Assegni Familiari & AUUF

Italia: Assegno Unico Universale 2023-2024

Dal 2023 inviano la domanda soltanto i nuovi aspiranti beneficiari, mentre chi già riceveva l’Assegno unico non deve fare nulla a meno che non siano intervenute variazioni che richiedono un’integrazione tempestiva della vecchia domanda sul sito INPS, per consentire di adeguare la prestazione alla nuova situazione reddituale o familiare.
I beneficiari attivi a febbraio 2023, da marzo ottengono il rinnovo automatico alle medesime condizioni, rapportate all’eventuale ISEE in corso di validità.


INFORMATIVA

Informativa aggiornata a marzo 2023

Politica, economia e società: un impegno pubblico a 360 gradi

Cristina Maderni, Vicepresidente Cc-Ti

Vicepresidente della Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino, Presidente della Federazione ticinese delle Associazioni di fiduciari e dal 2019 Deputata del PLRT in Gran Consiglio. Per Cristina Maderni vita professionale, attività associativa e militanza politica sono la costante testimonianza di un impegno pubblico a 360 gradi per la crescita economica e sociale del Paese. Con la sua prima elezione in Parlamento si è impegnata personalmente, con numerosi interventi e atti parlamentari, sui temi più pressanti dell’attualità politica: dalle misure per contenere gli effetti della pandemia e della crisi della materie prime alle problematiche sui frontalieri e l’occupazione; dalla fiscalità al Decreto cantonale per il pareggio dei conti entro il 2025; dal risanamento energetico degli stabili ticinesi alla modifica della legge sull’apertura dei negozi e all’istituzione di un centro educativo chiuso per i minorenni; dalla battaglia per meno burocrazia al sostegno della continuità aziendale nelle procedure di successione. Ed è in prima fila anche nelle iniziative popolari per neutralizzare gli effetti dell’aggiornamento delle stime immobiliari e per abrogare la tassa di collegamento.

Quella che sta per concludersi non è stata una legislatura facile. Pandemia, guerra in Ucraina e crisi energetica hanno pesantemente condizionato la vita politica. Comunque, guardando ad un quadriennio ormai agli sgoccioli, in generale, cosa è mancato, cosa si poteva fare di più?

L’emergenza del Coronavirus e la crisi energetica hanno pressoché monopolizzato l’agenda politica. Forse quello che è mancato, e che ancora manca, è la piena consapevolezza delle gravi difficoltà che le imprese hanno dovuto affrontare con i ripetuti lockdown, dei problemi causati dalla crisi delle materie prime e del caro energia, non solo per le imprese, ma per la società tutta. Come ha evidenziato l’ultima inchiesta congiunturale della Cc-Ti, le aziende ticinesi hanno dimostrato una notevole capacità di resilienza e adattamento a questi eventi straordinari; tuttavia, i contraccolpi sul tessuto economico si sono sentiti e si faranno sentire in futuro. Dunque, quello che si può fare di più è uno sforzo maggiore nel migliorare  le  condizioni  quadro  volte a salvaguardare e potenziare la competitività e l’innovazione delle nostre aziende per rilanciare l’economia. È altresì necessario un maggiore impegno nel rinsaldare il dialogo tra le parti sociali, mettendo da parte pregiudiziali ideologiche, nell’interesse del nostro Paese. Due obiettivi sui quali dobbiamo concentrare i nostri sforzi anche nella prossima legislatura.

Che bilancio fa di questa prima esperienza in Gran Consiglio?

Sono stati quattro anni particolari e molto intensi che mi hanno dato la possibilità di conosce- re più a fondo il nostro Cantone, i suoi bisogni, le sue aspirazioni ma anche le sue potenzialità. Tutto ciò rappresenta oggi per me un capitale importante di conoscenze e competenza che, spero, gli elettori mi permetteranno di mettere a loro disposizione nella prossima legislatura. Certo, in un sistema consociativo come il nostro i tempi delle decisioni politiche non sono veloci per come si vorrebbe, il più delle volte bisogna ricorrere a dei ragionevoli compromessi, costruire le opportune alleanze, affinando la capacità di ascolto e di dialogo con tutti. Ma tirate le somme, posso dire che servire il Paese con dedizione, onestà e competenza è sempre un’esperienza entusiasmante e arricchente.

Molti dei dossier su cui si è impegnata sono tuttora aperti e dibattuti. Contro la modifica della legge sull’apertura dei negozi, ad esempio, la sinistra e i sindacati hanno lanciato un referendum. Eppure, non si chiede la luna: una mezz’ora d’apertura in più e una domenica in più per sostenere i commerci e favorire il turismo. Come spiega tanta resistenza dopo trent’ anni di discussioni e diverse votazioni popolari?

Da tempo si insiste tanto sulla necessità di puntare sul turismo, perché è una delle voci più importanti della nostra economia, ma quando s’intraprende una qualche misura diretta a favorirlo, incentivando le sinergie tra commerci e presenza turistica, ecco che insorge il solito fronte del no. La modifica della Legge, nata da un’iniziativa parlamentare del PLRT, vuole innanzitutto sostenere le piccole attività commerciali che stanno vivendo gravi difficoltà e, allo stesso tempo, rispondere meglio ai nuovi stili di vita, alle nuove abitudini nei consumi e ai bisogni dei turisti. L’ estensione della modifica alle superfici commerciali di 400 mq, senza includere, quindi, la grande distribuzione, così contestata dai referendisti, ha solo lo scopo di migliorare l’attrattività turistica, concedendo ai negozi più grandi la possibilità di qualche apertura in più. Con questo aggiustamento non si obbliga nessuno a fare qualcosa, si vuole solo offrire un’opportunità ai piccoli negozi. Non ci sono, dunque, motivi plausibili per opporsi, ma solo ragioni ideologiche.

È dal 2015 che si parla della tassa di collegamento. Ben 19 ricorsi, una votazione popolare, una sentenza del Tribunale federale e una decisione del Gran Consiglio che vorrebbe introdurla nel 2025 per un periodo di prova di tre anni. Perché abrogare questa tassa?

Per tre motivi semplicissimi: in tempi in cui in Ticino furoreggiava il risentimento verso i lavoratori di oltre confine, si è contrabbandata questa tassa anche come una misura anti-frontalieri e risolutiva per ridurre il traffico. In realtà, come si è visto, a pagarla sono i ticinesi e i residenti, mentre la soluzione per ridurre il traffico è il potenziamento dei trasporti pubblici. In secondo luogo, perché essa colpisce soprattutto chi non può fare a meno dell’auto per andare a lavorare o perché abita in zone periferiche. Infine, è inammissibile che in una situazione economica così pesante per i cittadini e le aziende li si voglia caricare di un ulteriore costo aggiuntivo. Si stima che questo balzello costerebbe 875 franchi all’anno ad ogni residente che usa l’auto per recarsi al lavoro. È bene ricordare che in meno di un decennio le tasse causali, in cui rientra quella di collegamento, sono aumentate di circa 80 milioni. Una spirale perversa che bisogna fermare.

Sarà battaglia anche sulla revisione delle stime immobiliari. Quali sarebbero le conseguenze di una mancata neutralizzazione dei nuovi valori di stima?

Senza il principio della neutralità fiscale della revisione, le conseguenze sarebbero troppo pesanti. Difatti, con l’aggiornamento gli attuali valori delle stime potrebbero addirittura raddoppiare, il che significa che le imposte sulla sostanza pagate dai proprietari di case e appartamenti mezzo miliardo di franchi: 280 milioni al Cantone e 220 milioni ai Comuni. Un salasso per il ceto medio, soprattutto per chi a costo di grandi sacrifici è riuscito a farsi un’abitazione propria. Ma a pagare non sarebbero solo i proprietari, l’aumento si ripercuoterebbe inevitabilmente sugli inquilini che vedrebbero aumentare gli affitti. La revisione toccherebbe, inoltre, una ventina di leggi che saranno condizionate dai nuovi valori, con un effetto a cascata: dal calcolo delle rette nelle case per anziani, alle prestazioni complementari, alla concessione di borse di studio. All’aumento dei valori di stima corrisponderebbe, perciò, una riduzione delle persone che ricevono questi aiuti. Ancorare nella Costituzione il principio della neutralità dal profilo fiscale, delle prestazioni e degli aiuti sociali, significa evitare un ulteriore impoverimento del ceto medio.

Da tempo il mondo dell’economia ha lanciato l’allarme sulla penuria di manodopera. Un problema destinato ad acuirsi col pensionamento della generazione dei baby boomer. Si stima che In Ticino nel prossimo decennio 50-70 mila persone lasceranno il lavoro. Come affrontare questa emergenza?

Da noi, già quest’anno il numero di baby boomer che andranno in pensione sarà superiore ai nuovi ingressi nel mondo del lavoro. È la prima volta che si registra questo scarto e ciò la dice lunga sull’emergenza che ci troveremo ad affrontare sotto la spinta dell’invecchiamento della popolazione e dell’innovazione tecnologica che elimina, o riduce, vecchi lavori, ma ne crea di nuovi. Dobbiamo pensare a misure sul breve, medio e lungo periodo. Quello che si può fare sin da subito è sollecitare un vero salto di qualità del sistema formativo a tutti i livelli, per ricalibrarlo sui nuovi trend occupazionali, incentivare un più deciso aumento sul mercato del lavoro della presenza femminile che rappresenta un patrimonio di competenze, professionalità e versatilità ancora a volte sottovalutato e trascurato. Come Cc-Ti stiamo ultimando un’indagine a tappeto tra le nostre associazioni per capire quali sono i profili professionali di cui hanno bisogno ora e in futuro le imprese. Una sorta di radiografia a tutto campo sulle prospettive occupazionali sui cui si potrebbero calibrare nuovi percorsi formativi alla luce della continua innovazione tecnologica.

Non mancano solo tecnici qualificati per l’industria, informatici, professionisti del settore IT personale sanitario e specialisti in scienze ingegneristiche, ma non si trovano neanche elettricisti, orologiai, artigiani e molte altre figure professionali. Una carenza che potrebbe essere fatale per la nostra economia, mentre la formazione stenta a stare al passo con le richieste del mondo del lavoro. Come intervenire?

La penuria di personale qualificato, ma anche di manodopera non specialistica, è il tallone d’Achille della nostra economia che può mettere in serio pericolo la crescita. Da anni ormai per i profili professionali più qualificati dobbiamo ricorrere all’estero, ma anche gli altri Paesi hanno lo stesso problema e faranno di tutto per trattenere in patria i lavoratori specializzati, offrendo buone retribuzioni, vantaggi fiscali e benefit vari. La concorrenza internazionale nell’accaparrarsi questa manodopera sarà sempre più agguerrita e non possiamo restare a guardare. In Ticino abbiamo già circa 500 imprese, soprattutto start-up, specializzate nelle Scienza della vita e sta prendendo forma il Parco dell’Innovazione, è evidente che da solo lo sviluppo di questi settori innescherà una forte domanda di maestranze e specialisti a vari livelli. Le tecniche produttive, le conoscenze e l’economia in generale si stanno evolvendo con una rapidità e un’estensione mai registrate nella storia, di fronte a tutto ciò un primo punto fermo deve essere la convinzione che innovazione e formazione non sono entità separate, ma che devono procedere, per quanto possibile, su binari paralleli. Soltanto partendo da questo presupposto si può escogitare una strategia d’intervento che riduca man mano il divario tra domanda e offerta di lavoro. Ma perché sia davvero proficua questa strategia deve essere condivisa tra politica, istituzioni e parti sociali. Come Cc-Ti siamo pronti a fare la nostra parte.

L’apprendistato da noi, a differenza di molti altri Cantoni, stenta a decollare davvero. Tante iniziative promozionali e campagne pubblicitarie, mentre si è fatto poco per alleggerire vincoli burocratici, costi e dispendio di tempo che soprattutto nelle piccole imprese limitano fortemente l’assunzione di apprendisti. Che pensa al riguardo?

Anche queste campagne promozionali servono, soprattutto se finalizzate a combattere il luogo comune, ancora molto radicato, che l’apprendistato sia una formazione di serie B. È chiaro che da sole non bastano. La formazione duale è uno dei punti di forza del nostro sistema scolastico, purtroppo però sulle aziende formatrici gravano tanti oneri che incidono negativamente sull’aumento dei contratti di tirocinio. Il peso degli oneri imposti dalle normative federali è tale da scoraggiare le imprese più piccole: l’obbligo, ad esempio, di avere al proprio interno un maestro di tirocinio, l’investimento di tempo ri- chiesto non solo per formare adeguatamente gli apprendisti, ma anche per evadere le numerose pratiche burocratiche, non sono certo un incentivo, in particolare, per i piccoli imprenditori che hanno meno mezzi e risorse. Così si spreca una possibilità, sia per tanti giovani, sia per le aziende di formare loro stesse i collaboratori di cui hanno bisogno. Alleggerire il carico di questi obblighi contribuirebbe certamente ad aumentare l’offerta di nuovi posti per gli apprendisti.

A volte si ha pure l’impressione che si continua a formare apprendisti in settori con scarse opportunità d’impiego, mentre non se ne formano abbastanza in quei comparti innovativi che potrebbero invece offrire occupazione e ottimi stipendi. Non crede sia urgente un’attenta analisi sul sistema della formazione per ricalibrare l’orientamento professionale dei giovani verso attività con prospettive più sicure?

L’orientamento è un elemento cruciale. Ai giovani vanno spiegate e comunicate meglio non solo le attività che possono intraprendere subito, ma anche quelle a medio e lungo periodo. Basta pensare alle specializzazioni che si creeranno nelle tecnologie ambientali e nel settore delle energie rinnovabili, che stanno già trasformando radicalmente attività tradizionali come la falegnameria o l’edilizia.

Va spiegato come stanno evolvendo, grazie allo sviluppo della tecnologia, anche i vecchi mestieri artigianali, prefigurando nuove professioni molto promettenti ed economicamente gratificanti. Va insegnato loro che un diploma o un attestato federale non sono più il punto di arrivo, ma di partenza, per ulteriori formazioni più specifiche per le quali a volte occorre valicare il Gottardo. Ciò non è di sé stesso un male, ma è un aspetto su cui bisogna ragionare. È altresì necessario riflettere su un dato allarmante diffuso poche settimane fa dall’Ufficio federale di statistica: in Ticino il 35,8% dei contratti di tirocinio viene rescisso (la media nazionale è del 22,4%), vale a dire che 448 giovani hanno interrotto il percorso formativo a metà strada. È evidente che non solo il lavoro è cambiato ma che anche i giovani sono cambiati. La cosiddetta Generazione Z ha un approccio col lavoro del tutto diverso rispetto alle passate generazione. C’è ora in gioco una nuova variabile che va tenuta in grande considerazione in tutti i contesti formativi.

Da tempo Lei si batte per la de-burocratizzazione. È stato calcolato che in Svizzera, tra Confederazione, Cantoni e Comuni, la burocrazia assorbe il 7,3% del Pil; in Ticino essa comporta un onere finanziario annuo pro capite di 5.700 franchi, oltre al carico di vin- coli, tempo e obblighi che soffoca cittadini e imprese. La digitalizzazione nelle aziende private è servita pure a razionalizzare processi e ridurre i costi, cosa che invece non pare sia avvenuta nella pubblica amministrazione. Come lo spiega?

Per la semplice ragione che nelle imprese vige il criterio della redditività, senza cui ogni attività economica fallirebbe, principio da cui è invece pressocché esonerato l’apparato statale. Comunque, dei passi avanti nella digitalizzazione dell’amministrazione pubblica sono stati fatti, ma non con la rapidità auspicata né con i risultati sperati. Si è arrivati al paradosso che il cittadino debba pagare delle tasse per ottenere dei documenti da presentare ad enti statali o comunali, quando questi stessi documenti sono già in possesso dello Stato, oppure che si persista nella pratica dei “doppioni” nella raccolta di dati presso le imprese. È dal 2019 che mi batto in Parlamento contro queste assurdità. Purtroppo, per sua natura la burocrazia va avanti con una forza inerziale che rallenta ogni cambiamento. Il proliferare di leggi, regolamenti, ordinanze complica ulteriormente le cose, con un eccesso di regolamentazioni che opprime i cittadini, le imprese e scoraggia l’iniziativa privata. La crescita metastatica di vincoli e oneri burocratici è un male contro cui bisognerà intervenire con maggiore determinazione.

In Ticino circa 18mila imprese nei prossimi dieci anni dovranno affrontare il problema della successione aziendale. Lei, assieme al Presidente del PLRT Alessandro Speziali, ha presentato un’iniziativa parlamentare per modificare l’attuale Legge tributaria che penalizza la successione tra parenti non diretti o a terze persone, scoraggiando di fatto potenziali subentranti. Senza questa modifica a che rischi si andrà incontro?

Il rischio è d’impoverire il nostro tessuto produttivo, di perdere un notevole know-how, posti di lavoro e gettito fiscale. Di cancellare una presenza che assicura stabilità e competitività alle dinamiche socioeconomiche del territorio. Un problema oggi ancora più urgente poiché il pensionamento dei baby boomer coinvolgerà anche la conduzione e la proprietà aziendale. Obiettivo della nostra iniziativa è di evitare che nel momento in cui un imprenditore decide di ritirarsi, un gran numero di piccole e microimprese, per lo più a conduzione familiare, sia costretto a cessare l’attività perché il subentrante non ha la liquidità necessaria per far fronte all’onere fiscale della successione o della donazione. Va ricordato, al proposito, che l’89% delle 39mila aziende attive in Ticino sono piccole imprese che contano meno di 10 collaboratori, ma che danno lavoro a ben 79mila persone. Una variegata realtà produttiva che si sta già confrontando con una scelta che è uno dei momenti decisivi nella storia di un’ impresa, da cui possono nascere seri rischi per la sua sopravvivenza così come buone opportunità di rilancio. Perciò, bisogna rendere sopportabile il trapasso della titolarità a subentranti in grado di garantire la continuità e il successo dell’azienda, e spesso si tratta di collaboratori di lungo corso dell’impresa stessa o di persone attive nel settore ma che non sono eredi diretti.

Noi abbiamo proposto una riduzione dell’onere fiscale del 75%, rispetto all’attuale sistema, nel caso di trapasso a parenti non diretti, come ad esempio nipoti o affini, oppure ad un soggetto estraneo alla famiglia. La successione aziendale deve essere un’occasione di rinnovamento imprenditoriale e di salvaguardia dei posti di lavoro, e non una minaccia di cessazione dell’attività. Con la nostra proposta vogliamo che chi subentra, chi vuole rimboccarsi le maniche e portare nuove idee per il successo dell’impresa, riesca nel suo intento e non sia scoraggiato sin dall’inizio da una fiscalità troppo elevata. Se ci sono queste condizioni, la successione può rappresentare una grande opportunità anche per i dipendenti più giovani, se sono pronti a rilevare l’attività.

Allungando lo sguardo sulla nuova legislatura quali saranno i temi dominanti?

Certamente la tassa di collegamento, la revisione delle stime immobiliari e la modifica degli orari dei negozi domineranno ancora il confronto politico. A ben vedere saranno dei test rivelatori della forza propositiva di due schieramenti contrapposti: chi vuole tenere a galla la società a forza di sussidi, estendendo il rapporto di dipendenza dallo Stato, e chi invece crede che bi- sogna incoraggiare l’autonomia dei cittadini e la libertà d’impresa per produrre quella ricchezza di cui beneficia poi tutta la collettività. L’esito di questo confronto può determinare l’indirizzo politico degli anni a venire. A tenere banco ci sarà, inoltre, il risanamento delle finanze cantonali e il pareggio del bilancio entro il 2025 col vincolo di non aumentare imposte e tasse. Un obiettivo reso ancora più complicato dal mancato contributo della BNS nel 2023. Ciò dovrà spingere Governo e Parlamento ad una gestione molto più oculata del denaro dei contribuenti e ad una razionalizzazione della spesa pubblica. Bisognerà lavorare ad un piano condiviso su quelle che sono le vere priorità per il Paese, senza abbassare la guardia sulla fiscalità in modo che la riforma del 2020 entri in vigore nei modi e nei tempi previsti. Anche la transizione ecologica, con lo sviluppo delle energie rinnovabili, assieme alla formazione e al consolidamento della riforma della scuola media con il dibattito sul superamento dei livelli, saranno temi centrali nel prossimo quadriennio.

Il volto dell’albergheria ticinese

Lorenzo Pianezzi, Presidente di HotellerieSuisse e Membro UP Cc-Ti

Lorenzo Pianezzi è il volto dell’albergheria ticinese. La vocazione alla cultura dell’ospitalità Pianezzi l’ha scoperta sin da bambino, a 10 anni appena. Da allora, dopo aver acquisito una solida formazione professionale, ha maturato un’intensa carriera nella conduzione di noti hotel, che lo ha portato ai vertici cantonali e nazionali del settore turistico-alberghiero. È presidente di HotellerieSuisse Ticino, siede nell’Ufficio Presidenziale della Cc-Ti, attivo in numerose Associazioni ha anche fondato la società di gestione e consulenza per hotel “Horizon Collection”.

Da Consigliere comunale a Lugano, gruppo Centro/Ppd, si è profilato nel suo impegno per una Città con un respiro sempre più internazionale e per lo sviluppo turistico della regione. Lo stesso impegno che, con le elezioni del prossimo aprile, vuole portare in Gran Consiglio per dare anche più voce ad una componente chiave di quell’industria del turismo che rappresenta il 9,6% del Pil cantonale  e un valore aggiunto lordo di 2,1 miliardi di franchi. Con il presidente di HotellerieSuisse Ticino facciamo il punto su problemi e prospettive del settore.

L’economia sta affrontando una difficile congiuntura. Pandemia, caro energia e inflazione come hanno inciso sul comparto alberghiero? Quali effetti sul lungo periodo?

“Gli eventi degli ultimi tre anni hanno messo a dura prova tutto il settore dell’ospitalità. I rincari innescati dai costi dell’energia hanno causato e stanno causando grossi problemi agli Albergatori. Noi cerchiamo di indirizzare le nostre strutture verso tutte quelle condizioni e innovazioni che permettono di essere “a jour” con gli impianti energetici e di sensibilizzare collaboratori e clienti su un uso coscienzioso degli apparecchi che consumano energia. Essendo gli aumenti trasversali e toccando pure le materie prime,  gli effetti che possiamo attenderci in futuro saranno dei conseguenti rincari nei costi dei servizi che abitualmente eroghiamo nelle strutture ricettive”.

L’andamento dei pernottamenti si conferma positivo in primavera e in estate, tutt’altro discorso per l’inverno. Da anni si parla di una destagionalizzazione che stenta però a decollare. Perché?

“La destagionalizzazione, a livello teorico, trova grande condivisione tra i diversi attori del turismo, ma se dovessimo analizzare l’investimento della promozione in termini finanziari, vedremo probabilmente un grande gap tra gli investimenti per attrarre turismo in primavera e in estate, rispetto a quelli  per l’autunno-inverno.  Ci sono ancora regioni che non credono nella possibilità di sviluppare il turismo invernale. Per turismo invernale non intendo solo la crescita di destinazioni con impianti o sport invernali che, viste le temperature miti, a loro volta lavorano su progetti per essere anche esse attrattive 12 mesi l’anno; intendo invece lo sviluppo di una promozione atta ad incentivare il turismo da novembre a marzo. Vi sono, infatti, regioni dove in questi mesi sembra fermarsi quasi tutto… ad esempio, sul Verbano la navigazione è praticamente dismessa in inverno, diversi negozi e altri possibili attrattori chiudono in attesa del ritorno del turista, che per un’abitudine, in realtà ormai desueta per tanti ospiti, si fa coincidere col fine settimana pasquale”.

Che fare allora?

“Le precedenti generazioni di albergatori hanno sempre raggiunto risultati soddisfacenti lavorando prevalentemente da Pasqua a fine ottobre, per il resto dell’anno potevano dedicarsi alle necessarie ristrutturazioni o a prolungati periodi di riposo. Queste stesse generazioni hanno oggi più figli con cui dividere i risultati e, guardando al futuro, questi figli avranno a loro volta dei discendenti con i quali dovranno dividere i risultati. Quando questi risultati non soddisferanno più le diverse generazioni, divenute proprietarie della struttura ricettiva familiare, bisognerà decidere che investimento fare… In passato abbiamo visto strutture di questo tipo vendute e/o trasformate in appartamenti, col vantaggio di abbattere i costi di gestione. Se fossimo, invece, più lungimiranti, se vogliamo che queste strutture siano redditizie per più generazioni, ecco che abbiamo a portata di mano una stagione che turisticamente ancora non sfruttiamo appieno: l’inverno. Se desideriamo aumentare i pernottamenti, la stagione con un vero potenziale di crescita è l’autunno-inverno, d’estate non si può fare di più”.

Anche HotellerieSuisse lamenta la mancanza di personale, com’è la situazione in Ticino?

“La situazione è decisamente peggiore nel resto della Svizzera. Ciò non significa abbassare la guardia, se la tendenza è la stessa, prima o poi, pure noi avremo una carenza di personale. Negli altri Cantoni ci sono strutture che non possono lavorare a pieno regime, dove parte dell’ospitalità o della ristorazione sono chiuse al pubblico per l’impossibilità di garantire il servizio a tutte le camere, di preparare e servire le pietanze per tutti i tavoli a causa della mancanza di personale. In Ticino, attualmente, c’ è una ancora leggera difficoltà nel reperire parte della manodopera stagionale indispensabile per la stagione che va da Pasqua a fine ottobre. E qui si evidenzia un altro vantaggio della destagionalizzazione: evitando picchi di ospiti concentrati in determinati mesi dell’anno, rendendo quindi l’andamento turistico interessante anche in autunno e inverno, vi sarebbe una maggiore necessità di collaboratrici e collaboratori per un periodo più prolungato rispetto alla canonica stagionalità”.

Si potrebbe fare di più a livello di formazione per promuovere le professioni alberghiere tra i giovani?

“Le professioni dell’albergheria negli ultimi 30 anni sono state spesso monopolio di stranieri che si sono trasferiti, con successi professionali e d’integrazione, nel nostro Paese. Questo ha, forse, scoraggiato le famiglie autoctone dal consigliare tali lavori ai propri figli. Ad onor del vero, va detto che la professione di cuoco non ha subito forti sbalzi numerici tra i giovani svizzeri. Questi ultimi, in generale, sono maggiormente assenti nelle professioni del ramo impiegato/a d’albergo oppure nel settore del ricevimento, dove però si può attingere ai diplomati delle Scuole di commercio. Va ricordato che alla fine di un apprendistato AFC si ha diritto ad un salario minimo di 4’369 franchi lordi, e che un certo impegno e una predisposizione per le attività alberghiere garantiscono, solitamente, una veloce ed interessante carriera”.

Abitudini e aspettative dei clienti sono molto cambiate, l’innovazione nel vostro settore è al passo con questa trasformazione o ci sono margini per migliorare?

“Vi sono sempre margini di miglioramento. Le nuove generazioni di albergatori hanno ben compreso  che le strutture vanno rinnovate almeno ogni 10 / 15 anni. In passato s’ investiva e si pretendeva che la qualità dei materiali impiegati fosse impeccabile per i 30 anni successivi. La qualità era certo impeccabile, peccato però che il design e le mode non durassero quanto potevano durare invece quei materiali, si pensi, ad esempio, all’evoluzione degli arredi. I nostri clienti, oltre a venire in Ticino, sono soliti visitare altre destinazioni nel mondo. Sappiamo bene quanto manodopera e altri costi siano inferiori all’estero rispetto alla Svizzera. Per i nostri alberghi è dunque necessaria una marcia in più, destinando parte del ricavo a continui miglioramenti strutturali per restare attrattivi e competitivi. Non da ultimo, i rincari energetici sollecitano anche gli Albergatori ad adattarsi alle nuove tecnologie per contenere i costi”.

Il turista che viene in Ticino vuole trovare anche qui un ambiente dinamico e vivere un’esperienza emozionale che magari lo spingerà a ritornare. Oltre ad eventi e manifestazioni, vuole trovare i negozi aperti negli orari più comodi per lo shopping. Ma contro la possibilità di aprire mezz’ora in più e una domenica in più è stato lanciato un referendum. Che pensa di questa opposizione?

“Sembrerebbe che il Ticino in questo caso non riesca a vedere che abitudini e costumi evolvono in continuazione. Non ci sono solo i commercianti a lavorare di domenica o la sera, cosa che nel resto del mondo, ma spesso pure negli altri Cantoni, è abitudine consolidata da decenni. Anche il nostro ospite elvetico si aspetta più elasticità nei tempi e nei giorni di apertura dei negozi. Lo shopping non è l’ unico attrattore, ma è sicuramente una componente importante di un soggiorno vacanziero”.

Cosa manca alla nostra politica turistica?

“Il coraggio di osare di più fuori da schemi ormai datati, sia per i tempi che per usi e costumi. Il Ticino turistico è abituato ad accogliere gli ospiti prevalentemente da Pasqua a fine ottobre e pare non vedere il richiamo che arriva in particolare dal nostro mercato di riferimento: la Svizzera. Turisti elvetici che sempre più sono pronti a visitarci da novembre a marzo. Gli anni della pandemia hanno aiutato molto un primo sviluppo della destagionalizzazione, che sembra, però, aver coinvolto più i nostri ospiti, che non gli addetti ai lavori. È solo un primo passo perché è appunto una richiesta che arriva soprattutto dal consumatore, l’offerta, a parte il Luganese che ha pure grandi margini di miglioramento, invece non si è  ancora adeguata a questa nuova tendenza. Alcuni sembrano negarla o addirittura non vederla, nonostante l’aumento dei pernottamenti da gennaio a marzo, come si è visto nel 2022.

Un altro necessario rinnovamento riguarda il prodotto turistico che – ad eccezione di investimenti privati come il Fiore di Pietra, il Monte Tamaro, lo Splash & SPA, i Termali Salini o il famoso Ticino Ticket, voluto da me e dagli Albergatori che rappresento, e ottenuto grazie all’ottima collaborazione con il Consigliere di Stato Vitta e all’appoggio tecnico di Ticino Turismo -, non vede tra gli operatori un vero impegno nel proporre nuovi prodotti. Ogni anno c’è un fiorire di progetti anche interessanti, ma che per qualche strana ragione sono poi sommersi da critiche o liti da cortile, e alla fine spariscono in qualche cassetto”.

L’opinione puntuale

di Cristina Maderni, Vicepresidente Cc-Ti

La necessità di una riforma generale della fiscalità, programmata per il 2024, è evidente. Quali sono i punti su cui lavorare prioritariamente?

Il gruppo di lavoro creato dal DFE con la SUPSI ha identificato quattro assi principali, cioè l’imposizione del riscatto del capitale previdenziale, le deduzioni per le spese professionali, le imposte di successione e donazione, le aliquote massime dell’imposta sul reddito. Tutti i temi sono rilevanti, ma mi preme sottolineare in primis l’urgenza dell’intervento sulle imposte di successione e donazione, perché come sottolineato dall’iniziativa parlamentare da me presentata queste oggi ostacolano in maniera importante la successione aziendale, penalizzando pesantemente eventuali subentranti che non appartengono alla stretta cerchia familiare dei titolari dell’impresa. Questo è nocivo per l’economia e tutto il territorio, perché si perdono aziende e competenze.

Vi è la stessa urgenza per i residenti più facoltosi?

Sicuramente, anche perché va sottolineato che l’1% dei contribuenti (2’000 persone fisiche) versa circa il 33% del gettito fiscale totale. Pochi che pagano molto smentisce la tesi che non vi sia redistribuzione e al contempo costituisce un rischio sistemico, perché anche solo qualche partenza di simili contribuenti ha effetti immediati sulle risorse che vengono messe a disposizione dello Stato. Va da sé, che anche l’alleggerimento dell’imposizione del riscatto del capitale previdenziale, fra le più alte in Svizzera, aiuterebbe a mantenere in Ticino molti contribuenti che passano al beneficio della pensione.

Perché è importante che la riforma fiscale già approvata dal popolo entri in vigore senza riserve nel 2025?

Il discorso è simile a quello per le persone facoltose. Poche aziende pagano la maggior parte delle imposte. In effetti, 1’000 aziende versano circa il 75% del gettito totale e 270 aziende garantiscono ben il 63% dei ricavi dell’imposta sul capitale. Numeri che parlano chiaro: il sistema da questo punto di vista è fragile e va corretto per dargli stabilità e questo passa attraverso condizioni concorrenziali. Facile ridistribuire la ricchezza quando c’è, occorre anche fare sforzi non solo per produrla ma anche per mantenerla.

Fiscalità: numeri e fatti

Con questo ritmo di spesa è evidente che non ci sono imposte e tasse che bastano

La realtà economica e sociale subisce cambiamenti sempre più veloci e non solo a causa di eventi eccezionali come la pandemia. La fiscalità non fa eccezione, visto che essa deve, o dovrebbe, adattarsi all’evoluzione del contesto generale. Tuttavia, la discussione concernente le imposte (e, in parte, anche le tasse) è spesso bloccata da confronti più di stampo ideologico che concreto e pragmatico, il che ovviamente non facilita le riforme. Anche nella nostra realtà cantonale il tema appare spesso come un tabù, sul quale scontrarsi più che confrontarsi. Peccato, perché si perdono molte occasioni favorevoli di mantenere attrattivo il nostro territorio, con benefici per tutta la popolazione. Non è quindi purtroppo un caso se il Ticino oggi, nel confronto intercantonale, occupa una posizione decisamente scomoda, collocandosi fra i cantoni più esosi e meno concorrenziali per l’imposizione sulle imprese e gli alti redditi delle persone fisiche. Non a caso, è molto attesa e di fondamentale importanza la scadenza del 2025, quando l’aliquota sugli utili delle persone giuridiche dovrebbe scendere dall’8% al 5,5%, secondo quanto già deciso dal popolo.

Cristina Maderni, Vicepresidente Cc-Ti

Mutamenti rapidi del contesto nazionale e internazionale per l’imposizione delle aziende

Il Ticino, fino alla metà degli anni Novanta, “vantava” un peso fiscale
su cittadine e cittadini e aziende ben al di sopra della media nazionale.
La tendenza è stata invertita, arrivando a competere con cantoni come Zugo e Svitto. Con una fiscalità più equa, si era arrivati a pagare il 36,7% in meno d’imposte rispetto alla media nazionale. Poi altri cantoni si sono mossi più rapidamente, non in una corsa al ribasso, ma all’efficienza. Tanto che il nostro sistema fiscale cantonale ha vieppiù perso attrattività, come evidenziato da un’analisi, riferita al 2021, del Centro di competenza tributarie della SUPSI. Che ha messo in evidenza come il nostro ordinamento tributario sia rimasto fermo al palo, non più in grado di stare al passo con la concorrenza degli altri Cantoni.

Per le aziende ci ritroviamo al 24esimo posto e malgrado la diminuzione dell’aliquota sull’utile dal 9% all’8%, in vigore dal 2020, nella graduatoria generale la posizione del Ticino non è migliorata, poiché quasi tutti gli altri Cantoni nel frattempo hanno messo in campo nuove riforme. Nel 2025, quando l’aliquota sarà abbassata al 5,5%, saremo solo attorno al ventesimo posto, restando di fatto tra le regioni fiscalmente poco attrattive. Né va dimenticato che questo abbassamento di aliquota è stato accompagnato da nuovi prelievi sociali sulle aziende. Del resto, secondo un recente report della società di consulenza KPMG, nel 2022 con un tasso del 19,2% il Ticino è, assieme a Berna (21%) e Zurigo (19,7%), tra i Cantoni che tassano maggiormente le aziende; mentre Zugo (11,9%), Nidvaldo (12%) e Lucerna (12,2%) sono quelli dove si registra l’imposizione più bassa, senza che questi abbiano a registrare sconquassi sociali.

Questo è anche il risultato di discussioni troppo ideologizzate, poco aderenti ai fatti. In altri Paesi e in alcuni Cantoni anche gli schieramenti meno inclini alle riduzioni di imposte hanno spesso sostenuto una fiscalità meno oppressiva. Staccandosi quindi dal dogma degli alleggerimenti fiscali che arricchiscono le imprese e svuotano le casse dello Stato. Per confutare tale tesi, basta considerare persino i più decisi tagli alle imposte fatti in passato in Ticino, che pur riducendo la pressione fiscale mediamente del 30%, innescarono un aumento del gettito delle persone giuridiche del 39%.

Andrea Gehri, Presidente Cc-Ti

Persone fisiche e alti redditi

Per le persone fisiche veleggiamo a metà classifica nel contesto nazionale, ma solo come media. Sui redditi alti siamo assai poco attrattivi, visto che per questa categoria ci attestiamo al 22° posto della classifica intercantonale, tenendo conto dell’imposizione comunale e cantonale. Considerando anche l’imposta federale diretta, il prelievo fiscale massimo in Ticino ascende al 40.6%, quasi il doppio di quello di Zugo (22.4%) e poco lontano dal cantone più esoso, cioè Ginevra (45%). Questo elemento concernente le persone fisiche più abbienti, non necessariamente milionari, va visto anche nell’ottica dell’imminente voto del prossimo mese di giugno, quando saremo chiamati ad approvare il nuovo sistema fiscale voluto a livello internazionale che prevede un’aliquota minima del 15% per le imprese. Il Ticino, con la parte di revisione del sistema fiscale che entrerà definitivamente in vigore nel 2025 sarà allineato su questo livello. Ma quale è il nesso con le persone definite “facoltose”? Semplice, con una parziale armonizzazione delle aliquote fiscali, la concorrenza fiscale si sposterà almeno in parte sulle aliquote delle persone fisiche, in altre parole soprattutto su imprenditori e dirigenti con redditi alti e medio alti. Un’imposizione pesante su queste figure, che già oggi tendono a lasciare il Ticino verso altri cantoni più attrattivi, ha indubbiamente un effetto dissuasivo anche per l’insediamento o la permanenza di imprese dirette o gestite da dirigenti e manager con qualifiche e stipendi elevati. Parliamo anche di imprenditori e manager ticinesi, non solo stranieri. Il rischio non solo di perdita di entrate fiscali, ma anche di impoverimento del tessuto economico è concreto.

Chi svuota davvero le casse del Cantone

L’evoluzione dell’onere fiscale e del gettito sull’arco dell’ultimo quindicennio indica che a svuotare le casse cantonali non sono le riforme fiscali, ma soprattutto l’aumento della spesa pubblica, balzata dai 2’893 milioni spesi nel 2006 ai 4’218 milioni del 2021. Con questo ritmo di spesa è evidente che non ci sono imposte e tasse che bastano. Del resto, rispetto alla fine degli anni ’90, il gettito annuale è aumentato di 439 milioni. Il che smentisce il mantra degli sgravi che avrebbero dissanguato l’erario, quando in realtà hanno fatto crescere, e non diminuire, il gettito fiscale.

Dal 2005 al 2019 le imposte prelevate dal Cantone sulle persone fisiche sono cresciute del 52%, quelle sulle persone giuridiche del 37%, mentre le tasse hanno registrato un’impennata del 45%. Un carico fiscale che ha impoverito i cittadini e sottratto sostanziose risorse alle imprese. Quello delle tasse è un tema che
purtroppo nel dibattito sul carico fiscale resta solitamente sottotraccia e che meriterebbe invece più attenzione, vista la crescita esponenziale delle tasse esistenti e la creazione di nuovi balzelli. Nel 2005 le tasse fruttavano alle casse cantonali 190 milioni e nel 2019 si è passati a circa 270 milioni.


La nuova GMDSI a difesa della Svizzera italiana nelle comande militari

Si è presentata in data 13 febbraio 2023 ai media la neonata associazione “Gruppo materiale difesa e sicurezza della Svizzera italiana (GMDSI)”.

Associazione senza scopo di lucro, il GDMSI si propone di unire le forze dell’industria ticinese attiva in questo settore, per rafforzarne l’immagine, difenderne gli interessi presso le istituzioni e promuoverne la partecipazione alle operazioni di compensazione (i cosiddetti “offset”) degli acquisti militari svizzeri.

Come noto infatti, per ogni grande acquisto di nuovi sistemi d’arma esteri (in particolare di questi tempi nell’aviazione e nella difesa contraerea) i contratti prevedono degli acquisti di compensazione in Svizzera (sia diretti che indiretti, ovvero materiale militare, duale o anche puramente civile) che per legge devono essere ripartiti equamente fra le regioni linguistiche del paese.

Le aziende della Svizzera italiana, tuttavia, o non partecipano alle gare perché poco informate, o vengono regolarmente dimenticate da Berna in questa ripartizione, benché la relativa legge federale preveda che di regola il 5% della spesa debba giungere nella nostra regione.

Per questo motivo, un primo gruppo di aziende si è riunito in un comitato promotore che ha lanciato la neonata associazione, auspicando che nei prossimi mesi parecchie altre aziende interessate si uniscano a questo progetto.

Obiettivo primo è quello della circolazione dell’informazione – tutti i soci devono essere costantemente al corrente di quanto bolle in pentola in questo settore – del sostegno tecnico nelle gare di appalti e del lobbying presso le istituzioni nazionali.

Presieduto dall’on. Filippo Lombardi, il GMDSI può contare sull’appoggio del Dipartimento delle Istituzioni del Cantone Ticino, il cui sostegno è stato espresso in Conferenza stampa dal direttore On. Norman Gobbi, e della Camera di Commercio Cantone Ticino, per la quale ha preso la parola il direttore Luca Albertoni. Il segretario generale dell’Associazione è assunto dalla Swiss Communication Agency, nella persona della sig.ra Maria Luisa Bernini.

L’obiettivo è chiaro: unire gli sforzi per portare in Svizzera italiana contratti di fornitura, difendendo le capacità tecnologiche e soprattutto i posti di lavoro della regione.


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Inchiesta tematica di formazione nella logistica

La Cc-Ti si impegna, da sempre, nell’ambito della formazione.

La logistica è un tema molto importante per le aziende e stiamo pensando di ampliare la nostra offerta formativa di lunga durata su questo tema.

Tramite questo link potete accedere a un’inchiesta per l’identificazione delle esigenze e necessità presenti nel settore della logistica. Il sondaggio durerà al massimo 2-3 minuti. Saremmo lieti di ricevere un vostro riscontro entro fine febbraio 2023.

NEW Podcast

Luca Albertoni, Dir. Cc-Ti, Tagesgespräch DRS, 6.2.2023

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Riscopri e ascolta Rock Economy Cc-Ti

La manodopera è strategica

Intervista a Cristina Maderni, Vice Presidente Cc-Ti

Cosa perseguite con questo monitoraggio sulla manodopera?

Come associazione-mantello dell’economia ticinese abbiamo il compito di avere una visione generale su tutti i settori che compongono la nostra economia. La questione della manodopera è centrale, per cui vogliamo dare un impulso a una discussione costruttiva, raccogliendo gli elementi che giungono dai vari settori. Questo permette di capire dove sono i maggiori punti deboli e quali sono le varie esigenze, spesso molto diverse fra le varie categorie.

Come intendete usare questi dati?

Molti chiedono allo Stato di intervenire, ma senza indicazioni precise. Il nostro approccio è diverso, come sempre. Cerchiamo prima di individuare il problema, capire quale può essere il nostro ruolo per contribuire a risolverlo e proporre vie d’uscita concrete e percorribili, attuate dal privato e/o in collaborazione con l’autorità statale. La questione della manodopera è strettamente legata alla formazione ed è certamente strategica per il paese.

Il Ticino è messo peggio di altri cantoni?

No, assolutamente. I rilevamenti che effettuiamo a scadenze regolari con le altre Camere svizzere ci mostrano ormai da anni che marciamo in parallelo e che la penuria di manodopera è una costante in tutti i cantoni. Poi vi sono differenze legate ai rispettivi tessuti economici, ma ciò non toglie che “siamo tutti sulla stessa barca”. Non è un caso che talune soluzioni andrebbero cercate anche in collaborazione con altri cantoni, al di là delle barriere linguistiche, comunque sempre meno rilevanti in molti settori.

Risultati inchiesta congiunturale 2022-2023

2022 tutto sommato positivo per le aziende ticinesi, le incertezze inducono a previsioni meno favorevoli per il 2023.

Sulla base dell’annuale inchiesta congiunturale condotta presso i soci della Cc-Ti, alla quale hanno partecipato 247 aziende, l’anno 2022 è stato in generale di segno tutto sommato positivo per le imprese ticinesi, malgrado le crescenti difficoltà legate ai costi dell’energia, alle reperibilità e ai prezzi delle materie prime e, per le aziende esportatrici, alla forza del franco. Difficoltà che per talune aziende raggiungono livelli anche molto preoccupanti.

Fra i parametri più importanti, va rilevato che il livello degli investimenti, è rimasto buono nel 2022 e sembra stabile anche nel 2023, con il 44% delle aziende che ha investito e intende investire. Il valore è leggermente superiore ai due anni precedenti caratterizzati dalle note difficoltà causate dalla pandemia. Soprattutto nel settore industriale/artigianale vi è stato un incremento dal 61 al 67% delle imprese che hanno investito o che investiranno.

L’autofinanziamento è rimasto costante, con il 33% delle aziende che lo considera buono e il 37% soddisfacente, valori praticamente invariati rispetto agli anni passati.

Preoccupa comunque in prospettiva la costante riduzione dei margini di utile, in atto già da qualche anno, e che potrebbe portare a medio termine ad una perdita di competitività e quindi avere anche con riflessi sull’occupazione, che per il momento si conferma stabile.

Le previsioni per il 2023 indicano un andamento un po’ meno positivo, considerate le molte incertezze nel panorama internazionale.   Rispetto al 2022, anno considerato buono dal 36% delle imprese, si passa al 32% di andamento buono previsto per il primo semestre 2023 e al 28% per il secondo semestre del 2023. In generale gli indicatori restano su livelli considerati soddisfacenti, ma prevale comunque l’attesa di una certa flessione nel 2023 qualora si confermassero le difficoltà con le materie prime e nell’ambito dell’energia. In effetti, ben il 74% delle aziende segnala aumenti del costo dell’elettricità di oltre il 10% nel 2023. Malgrado praticamente tutte le aziende che si sono espresse abbiano previsto misure per ridurre i costi energetici, i timori di dover sospendere almeno parzialmente la produzione sono considerevoli, con conseguenze importanti sulle forniture, sui prezzi, sui margini e sugli investimenti. A questo proposito, grazie alla collaborazione con Enerti SA, la società delle aziende di distribuzione di energia elettrica in Ticino, le imprese possono avere la possibilità di ottenere modelli tariffali con prezzi bloccati per un determinato periodo. L’andamento 2022 e le previsioni 2023 sono perfettamente in linea con quanto rilevato negli altri Cantoni.


1.         Andamento generale degli affari

L’andamento generale degli affari nel 2022 è risultato di segno positivo, sostanzialmente confermando le aspettative espresse nel 2021, con un recupero rispetto ai due anni caratterizzati dalla pandemia di Covid. Il 77% delle imprese ha valutato in maniera favorevole l’andamento degli affari nello scorso anno (soddisfacente per il 41% delle aziende, buono per il 36%). Le tendenze sono simili per le aziende esportatrici (soddisfacente per il 42% e buono per il 38%), malgrado le note difficoltà a livello internazionale.

Per quel che riguarda le previsioni sull’andamento degli affari a breve termine, cioè̀ per i prossimi 6 mesi, la tendenza è invece in calo. Prevale una certa positività, ma un buon andamento degli affari è in calo e previsto dal 32% delle aziende (41% lo valuta soddisfacente, mentre il trend negativo/mediocre passa dall’attuale 21% al 25%).

Per il secondo semestre del 2023, le previsioni sono di un’evoluzione soddisfacente per il 46% delle aziende, ma le previsioni di andamento buono scendono ulteriormente al 28%. Il segno negativo concerne il 25% delle imprese, anche se un andamento pessimo è segnalato “solo” dal 5-6% delle risposte.

2.         Margine di autofinanziamento delle imprese

Come sempre, particolare attenzione viene data ai valori espressi quanto al margine di autofinanziamento delle aziende, perché si tratta di un indicatore importante del loro stato di salute. Il valore resta costante con il 70% delle imprese che giudica positivamente il margine di autofinanziamento (37% soddisfacente, 33% buono) e la conferma di questa tendenza è un indicatore importante della capacità competitiva del nostro sistema.

3.         Investimenti

Riflessi della situazione pandemica e dell’incertezza generale si notano negli investimenti. Pur rimanendo il livello molto buono, anche se paragonato agli altri cantoni, si nota una certa flessione. Il 44% delle aziende ha investito (come termine di paragone vi sono il 2018 con il 50% e il 2019 con il 46%). Si conferma comunque, senza sorprese, che la quota maggiore di investimenti è nel settore industriale (67% delle aziende ha investito) e nella categoria delle aziende grandi (con oltre 100 dipendenti), nella quale il 77% delle imprese ha effettuato investimenti.  

Il calo è tutto sommato entro limiti fisiologici date le molte incertezze di questi ultimi anni, legate soprattutto agli effetti della pandemia anche sulle supply chain, alla difficile reperibilità delle materie prime e ai loro prezzi, così come gli aumenti dei costi dell’energia.

Per il 2023 il valore di chi prevede investimenti è invariato (44%), di per sé fatto rassicurante, visto che d’altra parte si prevede un rallentamento congiunturale.

4.         Attenzione verso l’occupazione

Come negli anni scorsi, l’attenzione verso l’occupazione è confermata anche nel 2022 con una sostanziale stabilità dell’effettivo espressa dal 63% delle aziende. Un aumento è segnalato dal 24% e una diminuzione dal 13%, in linea con quanto sempre rilevato. Malgrado le difficoltà e le incertezze di vario genere, l’occupazione non ha subito contraccolpi. Dato interessante è che, anche qui, nonostante vi siano aumenti di costi (v. energia) e altre problematiche non da poco, ben il 72% prevede una stabilità dell’effettivo per il 2023 e solo il 7% stima che vi possa essere una diminuzione.

5.         Problematica dell’energia

Una delle domande dell’inchiesta verteva sulla questione energetica. In termini di consumi, il 52% delle aziende risulta essere sotto i 100 Mwh/anno di consumo all’anno, il 29% fra i 100 e i 500 Mwh/anno e il 19% sopra i 500 Mwh/anno. Nel settore industriale/artigianale e per le aziende oltre i 30 collaboratori, senza sorprese, aumenta la proporzione di chi consuma oltre i 100 Mwh/anno.

L’aumento dei costi tocca praticamente quasi tutti, in proporzioni diverse, Ben il 17% delle risposte indica un aumento di oltre il 50%, valore che sale al 29% delle risposte per il settore secondario e raggiunge picchi del 33% delle risposte per le aziende più grandi.

Interessante notare che i vettori energetici più utilizzati quali l’elettricità (40%), il gas (34%) e il gasolio (38%), anche se va rilevato che spesso le aziende usano più vettori contemporaneamente.

Fra le misure prese per cercare di contenere i costi (risposte multiple possibili), figurano la negoziazione del prezzo con i fornitori (24%), l’autoproduzione (21%), il miglioramento dei processi (34%), l’adattamento dell’illuminazione (57%), del riscaldamento (19%). Oltre a misure varie (21%). È molto basso il numero di aziende che NON hanno preso alcuna misura (25 sulle 247 che hanno partecipato).

In caso di limitazione dell’approvvigionamento energetico (elettricità o altro), l’8% delle aziende prevede di sospendere completamente l’attività, una sospensione parziale è prevista dal 39% e il telelavoro è un’alternativa per il 51% (con ovviamente una proporzione molto maggiore nei servizi rispetto al settore secondario). Comportamenti anticipatori sono la modifica della fonte di approvvigionamento usata finora (8%), un piano di continuità (21%) e le istruzioni date dalle autorità (79%).

6.         Difficoltà di approvvigionamento di materie prime

La percentuale rispetto allo scorso anno è chiaramente aumentata da circa il 30% al 44%. Con un picco del 71% per le aziende del secondario (industria/artigianato), mentre per servizi e commercio la percentuale si inverte.

Le conseguenze sono molteplici: ritardo di forniture (85%), aumento dei prezzi di acquisto (81%), aumento dei costi di trasporto (59%), riduzione dei margini (56%), rallentamento dell’attività (48%) e la sospensione o lo spostamento di progetti (28%).

Le misure prese vanno dalla ripercussione sui prezzi di vendita (60%), all’utilizzo di materiale sostitutivi (26%), passando per la diminuzione della produzione (14%) e la rinegoziazione di contratti (24%). Per arrivare alla diversificazione dei fornitori (53%) e all’aumento degli stock (41%). Solo il 6% segnala la possibilità di ricorrere al lavoro ridotto per parte del personale.

I prezzi delle componenti sono aumentati praticamente per tutti, fino al 10% per il 50% delle imprese, per le restanti gli aumenti variano dall’11 al 100% e oltre. In media, per il 2023, sono previsti aumenti dello stesso tenore, con un 46% che rileva un incremento fra l’11 e il 50%.

Hanno partecipato all’inchiesta 247 imprese associate alla Cc-Ti, che impiegano in tutto 14’470 dipendenti nel cantone.

Si tratta di 83 aziende del settore industria-artigianato e di 164 del comparto commercio e servizi.       
Un campione di aziende consolidato da un rilevamento che si svolge ormai da oltre dieci anni, per cui i risultati sono da considerarsi attendibili e, inoltre, le tendenze che emergono sono sempre confermate da altre ricerche congiunturali condotte da istituti federali e cantonali e dai dati ufficiali.

L’indagine della Cc-Ti, che ha coinvolto 143 realtà̀ aziendali che operano sul mercato interno e altre 104 orientate invece all’export, mira appunto a fornire indicazioni sulle tendenze generali dell’economia ticinese, senza volersi sostituire ad analisi più mirate effettuate da singoli settori economici.

L’inchiesta è stata condotta unitamente alle Camere di commercio e dell’industria di Friborgo, Ginevra, Giura, Neuchâtel, Vaud e Vallese.Le Camere di commercio e dell’industria della Svizzera tedesca operano individualmente, ma seguendo lo stesso schema.


Link ai risultati delle Camere degli altri Cantoni che hanno condotto l’inchiesta comune (alcuni dati sono accessibili solo ai soci delle rispettive Camere)

VD:      www.cvci.ch/fr/conjoncture/actualites/details/news/un-bilan-economique-2022-positif-laisse-place-a-davantage-dincertitudes-pour-2023-notamment-sur-le-front-de-lelectricite.html

JU:      www.ccij.ch/News/Enquete-conjoncturelle-dautomne-2022-la-confiance-predomine-malgre-tout-

NE:      www.rtn.ch/rtn/Actualite/Region/20221024-L-economie-neuchateloise-tient-le-coup-mais-2023-sera-difficile.html

FR:      www.laliberte.ch/info-regionale/economie/l-industrie-fribourgeoise-s-attend-a-une-degradation-des-conditions-economiques-666190

GE:      www.ccig.ch/blog/2022/11/Une-belle-annee-2022-mais-perspectives-plus-compliquees

Inchieste condotte da altre Camere di commercio e dell’industria svizzere con i propri associati

BS/BL: ww.hkbb.ch/Stimmungsbarometer/Stimmungsbarometer_Herbst_2022.php

Svizzera orientale (SG, TG, AI, AR): www.konjunkturboard.ch/ostschweizer-wirtschaft-weiter-guter-verfassung-%E2%80%93-kommt-die-wirtschaftliche-abk%C3%BChlung-0

ZH: www.zhk.ch/de/wirtschaft-und-politik/konjunktur-und-wachstum/zuercher-wirtschaftslage-bleibt-erfreulich.html

Alcune Camere di commercio e dell’industria si basano di regola sui rapporti degli Uffici cantonali di statistica oppure su valutazioni del KOF.


Materiale informativo


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