La certezza dell’incertezza

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

In questi giorni tutti i commentatori cantonali, nazionali e internazionali si sono espressi in modo più o meno compiuto sul Brexit, senza però poter dare risposte concrete, semplicemente perché nessuno, nemmeno i britannici, sa cosa succederà veramente, secondo quali modalità e con quali conseguenze.

Tra chi esulta perché pensa di trovare nella Gran Bretagna un alquanto improbabile alleato della Svizzera nello smantellamento dell’Unione europea e chi invece parla esageratamente di tragedia, l’unica cosa certa è l’incertezza che regna attualmente e che rischia di contraddistinguere la vita economica, politica e sociale dei prossimi mesi e anni. L’elemento concreto di questi giorni per la Svizzera e il Ticino è il prevedibile rafforzamento del franco contro il quale la Banca nazionale svizzera è già entrata in campo, anche se non è ancora determinabile se tale rafforzamento sia frutto di una reazione a caldo che si esaurirà entro qualche giorno oppure se sarà una costante di lunga durata. Con tutte le relative conseguenze non rallegranti per la nostra industria dell’esportazione. Anche qui, come dicevo, l’incertezza la fa da padrona. E sappiamo tutti che per l’economia uno dei veleni peggiori è proprio l’instabilità dovuta alle situazioni in cui non ci sono punti di riferimento affidabili, stabili e in una certa misura prevedibili.
È quindi soprattutto da questa constatazione che la Svizzera deve ripartire, perché negli ultimi anni non abbiamo certo brillato quanto a valorizzazione dei nostri vantaggi competitivi. Anzi. Si susseguono a ritmo incessante praticamente ogni tre mesi votazioni su proposte di ogni genere, a volte fantasiose e nemmeno troppo elaborate (se pensiamo a quella del reddito di base incondizionato). Proposte che, anche se non accolte in votazione popolare, hanno l’effetto potente di creare diffidenza verso il sistema e fragilizzarlo agli occhi di chi vuole investire in attività aziendali e quindi creare ricchezza. Rimettere in discussione incessantemente e senza una reale necessità i funzionanti capisaldi elvetici è un gioco assai pericoloso di cui purtroppo molti sembrano non accorgersi. Dando quindi la sensazione che anche noi, come molti altri paesi, giochiamo con le regole, cambiandole a piacimento e togliendo punti di riferimento. Occorrerebbe pertanto una maggiore moderazione.
Non si tratta di mettere la museruola ai sacrosanti diritti della democrazia diretta, ma di chiedere maggiore responsabilità alla politica per concentrarsi sull’essenziale, senza voli pindarici verso orizzonti ideali ma poco reali. Non mi sembra una richiesta eccessiva. Se la Svizzera vuole avere qualche carta da giocare per approfittare del Brexit, non potrà certo seguire i superficiali tuttologi che decantano questa occasione irripetibile, salvo poi tenere nel quotidiano un comportamento contrario fatto delle più disparate iniziative volte a imbrigliare e punire le aziende in nome di un’astratta necessità di moralizzazione. Irrigidendo al contempo inutilmente il meccanismo svizzero, per scimmiottare sciaguratamente paesi a noi vicini che con l’iper-regolamentazione si sono rovinati in modo quasi irreversibile.
Ecco, se almeno per qualche tempo ci limitassimo a correggere le sbavature senza particolari stravolgimenti, anche nell’ottica del Brexit e dei rapporti con l’UE faremmo un lavoro più efficace rispetto alla ricerca di illusorie alleanze e azzardate strategie sulla cui efficacia si possono formulare solo vaghe ipotesi. Diamo stabilità e certezze a chi crea la ricchezza e ne guadagnerà tutto il paese. In fondo, non è un compito così difficile.

Tigri, mucche e cavalli

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

“Alcune persone vedono un’impresa privata come una tigre feroce da uccidere subito, altri come una mucca da mungere, pochissimi la vedono com’è in realtà: un robusto cavallo che traina un carro molto pesante”.

Questa citazione di Winston Churchill è quanto mai d’attualità, un po’ a tutti i livelli, Ticino incluso. Peccato, perché questo, oltre che a essere scorretto, impedisce anche un sano e schietto confronto sul ruolo delle aziende e sulle cose che non vanno. Sì, perché difetti, scorrettezze, comportamenti poco etici, ecc. sono una realtà che si ritrova anche nel mondo imprenditoriale. Alla stessa stregua di quanto si riscontra fra i politici, fra i funzionari, fra le lavoratrici e i lavoratori e via dicendo. Nessuno escluso. Semplicemente perché vi è sempre la componente umana che, come noto, per natura è fallibile, anche se qualche politico illuminato pensa di non esserlo e di essere depositario della verità assoluta o addirittura del dogma dell’infallibilità un tempo riservato ai papi. Non deve quindi stupire che poi la “discussione” si riduca a scontro fra fazioni e alla fine è sempre colpa delle aziende. Un po’ come quando il calciatore inglese Gary Lineker diceva che “il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince. Ecco, l’impressione oggi è che il grande gioco della politica sia molto semplice, un colpo di clava a destra, una sferzata di scimitarra a sinistra, soluzioni facili e preconfezionate (che siano inapplicabili non interessa a nessuno) e alla fine pagano le aziende (spesso non solo finanziariamente).

Esagero? Forse. Certamente sono di parte, ma almeno è chiaro cosa e chi rappresento e non mi nascondo dietro presunti interessi supremi per raccogliere facilmente qualche voto, fingendo di essere quello che non sono. Detto questo, non posso evidentemente esimermi dal portare qualche esempio concreto di approccio poco simpatico nei confronti delle imprese. Ho già ripetutamente parlato dell’esempio dello “Swissness”, per cui questa volta scelgo un’altra perla, che comunque è pure legata alla svizzerità e in particolare al settore alimentare. Lo scorso anno è stato varato dal Consiglio federale un ambizioso progetto denominato “Largo” (poi capirete perché), con l’ambizione di rivedere tutto il diritto federale sulle derrate alimentari. Già complesso fino alla revisione, ancora meno digeribile (visto che parliamo di alimentari) dopo la prevista revisione. Qualche cifra: 16 centimetri di altezza del dossier (misura media in altri ambiti ma ragguardevole per i faldoni…), 4 ordinanze del Consiglio federale, 22 ordinanze del Dipartimento degli interni e 1 ordinanza dell’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria. Per un totale di 27 ordinanze, 2’080 pagine complessive e più di 200 pagine di spiegazioni necessarie in sede di consultazione. A voler essere positivi, si può rilevare che finora le ordinanze erano 28, per cui qualcuno potrebbe parlare di liberalizzazione selvaggia visto che una manca tragicamente all’appello. Visti i numeri, tuttavia, il nome “Largo” sembra quindi particolarmente azzeccato. Da aggiungere, fatto quasi irrilevante, che per gestire questa nuova situazione servirebbero 9 nuovi funzionari federali. Ah è vero, è lo Stato che crea lavoro, non le aziende. Comunque, al di là delle cifre, del fatto che oggi probabilmente tutto è diventato più complicato e che le esigenze di sicurezza alimentare sono diventate tali che se bevo 15 caffè ho il diritto di esigere che non mi bruci lo stomaco, qualche domanda è giusto porsela.

Una revisione del diritto applicabile è probabilmente necessaria, dati i molti mutamenti del contesto generale. Fa però riflettere che ancora una volta la Svizzera abbia voluto dare prova di zelo eccessivo. Ispirata dalla decisione dell’Unione Europea secondo cui nelle carte del menu dei ristoranti devono essere indicati gli ingredienti delle pietanze, il nostro Paese ha previsto, of course, di essere ancora più restrittivo. A parte il fatto che rischiamo di ritrovarci con menu di 500 pagine per cui bambini, malati e anziani non potranno più sfogliarli perché non abbastanza forzuti, il messaggio è chiaro: dei ristoratori e in generale di chi lavora con gli alimentari non ci si può fidare perché hanno il vizietto di avvelenare la gente ed è molto meno pericoloso maneggiare l’uranio o il plutonio che una bistecca o una ciabatta (intesa nel senso del pane). La consultazione di un menu al ristorante, oltre che fisicamente impegnativa, rischia di diventare appassionante come la lettura dei fogli illustrativi dei medicamenti, con centinaia di controindicazioni.
L’obbligo di indicazione, senza riserve, del Paese di produzione dei generi alimentari e di tutte le materie prime utilizzate nei menu e nelle vetrine espositive suona francamente un po’ come un’esagerazione. Certo, si tirerà in ballo la sacrosanta sicurezza alimentare e il fatto che negli Stati Uniti quando si mangia un rib-eye ci si sottopone automaticamente anche ad una massiccia cura di antibiotici. Fatti di cui tenere conto, ma armonizzare il nostro diritto con quello della protezione dei consumatori dell’UE rendendolo ancora più severo di quest’ultimo (e comunque l’UE in fatto di severità non scherza) non sembra una scelta molto azzeccata. Tanto che durante la procedura di consultazione del progetto “Largo” non vi è stata una levata di scudi solo degli ambienti economici, ma anche i Cantoni hanno segnalato qualche problemino. Fra cui anche il Ticino, che ha sottolineato l’importante conseguenza dal punto di vista dei costi smisurati del nuovo sistema previsto, tanto per i Cantoni che per l’economia (il documento è consultabile sul sito www.blv.admin.ch).

Insomma, regole più severe, complesse e costose. Vero che la salute non ha prezzo, ma anche l’accanimento terapeutico non è che sia il massimo. Quello che stupisce è che la proposta di revisione, originata dall’approvazione il 20 giugno 2014 della nuova legge sulle derrate alimentari da parte del Parlamento federale, non in sia in qualche modo stata concertata con le cerchie interessate, sollevando un gran polverone con una procedura di consultazione molto tecnica e complicata. Piccola consolazione è che per il momento il progetto sembra bloccato in vista di una rivisitazione più sostenibile. Almeno la consultazione è servita a questo, fatto non scontato, perché capita spesso che le opinioni espresse dall’economia, soprattutto a livello cantonale, non vengano nemmeno prese in considerazione. Non sono certo premesse ideali per cercare di costruire un patto di Paese come, giustamente, invocato da più parti.

Truffa con finte offerte di lavoro a nome Cc-Ti

Attenzione! Vi è una manovra fraudolenta in atto, che utilizza il nome della nostra Camera.

Si propongono posti di lavoro inesistenti, facendo riferimento a un nostro fantomatico Ufficio di collocamento. Si è invitati a cliccare sul seguente link: www.ccisweb.com, che dirige verso informazioni ufficiali, salvo poi essere obbligati a chiamare un numero in Cechia e a versare soldi in anticipo. Ovviamente soldi che spariranno. Anche la mail (info@ccis-ticino.com) indicata per i contatti non ha alcun legame con la Cc-Ti.
Eventuali abusi possono esserci segnalati a: info@cc-ti.ch

Votazioni del 5 giugno: raccomandazioni di voto

Il popolo svizzero e ticinese sarà chiamato alle urne per decidere se accettare o meno delle proposte e cambiamenti a riguardo di diversi temi. Per questo crediamo sia utile fare un punto della situazione a riguardo, riassumendo quanto andremo a votare, e ribadire la nostra posizione sui vari oggetti in votazione.

Temi federali

Iniziativa popolare del 4 ottobre 2013
«Per un reddito di base incondizionato»
NO

Iniziativa popolare del 30 maggio 2013
«A favore del servizio pubblico»
NO

Iniziativa popolare del 10 marzo 2014
«Per un equo finanziamento dei trasporti»

Modifica del 12 dicembre 2014 della legge federale
concernente la procreazione con assistenza medica

Modifica del 25 settembre 2015 della legge sull’asilo
LIBERTÀ DI VOTO

Temi cantonali

Modifica delle legge sui trasporti pubblici (tassa di collegamento)
NO

Iniziativa generica dell’MPS “Ospedali per tutti”
NO

Iniziativa popolare “Rafforziamo la scuola media”
NO

Modifica delle legge sull’Ente ospedaliero cantonale

Speciale votazioni: NO alla modifica della legge sui trasporti pubblici

Il prossimo 5 giugno 2016 il popolo ticinese sarà chiamato alle urne per un corposo giro di decisioni, voteremo infatti su ben 4 temi cantonali e 5 federali.

Tra i temi cantonali spicca la Modifica della legge sui trasporti pubblici dove la Cc-Ti raccomanda di esprimersi con un NO per i motivi che potete approfondire leggendo i documenti scaricabili qui sotto e visitanto il sito internet www.no-alla-tassa-sui-parcheggi.ch

NO ad una nuova tassa a carico dei ticinesi contro:

  • chi usa l’automobile
  • chi lavora
  • chi fa la spesa

No ad una nuova tassa che:

  • non risolve i problemi del traffico
  • penalizza i collaboratori delle aziende
  • Incentiva gli acquisti oltre confine mettendo ancora di più sotto pressione il nostro commercio

L’economia è a favore della riduzione del traffico ma non in questo modo.  Leggendo l’approfondimento di Ticino Business potete scoprire perchè non si è a favore e con quali serie motivazioni.

Scaricare il dossier di TB

Sharing economy e digitalizzazione: non solo rischi

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Da qualche mese stiamo affrontando con particolare attenzione e vari approfondimenti i temi dell’economia condivisa e della digitalizzazione, per certi versi legati se pensiamo a come la digitalizzazione (vedi ad esempio le applicazioni per i telefoni) faciliti lo sviluppo di determinati fenomeni di sharing economy (Uber su tutti).

Ovviamente entrambi i temi hanno risvolti molto diversificati e ben più ampi, ma sono accomunati da una sola grande paura, quella della sostituzione dell’essere umano soprattutto nel settore industriale a causa della robotizzazione e quella della sostituzione di professioni o settori “tradizionali” e ben consolidati sul territorio, come possono essere i servizi di taxi o l’albergheria. Timori legittimi e comprensibili, che vanno affrontati con serietà, perché quando ci sono in ballo i destini economici e quindi esistenziali degli esseri umani non si può mai scherzare. E’ però opportuno ricordare che ogni evoluzione o rivoluzione tecnologica ha sempre portato con sé molte paure e innegabili difficoltà nel breve termine, ma grandi sviluppi nel medio e lungo termine. In altre parole, l’adattamento nel breve è talvolta doloroso, ma la prospettiva è di regola di maggiore benessere.
E’ sempre difficile fare previsioni e a volte siamo più nel campo degli auspici esorcizzanti che delle certezze. Eppure come dimenticare che negli anni ottanta fu presentato un atto parlamentare alle Camere federali che chiedeva l’introduzione di balzelli pesantissimi sui computer per evitarne la diffusione e quindi salvare i posti di lavoro degli umani, minacciati dalle macchine cattive? Oggi questo fa sorridere e non necessita di ulteriori commenti, ma illustra bene come sia necessario mantenere la mente aperta e il sangue freddo verso queste evoluzioni che, piaccia o non piaccia, sono comunque ineluttabili. Qualche tempo fa, in occasione di alcuni dibattiti, avevo sottolineato un elemento particolarmente importante, cioè che queste sfide poste in particolare da alcuni fenomeni di economia condivisa, dovevano essere l’occasione non per creare nuove regole ma per alleggerire quelle esistenti.

L’esempio pratico di Uber o di Airbnb è illuminante. E’ un errore dire che le regole non esistono, perché chi trasporta o ospita persone a pagamento comunque conclude un contratto che ha conseguenze giuridiche. Il problema è spesso legato piuttosto alle perdite per lo Stato per mancati versamenti di oneri sociali, imposte, tasse di soggiorno, ecc., con inevitabili risvolti di concorrenza sleale per gli attori che invece devono sottostare a regole ferree. Ma questi mancati versamenti non sono il frutto di mancanza di regole, perché di regola necessitano solo adattamenti sugli aspetti delle verifiche. Recentemente un tribunale americano ha considerato che gli operatori di Uber non esercitano un mandato ma hanno un contratto di lavoro, per cui le conseguenze giuridiche sono decisamente diverse. In Svizzera un tribunale probabilmente non deciderebbe altrimenti. Sappiamo infatti che, secondo la costante prassi delle autorità competenti in materia di assicurazioni sociali, lo statuto di indipendente e quindi il rapporto contrattuale di mandato che permette al datore di lavoro versare onorari senza oneri sociali, può essere riconosciuto, fra le altre cose, solo a chi ha diversi mandanti e non uno solo come è spesso il caso per chi lavora per Uber. Il fatto poi che Uber, negli Stati Uniti, abbia concluso una transazione con le autorità americane non cambia i termini del problema. Insomma, senza entrare in troppi tecnicismi, le regole ci sono, vanno un po’ adattate magari soprattutto sul piano del controllo, ma prima di crearne altre va verificato l’esistente. Incoraggiante in questo senso è la recente comunicazione del Consiglio federale che, rispondendo a mozioni presentate da due Consiglieri nazionali PLR, ha chiaramente indicato come sia disponibile a rivedere rapidamente le ormai obsolete regole imposte ai conducenti di taxi ufficiali e che si rivelano penalizzanti. La strada è quella giusta per ristabilire una concorrenza ad armi pari.

Per la mobilità servono soluzioni concertate

Di Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

Il prossimo 5 giugno voteremo sull’ormai famosa o famigerata (a seconda dei punti di vista) tassa di collegamento, che nel contesto della legge sui trasporti pubblici prevede una nuova e ulteriore imposta sui parcheggi. Finalmente si vota, si potrebbe dire, visto che la questione è ormai assurta a elemento fondamentale della politica ticinese, tanto che senza la tassa sembrerebbe imminente il blocco di tutti i progetti di potenziamento del trasporto pubblico. La realtà è ben diversa, ma purtroppo il peccato è originale, perché la discussione su questa misura di natura prettamente fiscale è stata dall’inizio impostata secondo canoni di tipo elettorale e poco oggettivo, sottolineando argomenti non sempre pertinenti.

E’ infatti stato pomposamente annunciato che sarebbe stata una tassa contro i frontalieri, quando in realtà l’autorità cantonale stessa ha poi dovuto ammettere che essa sarà a carico dei ticinesi e dei residenti nella misura del 70%. E’ anche stato sottolineato che si tratterebbe di un balzello fondamentale per lo sviluppo del trasporto pubblico, salvo poi candidamente ammettere che si tratta di una misura essenziale per tenere in piedi le finanze cantonali, pena l’aumento generalizzato del moltiplicatore d’imposta. Pura misura finanziaria e fiscale, quindi, senza ombra di dubbio. Che con il finanziamento del trasporto pubblico c’entra solo marginalmente, visto tra l’altro che tale finanziamento dovrebbe avvenire, come negli altri cantoni, attraverso il budget generale dello Stato. Si è anche detto che la tassa avrebbe colpito solo i centri commerciali, per definizione sempre brutti, sporchi e cattivi e quindi da massacrare, perché ormai fare la spesa (in Ticino) è una colpa di cui vergognarsi (con l’effetto paradossale che i tradizionali paladini dell’autarchia cantonale sostengono nella fattispecie chi va a fare la spesa in Italia). A parte il fatto che la demonizzazione dei centri commerciali è difficilmente comprensibile, in realtà la tassa (o imposta che dir si voglia) tocca tutte le aziende, visto che la discriminante è il numero di parcheggi e le aziende grandi non esistono certo solo nel settore del commercio, ma anche e soprattutto in quello industriale. Anche su questo punto vi sono quindi parecchie inesattezze, per usare un eufemismo.

E’ un vero peccato che sull’altare degli interessi elettorali sia stata sacrificata una vera e approfondita discussione sulle finanze cantonali e sulla mobilità, intesa in senso lato e non solo come fenomeno che tocca tutti ma che avrebbe pochi responsabili, le aziende in primis, ovviamente. La realtà, e lo sanno bene anche i promotori della tassa di collegamento, è molto più complessa, come chiaramente emerso dal convegno sulla mobilità che la Cc-Ti ha organizzato lo scorso 15 aprile (cliccate qui per visualizzare il resoconto dell’evento). L’appuntamento di respiro nazionale, con la partecipazione di esponenti dell’economia di altri cantoni, ha chiaramente mostrato come l’unica via per trovare soluzioni efficaci per la mobilità (non solo quella aziendale) sia l’approccio coordinato e concertato fra tutti gli attori pubblici (cantone e comuni) e privati (aziende, ma anche cittadine e cittadini). Il resto sono solo misure puntuali, di regola sanzionatorie, che non risolvono nulla e che rappresentano solo palliativi oltretutto temporanei. Oggi un approccio sistemico del genere non c’è e non vi è alcuna indicazione che potrebbe esservi in un prossimo futuro. E’ strano, perché, almeno sulla carta, il cantone si è dotato di linee direttive sulla mobilità che contengono molte misure che meritano di essere approfondite e discusse in vista di un’applicazione ad ampio respiro e condivisa. Invece sembra esistere solo la tassa, purtroppo. Intendiamoci, anche una tassa potrebbe avere una sua legittimità qualora vi fossero già in atto vere misure alternative. Un po’ come è stato deciso a Basilea, con la differenza che in quella regione la tassa può essere prevista se l’offerta di trasporto pubblico esiste e la sua efficacia è dimostrata. Situazione ben diversa dal Ticino, dove si dice “prima dammi i soldi, poi vedremo se e quale offerta di trasporto pubblico ci sarà”. Una tassa sulla fiducia, insomma, senza contropartita immediata come dovrebbe essere scontato giuridicamente per una tassa. Invece nulla, colpi di mazza sulla cattiva economia che devasta il territorio, tutti contenti e andiamo avanti così. Dimenticando che molte aziende si sono già da tempo attivate autonomamente con programmi di mobilità aziendale e gli esempi non mancano, per cui l’argomento che il mondo economico se ne frega del territorio non regge. Si può sempre migliorare e siamo pronti a discutere di correttivi su chi ha comportamenti criticabili, ma i correttivi devono esserci per tutti, perché come vi sono aziende poco rispettose del sistema, così esistono numerosi esempi di cittadine e cittadini, enti e istituzioni che se ne fregano altamente del territorio. Dire in maniera generica che le imprese non sono socialmente responsabili è una menzogna che non si può accettare. Il comportamento socialmente responsabile delle aziende, che da tempo stiamo promuovendo con decisione, ha sfaccettature talmente ampie che non può essere negato solo in virtù di una nuda e cruda cifra concernente il numero di parcheggi di cui si dispone. L’economia, esprimendosi contro la tassa di collegamento, non vuole quindi sottrarsi alle sue responsabilità, né verso il territorio, né nella discussione concernente le finanze cantonali, ma esige che questo avvenga su basi diverse, oggettive e parlando chiaramente, chiamando le cose con il loro nome e non vantando effetti taumaturgici di misure molto parziali.

Una tassa (o imposta) che non si sa bene a cosa sia destinata, che sanziona maggiormente il numero di parcheggi piuttosto che i movimenti (strano dal punto di vista ambientale…) e che opera inspiegabili distinzioni fra settori economici presenta troppe contraddizioni per essere accettabile, al di là del fatto che l’uso della leva fiscale senza pensare ai compiti dello Stato e quindi alle spese veramente necessarie è per noi insensato. Certo, in un cantone in cui le sei corsie fra Melide e Mendrisio sono promosse e addirittura avvallate da parlamentari cantonali che hanno combattuto con rara violenza la seconda galleria autostradale del San Gottardo perché più strade portano più traffico, può veramente capitare di tutto e non ci si deve più stupire di nulla. Ma questo non deve costituire un alibi per sdoganare qualsiasi proposta che permetta di raccogliere facili consensi. Dalle aziende si esige, giustamente, molto in termini di attenzione al territorio. Ma è altrettanto legittimo attendersi molto dalla politica, perché anche i rappresentanti del popolo devono tenere un comportamento socialmente responsabile.

L’economia non vuole guerre e, indipendentemente da come andrà il 5 giugno, sarà sempre pronta a fare la sua parte. Che non è quella della vittima sacrificale degli isterismi politici, ma quella di un attore a pieno titolo che merita rispetto.

Swissness + franco forte = futuro incerto

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

“A malincuore dobbiamo rinunciare ad utilizzare la croce svizzera su alcuni nostri prodotti”. Affermazione che emana non da qualche azienda contraffattrice della remota Cina (con tutto il rispetto) o da qualche sospetta impresa europea pizzicata a fregiarsi degli emblemi svizzeri grazie a strane triangolazioni. No, l’amara affermazione è della storica azienda svizzera Kambly, nota da generazioni per la produzione di biscotti, fra cui anche quelli mitici dell’esercito elvetico. Società con sede nella ridente Trubschachen (canton Berna, regione dell’Emmental), che impiega un gran numero di personale locale, spesso fedele alla causa per generazioni intere. Ebbene questo simbolo elvetico rinuncia alla croce svizzera perché le regole introdotte dalla nuova legislazione “Swissness”, in vigore dal 1° gennaio 2017, sono troppo restrittive e quindi punitive.

Un vero capolavoro politico-amministrativo, malgrado gli avvertimenti giunti anche dalle Camere di commercio e dell’industria svizzere. Il caso della Kambly non è infatti isolato, ma riguarda altri produttori di derrate alimentari, obbligati a garantire sistematicamente che l’80% delle materie prime (e il latte deve essere al 100% di produzione svizzera) siano elvetiche per tutti i prodotti. Senza questo elemento, niente passaporto rossocrociato. “Il meglio è il nemico mortale del buono” recita un celebre adagio e qui ne abbiamo una dimostrazione.

Durante i dibattiti parlamentari il progetto Swissness era stato presentato come lo strumento per creare impieghi in Svizzera e che le imprese avrebbero avuto tutto l’interesse ad adeguarsi per vendere i loro prodotti più cari. Vantaggi per tutti, aziende, dipendenti e consumatori, che avrebbero avuto a disposizione prodotti di migliore qualità. La realtà è ben diversa. Probabilmente, colmo dei paradossi, Toblerone non potrà più fregiarsi del marchio svizzero, così come la Knorr. Nota bene, per prodotti fabbricati in Svizzera. Le aziende dovranno pertanto basarsi maggiormente sulla (spesso vituperata) valorizzazione del marchio commerciale, piuttosto che sul prestigioso “Made in Switzerland” e quindi sull’origine del prodotto. Certo, è una tendenza mondiale, perché nessuno sembra essere infastidito dal fatto che i prodotti di Apple siano fabbricati in Cina, con la finezza del “Designed in the USA”, ma allora bisognerebbe avere il coraggio di dire che lo “Swiss Made” non serve più a nulla invece di creare un mostro burocratico dagli effetti perversi. Liberi tutti, ognuno se la gioca con il proprio marchio sul mercato e non se ne parli più.

Paradossalmente, per rafforzare le aziende svizzere nei confronti di quelle estere, il risultato è che lo “Swiss Made” lo potranno usare in pochi, secondo criteri che sembrano più attinenti ai giochi d’azzardo che non alle dinamiche del mercato. Come giocare al Lotto svizzero, insomma. Swissness e franco forte costituiscono quindi un connubio dagli effetti poco incoraggianti. Varie imprese in Svizzera hanno disposto licenziamenti e trasferimenti e non sono solo aziende dal tanto deprecato basso valore aggiunto o di filibustieri stranieri, ma storiche alla stregua della già menzionata Kambly. Come la Cornu Holding, insediata a Morat dal 1939 e che trasferirà in Romania una parte della produzione dei suoi biscotti, a causa dei costi di produzione svizzeri. Certo, i preparatissimi teorici sottolineeranno che si tratta di normali adattamenti della realtà economica. In parte può essere vero, ma allora la politica dovrebbe facilitare e non ostacolare le imprese svizzere. I mix di ideologia, burocrazia e superficialità possono essere letali.

 

L’importanza degli accordi bilaterali per le aziende ticinesi

La Svizzera non è un paese membro dell’UE. Per accedere al mercato unico europeo il nostro paese ha quindi concluso una serie di accordi bilaterali con l’UE.

Il primo pacchetto di accordi bilaterali è stato concluso nel 1999. Questo gruppo di accordi comprende i seguenti settori:

  • Cooperazione scientifica e tecnologica;
  • Appalti pubblici;
  • Abolizione degli ostacoli tecnici al commercio;
  • Commercio dei prodotti agricoli;
  • Trasporto aereo;
  • Trasporto terrestre;
  • Libera circolazione delle persone.

Altri accordi bilaterali sono stati conclusi nel 2004. Tra i più importanti e significativi per il nostro paese figurano l’accordo che permette alla Svizzera di partecipare al sistema di Schengen, quello che associa la Svizzera alla politica europea nel settore dell’asilo (Dublino) e quello che permette agli studenti svizzeri di circolare negli istituti di formazione europei.

Il 9 febbraio 2014 il popolo svizzero ha accolto in votazione l’iniziativa popolare denominata “Contro l’immigrazione di massa”. In base a tale articolo costituzionale la Svizzera deve reintrodurre contingenti e il principio della preferenza nazionale anche nei confronti dei cittadini europei. Il Consiglio federale è pertanto incaricato di rinegoziare l’accordo sulla libera circolazione delle persone concluso con l’UE nel 1999, in quanto incompatibile con i principi accettati in votazione. Tenuto conto delle difficoltà incontrate da parte del Consiglio federale nei recenti contatti avuti con le istituzioni europee, non è escluso che la rinegoziazione dell’accordo sulla libera circolazione delle persone si riveli impossibile. Ne consegue che l’accordo bilaterale potrebbe essere in pericolo. In virtù di una clausola contenuta negli accordi del 1999, nel caso in cui uno dei trattati dovesse cadere, entro 6 mesi cadrebbero automaticamente anche gli altri 6 accordi. Si tratta di una conseguenza automatica prevista da tale clausola. Inoltre l’UE ha già preannunciato che se dovessero cadere gli accordi bilaterali del 1999, non avrebbe alcun senso continuare ad applicare con la Svizzera gli accordi di Schengen, di Dublino e quello sulla circolazione degli studenti.

In altre parole, a seguito di quanto deciso in votazione popolare lo scorso 9 febbraio 2014, gli accordi bilaterali nel loro complesso potrebbero essere in bilico.

Tenuto conto di tali premesse a noi interessa conoscere quali sarebbero le ripercussioni per le aziende ticinesi nel caso in cui lo scenario di una caduta dei bilaterali dovesse verificarsi. A tale scopo abbiamo quindi allestito una serie di domande alle quali vi preghiamo di rispondere. Clicca qui per accedere al sondaggio.

Le vostre risposte ci saranno utili per meglio comprendere l’effettiva posta in gioco nella discussione che già sta iniziando su questo tema. Le vostre risposte non verranno rese accessibili a terze persone se non in forma consolidata e anonima.

Per chi volesse approfondire il tema, la Seco ha pubblicato due rapporti sulle conseguenze economiche per l’intera Svizzera nel caso in cui dovessero cadere gli accordi bilaterali, link.

Responsabilità sociale e mobilità

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

E’ già da qualche tempo che la Cc-Ti si sta occupando del tema della responsabilità sociale delle imprese, cavalcato spesso per mettere sul banco degli accusati le aziende, capro espiatorio che affliggono la società e che vanno moralizzate attraverso l’introduzione di massicci interventi statali che devono limitarne la libertà. Libertà economica e imprenditoriale, è bene ricordarlo sempre, che è un diritto costituzionale. E’ quindi importante adoperarsi affinché questa dinamica di sospetto venga modificata perché, escludendo i disonesti che vi sono in ogni categoria umana, le aziende fanno molto nel quadro della responsabilità sociale delle imprese, per la misurazione della quale vi sono vari sistemi e indicatori. Utilizzati però troppo spesso più per dimostrare qualche teorema ideologico che misurare il reale impatto delle imprese sul territorio. A questo proposito non va dimenticato che la responsabilità sociale dovrebbero dimostrarla ogni giorno tutte le cittadine e tutti i cittadini, i politici, i giornalisti e via dicendo. Non è per nulla socialmente responsabile il comportamento di un giornale che ipotizza una losca storia di truffe dietro al suicidio di una persona nota, quando tali illazioni si rivelano subito manifestamente false e non vi è nemmeno uno straccio di scuse ai parenti.

Questo dimostra la complessità del tema della responsabilità sociale, nella quale può rientrare pure il tema della mobilità. Esso è purtroppo spesso ridotto alla sola componente del traffico visibile e confinato nell’assurda contrapposizione fra strada e ferrovia, come se fosse vitale alimentare una concorrenza fra i due vettori. Quando in realtà sappiamo benissimo che un territorio che si vuole competitivo deve vivere della complementarietà fra i mezzi di trasporto e in questo senso vanno trovate le soluzioni. Vitale è anche la ricerca di soluzioni concertate fra pubblico e privato e servono a poco le misure solo sanzionatorie, che calmano forse certi ardori soprattutto elettorali, ma che nel medio e lungo termine non risolvono molti problemi. E’ noto, l’essere umano ha bisogno che si metta qualche paletto, perché la gestione della libertà non è sempre esercizio facile e l’auto-responsabilità sembra un valore che non fa più tendenza. Eppure continuo a credere che la ricerca di soluzioni condivise sia la strada giusta, magari meno spettacolare perché non riempie i media di polemiche, ma più efficace. I paletti vanno bene, le travi, i massi e la clava non mi piacciono perché non stiamo parlando di delinquenti ma di esseri umani che, nella loro fallibilità, comunque lavorano e producono anche nell’interesse del paese.

Per approfondire questa ampia tematica abbiamo pertanto organizzato, il 15 aprile 2016, una giornata di respiro nazionale dedicata alla mobilità, con la presenza dei nostri colleghi basilesi e neocastellani (sotto l’egida dell’Associazione delle Camere di commercio e dell’industria svizzere), imprese e rappresentanti del cantone per confrontarci su possibile idee d’oltre Gottardo che magari possono ispirare anche qualche soluzione al problema del traffico ticinese. Uno sguardo a quanto avviene al di fuori dei confini del nostro cantone, rimanendo nel contesto elvetico, può aiutare a capire come altre regioni stiano affrontando in maniera strutturata il problema del traffico. Nello specifico, due regioni come Basilea e Neuchâtel che hanno problemi comparabili a quelli del Ticino, compreso quello del traffico proveniente da oltre confine. Sarebbe peccato non parlarne.

Il “MobiliTI Day” si articolerà su due momenti: