canton Ticino: Laboratorio cantonale), che procederà con la vidimazione e l’inoltro alle autorità svizzere e indiane di riferimento.

Si segnala inoltre che l’obbligo di utilizzo dei nuovi modelli di certificato sanitario per i prodotti animali, inizialmente previsto per il 1° gennaio 2023, è stato posticipato al 1° marzo 2023. L’esportazione di prodotti lattiero-caseari con il vecchio certificato M-2013-02 è possibile fino al 1° marzo 2023.

Link utili:
Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria (USAV): documenti relativi all’esportazione
Piattaforma per le esportazioni agricole PAE/PEA: India (FR/DE)

Da complicato a complesso: il contesto internazionale è sempre più impegnativo

Le aziende che operano a livello internazionale navigano sempre più in un labirinto di accordi commerciali, formalità amministrative e doganali, guerre commerciali, sanzioni e controlli delle esportazioni nonché di nuove e sempre più stringenti normative in ambito ESG (ovvero le questioni ambientali, sociali e di governance). Far fronte a queste sfide crescenti richiede notevoli risorse e competenze, ma le aziende del territorio possono contare sul supporto della Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino (Cc-Ti).

La Svizzera, si sa, ha concluso numerosi accordi di libero scambio grazie ai quali le PMI che operano a livello internazionale hanno l’opportunità di accedere ai mercati esteri o di importare beni strumentali e/o fattori produttivi a costi inferiori, ricavandone così un vantaggio competitivo. A causa della complessità degli accordi e della mancanza di coerenza delle norme, lo sgravio dai costi è però associato anche ad un elevato onere amministrativo sia per comprendere ed applicare correttamente le varie disposizioni e procedure sia per espletare, altrettanto correttamente, le formalità doganali.

I beni da immettere sui mercati esteri devono anche soddisfare vari requisiti amministrativi e tecnici, tra cui test e certificazioni, che possono variare da un Paese all’altro. Talvolta queste misure diventano delle vere e proprie barriere commerciali, con conseguente ulteriore onere burocratico e aumento dei costi di produzione e del tempo necessario per portare i prodotti sul mercato. Le procedure d’importazione nel Paese target si fanno sempre più complesse e sono talvolta legate a specifiche modalità di pagamento definite dai governi stessi. È il caso ad esempio delle disposizioni attuate di recente da Egitto e Argentina a causa della grave carenza di valuta estera: nel 2022, e per ben nove mesi, il primo ha imposto l’obbligo di utilizzo di lettere di credito per finanziare forniture superiori ai 5’000 dollari, con conseguente aumento dei costi di gestione delle pratiche e ritardi nello sdoganamento degli invii; di recente la seconda ha invece introdotto un sistema (tuttora in vigore) di monitoraggio e rilascio di licenze all’importazione legato ad autorizzazioni di pagamento delle fatture estere rispettivamente all’accesso al mercato dei cambi per pagamenti in valuta estera. In casi come questi, alle oggettive difficoltà che all’atto pratico le aziende si trovano a dover affrontare, si inserisce spesso la mancanza di informazioni chiare, affidabili e aggiornate sulle nuove misure introdotte dai vari Paesi e la complessità nel reperirle.

Un’altra tematica che occupa e preoccupa sempre più le aziende è quella del controllo delle esportazioni, volto ad impedire non solo la proliferazione di materiale di armamento e di beni a duplice impiego, ma anche di tecnologie critiche. Il tema è stato portato alla ribalta dall’attuazione di vari regimi sanzionatori nei confronti della Russia, alcuni dei quali anche di natura extra-territoriale, e dalla cosiddetta “guerra dei chip” tra Stati Uniti e Cina. Nel primo caso, i regimi sanzionatori diversi pongono sfide e rischi non facili da affrontare per le nostre imprese, che si devono interfacciare con la normativa straniera per comprenderne gli impatti ed evitare rischi e conseguenze dagli effetti anche devastanti. Nel secondo caso, invece, l’intensificarsi della competizione tra Stati Uniti e Cina per la supremazia tecnologica espone le catene di approvvigionamento a scosse create da restrizioni alle esportazioni e da altre barriere non tariffarie attuate da entrambe le Nazioni. Le imprese non possono rinunciare all’accesso a questi mercati strategici, ma il progressivo disaccoppiamento tra i due Stati mette in discussione i loro modelli di sviluppo, costringendole ad attuare ed effettuare controlli all’esportazione nonché a segmentare la propria offerta e i propri processi. In questo caso non si tratta più solo di decidere se operare in un Paese piuttosto che nell’altro, ma di come operare in un Paese affinché non vi siano riscontri negativi nell’altro.

Da ultimo, ma non meno importante, le aziende sono chiamate anche a conformarsi a nuove e complesse normative ambientali e sociali sui prodotti che fabbricano e acquistano e che, talvolta, richiedono la creazione di sistemi per la tracciabilità delle merci. È il caso, ad esempio, delle nuove normative sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio entrati recentemente in vigore in diversi Paesi europei o anche della cosiddetta “carbon tax alla frontiera”, che l’Unione europea introdurrà ad ottobre 2023 e che imporrà alle aziende di documentare, comunicare e, se del caso, pagare una carbon tax sulle emissioni di gas serra associate a diverse tipologie di merci energivore e inquinanti introdotte nel mercato unionale.

In sostanza, ogni Paese in cui un’azienda opera rappresenta un rischio di compliance: leggi e regolamenti vengono modificati anche con breve preavviso e con poca o nessuna notifica, nonché con ammende in caso di mancata conformità. A fronte di tale complessità, solo chi padroneggia le regole del commercio internazionale, si informa adeguatamente e adatta rapidamente la propria strategia può ottenere un prezioso vantaggio strategico e competitivo rispetto alla concorrenza. È qui che si inserisce la Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino: con i suoi servizi di informazione puntuale, consulenza mirata, formazione ed eventi nei vari ambiti del commercio con estero, la Cc-Ti è partner e interlocutore privilegiato delle aziende del territorio ad essa associate.

Frontalieri e fiscalità-1° febbraio 2023

IMPORTANTE INFORMATIVA

Lo scorso 23 dicembre vi abbiamo informati che l’Accordo amichevole concluso con l’Italia nel giugno 2020 sul telelavoro dei frontalieri non verrà prorogato e che il regime speciale in materia fiscale decadrà quindi il prossimo 1° febbraio 2023.
Ieri l’Autorità fiscale italiana ha precisato che i frontalieri italiani che continueranno in modalità di telelavoro perderanno lo statuto fiscale di frontaliere. Il regime dei frontalieri viene riservato ai soggetti che quotidianamente (e non, quindi, in modo saltuario) si recano all’estero per svolgere il proprio lavoro.
Per mantenere tale statuto è quindi necessario che la persona non lavori nemmeno un giorno completo dal proprio domicilio.
In caso contrario il frontaliere rischia di essere tassato in Italia per l’intero reddito conseguito in Svizzera.
Per quanto riguarda le aziende, inoltre, rimane aperta pure la questione relativa all’assoggettamento al fisco italiano, a determinate condizioni, quale stabile organizzazione.

INFORMATIVE PRECEDENTI:
www.cc-ti.ch/calendario/frontalieri-e-fiscalita/
www.cc-ti.ch/normative-diverse-in-vigore-dal-2023/
www.cc-ti.ch/info-veicoli-aziendali/