Swissness + franco forte = futuro incerto

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

“A malincuore dobbiamo rinunciare ad utilizzare la croce svizzera su alcuni nostri prodotti”. Affermazione che emana non da qualche azienda contraffattrice della remota Cina (con tutto il rispetto) o da qualche sospetta impresa europea pizzicata a fregiarsi degli emblemi svizzeri grazie a strane triangolazioni. No, l’amara affermazione è della storica azienda svizzera Kambly, nota da generazioni per la produzione di biscotti, fra cui anche quelli mitici dell’esercito elvetico. Società con sede nella ridente Trubschachen (canton Berna, regione dell’Emmental), che impiega un gran numero di personale locale, spesso fedele alla causa per generazioni intere. Ebbene questo simbolo elvetico rinuncia alla croce svizzera perché le regole introdotte dalla nuova legislazione “Swissness”, in vigore dal 1° gennaio 2017, sono troppo restrittive e quindi punitive.

Un vero capolavoro politico-amministrativo, malgrado gli avvertimenti giunti anche dalle Camere di commercio e dell’industria svizzere. Il caso della Kambly non è infatti isolato, ma riguarda altri produttori di derrate alimentari, obbligati a garantire sistematicamente che l’80% delle materie prime (e il latte deve essere al 100% di produzione svizzera) siano elvetiche per tutti i prodotti. Senza questo elemento, niente passaporto rossocrociato. “Il meglio è il nemico mortale del buono” recita un celebre adagio e qui ne abbiamo una dimostrazione.

Durante i dibattiti parlamentari il progetto Swissness era stato presentato come lo strumento per creare impieghi in Svizzera e che le imprese avrebbero avuto tutto l’interesse ad adeguarsi per vendere i loro prodotti più cari. Vantaggi per tutti, aziende, dipendenti e consumatori, che avrebbero avuto a disposizione prodotti di migliore qualità. La realtà è ben diversa. Probabilmente, colmo dei paradossi, Toblerone non potrà più fregiarsi del marchio svizzero, così come la Knorr. Nota bene, per prodotti fabbricati in Svizzera. Le aziende dovranno pertanto basarsi maggiormente sulla (spesso vituperata) valorizzazione del marchio commerciale, piuttosto che sul prestigioso “Made in Switzerland” e quindi sull’origine del prodotto. Certo, è una tendenza mondiale, perché nessuno sembra essere infastidito dal fatto che i prodotti di Apple siano fabbricati in Cina, con la finezza del “Designed in the USA”, ma allora bisognerebbe avere il coraggio di dire che lo “Swiss Made” non serve più a nulla invece di creare un mostro burocratico dagli effetti perversi. Liberi tutti, ognuno se la gioca con il proprio marchio sul mercato e non se ne parli più.

Paradossalmente, per rafforzare le aziende svizzere nei confronti di quelle estere, il risultato è che lo “Swiss Made” lo potranno usare in pochi, secondo criteri che sembrano più attinenti ai giochi d’azzardo che non alle dinamiche del mercato. Come giocare al Lotto svizzero, insomma. Swissness e franco forte costituiscono quindi un connubio dagli effetti poco incoraggianti. Varie imprese in Svizzera hanno disposto licenziamenti e trasferimenti e non sono solo aziende dal tanto deprecato basso valore aggiunto o di filibustieri stranieri, ma storiche alla stregua della già menzionata Kambly. Come la Cornu Holding, insediata a Morat dal 1939 e che trasferirà in Romania una parte della produzione dei suoi biscotti, a causa dei costi di produzione svizzeri. Certo, i preparatissimi teorici sottolineeranno che si tratta di normali adattamenti della realtà economica. In parte può essere vero, ma allora la politica dovrebbe facilitare e non ostacolare le imprese svizzere. I mix di ideologia, burocrazia e superficialità possono essere letali.

 

L’importanza degli accordi bilaterali per le aziende ticinesi

La Svizzera non è un paese membro dell’UE. Per accedere al mercato unico europeo il nostro paese ha quindi concluso una serie di accordi bilaterali con l’UE.

Il primo pacchetto di accordi bilaterali è stato concluso nel 1999. Questo gruppo di accordi comprende i seguenti settori:

  • Cooperazione scientifica e tecnologica;
  • Appalti pubblici;
  • Abolizione degli ostacoli tecnici al commercio;
  • Commercio dei prodotti agricoli;
  • Trasporto aereo;
  • Trasporto terrestre;
  • Libera circolazione delle persone.

Altri accordi bilaterali sono stati conclusi nel 2004. Tra i più importanti e significativi per il nostro paese figurano l’accordo che permette alla Svizzera di partecipare al sistema di Schengen, quello che associa la Svizzera alla politica europea nel settore dell’asilo (Dublino) e quello che permette agli studenti svizzeri di circolare negli istituti di formazione europei.

Il 9 febbraio 2014 il popolo svizzero ha accolto in votazione l’iniziativa popolare denominata “Contro l’immigrazione di massa”. In base a tale articolo costituzionale la Svizzera deve reintrodurre contingenti e il principio della preferenza nazionale anche nei confronti dei cittadini europei. Il Consiglio federale è pertanto incaricato di rinegoziare l’accordo sulla libera circolazione delle persone concluso con l’UE nel 1999, in quanto incompatibile con i principi accettati in votazione. Tenuto conto delle difficoltà incontrate da parte del Consiglio federale nei recenti contatti avuti con le istituzioni europee, non è escluso che la rinegoziazione dell’accordo sulla libera circolazione delle persone si riveli impossibile. Ne consegue che l’accordo bilaterale potrebbe essere in pericolo. In virtù di una clausola contenuta negli accordi del 1999, nel caso in cui uno dei trattati dovesse cadere, entro 6 mesi cadrebbero automaticamente anche gli altri 6 accordi. Si tratta di una conseguenza automatica prevista da tale clausola. Inoltre l’UE ha già preannunciato che se dovessero cadere gli accordi bilaterali del 1999, non avrebbe alcun senso continuare ad applicare con la Svizzera gli accordi di Schengen, di Dublino e quello sulla circolazione degli studenti.

In altre parole, a seguito di quanto deciso in votazione popolare lo scorso 9 febbraio 2014, gli accordi bilaterali nel loro complesso potrebbero essere in bilico.

Tenuto conto di tali premesse a noi interessa conoscere quali sarebbero le ripercussioni per le aziende ticinesi nel caso in cui lo scenario di una caduta dei bilaterali dovesse verificarsi. A tale scopo abbiamo quindi allestito una serie di domande alle quali vi preghiamo di rispondere. Clicca qui per accedere al sondaggio.

Le vostre risposte ci saranno utili per meglio comprendere l’effettiva posta in gioco nella discussione che già sta iniziando su questo tema. Le vostre risposte non verranno rese accessibili a terze persone se non in forma consolidata e anonima.

Per chi volesse approfondire il tema, la Seco ha pubblicato due rapporti sulle conseguenze economiche per l’intera Svizzera nel caso in cui dovessero cadere gli accordi bilaterali, link.

Responsabilità sociale e mobilità

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

E’ già da qualche tempo che la Cc-Ti si sta occupando del tema della responsabilità sociale delle imprese, cavalcato spesso per mettere sul banco degli accusati le aziende, capro espiatorio che affliggono la società e che vanno moralizzate attraverso l’introduzione di massicci interventi statali che devono limitarne la libertà. Libertà economica e imprenditoriale, è bene ricordarlo sempre, che è un diritto costituzionale. E’ quindi importante adoperarsi affinché questa dinamica di sospetto venga modificata perché, escludendo i disonesti che vi sono in ogni categoria umana, le aziende fanno molto nel quadro della responsabilità sociale delle imprese, per la misurazione della quale vi sono vari sistemi e indicatori. Utilizzati però troppo spesso più per dimostrare qualche teorema ideologico che misurare il reale impatto delle imprese sul territorio. A questo proposito non va dimenticato che la responsabilità sociale dovrebbero dimostrarla ogni giorno tutte le cittadine e tutti i cittadini, i politici, i giornalisti e via dicendo. Non è per nulla socialmente responsabile il comportamento di un giornale che ipotizza una losca storia di truffe dietro al suicidio di una persona nota, quando tali illazioni si rivelano subito manifestamente false e non vi è nemmeno uno straccio di scuse ai parenti.

Questo dimostra la complessità del tema della responsabilità sociale, nella quale può rientrare pure il tema della mobilità. Esso è purtroppo spesso ridotto alla sola componente del traffico visibile e confinato nell’assurda contrapposizione fra strada e ferrovia, come se fosse vitale alimentare una concorrenza fra i due vettori. Quando in realtà sappiamo benissimo che un territorio che si vuole competitivo deve vivere della complementarietà fra i mezzi di trasporto e in questo senso vanno trovate le soluzioni. Vitale è anche la ricerca di soluzioni concertate fra pubblico e privato e servono a poco le misure solo sanzionatorie, che calmano forse certi ardori soprattutto elettorali, ma che nel medio e lungo termine non risolvono molti problemi. E’ noto, l’essere umano ha bisogno che si metta qualche paletto, perché la gestione della libertà non è sempre esercizio facile e l’auto-responsabilità sembra un valore che non fa più tendenza. Eppure continuo a credere che la ricerca di soluzioni condivise sia la strada giusta, magari meno spettacolare perché non riempie i media di polemiche, ma più efficace. I paletti vanno bene, le travi, i massi e la clava non mi piacciono perché non stiamo parlando di delinquenti ma di esseri umani che, nella loro fallibilità, comunque lavorano e producono anche nell’interesse del paese.

Per approfondire questa ampia tematica abbiamo pertanto organizzato, il 15 aprile 2016, una giornata di respiro nazionale dedicata alla mobilità, con la presenza dei nostri colleghi basilesi e neocastellani (sotto l’egida dell’Associazione delle Camere di commercio e dell’industria svizzere), imprese e rappresentanti del cantone per confrontarci su possibile idee d’oltre Gottardo che magari possono ispirare anche qualche soluzione al problema del traffico ticinese. Uno sguardo a quanto avviene al di fuori dei confini del nostro cantone, rimanendo nel contesto elvetico, può aiutare a capire come altre regioni stiano affrontando in maniera strutturata il problema del traffico. Nello specifico, due regioni come Basilea e Neuchâtel che hanno problemi comparabili a quelli del Ticino, compreso quello del traffico proveniente da oltre confine. Sarebbe peccato non parlarne.

Il “MobiliTI Day” si articolerà su due momenti:

SWISSFIRMS si rinnova e facilita il suo utilizzo sui dispositivi mobili

Losanna, 29 marzo 2016 – Principale piattaforma dei dati economici delle imprese in Svizzera, il portale www.swissfirms.ch è ora anche disponibile per consultazioni mediante tablet e smartphone. Informazioni su circa 15.000 schede di attività commerciali si rendono, in questo modo, accessibili in qualsiasi momento e indipendentemente dal dispositivo utilizzato.

Nato nel 1997 dalla collaborazione tra le Camere di Commercio e dell’Industria Svizzere (CCIS) e con il supporto tecnico della società di telecomunicazioni VTX, SWISSFIRMS dispone di informazioni dettagliate e verificate su 15.000 aziende associate:
le persone di riferimento, i dati di contatto, le aree di attività e di subappalto, così come informazioni complete sui prodotti e servizi, know-how, e altro ancora.
Si tratta di uno strumento di promozione e ricerca sicuro ed efficiente.
Tutte le caratteristiche sono state mantenute nel nuovo sito, che si adatta ora a qualsiasi schermo. E possibile fare rapidamente una ricerca mirata, selezionare l’utente desiderato, contattarlo e visualizzare la posizione dell’azienda sulla mappa.

Contatti
Luca Albertoni, Membro CdA: 091 911 51 28
Olivier Fantino, Segretario SWISSFIRMS: 079 524 14 46
Scarica il comunicato stampa in PDF

Responsabilità sociale delle aziende: una condotta vincente

Il 24 marzo 2016 si è tenuto presso la sede della Rapelli SA di Stabio l’evento “Sostenibilità aziendale: un vantaggio competitivo”. Attraverso quest’incontro (scarica il flyer) la Cc-Ti ha voluto rendere attento il pubblico sull’importante tematica della Responsabilità sociale delle aziende. Agli associati presenti è stata illustrata anzitutto la strategia e l’impegno della Camera al suo interno (in termini di auto-valutazione, elaborazione di pubblicazioni, sostegno alle aziende e offerta formativa). È poi stato presentato un partner affidabile e rinomato a livello internazionale sul quale appoggiarsi, l’azienda Quantis, spin-off dei  Politecnici Federali di Zurigo e Losanna.  Infine i presenti hanno potuto lasciarsi ispirare, da un lato dall’approccio innovativo promosso da un’eccellenza elvetica in materia, l’EMPA, e dall’altro lato grazie all’esperienza pratica di un’azienda locale che si è distinta per il suo impegno in materia, la Rapelli SA.

Dopo un breve saluto dell’onorevole Sindaco di Stabio, Claudio Cavadini, e del Direttore di Divisione del DFE, Stefano Rizzi, ha preso la parola Roberto Klaus, Direttore SSIB Ticino, mettendo in risalto la centralità per la Cc-Ti di promuovere sul territorio una cultura aziendale socialmente responsabile. Ciò che in poche parole significa l’adozione di una strategia produttiva e commerciale responsabile, sia dal profilo sociale che da quello di una crescita economica sostenibile, al fine di assicurare anche alle attività delle stesse aziende maggiore stabilità e durata nel tempo.
Roberto Klaus ha poi illustrato in che modo la nostra associazione si sta adoperando per tradurre questo obiettivo in realtà. Tanto al suo interno, sottoponendosi a un’autovalutazione, che verso l’esterno fornendo ai suoi associati dei servizi specifici in materia quali; pubblicazioni, offerte formative e indicandogli un partner affidabile per quanto concerne specialmente il Life Cycle Assessment (LCA), l’azienda Quantis.

La parola è quindi passata al Direttore dell’EMPA, Gian-Luca Bona, che con carisma e semplicità ha tracciato il lungo cammino proprio alla ricerca che va dalla scoperta all’innovazione, risaltandone l’importanza strategica per uno sviluppo sostenibile. E’ stato quindi il turno di Simone Pedrazzini – Responsabile Ticino per Quantis – che ha brillantemente spiegato come un approccio rigoroso in materia di sostenibilità aziendale sia un valore aggiunto per tutti i tipi di impresa. Infine, Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti, nonché Direttore Rapelli SA, ha portato il suo esempio pratico, illustrando nella fattispecie come sia possibile rendere la propria azienda più sostenibile.

L’evento si è concluso con l’intervento di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti, che ha risaltato come sia importante per il substrato economico ticinese avere la possibilità di entrare in contatto con dei professionisti del calibro di Gian-Luca Bona e Simone Pedrazzini, che danno un respiro nazionale e internazionale alla discussione, apportando elementi di grande interesse. A titolo conclusivo, il Direttore Cc-Ti ha ricordato, come il tema della Responsabilità sociale delle aziende verrà trattato, nelle sue svariate sfaccettature, ancora durante tutto il corso dell’anno, a prova della sua centralità per la nostra struttura.

Qui di seguito potrete ascoltare le interviste ai relatori.

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Responsabilità sociale delle imprese: chiave strategica per il futuro

Intervista al Presidente Cc-Ti, Glauco Martinetti

a cura di Lisa Pantini


In veste di Presidente della Cc-Ti possiede una visione globale dell’economia ticinese. A livello di sostenibilità le PMI ticinesi dove sono situate?

“Il Ticino in generale non è mai stato il Cantone all’avanguardia sulle novità. Il Ticino è periferia, di Zurigo o di Milano, e come tutte le periferie adotta le spinte avanguardistiche in ritardo. Non ho dati oggettivi (è anche molto difficile  reperirli dalle aziende) ma credo che non brilliamo tra i primi della classe in termini di sostenibilità e/o responsabilità sociale delle imprese. Vero è per contro che il motore è avviato e che quindi anche da noi sempre di più si parla di  sostenibilità. È un tema chiave per la Cc-Ti. Sovente si pensa di più a quella ambientale, dimenticando forse un attimo quella economica e sociale. Inoltre la popolarità di questa tematica dipende molto da settore a settore: mi sembra che nel farmaceutico e nella moda vi siano best pratices all’avanguardia in questi ambiti. In generale le aziende che operano su mercati internazionali sono più sensibili alla sostenibilità, mentre per chi opera sul solo mercato svizzero la

pressione per adottare una strategia sostenibile è forse meno sentita. Non da ultimo la taglia dell’azienda è anche un fattore determinante. Possiamo però affermare con certezza che esistono numerosi casi riconosciuti di aziende grandi e medio-piccole virtuose anche in Ticino. Parliamo di gestione imprenditoriale e manageriale responsabile, con molteplici attività svolte, che poi non sono sempre misurate o rese note al grande pubblico (ad esempio audit, certificazioni esterne, rendiconti agli stakeholder, ecc.)”.

Quanto è importante, di questi tempi, che un’azienda sia sostenibile? In che modo ogni impresa può fronteggiare questa sfida?

“La sostenibilità garantisce all’azienda un futuro. Porsi una domanda sulla responsabilità sociale porta inevitabilmente a dover progettare il proprio futuro aziendale, ideare la propria strategia, osservare da vicino l’operato della propria azienda. È quindi un momento importante ed arricchente che va al di là della semplice parola «sostenibile». In questo senso è quindi fondamentale che l’impresa sia consapevole di questi meccanismi. Essere sostenibili di regola porta ad una maggiore soddisfazione dei propri clienti, dei propri investitori e dei propri dipendenti. Ricordo infatti che la sostenibilità non è solo di tipo ambientale, ma anche economica e sociale. E le misure che possono essere intraprese per una società sono davvero molteplici, in tutti i comparti della PMI. Un’azienda sostenibile gode quindi dei favori e delle attenzioni di un vasto pubblico, sia esterno che interno alla stessa, sostenendola nell’ottimizzazione e miglioramento

dell’efficacia e dell’efficienza. Oggi, proprio perché già da molti anni si parla di sostenibilità e responsabilità sociale, esistono ancora realtà che non si sono ancora avvicinate a questo tema. Esse possono avvalersi del supporto di molti specialisti nel settore, che le accompagnano in un percorso di approfondimento. Ricordo che la nostra Camera di commercio tratta il tema. Inoltre gli uffici della Cc-Ti sono sempre a disposizione per un consiglio o un’informazione in materia. L’azienda che intende quindi affrontare il tema ha molteplici porte di entrata, non deve più svolgere un ruolo pionieristico”.

Sostenibilità a 360 gradi, coinvolgendo tutti i comparti dell’azienda (produzione, supply chain, HR, ecc.). A livello strategico, quali crede siano le best practices da seguire ed in quali ambiti?

“Credo che dipenda molto dalla complessità e dalla struttura aziendale. È evidente che un’azienda monoprodotto con una struttura molto lineare avrà meno difficoltà a implementare una strategia sostenibile rispetto ad una realtà molto più complessa. In ogni caso le conoscenze necessarie per implementare una strategia sostenibile sono veramente plurime e difficilmente acquisibili solo da una persona all’interno della struttura. Vedo quindi due approcci possibili a livello strategico: l’assunzione al proprio interno di uno specialista in materia o l’acquisizione esterna delle competenze tramite consulenze mirate. Personalmente prediligo la seconda variante: permette di avere un aggiornamento molto costante sulle novità, consente un miglior controllo dei costi e di regola si sfruttano molte sinergie con altri casi analoghi trattati dal consulente, ma dipende in ogni modo molto dalla complessità dell’azienda. Il management è però essenziale nel dare la giusta spinta e la motivazione all’interno dell’azienda: infatti il punto negativo di un approccio ricorrendo all’outsourcing tramite consulenze esterne, può proprio essere quello della difficoltà interna rispetto alla motivazione ed alla condivisione degli obiettivi da raggiungere. In questo caso il tema della sostenibilità va continuamente trattato e discusso in tutte le occasioni possibili (assemblee, riunioni del personale, ecc.) proprio

per sensibilizzare continuamente i collaboratori e mostrare l’importanza che il management dà a questa tematica. I risultati raggiunti vanno poi condivisi all’interno dell’azienda e giustamente festeggiati”.

Il caso Rapelli: l’industria alimentare che dirige ha incrementato in maniera importante la propria efficienza energetica. Ce ne può parlare brevemente, spiegandoci quali saranno i passi futuri che intraprenderete?

“La nostra azienda è il tipico esempio di società che opera esclusivamente in Svizzera e che si è avvicinata nell’ultimo decennio soprattutto alla sostenibilità ambientale. Rapelli è un grosso consumatore di energia per via della tipologia di beni che produce. In generale il prodotto che trattiamo deve subire una trasformazione, sovente a caldo, per poi essere raffreddato è mantenuto a temperature basse. Tutte queste trasformazioni richiedendo quindi dei grandi investimenti energetici. Da una prima analisi fatta con l’Agenzia Svizzera per l’Energia era scaturita una radiografia abbastanza impietosa: Rapelli riscaldava con olio da riscaldamento, aveva un’isolazione insufficiente, non recuperava il calore prodotto e quindi tutto questo portava ad un consumo e ad emissioni di CO2 esagerate. Con degli investimenti mirati dilazionati su vari anni, siamo però riusciti a ribaltare questa situazione, al punto che alla fine del 2015

siamo stati insigniti del premio «Il sole sul tetto» erogato dal WWF Sezione Svizzera Italiana. Oggi emettiamo circa la metà del CO2 del 2010. I risparmi dati dai costi di energia e il risparmio dall’esenzione della tassa sul CO2 vengono reinvestiti in azienda, generando nuovamente altre diminuzioni di consumo. Quest’anno ad esempio inseriremo una pompa calore nel nostro circuito energetico, ciò che ci permetterà di diminuire ancora sensibilmente il fabbisogno energetico”.

Innovazione? Sì, ma …

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

L’articolo dedicato il 13.03.2016 dal Giornale del Popolo alla legge per l’innovazione ha messo in evidenza alcuni aspetti positivi e altri critici della revisione di una legge che si vuole giustamente non più premiante ma incentivante. Scopo lodevole e condivisibile, così come è positivo il fatto che il tema dell’innovazione sia inserito in un discorso più ampio di sistema e che gli aiuti possano essere conferiti anche al settore terziario.

Con grande equilibrio il collega Stefano Modenini, direttore dell’Associazione industrie ticinesi, ha giustamente rilevato questi e altri elementi positivi, anche di carattere tecnico. Egli ha però giustamente sottolineato diversi punti critici che evidenziano ancora una volta come ormai sempre più spesso vi sia la tendenza a legiferare senza conoscere la realtà economica che si vuole regolamentare (o, secondo le tendenze odierne, moralizzare). Intendiamoci: laddove lo Stato elargisce contributi è assolutamente sacrosanto che vi sia un controllo anche rigoroso di come vengono spesi i soldi dei contribuenti. Su questo non ci piove e nemmeno l’ambito dell’innovazione può fare eccezione. Come sempre però è questione di misura e purtroppo è molto facile passare dalle legittime preoccupazioni per il denaro pubblico a regole eccessivamente restrittive e avulse dal contesto. In particolare, prevedere regole assai rigide sulla proporzione di manodopera indigena impiegata per poter avere accesso a sostegni per l’innovazione dimostra una scarsa conoscenza del nostro tessuto economico. Certo, appena si utilizza il termine “frontaliere” si scatenano subito i vari allarmi degni di un riflesso pavloviano che portano a considerare automaticamente fuori legge qualsiasi azienda che non lavori con personale al 100% svizzero o residente. Auspicio assolutamente impossibile per la nostra economia e il settore industriale in particolare. E qui non si parla di ladri o delinquenti vari che, secondo il volgo ormai diffuso ad ampio raggio, sfruttano e devastano il territorio. Il discorso vale per fior di aziende che rispettano tutte le regole esistenti, che pagano le imposte, versano salari corretti e, per usare un altro termine assai alla moda, sono “ad alto valore aggiunto”. Non è quindi un caso che, già durante la procedura di consultazione, mi ero permesso di attirare l’attenzione sul fatto che, volendo mantenere una legge per l’innovazione, il criterio dell’innovazione avrebbe dovuto rimanere al centro della valutazione perché preponderante nell’ottica del sostegno a chi soddisfa requisiti tecnici per far crescere il territorio. Togliere importanza a tale elemento per subordinarlo ad altri di natura prettamente politica non ha senso e, come ha rilevato il collega Stefano Modenini, si rischia di avere una legge che potrebbe servire a pochi o addirittura a nessuno. Questo solo perché non si vuole fare lo sforzo di capire quale sia la vera realtà economica ticinese e ci si trincera dietro frasi fatte e slogan elettorali di massima resa elettorale ma di minima efficacia economica. Peccato, si tratta di un’occasione persa per valorizzare uno strumento di per sé molto utile e pensato bene. La speranza è che magari a livello di prassi si possano un po’ ammorbidire talune valutazioni, non certo per premiare chi non lo merita ma per dare sostegno a chi può far evolvere il nostro cantone. Ho sempre sostenuto in prima persona e in prima fila la lotta agli abusi e sono assolutamente disponibile a combattere ogni forma di spreco di denaro pubblico che potrebbe andare ad aziende non rispettose delle regole esistenti. Non mi piacciono però le generalizzazioni che danneggiano indistintamente tutte le imprese, colpevolizzate per il solo fatto di non avere un effettivo sufficientemente svizzero o residente. E’ un criterio che può e deve essere valutato, ma che non può essere la sola e unica discriminante, altrimenti non è più una legge per l’innovazione.

Lacrime di coccodrillo

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Il tema della responsabilità sociale delle aziende (molto caro alla Cc-Ti e che sarà oggetto di uno dei nostri prossimi eventi “Sostenibilità aziendale: un vantaggio competitivo”) è purtroppo spesso utilizzato a senso unico, cioè quale argomento principale di accusa alle aziende, colpevoli di devastare il territorio, costruire inutili capannoni, praticare dumping salariale diffuso e assumere solo frontalieri. Quindi in sostanza per denunciare una serie di comportamenti irresponsabili veri ma soprattutto presunti.

Abbastanza emblematico in questo senso è il caso della partenza dal Ticino della branch svizzera del gruppo della casa di moda Giorgio Armani. Azienda superficialmente inserita nel gruppo di quelle che non portano nulla al territorio, sicuramente perché di origine e proprietà italiana, quindi colpevole a prescindere. Non deve quindi sorprendere più di tanto l’improvviso attivismo di taluni politici che si sono subito mobilitati per denunciare l’ennesimo sfruttamento del sistema svizzero da parte di gente senza scrupoli che umilia il nostro paese e poi lo abbandona sbeffeggiandolo dopo aver abusato di favori inconfessabili. Peccato che con un po’ più di attenzione si sarebbe potuto facilmente scoprire che – al di là delle modalità di comunicazione, che, come capita spesso con gruppi internazionali, è molto distante dalla cacofonia mediatica a cui ormai siamo abituati – la realtà è ben diversa. In effetti, l’azienda in questione è presente sul nostro territorio da venti anni, impiega oltre un centinaio di persone a salari corretti e regolati da un contratto collettivo di lavoro, è un contribuente ordinario e importante per comune, cantone e Confederazione. E’ vero che la parte di lavoratori svizzeri o residenti è minoritaria, ma basta questo per mettere in croce un’azienda che comunque al territorio porta molto senza godere di particolari vantaggi? Non credo proprio. Facile quindi sparare nel mucchio indistintamente per raccogliere consensi, salvo poi fasciarsi la testa perché parte un importante contribuente di un settore comunque prestigioso per la nostra economia. Come al solito, manca un equilibrio di giudizio e, peggio ancora, una volontà di conoscere veramente le realtà economiche presenti sul territorio. Acciecati da termini generici come “alto valore aggiunto”, taluni non si sono ancora accorti che il tessuto economico ticinese è variegato e che le dinamiche economiche sono molto complesse, con realtà internazionali certo criticabili ma non truffaldine di principio. Un’azienda internazionale può decidere di spostare la propria sede per molti motivi, non per forza legati alla fine dello sfruttamento di presunti e inconfessabili vantaggi concessi dalla sprovveduta Svizzera. Nello specifico c’entra poco l’imminente riforma III dell’imposizione delle imprese, perché verosimilmente si tratta piuttosto di una questione di strategia generale del gruppo, magari influenzata da certe pressioni esercitate dal fisco italiano. Ma questo fa parte del gioco odierno e occorrerebbe tenerne conto quando si sparano giudizi affrettati. Può magari non piacere, ma la nostra competitività dipende anche da queste realtà e sarebbe sbagliato stigmatizzarle senza distinzioni. E’ opportuno a questo proposito ricordare che occorre essere attivi su più fronti, garantendo le migliori condizioni possibili alle aziende già sul territorio e a quelle che potrebbero insediarvisi, senza illudersi che alle nostre frontiere vi sia la coda di straordinarie aziende produttive ad altissimo valore aggiunto e che danno lavoro solo a svizzeri. Giusto prestare attenzione a chi si interessa al nostro territorio, ma attenzione ai criteri che si utilizzano per giudicare. Non sempre le perle sono quelle che nell’immaginario collettivo si pensa possano essere aziende fenomenali. Spesso le perle sono nascoste e si annidano anche in quei settori in cui ci si sporca le mani. Ma questo meriterebbe ulteriori e più dettagliati approfondimenti. Forse può essere utile ricordare la celebre frase utilizzata da Bill Clinton nella campagna presidenziale del 1992: “It’s the economy, stupid”. Appunto.

San Gottardo e oltre

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Impossibile non esprimere soddisfazione per il chiaro risultato della votazione popolare dello scorso 29 febbraio che ha avallato il risanamento della galleria autostradale del San Gottardo. Un lavoro lungo, costante e soprattutto serio ci ha permesso, partendo da molto lontano, di convincere dapprima le autorità federali e poi la popolazione svizzera che si tratta di un’opera necessaria non solo per l’economia ticinese ma anche per quella svizzera in generale.

In un clima arroventato e spesso ostile abbiamo sostenuto molti dibattiti e confronti pubblici, soprattutto per far capire che il Ticino non può prescindere da collegamenti verso nord affidabili, con la complementarietà fra strada e ferrovia. Elemento quest’ultimo assolutamente scontato in tutte le altre regioni svizzere e che sarebbe stato assurdo negare per il Ticino (e per il traffico svizzero di export verso sud), soprattutto con la prospettiva certa di una chiusura per tre anni del collegamento stradale. Gli sconfitti, dopo i più o meno comprensibili sfoghi nervosi post-votazione, hanno già minacciato che il San Gottardo sarà un sorvegliato speciale, sottintendendo che anche noi pericolosi e irresponsabili “raddoppisti” non la passeremo liscia. Minacce purtroppo divenute un classico nella campagna di votazione, ma che non mi turbano. La legge adottata dal popolo svizzero fornisce le più ampie garanzie che al San Gottardo due corsie sono e due rimarranno e non ho nessun timore a garantire che questo sarà rispettato. Del resto, come più volte sottolineato e accennato anche in apertura di questo contributo, per l’economia è indispensabile la complementarietà fra strada e ferrovia, compreso il trasferimento delle merci in transito su quest’ultima, come previsto dall’articolo costituzionale che protegge le Alpi. Quindi non vi è nessuna volontà di sabotare Alptransit, anzi. Grazie a un collegamento stradale sicuro anche il traffico ferroviario potrà trarne beneficio ed evitare pericolosi intasamenti che, paradossalmente, violerebbero appunto il dettame costituzionale che impone il trasferimento delle merci in transito e non, nota bene, del traffico interno. Sarebbe impossibile avere maggiori garanzie legali, per cui lo statuto di “sorvegliato speciale” mi fa un po’ sorridere, perché andrebbe applicato a qualsiasi oggetto in votazione che richiede il rispetto di una legge. Quindi praticamente a qualsiasi cosa. Ma va bene, che sorveglianza speciale sia, non abbiamo nulla da temere. Pur essendo stato tacciato di “stupratore della Costituzione” ho un grande rispetto per le nostre istituzioni e le nostre regole, probabilmente maggiore di tanti che si riempiono la bocca di grandi principi giuridici senza avere mai aperto una sola volta nella vita la nostra Carta fondamentale. Quindi non vi saranno forzature per aprire quattro corsie, per permettere l’invasione di camion europei (detto da chi si è sempre professato europeista fa riflettere…) e quant’altro. Punto e basta.
Ora l’unica priorità è l’esecuzione di quanto voluto dal popolo svizzero con una chiara maggioranza, ossia la realizzazione di un secondo tubo, affinché vi siano poi due tubi monodirezionali a una corsia. Per concludere, un accenno alla votazione cantonale sugli orari di apertura dei negozi. La mini-revisione accolta dal popolo ticinese non è certo rivoluzionaria e non risolverà determinati problemi del settore del commercio legati a fattori come la forza del franco. Tuttavia si tratta di un tassello importante per mettere ordine nell’ambito delle deroghe e per dare un po’ più di flessibilità. Sperando che una maggiore chiarezza legislativa possa aiutare il raggiungimento di un accordo fra le parti sociali affinché il settore abbia le armi necessarie per affrontare i profondi mutamenti delle abitudini di consumo.

Il San Gottardo e quegli strani silenzi

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Prometto, è una delle ultime volte che scrivo qualcosa sul risanamento della galleria autostradale del San Gottardo, in votazione il prossimo 28 febbraio. Le prese di posizione si susseguono giornalmente e probabilmente elettrici ed elettori sono allo stremo delle forze. Più che ribadire i molti argomenti che, a mio avviso, fanno chiaramente propendere per la realizzazione di un secondo tubo monodirezionale senza aumento di capacità, preferisco soffermarmi su alcuni fatti che sono passati un po’ sotto silenzio, probabilmente perché imbarazzanti per gli oppositori. Avantutto, la posizione delle Ferrovie federali svizzere, dichiaratesi favorevoli al risanamento.

Il motivo è molto semplice: le capacità della rotaia sono limitate e senza lo sbocco stradale per il traffico Alptransit si troverebbe in difficoltà. Non ci sono complotti, è un elemento dimostrato dallo studio mai contestato dell’ingegner Lucchini di qualche anno fa, che ha rilevato come l’incastro delle varie tracce ferroviarie sarebbe molto delicato e dipendente da una perfezione assoluta, scevra da ogni intoppo. Cosa realizzabile solo in teoria, perché l’esperienza insegna che anche un contrattempo di qualche minuto paralizzerebbe il sistema. Isolando il Ticino. Sempre in tema di ferrovia, vi è un altro elemento interessante. Il Parlamento federale nel 2001 e il Consiglio federale nel 2006, per il tramite dell’allora Consigliere federale Moritz Leuenberger in occasione dell’inaugurazione dei lavori per la galleria ferroviaria del Monte Ceneri, hanno solennemente deciso e dichiarato che il raddoppio per le nuove gallerie ferroviarie è un obbligo assoluto per questioni di sicurezza. Nel senso che i treni, per ragioni di sicurezza, non possono incrociarsi nella stessa galleria e che i sensi di marcia devono essere separati in cunicoli diversi. Né più né meno quello che chiediamo per la strada con il risanamento della galleria del San Gottardo. Strano che questo elemento venga sottaciuto o anzi sbeffeggiato, con l’argomento del progresso tecnico che in pochi anni porterebbe le auto a viaggiare come su binari e quindi a non scontrarsi più. Eppure per i treni, che appunto circolano su binari, il raddoppio è necessario, mentre per le auto no. Credo che la manifesta contraddizione si commenti da sola e sia purtroppo esclusivamente il frutto limiti ideologici. Non è pertanto nemmeno sorprendente se gli oppositori alla galleria di risanamento non proferiscono parola su tutte le altre opere di risanamento stradale realizzate in altre regioni svizzere. Si esulta, giustamente, per l’aumento delle capacità stradali a Crissier in terra vodese e nello stessa regione si definisce strategico l’ampliamento della rete autostradale attorno a Morges. Nessuno insorge per la terza corsia (totale sei) fra Luterbach e Härkingen sulla A1 né contro la terza galleria di risanamento costruita al Belchen (fra Soletta e Basilea-campagna) per un totale di sei corsie, dove per risanare le due esistenti verrà appunto edificato un terzo tubo che servirà poi alla fine da cunicolo per i soccorsi. Senza dimenticare i lavori attorno all’agglomerato di Lucerna (con vari tunnel a due corsie e un terzo tubo per la galleria del Rathaus). Sono solo alcuni esempi emblematici di come ovunque si aumentino le capacità stradali, senza che nessuno metta in dubbio le necessità di risanamento né chieda di trasferire tutto sulla ferrovia, tra l’altro potenziata nelle regioni in questione. Curioso che invece molti insorgano dove la capacità non viene aumentata, come al San Gottardo. Una stridente e pericolosa incoerenza. Rifiutare un risanamento che garantisce alla Svizzera vitali collegamenti interni avrebbe conseguenze fatali per il paese.