EAU: imposta sull’utile delle società dal 01.06.2023

Con l’esercizio finanziario che inizierà il 1° giugno 2023, per la prima volta le società degli Emirati Arabi Uniti (EAU) saranno tenute a pagare l’imposta sull’utile.

Il 9 dicembre 2022, il Ministero delle Finanze degli EAU ha pubblicato il Federal Decree-Law No. 47 of 2022 on the Taxation of Corporations and Businesses (pdf) introducendo per la prima volta un’imposta federale sull’utile delle persone giuridiche: essa entrerà in vigore per gli esercizi finanziari a partire dal 1° giugno 2023 (dal 1° gennaio 2024 per chi segue l’anno solare). La legge è stata integrata da 158 domande frequenti.

In sostanza, a partire giugno, le aziende emiratine e le società straniere con una stabile organizzazione negli EAU (es. una sede, una filiale o un ufficio) e con un reddito imponibile superiore a 375’000 AED (circa 95’000 EUR / 100’000 CHF) dovranno pagare un’aliquota base dell’imposta sull’utile del 9%. Per supportare le piccole imprese e le start-up, il reddito imponibile al di sotto di questa soglia sarà invece soggetto a un’aliquota dello 0%.

Il decreto-legge introduce anche il concetto di “Qualifying Free Zone Person” (QFZP), definito in senso lato come una società o una filiale registrata in una zona franca che, benché assoggettata alla corporate tax potrà beneficiare di un’aliquota dello 0% sui redditi cosiddetti “qualificati”.

La nuova imposta non si applicherà invece alle imprese che operano nell’estrazione di risorse naturali, alle entità governative e paragovernative, così come a enti di pubblica utilità o di beneficienza, fondi pensioni e fondi di investimento qualificati.

Ulteriori informazioni:

Corporate Tax​ – Ministry of Finance – United Arab Emirates (mof.gov.ae)

Explanatory Guide for Federal Decree-Law – Ministry of Finance – United Arab Emirates (mof.gov.ae)

Desiderate sapere come avviare un business negli Emirati Arabi Uniti e quali aspetti amministrativi e fiscali tenere in considerazione? Partecipate all’EVENTO PAESE | Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, che si terrà il prossimo 25 maggio 2023 presso il Suitenhotel Parco Paradiso a Paradiso. All’ordine del giorno figurano anche una panoramica dei settori più interessanti e la presentazione delle strategie di ingresso, assicurative e logistiche migliori. Seguiranno due testimonianze di chi opera sul mercato e l’opportunità di fare networking in occasione dell’aperitivo finale. Vi aspettiamo!

Chi guida la corsa alle tecnologie critiche?

Diciamolo subito: nota per essere sempre stata alla ricerca di qualsiasi nuova tecnologia occidentale da copiare o migliorare, la Cina domina ora sugli Stati Uniti nella maggior parte dei settori ad alta tecnologia e “le democrazie occidentali stanno perdendo la competizione tecnologica globale, compresa la corsa alle scoperte scientifiche e di ricerca, e la capacità di trattenere i talenti globali – ingredienti cruciali alla base dello sviluppo e del controllo delle tecnologie più importanti del mondo, incluse quelle che ancora non esistono”. È quanto emerge dal Critical Technology Tracker – The global race for future power, uno studio del think tank australiano ASPI finanziato nientemeno che dal Dipartimento di Stato statunitense.

In breve: gli americani potrebbero anche limitare la capacità dei cinesi di produrre chip avanzati, vedi bloccare il trasferimento di tecnologie, e sovvenzionare la produzione nazionale per massimizzare la distanza tecnologica tra i due Paesi, ma come evidenzia l’Australian Strategic Policy Institute (ASPI) nel suo Critical Technology Tracker, la Nazione asiatica sta avanzando nella corsa al dominio tecnologico globale molto più rapidamente di quanto si possa pensare e di fatto ha già gettato le basi per posizionarsi quale superpotenza scientifica e tecnologica del mondo, stabilendo una leadership nella ricerca ad alto impatto nella maggior parte dei settori tecnologici critici ed emergenti (tra cui difesa, spazio, robotica, energia, ambiente, biotecnologia e intelligenza artificiale) e nello specifico in 37 delle 44 tecnologie valutate. Le sette rimanenti sono guidate dagli Stati Uniti (vaccini, computer, calcolo quantistico, sistemi di lancio orbitale nello spazio, progettazione di circuiti, sistemi di riconoscimento linguistico e piccoli satelliti, informatica ad alte prestazioni, informatica quantistica, vaccini). Ma c’è di più, la Cina ha un vantaggio a “rischio monopolio alto” in sette ambiti: materiali e produzione su scala nanometrica, tecnologie di rivestimento, comunicazioni RF avanzate (incl. 5G e 6G), idrogeno e ammoniaca per l’energia, supercondensatori, batterie elettriche, biologia sintetica e sensori fotonici. In questo mondo bipolare tendente all’unipolarismo c’è ben poco spazio per gli altri Paesi. In ordine di importanza, e seppur distanziate dalle prime due, le uniche Nazioni ad essere menzionate nella speciale classifica delle eccellenze nella ricerca tecnologica sono India e Regno Unito, seguite da Corea del Sud, Germania, Australia, Italia e Giappone.

Gli americani mantengono una lunghezza di vantaggio in alcune tecnologie mature e sono leader non solo in ambito digitale e della difesa, ma anche nelle biotecnologie e altri settori. Dispongono inoltre di università e laboratori di richiamo mondiale, di alti livelli di investimento, di un mercato favorevole all’innovazione e di un’ampia rete di alleanze internazionali. Il Paese di Mezzo è però sede dei dieci principali istituti di ricerca al mondo per alcune tecnologie fondamentali e spesso produce una quantità di ricerca ad alto impatto cinque volte superiore a quella americana. Un dato, questo, da non sottovalutare, anche se trasformare le scoperte della ricerca in successi produttivi “made in China” è ben più complicato: ad esempio, nonostante gli investimenti da parte cinese per padroneggiare tecnologie come i motori a reazione, i suoi ingegneri hanno faticato per decenni per produrli, motivo per cui l’aviazione commerciale e militare continua per lo più a far capo a fornitori stranieri.

Gli Stati Uniti dominano anche nella ricerca sull’informatica quantistica, ma la Nazione asiatica li insegue primeggiando nella crittografia post-quantistica, nelle comunicazioni quantistiche e nella ricerca sui sensori quantistici. Per quanto riguarda l’intelligenza artificiale, gli americani si affermano sì nella progettazione di circuiti integrati avanzati, nell’elaborazione del linguaggio e nel calcolo ad alte prestazioni, ma i cinesi capeggiano nelle comunicazioni a radiofrequenza avanzate come il 5G e il 6G, oltre che in molte altre aree. Il Paese di Mezzo sta inoltre superando gli Stati Uniti in tutte le aree di ricerca sulle tecnologie energetiche e ambientali ed è leader in tecnologie come i droni, i sistemi autonomi e l’ipersonica. Svolge inoltre un ruolo cruciale nella transizione verso l’energia pulita, perché produce molti prodotti essenziali e opera su una scala così vasta da dominare alcune parti delle catene di approvvigionamento, quali ad esempio i settori eolico, solare e delle batterie. Ha costruito questo vantaggio per decenni, dominando la capacità di lavorazione e raffinazione di tali prodotti. Per gli Stati Uniti, e più in generale l’Occidente, cancellare questa dipendenza richiederà uno sforzo a lungo termine.

Il think tank australiano sottolinea infine come la leadership cinese sia un problema, non solo per la posizione dominante in sé e la sua capacità di stabilire una morsa sulle catene di fornitura globali per le tecnologie critiche, che le conferiscono una potente leva e un chiaro vantaggio tecnico, ma anche perché a lungo termine tale dominio potrebbe “spostare non solo lo sviluppo e il controllo tecnologico, ma anche il potere e l’influenza globale verso uno Stato autoritario in cui lo sviluppo, la sperimentazione e l’applicazione di tecnologie emergenti, critiche e militari non sono aperti e trasparenti e non possono essere scrutati dalla società civile e dai media indipendenti”. Tra le raccomandazioni fornite per contrastare la leadership della Nazione asiatica figurano l’istituzione di fondi sovrani per finanziare la ricerca e lo sviluppo, l’agevolazione di visti tecnologici, il “friend-shoring”, le sovvenzioni per la R&S tra nazioni e il perseguimento di nuovi partenariati pubblico-privato.

Cosa fare se la banca non finanzia l’export?

Il sistema bancario di molti Paesi non funziona bene come in Svizzera e per le aziende più piccole attive nella distribuzione può essere difficile e oneroso ottenere un credito. Essere in grado di offrire ai propri partner commerciali una soluzione per finanziare i loro ordini di acquisto può quindi rappresentare un grande vantaggio. In tal senso, le aziende esportatrici svizzere possono avvalersi di una gamma crescente di servizi offerti dagli istituti finanziari.

Il nostro partner Switzerland Global Enterprise illustra in questo articolo (in inglese) le basi del finanziamento delle esportazioni e della copertura dei rischi.

Spagna: in vigore la tassa sulla plastica

Il 1° gennaio 2023 è entrata in vigore in Spagna la nuova tassa sugli imballaggi in plastica non riutilizzabili, inclusi quelli da trasporto.

Posticipata più volte, il 1° gennaio 2023 è entrata in vigore in Spagna la cosiddetta “plastic tax”, una tassa pari a € 0,45 per chilogrammo di imballaggi in plastica non riciclabili prodotti nel mercato spagnolo, acquistati nell’UE oppure importati da Paesi terzi e destinati ad essere utilizzati all’interno del mercato ispanico.

La tassa copre sia i materiali di imballaggio (vuoti) sia i prodotti confezionati ed è applicabile agli imballaggi primari, secondari e terziari. Rientrano tra i beni tassabili anche

  • i semilavorati in plastica quali film/fogli termoplastici, preforme, tappi e chiusure destinati alla produzione di contenitori in plastica non riutilizzabili;
  • i prodotti in plastica volti a facilitare la chiusura, la commercializzazione o la presentazione dei contenitori non riutilizzabili.

Sono previste eccezioni per alcuni prodotti, come gli imballaggi in plastica per i prodotti farmaceutici o altri tipi di beni sanitari e ad uso ospedaliero.

I prodotti contenenti più materiali vengono tassati esclusivamente in base al peso effettivo della plastica non riciclata. A differenza della tassa sugli imballaggi in plastica introdotta lo scorso anno nel Regno Unito (cfr. nostro articolo del 23 giugno 2022), nel caso della plastic tax spagnola non vige una soglia di contenuto riciclato minimo per determinare la tassabilità del prodotto, ma viene considerata la quantità di plastica non riutilizzabile, espressa in chili.

I fornitori sono tenuti a specificare in fattura i quantitativi di plastica non riciclata inclusi nel prodotto e gli importatori ad indicare tali quantitativi nella dichiarazione doganale di importazione e a pagare la relativa tassa allo sdoganamento della merce.

Link utili:
Legge 7/2022 dell’8 aprile 2022 sui rifiuti e il suolo contaminato per un’economia circolare
(vedasi nello specifico il “Título VII Medidas fiscales para incentivar la economía circular” > “Capítulo I Impuestos especial sobre los envases de plástico no reutilizables”)

Frontalieri e fiscalità-1° febbraio 2023

IMPORTANTE INFORMATIVA

Lo scorso 23 dicembre vi abbiamo informati che l’Accordo amichevole concluso con l’Italia nel giugno 2020 sul telelavoro dei frontalieri non verrà prorogato e che il regime speciale in materia fiscale decadrà quindi il prossimo 1° febbraio 2023.
Ieri l’Autorità fiscale italiana ha precisato che i frontalieri italiani che continueranno in modalità di telelavoro perderanno lo statuto fiscale di frontaliere. Il regime dei frontalieri viene riservato ai soggetti che quotidianamente (e non, quindi, in modo saltuario) si recano all’estero per svolgere il proprio lavoro.
Per mantenere tale statuto è quindi necessario che la persona non lavori nemmeno un giorno completo dal proprio domicilio.
In caso contrario il frontaliere rischia di essere tassato in Italia per l’intero reddito conseguito in Svizzera.
Per quanto riguarda le aziende, inoltre, rimane aperta pure la questione relativa all’assoggettamento al fisco italiano, a determinate condizioni, quale stabile organizzazione.

INFORMATIVE PRECEDENTI:
www.cc-ti.ch/calendario/frontalieri-e-fiscalita/
www.cc-ti.ch/normative-diverse-in-vigore-dal-2023/
www.cc-ti.ch/info-veicoli-aziendali/

Unione europea: arriva la carbon tax alla frontiera

A ottobre 2023 nell’Unione europea (UE) entrerà in vigore il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM), che introdurrà una tassa sulle importazioni di talune merci ad alto contenuto di CO2. L’UE intende così equiparare il prezzo del carbonio tra i prodotti europei e i prodotti provenienti da Paesi con standard climatici più bassi, tutelare la competitività delle aziende europee ed evitare fenomeni di delocalizzazione dei processi produttivi più energivori e inquinanti. La misura sarà implementata gradualmente e prevede un periodo transitorio.

Traducendo nella pratica il principio “chi inquina paga”, nel 2005 l’Unione europea ha implementato il più grande sistema di tariffazione del carbonio al mondo: il sistema di scambio delle quote di emissione di gas a effetto serra (SSQE, o più comunemente ETS). Con la fissazione dei prezzi delle emissioni di CO2 l’UE ha incoraggiato la decarbonizzazione industriale, aumentando però allo stesso tempo anche il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio e di importazione di prodotti esteri più economici non soggetti a un prezzo del carbonio nel Paese di origine. L’UE ha pertanto attenuato questi rischi concedendo quote gratuite e compensazioni per l’incremento dei costi dell’energia elettrica.

L’aumento delle ambizioni climatiche e dei prezzi del carbonio, hanno poi spinto la Commissione a voler eliminare gradualmente le assegnazioni gratuite e a cercare nuove soluzioni. A luglio 2021, ha quindi annunciato una serie di proposte – note anche come pacchetto “Fit for 55” o “Pronti per il 55%” – per realizzare il Green Deal, impegnandosi a ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Tra queste proposte figurava anche l’introduzione graduale di un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM) per alcune importazioni da Paesi terzi.

Commissione europea e Consiglio dell’UE hanno raggiunto un accordo sul CBAM martedì 13 dicembre 2022. La nuova legge è la prima del suo genere ed è stata concepita per essere pienamente conforme alle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Essa si applicherà a partire dal 1° ottobre 2023, con un periodo di transizione fino al 31 dicembre 2025 in cui gli obblighi degli importatori europei saranno limitati alla presentazione di relazioni.

Per evitare una doppia protezione delle industrie dell’UE, la durata del periodo di transizione e la piena introduzione del CBAM saranno legate alla graduale eliminazione delle quote gratuite nell’ambito del sistema ETS. Questo aspetto è stato negoziato nel corso della settimana successiva alla conclusione dell’accordo sul CBAM e sabato 17 dicembre è stata decisa la riforma dell’ETS. Nello specifico, la grande industria e il settore dell’energia dovranno diminuire le proprie emissioni del 62% rispetto al 2005 (anno in cui il sistema ETS ha iniziato a funzionare). Le quote gratuite nell’ambito del sistema ETS saranno eliminate gradualmente:

202620272028202920302031203220332034
2.5%5%10%22.5%48.5%61%73.5%86%100%

Dal 1° gennaio 2026, il CBAM entrerà a regime gradualmente e alla stessa velocità con cui saranno eliminate le quote gratuite del sistema ETS, per essere poi completamente operativo entro il 31 dicembre 2034.

Sebbene Consiglio e Parlamento abbiano pubblicato dei comunicati stampa che illustrano il loro accordo (cfr. sopra), i testi del regolamento CBAM e della direttiva ETS così come concordati dalle due istituzioni non sono ancora stati resi pubblici. Affinché la nuova legge possa entrare effettivamente in vigore, i testi definitivi richiedono l’adozione formale da parte del Parlamento e del Consiglio e la loro pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’UE. Nel frattempo, la proposta di regolamento CBAM nella sua versione più attuale è visionabile qui: Emendamenti del Parlamento europeo, approvati il 22 giugno 2022, alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere.

I settori interessati

Il CBAM coprirà inizialmente ferro e acciaio, cemento, alluminio, fertilizzanti, elettricità e idrogeno, nonché alcuni precursori e un numero limitato di prodotti a valle (come viti e bulloni e articoli simili in ferro o acciaio). I beni toccati dalla misura sono identificati chiaramente tramite il loro codice merceologico (nomenclatura combinata, NC). Anche le emissioni indirette saranno incluse in modo ben circoscritto.

Prima della fine del periodo di transizione, la Commissione valuterà l’estensione del campo di applicazione a un maggior numero di prodotti lungo la catena di approvvigionamento, tra cui i prodotti chimici organici e i polimeri, con l’obiettivo di includere tutti i beni coperti dal sistema ETS entro il 2030.

Funzionamento del CBAM

In sostanza, la carbon tax coprirà le importazioni della tipologia di merci sopra elencate originarie dei Paesi terzi che non partecipano al sistema ETS o a un meccanismo collegato.

In una prima fase transitoria che inizierà a ottobre 2023 e fino alla piena operatività del meccanismo, gli importatori attivi nei settori sopra elencati saranno soggetti a un obbligo di comunicazione trimestrale dei quantitativi di merci importate e delle loro emissioni dirette e indirette di CO2[i] nonché del prezzo del carbonio pagato all’estero, senza però compensare a livello finanziario le emissioni. Non appena il CBAM diventerà pienamente operativo, le aziende che importano nell’UE i prodotti in oggetto dovranno registrarsi presso le autorità competenti (diventando “dichiaranti autorizzati”) e acquistare certificati di carbonio (quote CBAM) corrispondenti al prezzo del carbonio che avrebbero pagato per produrre le merci su suolo europeo.

Implicazioni per le aziende svizzere

Il CBAM si applicherà a tutte le importazioni dei prodotti elencati, ad eccezione di quelle originarie di Paesi che partecipano all’ETS dell’UE o ad esso pienamente legati. Tra questi Paesi figura anche la Svizzera[ii], che ha un suo ETS collegato a quello dell’UE (e finché i due ETS resteranno connessi[iii]).

Ciò malgrado, il CBAM potrebbe comunque applicarsi alle aziende svizzere

  • se esportano verso l’UE prodotti di origine terza (saranno infatti chiamate a fornire ai loro importatori europei i dati necessari, rispettivamente dovranno richiedere i relativi dati ai loro fornitori)
  • se agiscono in qualità di importatori nell’UE
  • nel caso di un loro coinvolgimento in pratiche di elusione.

Un ETS II per gli edifici e i trasporti

Entro il 2027 sarà istituito un ETS separato (“ETS II”) per i carburanti per il trasporto su strada e per gli edifici, che imporrà un prezzo alle emissioni di questi settori. Il sistema è studiato per incidere sui fornitori di carburanti e non sulle economie domestiche e, per proteggere i cittadini, potrebbe essere posticipato al 2028 se i prezzi dell’energia saranno troppo elevati.

Il vostro contatto in Cc-Ti per ulteriori ragguagli:
Monica Zurfluh, Responsabile Commercio internazionale, T +41 91 911 51 35, zurfluh@cc-ti.ch


 

NOTE

[i] Le emissioni di CO2 dirette derivano dal processo produttivo, le emissioni indirette derivano dall’elettricità consumata durante la produzione.

[ii] cfr. proposta di regolamento

[iii] Iniziativa parlamentare del 18.03.2021 21.432 | Creare le basi per un meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera | Oggetto | Il Parlamento svizzero, a cui è stato dato seguito il 25.04.2022 dalla Commissione dell’ambiente, della pianificazione del territorio e dell’energia CN.

Egitto: obbligo di L/C eliminato gradualmente

La Banca Centrale d’Egitto ha deciso di eliminare gradualmente le istruzioni emesse ad inizio anno relative all’uso dei crediti documentari nelle operazioni di finanziamento delle importazioni, fino alla loro completa cancellazione entro fine 2022.

La decisione, presa ad inizio anno, di istituire l’obbligo di utilizzo delle lettere di credito (L/C) per forniture di merci superiori ai 5’000 dollari ha creato non poche difficoltà operative agli operatori esteri ed egiziani, compresi l’accumulo di merci nei porti e i ritardi nelle consegne.

La Banca Centrale d’Egitto ha ora comunicato l’innalzamento iniziale del limite da 5’000 a 500’000 dollari (o controvalore) per poi procedere alla graduale abrogazione dell’obbligo dell’utilizzo delle L/C entro fine anno.


Fonte: Comunicato stampa della BCE (in inglese), circolari della BCE (in arabo)

Prodotti difettosi nell’UE: per la responsabilità basta il marchio

Chi appone il proprio marchio su un prodotto, anche se non lo fabbrica effettivamente, è considerato responsabile di eventuali danni da esso causato. Lo afferma la Corte di giustizia europea in una sentenza del 7 luglio 2022.

La sentenza della Corte di giustizia europea trae origine da una causa (C-264/21) intentata in Finlandia da una compagnia di assicurazione nei confronti di un’azienda produttrice di macchine da caffè in relazione al risarcimento di danni causati da un incendio provocato da una macchina da caffè difettosa fabbricata da una filiale della stessa in un altro Paese europeo. Nella fattispecie, una macchina da caffè difettosa prodotta in Romania dall’azienda italiana Saeco, filiale dell’azienda olandese Koninklijke Philips, ha causato un incendio. La macchina da caffè e la sua confezione recavano due marchi, Saeco e Philips, entrambi registrati da Koninklijke Philips. La marcatura CE apposta sulla macchina da caffè recava il marchio Saeco, un indirizzo italiano e la dicitura “Made in Romania”. Dopo aver rimborsato al consumatore i costi dei danni causati dall’incendio, la compagnia assicurativa Fennia ha intentato un’azione legale contro il proprietario dei marchi apposti sulla macchina, Koninklijke Philips, allo scopo di ottenere il risarcimento per i danni generati dal prodotto.

Secondo la Corte di giustizia, ai fini della protezione dei consumatori, la nozione di “produttore” di cui all’articolo 3, paragrafo 1 della direttiva 85/374/CEE del Consiglio del 25 luglio 1985 in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi deve essere interpretata in modo ampio e “non richiede che la persona che ha apposto il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, o che ha autorizzato tale apposizione, si presenti anche come il produttore dello stesso in qualsiasi altro modo”. Secondo la formulazione dell’art. 3 par. 1 quindi chi appone il suo nome, marchio o altro segno distintivo è considerato alla stessa stregua del fabbricante effettivo (“vero produttore”).

La Corte di giustizia ribadisce inoltre l’ampia definizione di produttore a protezione dei consumatori: i vari soggetti responsabili in quanto produttori sono sullo stesso piano (oltre al produttore vero e proprio e al quasi-produttore che ha apposto il suo marchio o segno distintivo come da art. 3 par. 1, figura responsabile allo stesso titolo anche l’importatore, cfr. art. 3 par. 2) e rispondono come debitori in solido. Il consumatore ha quindi la possibilità di scegliere liberamente a chi chiedere il risarcimento integrale del danno.

Mercati sempre più “ESG compliant”: la sostenibilità dei fornitori

L’acronimo ESG sta per Environment, Social, Governance e indica i criteri di valutazione dell’impegno di un’azienda in ambito ambientale e sociale nonché l’accuratezza e trasparenza del suo modo di agire.

I criteri ESG sono sempre più importanti: da un lato, la competitività di un’azienda dipende sempre più dalla sua capacità di garantire pratiche sostenibili lungo la catena del valore, dall’altro i consumatori sono sempre più consapevoli delle scelte che fanno con i loro acquisti e sollevano domande sulla loro provenienza e sostenibilità. Allo stesso tempo, quando cercano nuove opportunità di investimento, anche gli investitori sono sempre più orientati sulla sostenibilità e lo stesso si può affermare per le aziende partner (fornitori, clienti).

Negli ultimi due anni, le catene di approvvigionamento sono state sotto i riflettori internazionali, sia per la loro resilienza (leggi: interruzioni di fornitura), sia per il loro impatto (virtuoso o meno) sulla società. Ne sono un esempio le catene di fornitura europee, toccate dalla crisi energetica e dalla penuria di materie prime, ora confrontate con due nuove proposte legislative: la proposta di direttiva, presentata a febbraio, sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità e la legge sulle materie prime critiche lanciata lo scorso 14 settembre con l’obiettivo di contrastare la dipendenza da Paesi come la Cina e di rendere più sicuro l’approvvigionamento.

Le materie prime critiche sono fattori chiave per preservare la competitività globale dei settori economici più strategici dell’Unione europea (UE) e per la transizione verde e digitale, nonché per raggiungere l’obiettivo prefissato di neutralità climatica entro il 2050. Se in Europa esistono innumerevoli riserve di materie prime non ancora utilizzate, l’accesso alle materie prime critiche è di fondamentale importanza. Molte di queste vengono infatti estratte principalmente in Cina (litio, terre rare,…) e per ridurre la dipendenza dal Paese di Mezzo, l’UE intende ora implementare strategie circolari attraverso misure di riciclo e riutilizzo delle materie prime critiche e ricorrere a fornitori alternativi, sfruttando nuove miniere sul suolo europeo e negoziando con Paesi partner (in tal senso, accordi con Cile, Messico e Nuova Zelanda saranno presto sottoposti a ratifica e negoziati con Australia e India verranno portati avanti).

Fornitori: tra diversificazione e due diligence

Se da un lato questa diversificazione riduce il rischio di dipendenza, dall’altro porta con sé nuovi compiti, in primis la selezione e la qualifica dei fornitori. Ciò è particolarmente critico nell’ambito minerario. I progetti minerari sono infatti associati a diversi rischi quali tensioni geopolitiche, conflitti armati, violazioni dei diritti umani, corruzione, emissioni, stress idrico, impatto sulla biodiversità, ecc. In questo contesto, un aspetto sempre più importante è quello della valutazione della responsabilità sociale d’impresa secondo i criteri ESG. Ciò comporta una verifica dell’adozione, da parte delle aziende, di pratiche di lavoro eque ed etiche, dell’implementazione di processi aziendali responsabili, ovvero volti a prevenire e controllare gli illeciti amministrativi o penali nonché dell’attuazione di pratiche ambientali sostenibili. In Europa, un contributo importante in tal senso lo potrà dare la direttiva sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità, la cui proposta è stata presentata dalla Commissione europea a febbraio, anche se nazioni come Francia, Olanda, Norvegia e Germania, hanno già adottato leggi che obbligano le grandi aziende a condurre la due diligence nelle loro catene di approvvigionamento. Laddove però questo obbligo tocca direttamente le aziende di grandi dimensioni, ecco che la normativa prevede che queste tengano conto anche delle pratiche sia dei fornitori diretti sia dei fornitori indiretti, con la conseguenza che questi si vedranno richiedere informazioni riguardanti i processi di produzione e fabbricazione e il rispetto di requisiti in materia di responsabilità sociale d’impresa. Questo articolo è pertanto volto a sensibilizzare il lettore – in particolare se questi è un dirigente d’impresa o un supply chain manager – affinché la sua azienda applichi procedure di diligenza e nella fattispecie instauri dei processi atti a identificare, prevenire o mitigare i rischi di attività che causano violenza e abusi dei diritti umani e/o impatti negativi sull’ambiente e, in caso estremo, di porvi rimedio. Alla valutazione interna dei rischi deve seguire una valutazione della propria catena di fornitura.

Un processo di due diligence efficace

Come procedere? Senza entrare nello specifico, occorrerà innanzitutto rivedere le policy interne assicurandosi che il processo di selezione e di identificazione dei fornitori sia conforme agli obiettivi ambientali, etici ed operativi della propria azienda. A tal proposito è sicuramente utile creare una checklist con i criteri (proprietà, solidità finanziaria, sistemi di gestione ambientale e della qualità,…) e i rischi (reputazione, operatività, cybersecurity, ESG e nello specifico la responsabilità sociale d’impresa, e politica di approvvigionamento etico,…) da valutare nonché una matrice di ponderazione dei rischi (probabilità vs. gravità del rischio). Prima di concordare una transazione o di siglare un contratto, tutti i fornitori dovrebbero essere sottoposti ad una due diligence. Sebbene un certo grado di due diligence sia appropriato per tutti i livelli della supply chain, l’ampiezza e la profondità delle informazioni dovrebbero essere determinate dalla criticità del materiale, del prodotto o del servizio fornito dal fornitore nonché dal livello di rischio associato all’attività.

La direzione è ormai tracciata. Oltre all’UE, principale mercato di approvvigionamento per le aziende svizzere, è la stessa società civile a richiedere di implementare sistemi e processi che dimostrino la propria diligenza nell’intera catena del valore. Alle aziende il compito di rispondere a tali richieste.

Norvegia: nuova legge sulla supply chain

Dallo scorso 1° luglio la Norvegia applica la cosiddetta legge sulla trasparenza che, conformemente alle linee guida dell’OCSE per le imprese multinazionali, obbliga le grandi aziende a condurre la due diligence nelle loro catene di approvvigionamento.

La regolamentazione della due diligence (dovuta diligenza) si fa sempre più complessa e diffusa e la nuova legge norvegese sulla trasparenza (“Åpenhetsloven”) è un ulteriore esempio di quanto avviene sul continente europeo, a livello comunitario (cfr. articolo “Due diligence dei fornitori: è d’obbligo in Germania” dell’11 agosto) e non.

Dal 1° luglio 2022, l’Åpenhetsloven obbliga le grandi aziende norvegesi e le grandi aziende estere tassate in Norvegia al rispetto dei diritti umani fondamentali e di condizioni di lavoro dignitose in relazione alla produzione di beni e alla fornitura di servizi, garantendo altresì al pubblico l’accesso alle informazioni su come queste imprese affrontano gli impatti negativi che si sono verificati.

Quali aziende sono soggette alla nuova normativa?

La legge tocca le aziende con sede in Norvegia che superano la soglia di due delle tre condizioni seguenti:

  • fatturato annuo: 70 milioni di NOK (ca. 6.8 mio. di franchi)
  • bilancio: 35 milioni di NOK (ca. 3.4 mio. di franchi)
  • numero medio di dipendenti: 50 ETP (equivalenti a tempo pieno).

La nuova normativa prevede che tali aziende tengano conto delle pratiche in materia di diritti umani e di lavoro equo non solo dei loro fornitori diretti, ma anche di tutti quei fornitori indiretti e subappaltatori che costituiscono l’intera catena del valore, dallo stadio di materia prima al prodotto finito (cfr. definizione di “supply chain” formulata nella sezione 3 della legge), nello specifico adottando misure per identificare le potenziali ed effettive violazioni nella loro base di approvvigionamento e implementando meccanismi per interrompere, prevenire o mitigare tali violazioni laddove queste si verifichino.