Origine preferenziale e Convenzione PEM: cosa cambierà dal 1° gennaio 2025?

La Convenzione paneuromediterranea riveduta entra in vigore il 1° gennaio 2025 per tutti gli accordi di libero scambio (ALS) che contengono un cosiddetto “riferimento dinamico” alla Convenzione. Fino al 31 dicembre 2025 le norme di origine della vecchia Convenzione PEM possono continuare ad essere applicate in parallelo.

Come riportato dalla nota informativa congiunta (PDF) dell’Ufficio federale delle dogane e della sicurezza dei confini (UDSC) e della Segreteria di Stato dell’economia (SECO), del 16 dicembre 2024, dal 1° gennaio 2025 all’interno della zona PEM si applicheranno due serie di norme: quelle vecchie e quelle della Convenzione PEM riveduta. Negli scambi commerciali bisognerà considerare diversi casi a seconda del partner o dell’accordo di libero scambio:

Caso 1: ALS con riferimento dinamico e disposizioni transitorie

  • applicazione facoltativa delle norme vecchie o rivedute
  • possibilità di cumulo diagonale in base alle norme rivedute
  • cumulo diagonale possibile con le vecchie norme
  • permeabilità dalle vecchie alle norme rivedute

Questo caso si applica/applicherebbe agli accordi: Svizzera-Unione europea, Convenzione AELS, AELS-Albania (*), AELS-Bosnia ed Erzegovina (*), AELS-Georgia (*), AELS-Macedonia del Nord, AELS-Montenegro (*), AELS-Turchia.

(*) applicazione soggetta a ratifica della Convenzione PEM riveduta e delle disposizioni transitorie entro il 31 dicembre 2024 o ad applicazione provvisoria dal 1° gennaio 2025. L’UDSC fornirà informazioni non appena possibile. Se queste Parti non sono in grado di ratificare o applicare provvisoriamente entrambe in tempo, si applicheranno solo le vecchie norme PEM (v. scenario 3). Nel caso in cui la Convenzione PEM riveduta viene ratificata, ma le disposizioni transitorie non sono ratificate o non possono essere applicate provvisoriamente, si applicheranno solo le norme rivedute senza le disposizioni transitorie (v. scenario 2).

Caso 2: ALS con riferimento dinamico ma senza disposizioni transitorie:

  • applicazione delle norme rivedute
  • il cumulo diagonale è possibile in base alle norme rivedute

Questo caso si applica all’ALS AELS-Serbia, poiché la Serbia potrà ratificare le disposizioni transitorie solo dopo il 1° gennaio 2025.

Caso 3: ALS senza riferimento dinamico e senza disposizioni transitorie:

  • applicazione delle vecchie norme
  • il cumulo diagonale è possibile in base alle vecchie norme

Questo caso si applica ai seguenti ALS: CH-Isole Faroe, AELS-Egitto, AELS-Giordania, AELS-Israele, AELS-Libano, AELS-Marocco, AELS-OLP, AELS-Tunisia, AELS-Ucraina.

A partire dal 1° gennaio 2026 si applicheranno solo le norme rivedute. Dopo tale data, il cumulo diagonale con Paesi partner che non avranno ancora inserito il riferimento dinamico alla Convenzione PEM nei loro ALS non sarà più possibile.

La Matrix (PDF) indica anche quale caso si applica a quale ALS. L’UDSC ha inoltre già aggiornato anche la panoramica dei testi delle dichiarazioni d’origine (pti 2.3 e 2.4 alle pagg. 13-22). 

In previsione dell’entrata in vigore delle norme rivedute della Convenzione PEM, l’UDSC ha già aggiornato anche la panoramica dei testi delle dichiarazioni d’origine (pti 2.3 e 2.4 alle pagg. 13-22). 

Per semplificare l’applicazione delle norme di origine rivedute, la Convenzione PEM riveduta introduce la cosiddetta “permeabilità”: gli esportatori che applicano le norme di origine rivedute possono cumulare anche se i loro fornitori applicano ancora le vecchie norme di origine. A tal fine, gli esportatori che applicano le norme rivedute devono contrassegnare la prova di origine con la dicitura “REVISED RULES” fino al 31 dicembre 2025 (esclusivamente in inglese, nella sezione 7 del certificato di circolazione EUR.1 o alla fine del testo della dichiarazione di origine). Il cumulo nell’altro senso (cioè se il fornitore applica le norme rivedute e gli esportatori applicano ancora le vecchie norme) non è invece possibile.

È opportuno sottolineare che la permeabilità può essere applicata solo alle seguenti merci per il cumulo secondo le norme rivedute fino al 31.12.2028: merci dei capitoli 1 e 3 del sistema armonizzato (SA), prodotti della pesca trasformati del capitolo 16 del SA e merci dei capitoli 25-97 del SA.

Tra le altre novità introdotte dalle norme rivedute figurano:

  • in generale le regole della lista per i prodotti industriali sono state semplificate: se viene applicato il criterio del valore, la percentuale autorizzata di materiali non originari passa dal 40% al 50% del prezzo franco fabbrica del prodotto; per i prodotti tessili, il carattere originario può essere ottenuto sulla base di un maggior numero di fasi di trasformazione, per i prodotti agricoli il limite autorizzato di materiali non originari non è più basato sul valore, ma sul peso.
  • il certificato di circolazione delle merci (CCM) EUR-MED e la dichiarazione di origine EUR-MED sono soppressi;
  • nel quadro delle norme rivedute si può ora applicare il cosiddetto “cumulo totale”: la lavorazione o la trasformazione sufficiente non deve avvenire necessariamente nel territorio doganale di una Parte contraente, ma può avvenire complessivamente nella zona di cumulo delle norme rivedute. Eccezione: per quanto riguarda i prodotti dei capitoli 50–63 del SA, il cumulo totale si limita agli scambi bilaterali;
  • contrariamente alle vecchie norme di origine della Convenzione PEM, nel quadro delle norme rivedute sussiste la possibilità di far eseguire singole fasi di produzione in un Paese terzo anche per i prodotti dei capitoli 50–63 del SA, a condizione che il valore aggiunto acquisito in tale Paese non superi il 10% del prezzo franco fabbrica (principio di territorialità);
  • è introdotto il principio di non modificazione: i prodotti possono essere trasportati attraverso Paesi terzi a condizione che l’importatore possa provare che tali prodotti sono gli stessi che sono stati esportati dalla parte esportatrice. Le merci originarie devono continuare a rimanere sotto controllo doganale nel Paese terzo e possono essere lavorate solo in modo che rimangano invariate. È tuttavia consentita, in un Paese terzo, l’apposizione di marchi, etichette, sigilli o di qualsiasi altra documentazione atta a garantire la conformità a disposizioni nazionali specifiche. Inoltre ora è possibile dividere le spedizioni nel Paese di transito;
  • il cosiddetto “divieto di drawback” vale ora solo per i materiali di Paesi terzi utilizzati per la fabbricazione di prodotti dei capitoli 50–63 del SA. In tutti gli altri casi è possibile importare i materiali nel traffico di perfezionamento attivo. Tuttavia, tale divieto non vale per gli scambi bilaterali nei casi in cui l’origine preferenziale è stata ottenuta grazie al cumulo totale.

Per ulteriori ragguagli vedasi anche la circolare R-30 (PDF) del 27 novembre 2024 sull’entrata in vigore della Convenzione PEM riveduta.

Il ritorno di Trump: rischi e opportunità per l’export svizzero (e non solo)

La vittoria di Trump e, più in generale, il verosimile orientamento della sua amministrazione verso il prolungamento o l’intensificazione del protezionismo commerciale e il disaccoppiamento economico dalla Cina presentano opportunità e rischi per le aziende che esportano negli Stati Uniti, in particolare nei casi in cui le vendite negli Stati Uniti costituiscono quote significative delle vendite globali. Questo vale anche per gli esportatori svizzeri, visto che da ormai alcuni anni la Nazione nordamericana rappresenta il principale mercato di destinazione dell’export elvetico.

Durante la sua recente campagna, Trump si è impegnato a imporre dazi del 60% sulle importazioni dalla Cina e del 10-20% sulle importazioni provenienti dal resto del mondo. Una recente analisi di Global Trade Alert (Briefing 42, 05.11.2024), iniziativa nata come progetto di ricerca dell’Università di San Gallo e ora guidata dal St. Gallen Endowment for the Prosperity Through Trade (SGEPT), basata sulle importazioni complessive degli Stati Uniti nel 2022 (l’ultima serie completa di dati sul commercio internazionale delle Nazioni Unite), mostra che i fornitori stranieri di veicoli, motori, hardware per computer e dispositivi medici sarebbero più vulnerabili delle controparti che forniscono petrolio greggio, prodotti farmaceutici, batterie, apparecchiature per le telecomunicazioni e semiconduttori.

Anche gli esportatori svizzeri sarebbero colpiti dall’aumento dei dazi, come tutti gli altri; tuttavia, a causa delle specifiche dinamiche di mercato e della base di clienti, alcuni settori potrebbero esserlo più di altri. È il caso dell’industria farmaceutica: sebbene sia attualmente poco esposta ai dazi, l’aumento di questi tributi potrebbe avere un impatto significativo sull’intero settore a causa dei volumi esportati. Oltre ai prodotti farmaceutici, la Svizzera esporta principalmente beni di fascia alta, sofisticati e costosi, come macchinari ed elettronica, strumenti di precisione e orologi. Molte aziende svizzere, indipendentemente dall’industria in cui operano, non saranno in grado di incorporare i dazi nella loro struttura dei costi, e quindi potrebbero pensare a trasferire i costi al consumatore. Ciò comprometterebbe la loro competitività e influenzerebbe la domanda, poiché i loro clienti cercherebbero opzioni meno costose. Tuttavia, sottolineare ancora di più la qualità e l’affidabilità della tecnologia svizzera potrebbe aiutarle a giustificare i prezzi più alti derivanti dall’aumento dei dazi. Inoltre, potrebbero aumentare il valore del prodotto fornendo consulenza, manutenzione, personalizzazione e servizi che vanno oltre il prodotto stesso, rendendo più difficile per i concorrenti sostituirlo o replicarlo. Questo aumenterebbe il valore del marchio e i clienti potrebbero essere più disposti a pagare un prezzo più elevato per servizi e competenze unici.

Una politica commerciale aggressiva di Trump potrebbe causare anche nuovi conflitti commerciali con la Cina, e non solo. Ciò potrebbe provocare ritorsioni da parte di altri partner commerciali, che a loro volta potrebbero colpire indirettamente la Svizzera: nel 2018, ad esempio, il tycoon ha imposto un dazio del 25% su alcuni prodotti dell’acciaio e un dazio del 10% su alcuni prodotti dell’alluminio. In risposta, l’Unione europea ha introdotto misure di salvaguardia su alcune importazioni di acciaio, e nello specifico un dazio del 25% sulle importazioni che superano determinati contingenti; questo dazio che è stato applicato anche alle importazioni svizzere.

A proposito dell’“elefante nella stanza”: la Cina è il terzo partner commerciale della Svizzera. Dal 2014 la Svizzera e il Dragone hanno un accordo di libero scambio (ALS). A settembre, il governo svizzero ha dato il via libera ai negoziati per ampliare l’ALS. Tuttavia, se le politiche di Trump dovessero portare a ulteriori restrizioni al commercio con il gigante asiatico, le aziende esportatrici svizzere che fanno affidamento su componenti cinesi potrebbero incontrare difficoltà significative. In effetti, un’indagine del 2023 del Centro di ricerca congiunturale del Politecnico di Zurigo (KOF) afferma che un quinto delle imprese industriali svizzere dipende da input essenziali provenienti dalla Cina (materie prime, componenti) in misura da moderata a forte. L’elettronica è il settore più dipendente, seguito dai comparti farmaceutico e chimico. Dall’indagine emerge che un disaccoppiamento dalla Cina sarebbe al momento insostenibile.

Da tempo la Svizzera auspica di concludere un ALS con gli Stati Uniti. La precedente amministrazione Trump si è dimostrata favorevole agli accordi commerciali bilaterali e il nuovo governo potrebbe essere interessato a raggiungere un accordo con il nostro Paese, che però sarà chiamato a gestire attentamente i rapporti con le due super potenze perché una maggiore cooperazione con l’una potrebbe condizionare le relazioni con l’altra. Allo stesso modo, le aziende svizzere che operano o vogliono operare negli Stati Uniti, in particolare quelle attive in settori sensibili, devono essere caute perché le loro operazioni con partner cinesi potrebbero influenzare loro attività negli Stati Uniti, e viceversa. In sostanza, gli esportatori svizzeri devono monitorare attentamente le regolamentazioni in vigore e quando gestiscono la doppia catena di fornitura devono assicurarsi di agire in conformità con le normative di entrambi le Nazioni. Ne derivano un aumento dei costi e della complessità, soprattutto nel caso in cui sia negli Stati Uniti sia in Cina si rendano necessari investimenti produttivi.

Poiché la nuova strategia “America first” di Trump probabilmente favorirà il reshoring delle aziende statunitensi e gli investimenti esteri nel settore manifatturiero, questa opzione sta diventando sempre più concreta. Di conseguenza, le aziende svizzere che esportano attualmente prodotti negli Stati Uniti potrebbero essere incentivate a istituire sedi produttive in loco per evitare i dazi e migliorare la loro posizione sul mercato. Tuttavia, ciò comporterebbe anche delle sfide, come gli elevati costi iniziali di investimento e operativi, la complessità delle normative e delle pratiche commerciali, la ricerca di lavoratori qualificati o l’attuazione di programmi di formazione.

Le aziende svizzere dovranno continuare ad essere innovative e attente, nonché pronte ad adottare le misure necessarie per mantenere la loro posizione nei mercati statunitensi e internazionali.

Regno Unito: confermata l’introduzione del CBAM

Il governo britannico annuncia l’introduzione della carbon tax a gennaio 2027 su determinati prodotti dei settori alluminio, cemento, fertilizzanti, idrogeno, ferro e acciaio, escludendo per il momento i prodotti dei settori ceramica e vetro.

Nella sua risposta alla consultazione sul CBAM lanciata ad inizio anno, il governo britannico ha annunciato l’introduzione di un meccanismo di adeguamento delle emissioni di carbonio alle frontiere del Regno Unito (Carbon Border Adjustment Mechanism, CBAM) a partire dal 1° gennaio 2027 e fornito le prime informazioni.

Seppur con alcune differenze, il CBAM britannico è modellato sul CBAM dell’Unione europea. La prima differenza sta nel campo d’applicazione: il CBAM britannico si applicherà solo alle importazioni di beni specifici nei settori dell’alluminio, del cemento, dei fertilizzanti, dell’idrogeno, del ferro e dell’acciaio (le merci interessate sono elencate nell’Allegato B del documento summenzionato e identificate con le relative voci HS). In questa prima fase, la ceramica e il vetro non saranno presi in considerazione. L’elettricità non rientra invece nel campo d’applicazione.

Nel periodo 2027-2030, il governo britannico adotterà un doppio approccio per quanto riguarda le emissioni incorporate: le aziende potranno utilizzare i dati effettivi o, se questi non sono disponibili, valori predefiniti. Le emissioni incorporate saranno misurate in tonnellate metriche di anidride carbonica equivalente (tCO2e) e includeranno sia le emissioni dirette dei beni CBAM sia quelle indirette. Per garantire che i prodotti importati siano soggetti a un prezzo del carbonio paragonabile a quello pagato dai produttori nazionali, l’aliquota applicata alle emissioni incorporate rifletterà il prezzo del sistema di scambio di quote di emissioni (ETS) del Regno Unito, tenendo conto di eventuali quote gratuite. L’aliquota sarà aggiornata su base trimestrale.

A differenza del CBAM dell’UE, il suo omologo britannico prevede una soglia minima di assoggettamento, pari a 50’000 sterline di merci CBAM importate su un periodo di dodici mesi.

Per ulteriori ragguagli:
Introduction of a UK Carbon Border Adjustment Mechanism from January 2027: Government response to the policy design consultation (30.10.2024, pdf, 503 KB)

Regolamento UE Ecodesign: pubblicate le FAQ

La Commissione europea ha pubblicato una guida completa volta a chiarire il Regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili.

Il 18 luglio scorso, nell’Unione europea (UE) è entrato in vigore il Regolamento (UE) 2024/1781 sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili (ESPR). Il regolamento Ecodesign, come viene comunemente chiamato, ha l’obiettivo di migliorare la sostenibilità ambientale dei prodotti e a tal proposito introduce criteri di progettazione quali la durevolezza, la riciclabilità, l’impronta ambientale e la riutilizzabilità degli stessi e l’uso del “passaporto digitale” quale strumento di trasparenza e tracciabilità lungo tutta la filiera produttiva.

Il regolamento disciplina praticamente tutti i prodotti immessi sul mercato o messi in servizio nell’UE e non solo i prodotti di consumo. Esistono solo poche esclusioni, quali ad esempio i prodotti alimentari, i mangimi, e i medicinali. La Commissione europea dovrà stabilire i requisiti specifici per i diversi prodotti, dopodiché i produttori e i Paesi dell’UE avranno 18 mesi di tempo per conformarvisi. Tra i primi prodotti a dover essere regolamentati figurano ferro e acciaio, alluminio, prodotti tessili, mobili, pneumatici, detersivi, vernici, lubrificanti, prodotti chimici, prodotti connessi all’energia, prodotti delle TIC e altri dispositivi elettronici (cfr. art. 18 par. 5). Il relativo atto delegato non entrerà in vigore prima del 19 luglio 2025.

Per rispondere ai quesiti più frequenti, a fine settembre la Commissione europea ha pubblicato un documento con 171 FAQ che affrontano un’ampia gamma di argomenti e, nello specifico, chiariscono termini, ambito di applicazione, tempistiche di attuazione, interazione con altri regolamenti (come ad esempio il regolamento sui rifiuti di imballaggio e il REACH) e, non meno importante, le questioni legate al commercio dei prodotti (passaporto digitale, etichettatura, verifica e conformità, implicazioni per gli operatori economici di Paesi terzi,…).

Il documento può essere scaricato qui in formato pdf: Ecodesign for Sustainable Products Regulation (ESPR) – Frequently Asked Questions (1.22 Mb)

Attuazione Convenzione PEM riveduta: aggiornamento

Dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2025, all’interno della zona PEM continueranno verosimilmente ad applicarsi due serie di norme: la vecchia (attuale) Convenzione PEM e le norme rivedute (le odierne norme transitorie). Il possibile e sempre più probabile slittamento dell’attuazione della Convenzione PEM riveduta è dovuto alla lungaggine delle procedure legislative di aggiornamento degli accordi di libero scambio con alcuni Paesi. Lo comunicano in una nota congiunta l’Ufficio federale delle dogane e della sicurezza dei confini (UDSC) e la Segreteria di Stato dell’economia (SECO).

Dal 1° gennaio 2025 le norme rivedute della Convenzione PEM si applicheranno automaticamente alla Convenzione AELS e agli accordi di libero scambio (ALS) Svizzera/AELS con l’UE, l’Albania, la Bosnia-Erzegovina, la Georgia, il Montenegro, la Macedonia del Nord, la Serbia e la Turchia.

Gli ALS con Egitto, Israele, Giordania, Libano, Striscia di Gaza e Cisgiordania, Marocco, Tunisia, Ucraina e Isole Faroe non hanno invece ancora potuto essere aggiornati e la lunghezza delle procedure amministrative in questi Paesi sta rendendo evidente che non tutti questi accordi potranno essere modificati entro la fine del 2024. Senza aggiornamento gli accordi continueranno a sottostare alla vecchia (attuale) Convenzione PEM.

L’attuazione della Convenzione PEM riveduta sarà verosimilmente posticipata al 1° gennaio 2026 e nel caso di ALS non aggiornati entro tale data, il cumulo con i relativi Paesi partner sarà interrotto.

L’UDSC e la SECO continueranno a fornire informazioni sugli ultimi sviluppi attraverso note informative e circolari. La matrix sarà aggiornata di conseguenza.


Link:
Nota informativa congiunta UDSC/SECO (20 settembre 2024, aggiornata il 25 ottobre 2024) (pdf)

Innovazione e ricerca e sviluppo tecnologico: quo vadis?

A fine settembre, la Svizzera ha conquistato il primo posto del “Global Innovation Index (GII)” dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI) per la sua capacità di innovare: è il 14° anno consecutivo che il nostro Paese si posiziona in testa a questa classifica che valuta la capacità delle singole Nazioni di convertire gli input dell’innovazione in risultati concreti come brevetti e beni tecnologicamente avanzati. Fanno seguito Svezia e Stati Uniti. La Cina si è attestata all’11° posto, diventando uno dei Paesi ad aver scalato più velocemente la classifica negli ultimi 10 anni. Molti degli indicatori del GII sono tuttavia presentati in base alla popolazione o al prodotto interno lordo del Paese: se si considerano gli investimenti complessivi, gli Stati Uniti si confermano il maggior investitore in ricerca e sviluppo (R&S).

La Cina sta però mettendo sempre più in discussione il dominio tecnologico degli USA. Lo conferma il rapporto biennale “State of US Science & Engineering” (Stato della scienza e dell’ingegneria degli Stati Uniti) presentato al Congresso degli Stati Uniti dall’agenzia governativa americana National Science Board (NSB): nel 2021, l’anno più recente incluso nel rapporto, con 806 miliardi di dollari investiti in R&S, sia pubblica sia privata, gli Stati Uniti mantenevano ancora un buon vantaggio sulla Cina (che a sua volta aveva investito “solo” 668 miliardi di dollari), ma ora questo vantaggio si sta erodendo rapidamente.

Esiste poi un’altra classifica, meno nota, realizzata dal think tank australiano Australian Strategic Policy Institute (ASPI), il “Critical Technology Tracker” (localizzatore di tecnologie critiche). Secondo questa classifica, la Cina detiene ora il primato mondiale nella ricerca tecnologica in nove settori critici su dieci e continua ad aumentare il suo vantaggio sugli Stati Uniti: questi ultimi sono leader solo in 7 delle 64 tecnologie considerate critiche, mentre il Dragone guida le altre 57, prevalentemente in campi come la difesa, lo spazio, l’energia, l’ambiente, l’intelligenza artificiale (IA), le biotecnologie, la robotica, la cibernetica, l’informatica, i materiali avanzati e le aree chiave della tecnologia quantistica.

Lo studio dell’ASPI valuta anche il potenziale monopolio della ricerca in questi settori. Il numero di tecnologie considerate “ad alto rischio” di potenziale monopolizzazione è aumentato da 14 a 24. Nell’attuale contesto geopolitico è preoccupante il fatto che molte delle nuove tecnologie considerate ad alto rischio abbiano applicazioni nella difesa e che il Paese di Mezzo sia leader in tutti questi ambiti, oltre a ottenere nuovi risultati nei sensori quantistici, nel calcolo ad alte prestazioni, nei sensori gravitazionali, nei lanci nello spazio e nella progettazione e fabbricazione di circuiti integrati avanzati (produzione di semiconduttori).

Detto ciò, la performance della Cina nella ricerca non riflette ancora il dominio nello sviluppo tecnologico che, come abbiamo visto, rimane in mano agli Stati Uniti: il gigante asiatico è infatti in ritardo su questo fronte. È comunque opportuno sottolineare che nell’ambito del piano “Made in China 2025” volto a rafforzare l’autosufficienza del Paese e a trasformarlo in una potenza economica globale, il Dragone sta investendo molto nelle sue capacità produttive sovvenzionando proprio ambiti chiave come l’industria IT di nuova generazione (circuiti integrati, software ad uso industriale, equipaggiamenti di telecomunicazione), la robotica, l’aviazione e i settori aerospaziale e navale. Gli Stati Uniti seguono attentamente questi progressi e ad inizio settembre hanno introdotto nuovi controlli sulle esportazioni di tecnologie importanti verso lo Stato asiatico nel tentativo di limitargli l’accesso a tecnologie avanzate, come le apparecchiature per la produzione di chip, i computer e i componenti quantistici.

Che ne è degli altri Paesi nell’attuale competizione per le tecnologie critiche? Per 45 delle 64 tecnologie esaminate, l’India figura nella Top5 subito dopo gli Stati Uniti e la Cina, emergendo come centro chiave dell’innovazione ed eccellenza della ricerca globale, soprattutto in diverse aree essenziali e in rapida evoluzione dell’IA, come l’analisi avanzata dei dati, gli algoritmi di IA, gli acceleratori hardware, l’apprendimento automatico, la progettazione e la fabbricazione di circuiti integrati avanzati, l’elaborazione del linguaggio naturale e l’IA avversaria. Dal canto suo, il Regno Unito è uscito dalla Top5 per otto tecnologie e ora si colloca tra i primi 5 Paesi per 36 tecnologie, contro le 44 dello scorso anno. Il Paese ha perso terreno in particolare nelle tecnologie di rilevamento, materiali avanzati e spazio. Nel suo complesso, l’Unione europea continua invece ad essere competitiva: sebbene nessuno degli Stati membri occupi singolarmente la prima posizione nelle tecnologie critiche (la Germania è la più forte, nella Top5 in 27 aree), il blocco europeo è leader in due aree tecnologiche (sensori di forza gravitazionale e satelliti di piccole dimensioni) e figura al secondo posto in 30. Un risultato in linea anche con il più recente rapporto Draghi, che riconosce lo spazio come un settore strategico chiave per il futuro della competitività europea. La rivalità tecnologica tra Stati Uniti e Cina, insieme all’importanza strategica crescente delle tecnologie critiche, ha creato una situazione geopolitica in cui l’Europa dovrebbe (o meglio, deve) svolgere un ruolo più attivo e assertivo, riducendo altresì la sua dipendenza dalle due superpotenze. La domanda che dovrebbe essere posta è: l’Europa sarà in grado di mobilitare la volontà politica e gli investimenti necessari per raggiungere questo obiettivo?

Altri link utili:
Chi guida la corsa alle tecnologie critiche? – Cc-Ti (28 marzo 2023)

Denominatore comune: innovazione

Qualche settimana fa abbiamo approfondito le problematiche che stanno mettendo in difficoltà la Germania, fondamentale partner commerciale per la Svizzera. Difficoltà legate anche al rallentamento della Cina, nel settore automobilistico in particolare, ma non solo. Cina che sembra lontana ma che gioca un ruolo importante per l’economia mondiale, compresa quella svizzera, dato che dispone di molte materie prime essenziali per lo sviluppo tecnologico e l’innovazione. Con questa premessa diviene centrale domandarsi: quanto pesa la nostra dipendenza dalla Cina e quali potrebbero essere le alternative? Come sempre la risposta non può essere univoca e vi sono molte sfaccettature da considerare.

Il nodo delle materie prime

Già in passato abbiamo affrontato più volte il tema delle materie prime e della loro provenienza. La guerra Russia-Ucraina ha sollevato un tema altrimenti poco approfondito, ma che va oltre il dramma di questo conflitto.
In effetti, per l’Occidente vi sono, ad esempio, due materie nodali in ambito tecnologico, il gallio e il germanio. Il primo è essenziale per la produzione di chip per computer, per le fotocamere dei telefoni cellulari, i LED e i cavi in fibra ottica e il 98% utilizzato nel mondo viene dalla Cina. Per il germanio la percentuale è “solo” (si fa per dire) del 60%, ma anche qui parliamo di una materia di fondamentale importanza per la produzione di chip per computer, utilizzati in migliaia di oggetti elettronici di uso quotidiano, automobili, telefoni cellulari e negli aerei. Sia gallio che germanio hanno poi applicazioni importanti anche nell’ambito militare perché sono utilizzati nella produzione di dispositivi di visione notturna o di droni.
È quindi evidente che lo sviluppo tecnologico e fette importanti dell’innovazione occidentale dipendono fortemente dalle decisioni del governo cinese, in particolare quando vengono introdotti controlli sulle esportazioni delle materie prime in generale. Non solo delle due citate in particolare, come già avvenuto, ma anche di altre come il tungsteno (importante per molti beni militari e per l’industria automobilistica e aerospaziale) e la grafite (necessaria per la produzione di batterie per auto elettriche e chip per computer). Sullo sfondo della guerra commerciale in atto con gli Stati Uniti, non è escluso nemmeno un divieto di esportazione, che avrebbe effetti pesantissimi anche per la Svizzera. Nel mentre, il prezzo delle due materie è comunque già salito considerevolmente e l’ottenimento delle stesse in Cina, attraverso un complesso sistema di licenze, è tutt’altro che agevole.

Alternative?

Quali alternative esistono? Modificare rapidamente la dipendenza dalla Cina è di fatto quasi impossibile. Attraverso progetti di cooperazione si cerca di ovviare al problema, tanto che quattordici paesi dell’Unione europea si sono raggruppati in un Partenariato per la sicurezza dei minerali, finalizzato a finanziare progetti minerari per le materie prime critiche. Ma spesso anche solo l’ottenimento di determinate materie è complesso, perché occorre dapprima creare una catena di produzione.
Sempre rimanendo su gallio e germanio, è opportuno rilevare che il gallio si ottiene come sottoprodotto nella produzione di alluminio, mentre il germanio è un sottoprodotto della produzione di zinco. Guarda caso, la Cina è il primo produttore mondiale di alluminio e il secondo di zinco. Per produrre grandi quantità di gallio o germanio alle nostre latitudini occorrerebbe dapprima creare catene di produzioni per l’alluminio e lo zinco e, conoscendo anche i tempi lunghi delle scelte politiche, occorre essere realisti che vere alternative sono assai difficili da realizzare. Senza contare che sarebbero necessari investimenti massicci con scarsi margini di redditività. In passato in Germania si produceva il gallio, ma poi i siti sono stati dismessi perché poco redditizi e riavviarli oggi sarebbe oneroso, soprattutto nell’ottica di un impegno finanziario a lungo termine. Gli Stati Uniti, per contro, stanno cercando alternative in Africa.

Quali conseguenze per la Svizzera e il Ticino? Fra politica e innovazione

Come ripetutamente sottolineato, sarebbe illusorio pensare che la Svizzera e il Ticino non siano toccati da questi aspetti, con scenari che sembrano lontanissimi, ma che toccano il quotidiano di molte nostre aziende. Come produttori, fornitori, sub-fornitori, ecc., comprese quindi le aziende ticinesi che realizzano direttamente prodotti finiti oppure con semi-lavorati o componenti che confluiscono in prodotti finiti di altre aziende svizzere.
Non si tratta di allarmismo, ma di sano realismo, perché è inutile cercare di chiamarsi fuori, ignorando quanto succede al di fuori dei nostri confini. Il margine di manovra elvetico (e anche europeo…) è ridotto, visto che molto dipende dalle difficili dinamiche Stati Uniti-Cina e le elezioni presidenziali americane potranno in questo senso giocare un ruolo importante. Ma proprio perché abbiamo un margine di manovra ridotto è, a maggior ragione, fondamentale mantenere un tessuto economico diversificato e buoni rapporti con l’estero, considerando anche che con la Cina abbiamo già in atto un Accordo di libero scambio che può agevolarci in diversi ambiti. Senza dimenticare la necessità di nuovi accordi con l’Unione Europea.

Trovare alternative alle terre rare resta impresa quasi impossibile, almeno nel breve e medio termine. E qui entra in gioco anche l’ampio mondo dell’innovazione perché quella di produzione senza materie prime è di fatto impossibile.
D’altra parte, l’innovazione permette proprio di trovare vie per utilizzare meglio dette materie prime, ad esempio favorendone il riciclaggio in un sistema circolare, che avrebbe risvolti positivi non solo per la sostenibilità ambientale, ma anche per quella economica, troppo spesso dimenticata nella discussione politica, ma fondamentale per far funzionare il sistema-paese.


Think Tank

Recentemente abbiamo ospitato a Lugano una delegazione del Think Tank romando Manufacture Thinking (manufacturethinking.ch), struttura diretta da Xavier Comtesse e attiva da oltre dieci anni nell’analisi dei trend dell’innovazione.

La Cc-Ti ha concretizzato una collaborazione con questo gruppo che raccoglie accademici, unitamente alle più grandi e importanti aziende presenti in Romandia.
Questa collaborazione viene riproposta in un articolo apparso la scorsa settimana nella rivista economica “Agefi” a firma congiunta del Direttore della Cc-Ti, Luca Albertoni, del Direttore della Camera di commercio e dell’industria di Neuchâtel, Florian Németi e dello stesso Direttore della Manufacture Thinking, Xavier Comtesse.

Medtech e macchine sotto il “giogo” europeo

A causa delle sue normative, l’Unione Europea frena l’innovazione al contrario degli Stati Uniti e le cose stanno peggiorando. Come emerge chiaramente in uno studio pubblicato a metà settembre, i Regolamenti dell’Unione Europea (UE) stanno causando gravi danni all’industria Medtech svizzera, costringendola a certificare tutti i dispositivi medici nell’UE, anziché solo in Svizzera come avveniva in precedenza.
Il Regolamento europeo sui dispositivi medici (MDR) è burocratico, costoso e costituisce proprio per le sue dinamiche un freno all’innovazione stessa. Questo iter non è nuovo, ma si è concretizzato negli ultimi due anni. Per gestirne l’applicazione, l’80% delle aziende ha dovuto assumere ulteriore personale e il 60% delle imprese ha dovuto attingere a risorse umane tolte dai settori della ricerca e dello sviluppo. La metà delle aziende ha ridotto il proprio portafoglio di dispositivi in media del 20%. I costi di sviluppo sono aumentati in media del 28% circa, i costi dei dispositivi del 13% circa e i prezzi dei dispositivi dell’8% circa. Questi aumenti non sono esclusivamente legati al succitato MDR. Anche i maggiori costi delle materie prime, dell’energia, dei trasporti e della logistica sono stati e restano un fattore determinante.

La salvezza arriverà dagli Stati Uniti e dalla FDA?

Con la burocrazia del Regolamento MDR, l’Europa è in ritardo rispetto agli Stati Uniti. Già oggi, oltre il 20% delle aziende svizzere non richiede più l’autorizzazione iniziale all’immissione in commercio dei propri dispositivi più recenti nell’Unione Europea, ma negli Stati Uniti. Oltre il 30% certifica i propri dispositivi in entrambe le regioni.
Poiché il processo richiede molto più tempo in Europa che presso la Food and Drug Administration (FDA) statunitense, le innovazioni possono essere rese disponibili al pubblico svizzero solo dopo anni.

Sarà la volta delle macchine?

Sebbene il settore del Medtech abbia sperimentato questo cambiamento normativo soprattutto negli ultimi due anni, esso era già in cantiere dal 2017. Il settore delle macchine (non inteso come automobili ma come macchinari), di importanza vitale per la Svizzera con oltre 300.000 posti di lavoro, sta seguendo lo stesso processo di adeguamento alle norme europee.
Il 29 giugno di quest’anno è stato pubblicato il nuovo Regolamento europeo, che sostituisce la vecchia Direttiva europea sul tema. Il regolamento entrerà in vigore il 20 gennaio 2027, fatte salve alcune disposizioni transitorie. Questo regolamento creerà ulteriori oneri burocratici e costi per le aziende svizzere, che già soffrono di un tasso di cambio sfavorevole con i Paesi europei.

Cosa fare?

È chiaro che l’industria svizzera è messa sotto pressione da un’UE che continua a regolamentare senza comprendere che la propria salvezza è nell’innovazione, non nel protezionismo. Continuando a perseguire questa direzione, le conseguenze si rivelano gravose anche per la Svizzera, legata a doppio filo al mercato dell’UE e che vanta un’industria grande, solida e innovativa. La soluzione per il nostro Paese sarà senza dubbio quella di accelerare ulteriormente la digitalizzazione delle imprese, in particolare attraverso l’uso di strumenti di intelligenza artificiale, particolarmente efficaci nella riduzione della burocrazia.
È pertanto auspicabile un deciso programma nazionale atto a facilitare la creazione di strumenti di intelligenza artificiale in questo settore.

L’inazione e la mancata presa di coscienza rappresentano una condanna per le attività e per le persone che le fanno vivere.

CBAM: nuovo strumento di autovalutazione

La Commissione europea ha messo a disposizione un nuovo tool volto ad aiutare gli operatori economici a capire, in un colpo d’occhio, se una spedizione di merci rientra o meno nel campo d’applicazione del CBAM.

Pensato per gli importatori UE, ma utile anche alle aziende extra-UE che esportano nel mercato comunitario, il nuovo strumento di autovalutazione del CBAM sviluppato e messo a disposizione dalla Commissione europea consente di ottenere una rapida panoramica sull’eventuale assoggettamento al CBAM delle merci importate nell’UE.

Il tool, in semplice formato Excel di facile utilizzo, è suddiviso in due sezioni: in una prima sezione l’utente deve inserire la voce di tariffa doganale a otto cifre della merce (secondo la nomenclatura combinata UE), il Paese d’origine, il valore (è prevista l’esenzione per spedizioni di valore inferiore a 150) e lo scopo dell’importazione; nella seconda sezione risulterà se tale merce rientra o meno nel campo d’applicazione del CBAM e, in caso affermativo, quali informazioni dovranno essere fornite all’importatore rispettivamente richieste al fornitore e dove eventualmente ottenere ulteriori ragguagli sul tema.

È importante sottolineare che questo strumento di autovalutazione è sì pensato per essere d’aiuto agli operatori economici nel periodo transitorio (fino al 31 dicembre 2025), in particolare quelli di dimensioni più piccole e che non hanno le capacità e/o le risorse per approfondire il tema CBAM, ma la Commissione non si assume alcuna responsabilità sull’accuratezza delle informazioni fornite e rimanda a quanto pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

Lo strumento può essere scaricato dal sito web della Commissione europea dedicato al CBAM, nella sezione Guida (“Guidance”): Carbon Border Adjustment Mechanism – European Commission (europa.eu).

Elusione delle sanzioni: nuova guida del G7

Il Gruppo dei Sette ha pubblicato una guida congiunta volta ad aiutare l’industria a identificare le pratiche di elusione delle sanzioni, a proteggere la propria tecnologia, a prevenire danni reputazionali e a ridurre il rischio di responsabilità.

Per la prima volta in assoluto, lo scorso 24 settembre 2024 i Paesi del G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti) hanno pubblicato una guida congiunta sull’applicazione del controllo delle esportazioni.

La guida, rivolta all’industria, mira ad aiutare gli operatori economici a identificare e mitigare i rischi di elusione delle sanzioni adottate nei confronti della Russia. Nello specifico, il documento

  • identifica i prodotti che presentano un rischio elevato di essere dirottati verso la Russia (“Elenco comune ad alta priorità”)
  • elenca gli indicatori di allerta (i cosiddetti “red flag”) di potenziale evasione dei controlli delle esportazioni e/o delle sanzioni
  • evidenzia le migliori pratiche che l’industria può applicare per far fronte a questi indicatori, e
  • riporta strumenti e risorse di screening a supporto della due diligence.

Il documento può essere visionato sul sito web della Commissione europea: Sanctions vis a vis Russia: Commission publishes G7 Industry Guidance on preventing sanctions evasion – European Commission (europa.eu)

Guten Tag o Auf Wiedersehen?

Quando la Germania ha l’influenza, la Svizzera tossisce

Franco forte, approvvigionamento e costi di materie prime ed energia, tutti temi che da tempo sono diventati di quotidiana attualità quando si parla di economia svizzera, compresa quella ticinese. Può sembrare un’ovvietà perché è chiaro per tutti, o almeno dovrebbe esserlo, che le interdipendenze fra paesi hanno un ruolo centrale nelle dinamiche economiche.
La Svizzera non fa eccezione, ovviamente, visto che gli scambi commerciali per il nostro paese sono vitali. Con l’Unione Europea (UE) che fa la parte del leone, essendo il nostro più importante partner commerciale. Eppure, vi sono dinamiche che stanno cambiando il panorama globale e quindi anche quello dei nostri rapporti con alcuni paesi dell’UE, con conseguenze importanti per le aziende elvetiche.
Chi pensa che il mercato europeo sia facilmente sostituibile con quelli di altri paesi farebbe bene a non illudersi, perché è di fatto impossibile pensare a una sostituzione tout court. Spesso gli spostamenti verso altri mercati fanno registrare qualche punto percentuale sull’arco di anni e comunque non oltre certi limiti che si potrebbero definire fisiologici. Eppure, alcuni cambiamenti meritano un’attenzione particolare, perché le conseguenze sulla nostra economia, anche quella ticinese, possono essere importanti.
Svizzera e Germania, ad esempio, intrattengono relazioni intense in vari ambiti e sono fortemente interconnesse grazie a una lingua comune e a proficui scambi economici, culturali e personali.

Germania-Svizzera non è solo un derby

La situazione della Germania è quindi molto importante per noi, trattandosi di un partner essenziale per l’economia elvetica, soprattutto in ambito industriale. Che siano prodotti finiti o semilavorati e componenti, la Germania, con l’industria automobilistica, ma non solo, è da sempre un riferimento essenziale per le nostre aziende. Oltre a essere (stata) la cosiddetta locomotiva dell’economia europea. Locomotiva però che da qualche tempo sbuffa pericolosamente, perché costretta a trascinare vagoni di oneri sempre più pesanti. E quando la Germania va in difficoltà, negli anni la Svizzera ha quasi sempre pagato dazio. Capita la stessa cosa con l’attuale crisi economica e sociale che sta attanagliando il nostro vicino settentrionale? È interessante rilevare che questa volta la situazione è un po’ diversa dal passato e i motivi sono molteplici.

Le ragioni della crisi tedesca

I nostri colleghi della Camera di commercio e dell’industria tedesca hanno pubblicato recentemente dati molto significativi sulla situazione attuale del loro paese. Secondo un sondaggio condotto su 3’300 imprese industriali, quattro su dieci stanno valutando di ridurre la produzione in Germania o di trasferirla all’estero. Tra le aziende più grandi, con più di 500 dipendenti, più della metà sta addirittura prendendo in considerazione tale trasferimento.
Emerge in particolare, e senza sorpresa, che due elementi essenziali del sistema tedesco sono venuti a mancare: l’energia a basso costo proveniente dalla Russia e le esportazioni, in particolare quelle verso la Cina. È noto che l’industria tedesca dipende fortemente dalla produzione di automobili e dal mercato cinese. Inoltre, la difficile transizione verso le auto elettriche (l’annunciata dismissione di fabbriche della Volkswagen ne è un segnale chiaro), acuisce ulteriormente il fatto che la Cina cresca più lentamente e importi meno.

I colleghi delle Camere tedesche rilevano poi in modo molto critico alcune scellerate scelte in ambito energetico, visto che, dopo la decisione di abbandono dell’energia nucleare, la politica non è finora riuscita a creare le condizioni per un approvvigionamento energetico affidabile e conveniente. I prezzi elevati dell’energia – soprattutto rispetto ai concorrenti americani o asiatici – stanno diventando sempre più un ostacolo alla produzione e agli investimenti. A questi fattori va aggiunto il fatto che per molti anni la Germania ha limitato gli investimenti nelle infrastrutture e ora si trova a dover fronteggiare necessità di spese fuori misura per recuperare il terreno perso.
Taluni servizi sempre più carenti, come le evidenti difficoltà del traffico ferroviario spesso turbato per guasti di ogni genere, sono il segnale inequivocabile di questo ritardo accumulato negli anni.
Fra crescita debole e contrazione della produzione economica, le difficoltà tedesche pesano inevitabilmente su tutta l’economia Europea, compresa quella Svizzera. La riduzione dell’inflazione, un certo aumento dei livelli salariali, una ritrovata sebbene ancora fragile stabilità del mercato del lavoro e un miglioramento dell’approvvigionamento di materie prime fanno sperare che vi possa essere una ripresa. Ma tutto questo è insufficiente a fronte del menzionato nodo dei problemi strutturali, non risolvibili in breve tempo e per i quali sono indispensabili riforme che la politica stenta a fare.

E la Svizzera?

L’industria svizzera di regola risente della debolezza della crescita tedesca, tanto che è noto l’adagio secondo cui “quando la Germania ha l’influenza, la Svizzera tossisce”. Tuttavia, dopo la pandemia di Coronavirus, il quadro sembra essere un po’ diverso. Negli ultimi quattro anni, l’economia svizzera è riuscita a sganciarsi almeno in parte dalle difficoltà tedesche, visto che il prodotto interno lordo svizzero è cresciuto in misura nettamente maggiore rispetto a quello tedesco.
Indubbiamente le aziende svizzere sono state meno colpite dallo shock dei prezzi dell’energia rispetto ai loro concorrenti tedeschi, e i consumatori svizzeri hanno subito un’inflazione significativamente inferiore rispetto ai consumatori dei paesi vicini.
Anche la composizione delle esportazioni elvetiche è cambiata. I prodotti chimici e farmaceutici rappresentano oggi circa la metà di tutte le esportazioni e la loro quota è più che raddoppiata in 20 anni. Questi prodotti sono meno sensibili ai prezzi e ai cicli economici e non sono focalizzati prevalentemente sulla Germania. La dipendenza della Svizzera dalla Germania è quindi sostanzialmente diminuita, visto che la quota delle esportazioni elvetiche verso nord è in continua diminuzione da anni. Vent’anni fa, oltre il 20% delle esportazioni era destinato al nostro vicino settentrionale, oggi ci attestiamo sul 15%. Non a caso, dal 2021, gli Stati Uniti hanno sostituito la Germania, attestandosi quale paese principale partner commerciale della Svizzera.
Non a caso si guarda con legittima preoccupazione a cosa avviene negli Stati Uniti, soprattutto all’esito delle imminenti elezioni presidenziali, alla stabilità del paese e alla relativa politica economica. Una flessione negli Stati Uniti potrebbe incidere tanto quanto le difficoltà della Germania sulla nostra economia, mettendo a dura prova le esportazioni e gli investimenti svizzeri. In questo senso, la nostra economia diversificata presenta indubbi vantaggi, come dimostrato negli ultimi venti anni costellati da crisi di vario genere, che hanno avuto effetti malgrado tutto contenuti per il nostro paese. Ma l’incertezza per l’instabilità di partner così forti come Germania e, in parte, Stati Uniti (senza dimenticare anche la Cina…) ovviamente resta.

E il Ticino?

Perché tutto quanto precede è rilevante anche per il Ticino? Molte nostre aziende esportano direttamente verso i mercati citati oppure, a volte in misura ancora maggiore, operano per aziende svizzere che a loro volta esportano. Quindi, direttamente o indirettamente, l’andamento tedesco e quello americano hanno risvolti importanti anche per la nostra economia cantonale, la cui quota-parte in termini di esportazioni è considerevolmente cresciuta negli ultimi due decenni.
È di fondamentale importanza, oggi più ancora che in passato, osservare analiticamente quanto accade nel mondo perché rilevante anche per l’andamento economico e l’occupazione nel nostro microcosmo.
Spese fuori controllo, ricchezza considerata come scontata, rinuncia a fonti energetiche senza valide alternative, scarsi investimenti e altri errori esiziali dovrebbero costituire un monito per non ripetere gli stessi errori nel nostro panorama cantonale e nazionale.
Oltre a trarre magari qualche insegnamento dalla situazione tedesca, che dimostra come talune decisioni politiche prese con avventatezza e superficialità possono, in poco tempo, retrocedere una locomotiva a semplice vagone.