Legalità e libertà

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

“Punire tanti per le colpe di pochi ha invece un retrogusto sinistro da regime totalitario che poco ha a che fare con le nostre strutture (ancora) liberali.”

L’attualità cantonale offre numerosi spunti legati a due principi giuridici fondamentali come la legalità e la libertà. Non mi riferisco alle attività criminali e alle eventuali privazioni della libertà personale, bensì alle sempre più numerose e fantasiose proposte volte a moralizzare soprattutto il comportamento delle aziende sul mercato del lavoro. In nome di princìpi certamente condivisibili come il controllo dell’immigrazione, il rispetto del territorio in senso lato, ecc., ma a volte staccati dal principio dello Stato di diritto, che pure è un principio costituzionale, visto che l’articolo 5 capoverso 1 della Costituzione federale indica chiaramente che “Il diritto è fondamento e limite dell’attività dello Stato”.

Stupisce quindi non poco che dopo mirabolanti promesse di ricette facili facili applicabili immediatamente, si debba ricorrere a verifiche della legalità e a mille analisi e approfondimenti per verificare ex post l’applicabilità delle ricette miracolose o presunte tali. Ho comprensione per il gioco politico, fatto inevitabilmente anche di forzature per smuovere situazioni bloccate. Ma quando la forzatura diventa sistematica la cosa si fa quantomeno problematica. Come sempre si invocano situazioni speciali che giustificano qualsiasi cosa, quindi anche il prendere a calci la Costituzione federale, da difendere contro i giudici stranieri, ma che i ticinesi sono legittimati a ignorare trattandosi, a seconda delle situazioni, non di una Carta fondamentale che tutela diritti individuali, federalismo ecc., ma di un fastidioso libercolo voluto dai confederati per fregare i ticinesi. Ovviamente l’interesse supremo di cancellare la libertà economica e imprenditoriale, sancita tra l’altro dall’articolo 27 della Costituzione federale e per noi valore non negoziabile, è prevalente e questo, secondo taluni, giustifica tutto. Infatti non sono pochi coloro che considerano tale libertà come una licenza di uccidere, cioè di fare quello che si vuole fregandosene delle regole. Complimenti per la profondità di pensiero. Considerata la ridicola esaltazione per imprese che chiudono o che rinunciano a investire in Ticino e la volontà di sparare nel mucchio indistintamente, vi è seriamente da chiedersi se si vogliano ancora aziende sul nostro territorio. Ah è vero, dimenticavo che vi sono sempre le aziende iper-tecnologiche ad altissimo valore aggiunto (definizione su cui si potrebbe disquisire a lungo), che non hanno parcheggi, non creano traffico, non inquinano e non fanno rumore. Queste e solo queste sembrano avere diritto di cittadinanza, mentre le altre, che spesso però sono le nostre ben radicate sul territorio e che andrebbero quindi difese, sono poco più che pezzenti perché non sono la Apple. Anche se la Apple, per la sua politica di retribuzione, in Ticino finirebbe sicuramente alla gogna per dumping salariale e cacciata con grande sollievo dei puristi dell’autarchia. Difficile raccapezzarsi in questo ginepraio. Certo, come al solito sarò accusato di non volere intervenire contro un mercato selvaggio di neo-liberisti a caccia di scalpi. In realtà mi sono sempre schierato senza riserve per le sanzioni civili, amministrative e penali per chi non rispetta le regole. Punire tanti per le colpe di pochi ha invece un retrogusto sinistro da regime totalitario che poco ha a che fare con le nostre strutture (ancora) liberali. Non penso che esprimerlo sia un delitto di lesa maestà verso la volontà popolare. Magari, lasciando da parte gli attacchi personali e gli isterismi, potrebbe anche essere la base di una discussione costruttiva. Ma temo che sia un’illusione. Purtroppo.

L’incertezza giuridica è una minaccia per il futuro delle nostre imprese

Opinioni dalla Cc-Ti

Nel mondo delle imprese si è creata una situazione d’incertezza che è puro veleno.

È cominciato il carosello degli incontri del Consiglio di Stato con i partiti, con Berna e la Regione Lombardia, per l’applicazione dell’iniziativa “Prima i nostri”. Un’altra quadratura del cerchio. Altra legna verde sulle braci di quel 9 febbraio 2014 che ha cacciato la Svizzera in un vicolo cieco nei rapporti con l’UE e il futuro degli accordi bilaterali. Per chi lavora e produce, per il mondo delle imprese in pochi anni è venuto meno un quadro giuridico- istituzionale chiaro e affidabile. Si è creata una situazione d’incertezza che per l’economia è puro veleno.

Quanta e quale manodopera estera, e a che condizioni, si potrà assumere? Come si evolveranno le relazioni con l’Europa, il nostro partner commerciale più importante con un mercato che assorbe il 62 % dell’export elvetico? Cosa resterà dei sette accordi bilaterali? Che ne sarà dell’innovazione e della forza competitiva della nostra industria, se dovessimo essere tagliati fuori dai grandi programmi europei di ricerca? Sono queste le domande che si fanno gli imprenditori. Ogni impresa per poter pianificare la sua attività, gli investimenti e le strategie di crescita deve poter contare su un quadro giuridico chiaro e definito, sia per le regole del mercato interno sia per le relazioni commerciali con gli altri Paesi. Oggi purtroppo non è più così. Si resta in attesa degli eventi, per vedere come, e a quale prezzo, la politica riuscirà a concretizzare la volontà popolare.

Qui non si mette assolutamente in dubbio la volontà del popolo, espressa attraverso quella democrazia diretta che tanti altri Paesi giustamente ci invidiano. Si critica, semmai, l’abuso che ormai da troppo tempo si fa, da destra e da sinistra, dell’iniziativa popolare e referendum come mezzi per una campagna elettorale permanente, chiamando i cittadini al voto su problemi ad alto impatto emotivo. Dalla politica fiscale a quella salariale, dalla tutela dell’ambiente e del territorio ai temi che interferiscono con importanti accordi internazionali firmati dalla Svizzera. Un esercizio strumentale della democrazia diretta che, oltre ad erodere il principio di rappresentatività del Parlamento e il potere decisionale del Consiglio federale, ha provocato profonde distorsioni e vuoti preoccupanti nel sistema dei principi giuridici-istituzionali che reggono il nostro Paese.

Una deriva che negli ultimi anni ha conosciuto in Ticino un’allarmante escalation, di cui l’iniziativa “Prima i nostri” è solo l’ultima tappa. Qui, nel tempo triste di una politica in cui prevale la retorica emozionale contro i lavoratori d’oltre confine e le imprese che li assumono, per alimentare paure e risentimenti popolari, l’incertezza del diritto è diventata prassi legislativa e di governo. Regola abituale, con le semplificazioni brutali della cosiddetta “politica dei segnali” da mandare a Berna o con l’uso ricorrente di “leggi a tempo”, due o tre anni, tanto per vedere l’effetto che fanno. Il più delle volte si tratta di norme e provvedimenti che dal profilo giuridico si rivelano incompatibili col diritto federale o con trattati internazionali sottoscritti dalla Svizzera. Utili, però, per mostrare i muscoli agli elettori.

Lo si è visto con la tassa sui posteggi, i certificati penali per i dimoranti e frontalieri, l’albo anti padroncini e altre misure estemporanee, che hanno risucchiato il Cantone nella politica delle decisioni umorali e a corto termine, precipitando le imprese nel limbo di un’incertezza giuridica che ne condiziona pesantemente attività e progetti di sviluppo.

Ma quanto valgono i bilaterali?

Michele Rossi, Avv., Delegato Relazioni Esterne della Cc-Ti

L’UE è il partner commerciale più importante per la Svizzera. Un abbandono della via bilaterale comporterebbe gravi ripercussioni sulla nostra economia.

Ogni tanto vale davvero la pena di fare il punto della situazione, di fermarsi un attimo, di prendere una sana distanza dal tema in discussione, soprattutto quando il tema è vissuto in modo del tutto emotivo, svincolato da una corretta visione dei fatti. Solo sulla base di dati oggettivi è poi possibile formarsi un’opinione. Altrimenti i dibattiti rischiano di trasformarsi in sterili cori di tifoserie calcistiche, la curva Nord che urla contro la curva Sud la propria fede politica, religiosa, sportiva, …

Nella questione europea siamo purtroppo arrivati a questo punto. Emozioni scagliate contro gli avversari che annebbiano la vista quando invece, soprattutto considerato il delicato momento di trasformazione economica, sarebbe necessario mantenere una certa lucidità. Torniamo quindi all’inizio, agli anni ‘90.

Cosa sono i bilaterali? Perché li abbiamo conclusi? Ebbene questi accordi sono uno strumento di politica estera il cui scopo è quello di permettere alla Svizzera di accedere, parzialmente, al grande mercato europeo. Non essendo la Svizzera un Paese membro dell’UE e avendo nel 1992 popolo e Cantoni deciso di non partecipare nemmeno allo Spazio economico europeo (SEE), i bilaterali sono la via per permettere al nostro Paese, alla nostra economia, di partecipare al mercato continentale.

È importante questa partecipazione? Certo, l’UE è di gran lunga il nostro partner commerciale più importante, con il quale è necessario avere rapporti stabili, strutturati e fluidi. Per la nostra economia sarebbe impensabile precluderci l’accesso a questo enorme territorio. Da questo accesso dipende, non dimentichiamolo, il nostro benessere, che non è scontato e che va coltivato ogni giorno, consapevoli che scelte politiche sbagliate potrebbero avere importanti conseguenze economiche negative. Proprio per mettere in evidenza questo aspetto la Seco, lo scorso anno, ha incaricato due prestigiosi istituti di ricerca al fine di quantificare l’effetto economico per il nostro Paese di un’eventuale caduta degli accordi bilaterali. I risultati di questi studi sono univoci. Senza bilaterali staremmo peggio.
Concretamente gli studi mostrano come l’abbandono dei bilaterali avrebbe significative ripercussioni negative per l’economia. L’effetto cumulato fino al 2035 consisterebbe in un’erosione del PIL svizzero di 460-630 miliardi di franchi. In neanche 20 anni, l’abbandono dei bilaterali costerebbe approssimativamente un PIL (o un «reddito annuo») svizzero attuale, con conseguente diminuzione dell’occupazione. Questi sono i dati, queste sono le conseguenze calcolate da seri istituti di ricerca, non opinioni o semplici emozioni.
Stiamo quindi attenti a non giocare con il fuoco. Nelle delicate trattative in corso tra Berna e Bruxelles volte a trovare una soluzione al voto del 9 febbraio 2014 teniamo ben presente la posta in gioco effettiva. Se in futuro saremo chiamati ad esprimerci sulla necessità o meno di mantenere i bilaterali ricordiamoci dei dati, dei fatti e di quanto il nostro benessere ne dipenda. E lasciamo i cori negli stadi…

Mobilità senza contrapposizioni

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

“Resta il fatto che sempre più, giustamente e come ribadito con forza dagli ambienti economici negli ultimi anni, i vari vettori di trasporto non devono più essere messi in contrapposizione ma vanno considerati complementari. La sensazione è che in Ticino, purtroppo, non si sia ancora riusciti a superare questo steccato.”

Che la mobilità sia un tema caldo e sensibile sul territorio e nel dibattito politico è evidente e pure comprensibile, visto che tocca il quotidiano di tutti noi. Si tratta del resto di un fenomeno di società non esclusivamente ticinese, ma che riguarda, è bene ricordarlo, praticamente tutte le regioni urbane svizzere (per non parlare del resto del mondo).

Basti pensare, per fare qualche esempio facile facile e senza scomodare agglomerati particolari, alla situazione dell’A1 tra Zurigo e Berna e Losanna e Ginevra. Non cito a caso la regione del Lago Lemano, perché essa sta affrontando l’annosa questione del sovraccarico di traffico tra la capitale vodese e quella ginevrina con un approccio diverso rispetto alle “tradizioni” degli ultimi anni, cioè sottolineando la complementarietà tra strada e ferrovia. Come apertamente dichiarato anche dalla Consigliera di Stato socialista Nuria Goritte, Responsabile delle infrastrutture. Che poi la stessa Signora negasse questo principio quando si discuteva del secondo tubo autostradale del San Gottardo è oggi fortunatamente un dettaglio della storia su cui si può anche sorvolare.

Resta il fatto che sempre più, giustamente e come ribadito con forza dagli ambienti economici negli ultimi anni, i vari vettori di trasporto non devono più essere messi in contrapposizione ma vanno considerati complementari, come del resto chiaramente riconosciuto anche dalle Ferrovie federali svizzere che, nelle loro strategie puntano molto anche sulla mobilità individuale da e per le stazioni ferroviarie. La sensazione è che in Ticino, purtroppo, non si sia ancora riusciti a superare questo steccato. Non a caso, nel contesto della discussione sulle misure proposte dal Governo cantonale per lottare contro l’inquinamento e della decisione di ritirarne alcune, sono subito partiti sproloqui all’indirizzo degli ambienti economici, rei di avere sollevati dubbi giuridici e di efficacia riguardo appunto ad alcuni provvedimenti previsti.
A parte il fatto che le procedure di consultazione servono proprio a questo e che il Governo ha considerato legittimi tali dubbi, prima di giudicare in modo grossolano sarebbe stato opportuno leggere le nostre osservazioni, che non hanno messo in dubbio il principio della necessità di intervenire sulla questione del traffico. Ma discutere, senza isterismi né attacchi personali, dei mezzi messi in campo è assolutamente legittimo e ricordare taluni princìpi giuridici, sebbene non sia più molto “trendy” nel nostro Cantone, è un elemento importante per trovare soluzioni che siano sostenibili.
Qualcuno ha azzardato che stiamo difendendo un sistema economico obsoleto e irrispettoso dei cittadini. Peccato che l’unica alternativa proposta sia quella di far chiudere le aziende, che non mi sembra un grande programma di Paese. In realtà cerchiamo di contribuire a far sì che le discussioni vertano su una visione complessiva del sistema della mobilità. Questo passa anche per un approccio diverso all’analisi delle caratteristiche di tale sistema, che oggi, grazie agli strumenti elettronici a disposizione, può contare su svariati mezzi che permettono un monitoraggio preciso di quanto succede nell’arco delle 24 ore in tutte le zone del Cantone. Non tenerne contro sarebbe un errore fatale nella ricerca di possibili soluzioni per limitare determinati impatti sul territorio. Altri territori svizzeri l’hanno capito, in Ticino facciamo purtroppo più fatica e siamo ancora troppo legati alle contrapposizioni. È un vero peccato.

Per la Cc-Ti la mobilità è un tema prioritario.
Durante il 2016 abbiamo trattato la questione in ampio modo e continueremo a farlo, qui di seguito alcuni articoli correlati che potrebbero interessarvi:

Contatto diretto con le associazioni di categoria: novità in vista

La Cc-Ti vanta tra i suoi associati circa 1’000 soci individuali e 43 associazioni di categoria, raggruppando all’incirca 7’000 imprese.

La missione della Cc-Ti è di offrire consiglio e assistenza alle associazioni professionali associate, gestendo anche direttamente il segretariato di quelle che ne fanno richiesta.

Ogni associazione si caratterizza per una propria missione, con obiettivi e attività specifiche. Questo aspetto non sorprende se si tiene conto dei diversi settori e delle differenti funzioni presenti. Alla Cc-Ti hanno aderito l’Associazione Bancaria Ticinese, l’Associazione Installatori Elettricisti Ticinesi, Federcommercio e altre importanti associazioni ticinesi.

Sul nostro sito web potete scoprire tutte le peculiarità delle associazioni a noi affiliate.

Altrettanto estesa è l’offerta di prestazioni della Cc-Ti. Ne descriviamo solo alcune che contraddistinguono i servizi proposti: assistenza nell’ambito degli aspetti formali dell’esportazione e consulenza per l’internazionalizzazione, servizi giuridici con particolare attenzione all’arbitrato e alla mediazione, corsi di formazione e seminari, l’amministrazione di una cassa assegni familiari, e molto altro ancora.

La Cc-Ti ha ulteriormente intensificato e sistematizzato i contatti e la collaborazione con le associazioni a lei affiliate in considerazione delle richieste e delle urgenze espresse dagli stessi associati. D’altro canto tutto il team della Cc-Ti ha un rapporto costante con le differenti associazioni. Dal gennaio 2016 sono stati Roberto Klaus, Direttore SSIB Ticino, e Gianluca Pagani, Collaboratore di Direzione Cc-Ti, a prendere contatto con i diversi Comitati per delle visite mirate.

Citiamo tre esempi innovativi portati avanti quest’anno:

  • la prima iniziativa concerne Ticinomoda. In stretta collaborazione con il Dipartimento Tecnologie Innovative della SUPSI è stato creato un percorso formativo tagliato su misura. Seguendo questa formazione si può ottenere un diploma universitario riconosciuto: il CAS – Certficate of Advanced Studies in Smart e-Fashion (potete approfondire questo tema su Ticino Business di settembre 2016 a pagina 21).
  • Una seconda associazione ha segnalato la necessità di dover prendere decisioni strategiche sui futuri assetti societari. Questo sia da un punto di vista formale che finanziario. Si è dunque realizzato un percorso molto efficiente per definire il valore dell’azienda. L’architettura della soluzione è nel contempo essenziale e fortemente personalizzata, come richiesto dall’associazione.
  • Una terza associazione vuole essere accompagnata dalla Cc-Ti nell’ambito delle tematiche legate alla responsabilità sociale delle aziende. Si è posta il quesito di come e se adottare degli indicatori standard per il settore e offrire ai propri associati una soluzione realistica.Nuova offerta formativa per le associazioni professionali

La trasformazione digitale: un’occasione anche in Ticino

Sì è tenuta ieri – presso il LAC – la seconda edizione di Dialogarena Ticino.
L’evento riunisce relatori di primo piano ed esperti di settore per discutere di temi attuali della digitalizzazione in Svizzera. Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti, era uno dei partecipanti alla tavola rotonda.

L’evento, che aveva come tema la trasformazione digitale, è stato aperto da Stefano Santinelli, delegato del CEO di Swisscom per la Svizzera italiana, con queste parole “Chi migliora i processi e serve meglio i suoi clienti, semplifica loro la vita e li sorprende con nuove esperienze”.

La trasformazione digitale è ormai una realtà e tocca tutti quanti, il Ticino compreso. La domanda che ci si pone è se il nostro territorio è pronto a sfruttare le possibilità intrinseche a questo cambiamento. I presupposti sono presenti, spiega il CEO di Swisscom per la Svizzera italiana, la questione è quindi ora quella di sapere se le aziende e la politica sono pronti a “sfruttarle”. A questo proposito sono quindi intervenuti Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti e Stefano Rizzi, Direttore del Dipartimento Economia del DEF, risaltando come purtroppo esista una certa discrepanza fra i tempi dell’evoluzione tecnologica rispetto a quelli delle scelte politiche e delle eventuali regolamentazioni. Per il nostro Direttore, affinché il Ticino possa beneficiare al meglio di questa rivoluzione, la politica non deve porre eccessivi ostacoli alle aziende.

 Il pubblico si è poi diviso tra più sale per assistere a diverse tavole di dialogo. A partecipare ad una di queste, dal titolo “Disegnare la città del futuro (o Smart City)”, c’era anche il nostro Direttore, Luca Albertoni, che ha sottolineato come sia importante essere coscienti che l’innovazione è un concetto trasversale, che tocca in modo diverso e secondo logiche particolare, tutti i settori, da quello industriale a quello artigianale, passando per il commercio. La città del futuro è un concetto realizzabile, ha continuato, il Direttore Albertoni, ad ostacolarne però il suo sviluppo in Ticino è però purtroppo l’assenza di una visione di sistema che caratterizza il nostro Cantone.

A chiudere la serata è stato Alberto Calcagno, CEO dell’azienda Fastweb che ha illustrato come la sua società, oggigiorno parte del gruppo Swisscom, è riuscita nel corso degli anni (quasi 17 dalla sua nascita) a mantenersi ai vertici del mercato. La ricetta del successo di Fastweb è stata quella che Calcagno chiama la “Management revolution”, ovvero quel cambio di paradigma per quanto concerne i processi aziendali. Ad aver permesso alla sua azienda di continuare ad avere dei buoni risultati è infatti stata, a detta di Calcagno, la loro capacità di rimettere in discussione – in un momento non sospetto, ovvero di crescita – il loro modello strategico. In particolare ciò è avvenuto prendendo spunto da altre società attive nel ramo dei servizi (non unicamente loro concorrenti), per poi cercare di adattare questi processi alla loro realtà aziendale, in modo da avvicinarsi maggiormente alle esigenze dei clienti e alle loro volontà. Ad essere importante, ha concluso il CEO di Fastweb, è quindi la capacità di saper anticipare i tempi “riuscendo a ritagliarsi dei nuovi vestiti, che ci stanno meglio” e non facendosi intimorire dalle difficoltà che questa transizione comporta.

La mobilità aziendale è un’opportunità

Si è svolta tra settembre e ottobre la prima edizione del corso della Cc-Ti
“Mobility Management PMI”

Nei mesi di settembre e ottobre 2016 ha avuto luogo il primo corso “Mobility Management PMI” con attestato della
Cc-Ti. Si sono iscritte aziende di grande importanza, provenienti da vari settori economici: dal mondo bancario alla moda, dalla grande distribuzione ad aziende elettriche, passando per industrie farmaceutiche, e altre ancora.
Particolarmente gradita è stata la partecipazione di un uno studente universitario che scrive la sua tesi di Master sul tema della mobilità aziendale in Ticino.

La prima serata con il modulo “Mobilità e traffico” ha permesso di iniziare con un approccio scientifico basatosi sui molti progetti e studi svolti dalla Rapp Trans di Zurigo, presentate da Gianni Moreni. I contenuti sono stati suddivisi nei seguenti capitoli principali: introduzione, la mobilità in Ticino, gli attori e gli strumenti di pianificazione dei trasporti e sviluppi futuri.
Fondamentale è stata sicuramente la parte introduttiva con le definizioni tecniche e gli indicatori del settore dei trasporti, che hanno permesso di avere una condivisione di conoscenza e di linguaggio comune a tutti i partecipanti.

Il secondo modulo ha avuto l’obiettivo di delineare gli aspetti giuridici e legislativi con il relatore Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti. Si sono studiate le basi costituzionali federali (ad esempio la libertà personale di movimento), le leggi di applicazione e le competenze tra Confederazione, Cantoni e Comuni, nonché le leggi cantonali rilevanti per il tema. Uno degli argomenti trattati è stato anche la molto discussa tassa di collegamento, con altri esempi di misure anti-inquinamento. Si sono volute anche esplorare, con un intervento di Roberto Klaus, Direttore SSIB Ticino, le opportunità strategiche di quelle misure aziendali che non sono prescritte dalla legge, ma che l’impresa ritiene utile introdurre per questioni legate alla riduzione
dei rischi, per l’ottimizzazione de flussi gestionali e per questioni d’immagine.

Durante la terza serata, Simone Pedrazzini della Quantis ha presentato l’approccio scientifico e indipendente nella misurazione ambientale con il sistema LCA (Life Cycle Assessment). In effetti, per tutti gli attori è fondamentale evitare
il rischio di procedere per luoghi comuni e con un’impostazione puramente ideologica nella scelta delle misure da intraprendere. L’impatto delle attività si può misurare con strumenti di laboratorio, in modo da portare un eco-bilancio
credibile e sostenibile.

Il ciclo formativo si è chiuso con le relazioni di Davide Marconi e Massimo Brignoni della Mobalt, che hanno approfondito ed esposto casi aziendali, con particolare attenzione agli aspetti finanziari.

Da parte dei partecipanti è emersa chiaramente la necessità di un approccio strategico, che comprenda le molte sfaccettature legata alla mobilità aziendale, e siamo molto soddisfatti perché la proposta targata Cc-Ti ha colto nel segno le esigenze dei corsisti.

L’attenzione non si è focalizzata sugli aspetti legati solo alla tassa di collegamento, anzi vi sono sovente priorità in altri ambiti, come:

  • la consegna della merca ritardata e/o avariata
  • i disservizi nei lavori di manutenzione e di installazione con personale che opera all’esterno
  • i fornitori che arrivano tardi con i materiali e la merce
  • l’accoglienza negativa nei negozi e nei luoghi turistici
  • il rischio di perdita di competitività

La percezione dei rischi, ma anche delle opportunità ha favorito la creazione di un gruppo di incontro che intende condividere anche in futuro le esperienze nell’ambito della gestione della mobilità aziendale.

Considerato il successo il corso con attestato inoltre sarà proposto nuovamente nel corso del 2017. Siamo inoltre lieti di comunicare che, visto il progetto serio e completo, altre Camera di commercio ed industria svizzere seguiranno il nostro modello di formazione. Ancora una volta la Cc-Ti si è dimostrata innovativa su un tema sensibile e di interesse non solo locale ma nazionale.

Locale e internazionale

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

“La sfida è trovare un equilibrio tra mercato locale ed esportazioni.”

Le ampie discussioni sugli Accordi bilaterali, sull’applicazione dell’immigrazione di massa e tutto quanto ruota attorno alle questioni internazionali dimostrano quanto sia delicato il tema, sia a livello federale che cantonale. Il Ticino lo ha dimostrato qualche giorno fa, se ancora ce n’era bisogno, con l’adozione massiccia dell’iniziativa “Prima i nostri”.

La contrapposizione fra locale e internazionale è ormai diventata il “leit-motif” della discussione politica. Dal punto di vista dell’economia le preoccupazioni, contrariamente a quanti superficialmente sembrano credere, non riguardano solo il reclutamento di personale straniero, bensì in modo più generale le condizioni in cui si può operare in Svizzera e all’estero, gli Accordi di libero scambio essenziali per un’economia nazionale e cantonale votata all’esportazione, i rapporti di concorrenza con il resto del mondo, ecc.. Poca roba per chi pensa che il mondo si fermi ad Airolo.

Si tratta invece di questioni fondamentali per tutta l’economia e quindi anche per il Paese. Perché una delle prima sfide per le associazioni che si occupano di politica economica generale come la nostra, è di trovare un equilibrio fra chi è prevalentemente attivo sul mercato locale e chi invece vive di esportazione, parzialmente o totalmente. E la sfida non riguarda solo il Ticino ma tutta la Svizzera. Le tanto deprecate multinazionali (di regola industriali) sono fenomenali vettori di lavoro per il mercato locale e per tutti i settori, dal commercio all’artigianato, passando per i servizi e altri settori industriali. A titolo di esempio, e fatte le debite proporzioni, un colosso come Procter & Gamble a Ginevra dà lavoro a quattrocento (400) aziende locali. Credo non siano necessari troppi commenti per cogliere le implicazioni di questo dato. Forse anche quelli che, con faciloneria, vorrebbero cacciare società di questo genere dovrebbero fare un piccolo sforzo di immaginazione per comprendere la realtà delle cose. Poi si può discutere di gettito fiscale, di mercato del lavoro, ecc. ma è un fatto che ignorare l’interconnessione fra mercato locale e internazionale è un errore capitale. Anche perché, sia detto per inciso, vi sono una marea di PMI di altissimo livello e di dimensioni ridotte che operano nel contesto internazionale, non sono solo le cattive multinazionali a farlo.

Il nostro impegno va quindi su entrambi i fronti, cercando di comprendere talune esigenze di protezione di alcuni settori e quelle di altri invece orientate ad avere meno regole. Una sfida non da poco ma appassionante, perché richiede un equilibrio di valutazione, di giudizio e di azione che fa parte ormai del nostro DNA e di tutte le Camere di commercio e dell’industria svizzere. Sembrano magari parole un po’ generiche, ma è difficile essere brevi e concreti su temi dalle mille sfaccettature e tanto complessi. Peccato che non lo capiscano i sempre più numerosi paladini di soluzioni da applicare con sprangate distribuite indistintamente a tutti. Fa sorridere (amaro) che molti che invocano i valori patriottici svizzeri siano poi in prima fila per proporre cose che violano la Costituzione federale. Quella svizzera per intendersi, non le regole dell’Unione Europea. Magari sarebbe il caso di pensarci, la prossima volta. Perché se anche gli Accordi bilaterali (tutti, non solo quello sulla libera circolazione delle persone) non sono né devono essere un tabù, attendo sempre che qualcuno indichi un’alternativa valida per regolare i rapporti con il nostro più importante partner commerciale. A quel punto si potrebbe iniziare a discutere con cognizione di causa. Nel frattempo noi continuiamo imperterriti a sostenere sia che opera localmente che chi si dedica all’esportazione. Perché sono due facce di una stessa medaglia. Per il momento ancora d’oro, più in là si vedrà, nuove regole permettendo.

Qui di seguito altri due articoli riguardanti l’importanza di mantenere ed estendere relazioni sane con l’estero, apparsi sull’ultimo numero di Ticino Business, il nostro mensile.
La Svizzera non può rinunciare agli accordi bilaterali con l’UE
Al Ticino serve una riforma fiscale

Controlli e regole più severe. Bene, ma…

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

“Bene che ci siano regole più incisive per combattere il dumping salariale che danneggia anche le moltissime aziende oneste e che faticano quotidianamente per creare la ricchezza di questo territorio. Ma l’applicazione deve essere, come per tutte le norme giuridiche, ragionata e proporzionata.”

La scorsa settimana le Camere federali hanno approvato una proposta ticinese e ginevrina di inasprire alcune regole concernenti i lavoratori distaccati nel contesto delle misure di accompagnamento alla libera circolazione delle persone. In particolare, è stato adottato il principio della proroga facilitata per i Contratti normali di lavoro (CNL), l’aumento delle sanzioni a 30’000 franchi per chi contravviene alle disposizioni legali e il divieto per aziende estere colpevoli di gravi o ripetute violazioni di operare in Svizzera da uno fino a cinque anni.

L’economia ticinese si è sempre dichiarata favorevole al rafforzamento dei controlli e all’inasprimento delle sanzioni nel quadro delle misure di accompagnamento esistenti, per cui il divieto di operare e multe più salate sono misure condivisibili. In linea di principio, anche una proroga facilitata dei CNL può avere un senso e non è tanto la misura in sé a sollevare qualche dubbio, quanto piuttosto la sua applicazione pratica. Avantutto va sottolineato che non si tratta di un automatismo e che tale proroga deve giustamente essere motivata, altrimenti può diventare uno strumento di politica economica e non di controllo e di lotta al dumping salariale, come invece dovrebbe essere. Purtroppo non sono mancati i casi in passato di CNL adottati non perché motivati da dumping, ma per correggere livelli salariali giudicati troppo bassi (che non costituiscono sempre e automaticamente dumping). In altre parole, un uso non esattamente ortodosso di uno strumento comunque utile come i CNL. In quest’ottica occorrerà quindi lavorare in modo molto chiaro e trasparente, perché, nel contesto odierno, la tentazione di largheggiare con proroghe non basate su fatti consolidati o presunzioni fondate, ma solo su ipotesi e sospetti da “sentito dire” c’è ed è innegabile. L’uso disinvolto della denuncia penale, la scarsa considerazione per talune commissioni paritetiche malgrado gli appelli al partenariato sociale, casi presunti sbattuti in prima pagina, magari violando anche qualche segreto istruttorio, salvo poi accorgersi che non c’era nulla da punire, non promettono granché di buono. Il lavoro della Commissione tripartita cantonale in materia di libera circolazione è molto buono e offre numerose garanzie, ma richiamare a un uso responsabile degli strumenti offerti dalle basi legali è doveroso, se si vogliono affrontare in maniera risolutiva i problemi che emergono dal mondo del lavoro. Quindi, bene che ci siano regole più incisive per combattere il dumping salariale che danneggia anche le moltissime aziende oneste e che faticano quotidianamente per creare la ricchezza di questo territorio. Ma l’applicazione deve essere, come per tutte le norme giuridiche, ragionata e proporzionata.

Un anno intenso

L’opinione di Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

“Dal canto nostro cerchiamo di dare vari contributi, mettendoci a disposizione per combattere i fenomeni di abusi (quelli veri, non quelli presunti) ed emarginare chi non si comporta in maniera corretta e sottolineando con forza, i tanti, tantissimi esempi di aziende più che virtuose.”

È già passato un anno da quando ho avuto l’onore di essere chiamato alla Presidenza della Cc-Ti. Dodici mesi volati via con rapidità incredibile, fra molte emozioni, battaglie vinte (una su tutte: il secondo tunnel autostrale del San Gottardo) e perse (inevitabile pensare alla tassa di collegamento), progetti da consolidare e idee nuove.
Insomma, il “solito” mix che caratterizza l’attività di un’associazione come la Cc-Ti, impegnata a difesa del mondo imprenditoriale in tutte le sue sfaccettature, fatto di molti settori diversi fra loro ma proprio per questo complementari e accomunati dalla legittima preoccupazione di poter continuare a fare impresa in maniera costruttiva su un territorio che ha parecchie carte da giocare nel panorama nazionale e internazionale.

Preoccupazione per l’ostilità verso le aziende

Più volte in questi mesi, ma direi anche negli ultimi anni, la Cc-Ti ha espresso preoccupazione per la crescente ostilità, ormai molto diffusa, verso il mondo delle aziende. Fenomeno preoccupante perché approssimativo, che non opera distinzioni e che criminalizza in modo forfettario chiunque rientri nella definizione di imprenditore, quasi fosse ormai diventato un concetto di cui vergognarsi. E la crescente distanza fra mondo politico e realtà economica è un fatto ormai innegabile che non può non portare a porsi molte domande quanto al futuro del nostro Cantone. Perché un Paese che si vuole competitivo non può prescindere da un minimo di lavoro comune fra queste due componenti. Non sto per nulla parlando di asservimento della politica all’economia, rimprovero spesso mosso alle vere o presunte grandi “lobbies” o ai cosiddetti “borsoni” che è l’ultima parola alla moda per denigrare chi cerca di creare ricchezza in questo Paese. No, non si tratta di invocare una preminenza dell’economia in virtù del ruolo che essa svolge. Si tratta invece di esigere un minimo di conoscenza della realtà imprenditoriale concreta da parte di chi decide a livello istituzionale i destini del Cantone. La scarsa conoscenza e il sempre maggiore disinteresse che regnano oggi sul fronte politico nei confronti del mondo delle imprese è pericoloso, perché oltre a minare alla base il sistema consociativo svizzero, porta a decisioni e presunte “soluzioni” avulse dalla realtà, che recano molti danni al sistema economico, senza portare vantaggi a cittadine e cittadini. Il caos di basi legali create in fretta e furia negli ultimi mesi per compiacere il popolo e per raccattare qualche soldino senza approfondimenti sulle conseguenze di tali decisioni è emblematico.

Necessità di giudizi ponderati

I problemi vanno affrontati in maniera sistemica e risolti, nel limite del possibile, tenendo conto della realtà di cui si sta parlando. Sembra una banalità, ma anche per quanto riguarda l’economia è essenziale, perché gli equilibri sono molto fragili e non è assolutamente scontato che la prosperità che abbiamo conosciuto negli ultimi anni continui imperterrita a esistere malgrado i colpi inferti a scadenze regolari al sistema, in nome di richiami autarchici, di pericolose illusioni di essere i migliori al mondo e di poter scegliere senza conseguenze chi riteniamo sia degno di operare in Ticino sulla base di più che dubbi criteri. Pensando di poter avere nel nostro Cantone solo aziende che non fanno rumore, che non inquinano, che non hanno posteggi, che non assumono stranieri e che pagano stipendi oltre qualsiasi parametro ragionevole rischiamo di farci male. Perché è utopia pure, alimentata da false credenze ad esempio sull’alto valore aggiunto. Discutendo qualche tempo fa con alcune persone, purtroppo “addetti ai lavori” della politica, mi ha impressionato il fatto di come con leggerezza affermassero che bisognerebbe avere in Ticino più aziende come Apple a causa dell’altissimo valore aggiunto. Vero, sarebbe bello in termini di ricerca e innovazione, ma gli stessi interlocutori sembrano dimenticare che Apple fabbrica in Cina e che paga per molti lavoratori salari molto bassi perché il sistema retributivo all’americana prevede altri incentivi non sempre legati alla componente fissa. Questo significherebbe che in Ticino Apple sarebbe massacrata e probabilmente fatta fuggire per cause di dumping salariale acuto. Giusto o sbagliato che sia, la superficialità delle considerazioni che ha ormai pervaso in maniera trasversale quasi tutto l’orizzonte politico va in qualche modo arginata.

Il ruolo della Cc-Ti e la positività

Dal canto nostro cerchiamo di dare vari contributi, mettendoci a disposizione per combattere i fenomeni di abusi (quelli veri, non quelli presunti) ed emarginare chi non si comporta in maniera corretta e sottolineando con forza, i tanti, tantissimi esempi di aziende più che virtuose. Purtroppo questi elementi non sembrano interessare più di tanto, vuoi perché sono considerati scontati, vuoi perché è più comodo e pagante creare paure su cui costruire fortune politiche, fregandosene altamente delle conseguenze che vi potrebbero essere per il sistema economico. Salvo poi piangere perché manca il gettito fiscale di aziende che se ne vanno, dopo essere state vituperate fino al giorno prima sulla base di considerazioni completamente sbagliate (il solito valore aggiunto ad esempio). È quindi una conseguenza purtroppo quasi logica che le discussioni su veri e presunti imprenditori cattivi ruotino soprattutto attorno alle incessanti scadenze di votazioni federali e cantonali e siano praticamente finalizzate solo a questi appuntamenti. Con il risultato che di aspetti positivi si parla troppo poco. Per rimanere nel nostro piccolo della Cc-Ti, i molti progetti formativi per migliorare le competenze dei nostri operatori, le aperture di nuovi mercati esteri, il sostegno concreto (e gratis per lo Stato…) alle attività aziendali con attività specifiche che risolvono situazioni anche molto intricate sul piano cantonale, nazionale e internazionale, le molte proposte costruttive di riforme nell’interesse del Paese e non solo per una ristretta cerchia dei già citati “borsoni”, restano praticamente inosservate perché troppo positive e non polemiche. Questo si vuole oggi e non mi scandalizzo certo, anche se una punta di tristezza vi è comunque, perché sembra che, in una spinta di inspiegabile autolesionismo, non siamo più capaci di valorizzare quanto di buono il territorio riesce ad esprimere.

Avanti nonostante tutto

È un vero peccato arrivare al punto di dire che l’economia va avanti malgrado la politica, come succede spesso nella vicina Penisola. Anche se ho l’impressione che la direzione sia ormai questa, il che vuol dire sacrificare alcune caratteristiche fondamentali della Svizzera e del Ticino. Senza una vera e propria necessità di farlo. Certo, i sempre più numerosi paladini dell’anti-impresa diranno che tutti i mali del nostro Cantone sono causati dall’economia. “Visione” troppo parziale, ingiusta e dannosa, che non esito a definire vergognosa. Un sano e nemmeno troppo complicato esame di coscienza da parte di tutti, nessuno escluso, ci permetterebbe magari di affrontare le cose in maniera costruttiva e non solo distruttiva. Ahimé, questo oggi è forse chiedere troppo.