Con grandi eventi e cultura una svolta decisiva in Ticino

Testo a cura di Alessio del Grande

Nell’anno di grazia 2017, forse, il Ticino riuscirà a liberarsi dall’immagine di Cantone sonnacchioso e lamentoso. Almeno sul piano della cultura e dei grandi eventi. Da Lugano a Locarno, favorita anche da un’incoraggiante ripresa del turismo, si è chiusa questa estate una fortunata stagione culturale, con spettacoli e rassegne che hanno richiamato centinaia di migliaia di persone. Una svolta che potrebbe segnare un decisivo cambio di passo per la politica culturale, grazie ad un’offerta di eventi che ha generato pure un importante indotto economico. Sicuramente valutabile in decine e decine di milioni di franchi, sebbene manchino ancora stime precise. È la sonora smentita di quella rozza opinione secondo cui con “la cultura non si mangia”, quando essa si sta, invece, rivelando, un potente propulsore non solo per la crescita sociale e civile, ma anche per quella economica.

A Lugano già nel 2016 il LAC ha proposto sette esposizioni e oltre 200 spettacoli, tra musica e teatro, mentre il Museo d’Arte ha accolto più di 100mila visitatori. Se la mostra su Paul Signac ha registrato 50mila visitatori, per l’anno prossimo si annunciano le due esposizioni dedicate a Picasso e Magritte, che contribuiranno a consolidare la presenza di Lugano sulla scena culturale internazionale attirando altre decine di migliaia di visitatori. Nella città dell’Estival Jazz, la settima edizione di LongLake Festival in 35 giorni ha offerto ben 500 eventi che hanno richiamato 350mila persone e innescato un milione di contatti online. Un open air urbano che ha saputo coinvolgere le più diverse fasce di pubblico, confermando anche una forte attrattività turistica.

A Locarno per le nove serate in Piazza Grande di Moon&Stars sono stati venduti più di 65mila biglietti, a cui vanno aggiunti i 35mila ospiti di Food&Music Street, intelligente novità introdotta quest’anno, a cui sono stati offerti una cinquantina di concerti gratuiti. Una manifestazione che è “linfa vitale per il turismo”, ha ricordato il Sindaco di Locarno Alain Scherrer. Basti pensare che l’esibizione dei Jamiroquai, diffusa in streaming, ha registrato 4,5 milioni di utenti. Con la musica del gruppo britannico, a viaggiare per il mondo c’era anche l’immagine di Locarno.

La cultura si rivela un propulsore per la crescita sociale, civile, e soprattutto per quella economica. Un esempio ne è il Festival Internazionale del Film, che si tiene annualmente a Locarno.

E c’è il Festival del Film che ha festeggiato la sua 70esima edizione con l’apertura della Casa del cinema – che dovrebbe diventare il polo ticinese dell’audiovisivo – e una crescita dell’8%, raggiungendo in 11 giorni i 174mila spettatori. Già nel 2005 uno studio dell’Università della Svizzera Italiana, aveva stimato in 22-23 milioni le ricadute economiche della rassegna cinematografica per la regione. Tanto per farsi un’idea, da sola lo scorso anno la Ticino Film Commission ha creato un indotto di 1,6 milioni. Pure il Festival ha ampliato le sue proposte con iniziative collaterali d’intrattenimento e con Locarno Experience, un doppio posizionamento che qualifica la manifestazione tra i “Top Event” della Svizzera. Da Lugano a Locarno si è affermato un concetto di offerta a largo spettro che si rivolge a tutti: alle fasce popolari così come a quanti sono più attenti ai specifici contenuti culturali. E ciò che serve per suscitare interesse e fare immagine. Eventi e cultura non sono, dunque, un lusso, bensì un investimento capace di richiamare un pubblico internazionale e di rilanciare il Cantone tra le destinazioni turistiche estive dell’Europa. Sempre che il Ticino sappia disintossicarsi da quelle acide polemiche che si sono viste col “caso Verzasca”.

Professionisti di serie A…rtigianato

di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Eccovi una riflessione sul comparto dell’artigianato nell’economia odierna.

In occasione della ricorrenza del 2017 per la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti), che segna il traguardo del 100° anno di attività, diamo spazio alla presentazione dei vari comparti economici. Il Ticino è caratterizzato da un tessuto economico molto diversificato e per questo solido. La sottolineatura delle molte situazioni positive che si trovano sul nostro territorio è doverosa per chi, come la Cc-Ti, è chiamata a tutelare gli interessi di tutta l’economia. In quest’ottica, l’edilizia e l’artigianato, per storia e tradizione ma anche per le importanti evoluzioni degli anni più recenti, hanno un ruolo molto importante per la stabilità del sistema, perché comprende di regola aziende molto radicate sul territorio. Analogamente a tutti gli altri settori economici, l’artigianato merita la giusta considerazione. Purtroppo, troppo spesso a torto, le aziende in Ticino in generale sono considerate a basso valore aggiunto in molti settori, tra cui anche l’artigianato, sfortunatamente. Nel confronto quotidiano con le imprese, ci si può invece facilmente rendere conto che la realtà è ben diversa e quelli che con faciloneria e con le pericolose semplificazioni tanto in voga oggi vengono considerati di scarso valore (o, peggio, disonesti), sono in realtà imprescindibili per il funzionamento del Cantone. E l’artigianato in quest’ottica non fa eccezione.

Mestieri e saperi antichi che oggi intrecciano tradizione con modernità ed innovazione. Pensiamo alla bottega del panettiere, piena di farina e dove si produceva “solo” il pane: oggi quest’immagine non corrisponde più alla realtà, vi è stata un’evoluzione.

Basti pensare alle enorme evoluzioni che i vari mestieri dell’artigianato hanno conosciuto nel corso degli ultimi anni. Mestieri storici come l’elettricista, il falegname, il piastrellista, il muratore, il panettiere, ecc. richiedono oggi un grado di specializzazione molto elevato. Sono mestieri e saperi antichi che oggi intrecciano tradizione con modernità ed innovazione. L’immagine magari un po’ “romantica” che vedeva la bottega del panettiere, ad esempio, piena di farina e dove si produce “solo” il pane, non corrisponde più alla realtà. Senza dimenticare che proprio i panettieri, come tante altre categorie artigianali, formano un numero consistente di apprendisti. Non sono più “unicamente” artigiani, ma oggi più che mai, esperti, professionisti specializzati che lavorano secondo processi e con strumenti innovativi. Assistiamo infatti a un’integrazione di due elementi sempre più imprescindibili: il valore intrinseco del lavoro definito “manuale” e l’innovazione combinata anche con la digitalizzazione. Lo confermano del resto i dati della nostra inchiesta congiunturale annuale condotta presso i nostri associati: la digitalizzazione alle imprese ticinesi, comprese quelle artigianali, non fa paura. Anzi è un motivo di ulteriore specializzazione nella ricerca di opportunità per aggiornarsi e fare fronte in modo efficace e soprattutto con la qualità a una concorrenza sempre più agguerrita. Le cifre dell’edilizia e dell’artigianato del resto parlano chiaro: 3’300 aziende attive, con un indotto di oltre 2 miliardi di franchi, ossia ben il 7,5% del PIL ticinese, occupando circa 19’000 dipendenti. Accennavo prima alla formazione: un punto focale per tutte le aziende, viste le numerose trasformazioni a cui assistiamo. Le associazioni di categoria artigianale si impegnano per la formazione di base e continua, il che rappresenta un valore inestimabile per la nostra economia. Non è quindi sbagliato affermare che professioni a volte neglette svolgono in realtà un ruolo primordiale che andrebbe tenuto nella giusta considerazione. Sarebbe magari giusto tenerne conto prima di dare giudizi affrettati.

Lungo il filo della storia dentro l’economia: 100 anni di Cc-Ti

Vi presentiamo una riflessione sul nostro traguardo, le attività ad esso legate ed i progetti che abbiamo in serbo, previsti da settembre in poi, che sottolineano il nostro anniversario.

Una data storica

Il 21 gennaio 1917, era una domenica, fu costituita a Lugano, da parte dell’Assemblea dell’Associazione commerciale Industriale del Canton Ticino, la Camera di commercio. Erano presenti 62 membri. Da quel momento l’attività della nostra associazione si è confrontata con la vita sociale, congiunturale, economica e storica del territorio ticinese, passando dalla Seconda Guerra Mondiale, al boom degli anni ‘50/’60, alle crisi degli anni Novanta, ecc.. La storia, quella insegnata sui banchi di scuola e vissuta dalle aziende nel XX secolo, la conosciamo tutti. Per la nostra associazione si tratta di un lasso temporale molto particolare: nel 2017, quest’anno, cade il Centenario dalla nostra fondazione. 100 anni durante i quali la Cc-Ti, attraverso iniziative, prese di posizione, confronti, informazioni alle aziende, pubblicazioni, eventi, ecc. è sempre evoluta, mantenendo però un punto fermo e ben focalizzato: la tutela e il benessere degli associati (aziende ed associazioni padronali) quale principale obiettivo.

Lavoro e passione per le aziende ed associazioni di categoria affiliate

La Cc-Ti è stata un’ottima interprete dei principali avvenimenti che hanno caratterizzato un lungo periodo, dimostrandosi una struttura solida e di successo, con una finalità che nel tempo non è mai mutata, anzi, ha garantito la prosperità del Cantone: il benessere del tessuto aziendale, con la garanzia del rispetto della libertà economica. Quest’ultima è iscritta anche nella Magna Charta federale (all’articolo 27 della Costituzione svizzera, che ricordiamolo, recita 1. La libertà economica è garantita. 2. Essa include in particolare la libera scelta della professione, il libero accesso a un’attività economica privata e il suo libero esercizio), per cui ci siamo sempre battuti. Nel nostro Cantone sono così insediate ottime realtà imprenditoriali e operano associazioni professionali con una lunga tradizione alle spalle. Il sistema associativo svizzero rappresenta un unicum a livello mondiale, invidiatoci da molti.
Oggi possiamo dunque contare su oltre 1’000 aziende e 43 associazioni padronali affiliate alla Cc-Ti, che raffigurano tutta l’economia ticinese. L’evoluzione, dalla fondazione del 21 gennaio 1917 con 62 membri ad oggi, è stata costante.

Rappresentiamo delle eccellenze e non imprenditori senza scrupoli. L’immagine tendenziosa che purtroppo spesso viene portata agli occhi dell’opinione pubblica non corrisponde alla realtà. In quest’anno così peculiare per noi abbiamo agito e agiamo per il contrasto all’immagine negativa delle del tessuto economico ticinese con fatti, dati, immagini e progetti che fanno prendere coscienza alla popolazione e agli opinion leader della realtà concreta dei fatti, ridando la giusta dimensione e immagine, ossia positiva, propositiva ed umanizzata, al mondo imprenditoriale ticinese.

Un altro messaggio per noi fondamentale è quella di confermare il nostro ruolo, con una prospettiva quale nostra associazione mantello di tutta l’economia, mantenendo l’accento su tematiche trasversali a tutti i settori economici, fornendo supporto e consulenza a temi più specifici, su richiesta degli associati. Durante il 2017 abbiamo intensificato la comunicazione a 360°, con percorsi eventistici, formativi e mediatici ad hoc.

Tematiche trasversali e lavoro comune

Abbiamo identificato 4 macro aree di importanza strategica inerenti tematiche di base per l’economia ticinese e l’attività quotidiana delle ditte, con cui ci si confronta: l’internazionalizzazione, la digitalizzazione, la responsabilità sociale delle aziende e la swissness (intesa nella sua accezione più larga come modo di fare impresa svizzero, che già racchiude in sé la capacità di adattamento e la creatività che ha permesso al nostro tessuto di reinventarsi).
Grazie agli eventi ed alla nostra comunicazione multicanale, abbiamo potuto strutturare e focalizzare l’attenzione eventistica, e quindi di approfondimento attorno ai quattro temi maggiori citati poc’anzi. Gli eventi in questione sono: “La giornata dell’export”, “L’economia del futuro è digitale”, “Responsabilità sociale delle aziende: un vantaggio competitivo”, che si sono tenuti nei primi 6 mesi del 2017 e di cui sul nostro sito www.cc-ti.ch trovate gli approfondimenti, e “Swissness: innovazione e creatività”, in programma in autunno. In questo senso, grazie ai nostri canali di comunicazione tradizionali (newsletter, social media, sito, Ticino Business), oltre che attraverso l’erogazione dei nostri normali servizi (proposte eventistiche e di formazione, consulenze in azienda, …) e la nostra attività tradizionale di lobby politica, abbiamo potuto insistere sui messaggi chiave identificati tramite comunicazioni ed informazione distinte.
Inoltre vista la collaborazione con il gruppo MediaTI (che comprende diversi mezzi di comunicazione quali tv – Teleticino –, quotidiani – Corriere del Ticino e Giornale del Popolo –, portali online – ticinonews.ch –) abbiamo potuto mediatizzare queste informazioni strutturandole differentemente, tematizzando i messaggi che sosteniamo, sfruttando appieno tutto il potenziale offerto.
Non da ultimo, volendo differenziare i canali di informazione per raggiungere pubblici diversi e coprire l’intera popolazione ticinese con i nostri messaggi, stiamo collaborando anche con LiberaTV e LaRegione, che rappresentano due organi d’informazione importanti.
Il tutto per arrivare ai pubblici d’interesse vasti in modo completo e variato, modulando le notizie in modo mirato.

Novità in vista da settembre 2017: “Dentro l’economia”

Oltre i nostri confini

Durante il corso di quest’anno è proseguita pure la collaborazione sempre con MediaTI e Switzerland Global Enterprise (S-GE) per le brevi interviste ad imprenditori ticinesi in onda su Teleticino settimanalmente nell’ambito del progetto “Oltre i confini”.

Zoom in tv

Come presentato sul nostro sito, sono state girate 3 puntate speciali sui nostri 4 eventi principali del 2017, a copertura di essi. Un 4° appuntamento è in programma per l’evento sulla Swissness. Vi sarà anche una puntata speciale dedicata all’assemblea del Centenario, prevista il 20 ottobre, che simboleggerà il clou dei festeggiamenti.

Il 100° nella seconda parte del 2017: cosa ci aspetta? Dentro l’economia

Continueremo con gli approfondimenti, come fatto sinora, su differenti canali e attraverso mezzi diversi. Ci dedicheremo anche, in particolare, a degli speciali televisivi con “Dentro l’economia” in onda su Teleticino per 5 domeniche dal 17 settembre alle ore 18.30: una trasmissione ideata per far scoprire, attraverso materiali d’archivio, interviste e testimonianze i settori economici che la Cc-Ti rappresenta. Industria, servizi, commercio ed artigianato saranno i protagonisti di 4 delle 5 puntate di “Dentro l’economia”, permettendo al pubblico di scoprirli con un excursus storico settoriale, passando poi a interviste con ospiti che attraverso le loro esperienze professionali e in seno alle diverse associazioni di categoria, fanno emergere cifre e dati, risaltando anche il ruolo della Cc-Ti in questo contesto.
La puntata di domenica 15 ottobre sarà speciale perché dedicata alla storia della Cc-Ti: si ripercorreranno i cento anni attraverso materiali d’archivio e interviste in prima persona dei personaggi che hanno avuto e che hanno tuttora un ruolo attivo per la Cc-Ti.

Moltissime dunque le attività ancora in programma, a dimostrazione del reale valore del mondo imprenditoriale ticinese, che racconta un territorio propositivi, in cui la Cc-Ti è un attore principale, a sostegno del benessere aziendale e della difesa della libertà economica. Restate aggiornati sulle nostre attività attraverso il nostro sito internet e tramite la nostra newsletter.

I servizi: realtà trainante dell’economia ticinese

di Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

Con questo testo si approfondisce il comparto del settore terziario in Ticino, che costituisce circa il 70% dei posti di lavoro dell’intera economia cantonale.

Continua il viaggio all’interno dei vari settori dell’economia ticinese nel quadro dei 100 anni della Cc-Ti. Questa volta l’attenzione è dedicata ai servizi. Il settore terziario ticinese conta oltre 27’000 aziende e 124’000 lavoratori a tempo pieno, il che costituisce circa il 70% dei posti di lavoro dell’intera economia cantonale. Cifre innegabilmente importanti per una realtà economica estremamente diversificata come quella ticinese. Purtroppo nella discussione pubblica questa varietà è troppo spesso ignorata, visto che è abbastanza usuale considerare il settore terziario come limitato ai servizi legati soprattutto al mondo finanziario, dimenticando tutto il resto, dal commercio ai servizi sanitari. Sarebbe opportuno tenerne conto, soprattutto quando si affrontano temi importanti e delicati come il frontalierato, perché il settore terziario racchiude in sé realtà aziendali diversissime fra loro, con competenze professionali molto ampie.

Il settore terziario in Ticino rappresenta un meta-settore complesso e vasto, con competenze professionali molto ampie.

Inevitabile quindi che anche l’andamento del meta-settore sia di difficile lettura. Se pensiamo all’evoluzione degli ultimi anni, i dati ufficiali del Cantone indicano come vi sia stata una riduzione per il comparto dei servizi finanziari ed assicurativi sul valore aggiunto lordo, con una variazione nel 2014 da 2 a 1,9 miliardi di franchi circa. Questo nonostante l’ambito finanziario offra ben il 6,4% dei posti di lavoro dell’intera economia ticinese, una quota superiore a quella dello stesso ambito su scala nazionale (5,8%). Per un settore in profonda trasformazione, per le note evoluzioni a livello internazionale, ve ne sono altri in cui invece vi è stata una chiara progressione del valore aggiunto. Basti pensare all’importante sviluppo del commercio di materie prime, diventato un fattore fondamentale per il Ticino, sia dal punto di vista fiscale che occupazionale, perché sempre più orientato alla formazione e all’assunzione di personale residente in un contesto fortemente internazionalizzato. Parimenti, alle difficoltà numeriche conosciute dal commercio al dettaglio, fanno da contraltare le buone cifre del settore turistico e dell’albergheria in particolare nei mesi più recenti. Insomma, il settore terziario è indicativo della struttura economica cantonale, più resistente di altre regioni svizzere alle difficoltà proprio perché molto variegata. E non va dimenticato che, anche grazie alla digitalizzazione sempre più diffusa, si sta rafforzando notevolmente l’ambito dei servizi all’industria, che permette di svolgere alle nostre latitudini servizi di alta qualità concorrenziali nella realtà internazionale, perché non direttamente legati alla produzione. Un’ulteriore differenziazione che può portare novità interessanti per la nostra realtà.

“Previdenza 2020”: occorrerebbe correggere gli squilibri – dossier tematico

a cura di Alessio Del Grande

Che riforma è una riforma che discrimina tra i pensionati di oggi e quelli di domani, che non distingue tra chi ha veramente bisogno e chi no, che impone anche ai giovani di pagare di più senza la garanzia di benefici futuri? Che senso ha tentare di salvare provvisoriamente le casse dell’AVS, per ritrovarsi tra un decennio con un deficit di sette miliardi di franchi all’anno? Quale logica di risanamento c’è nel risparmiare 1,2 miliardi portando a 65 anni l’età di pensionamento delle donne, ma spendendo 1,4 miliardi in più con l’aumento di 70 franchi dell’AVS?

Ecco perché “Previdenza 2020” non è una vera revisione del sistema previdenziale, ma solo una “riforma farsa”. Approfondiamo dunque il tema in questo testo. Potremo avere un quadro completo sulla tematica trattata, in votazione il prossimo 24 settembre.

Una storia tormentata

Settant’ anni di vita e ben 11 revisioni. L’ultima, nel 2004, è stata bocciata dal popolo. Un altro tentativo si è arenato in Parlamento nel 2010, mentre nell’autunno scorso è stata respinta dal voto popolare l’iniziativa AVSplus. Storia tormentata e irrisolta quella dell’Assicurazione per la vecchiaia e il prossimo 24 settembre si tornerà ancora alle urne per “Previdenza 2020”, la riforma del Consigliere federale socialista Alain Berset. Con un doppio voto: sul previsto aumento dell’IVA (referendum obbligatorio) e sull’insieme della nuova legge contro cui è stato lanciato un altro referendum. Di fatto, si voterà due volte sullo stesso tema. Quando nel 1948 entrò in vigore l’AVS si contavano 6,5 persone attive per ogni pensionato, oggi sono soltanto 3,4. Stando agli attuali trend demografici, tra trent’anni il numero dei pensionati svizzeri passerà da 1,5 milioni a circa 2,6 milioni e ci saranno soltanto due lavoratori attivi per un pensionato. Detto altrimenti, saranno sempre meno le persone attive che dovranno sostenere il finanziamento delle rendite pensionistiche. Secondo un recente studio di UBS, nel 2060 il numero degli over 64 sarà raddoppiato e i costi dell’AVS, assieme a quelli dell’assistenza sanitaria, saranno, al netto dell’inflazione, più che duplicati. Di fronte a queste previsioni e considerando anche altri due preoccupanti fattori, ossia i giovani che arrivano sempre più tardi sul mercato del lavoro, rispetto a quanto avveniva con le precedenti generazioni, e la discontinuità contributiva, si profilano grosse incognite per un sistema previdenziale, che nei tempi d’oro di alta congiuntura e del baby boom aveva spesso registrato buone eccedenze. I primi segnali di allarme per l’AVS ci sono stati con la recessione economica degli anni ‘70, quando cominciò a farsi sentire anche in Svizzera il calo della nascite e l’aumento degli anziani. Da allora la situazione è andata peggiorando e oggi, con la forte crescita degli ultrasessantenni e il pensionamento della generazione dei “babyboomer”, il finanziamento del primo e del secondo pilastro non è più assicurato. Che sia necessaria una revisione radicale è, quindi, fuor di dubbio, ma certamente non secondo il modello messo a punto da Berset.

Cosa prevede “Previdenza 2020”?

In sintesi i punti principali della riforma Berset, che tocca sia il primo pilastro come la previdenza professionale, sono:

  • l’aumento a 65 anni dell’età di pensionamento per le donne;
  • il pensionamento flessibile tra i 62 e i 70 anni;
  • la riduzione dal 6,8 al 6,0% del tasso di conversione con cui si calcolano le rendite del secondo pilastro;
  • l’aumento di 0,3 punti dei prelievi salariali;
  • l’incremento dell’IVA di 0,6 punti per finanziare l’AVS;
  • 70 franchi in più al mese di rendita AVS per compensare la riduzione del tasso di conversione del secondo pilastro;
  • l’aumento del tetto massimo per i coniugi dal 150% al 155%.

Di queste due ultime misure beneficeranno, però, soltanto coloro che andranno in pensione a partire dal prossimo anno.

Ci si dovrebbe confrontare con i problemi strutturali del sistema, non rinviare le soluzioni.

La revisione si propone di garantire l’equilibrio finanziario dell’AVS sino alla fine del prossimo decennio. Ma in buona sostanza si tratta di una “pseudo riforma”, come è stata definita, perché non affronta i veri nodi della previdenza e rappresenta, inoltre, una cambiale in bianco per i lavoratori più giovani, chiamati alla cassa per saldare il conto di un meccanismo di finanziamento che non garantisce né stabilità né sicurezza per il futuro. Una revisione, quindi, che invece di misurarsi con i problemi strutturali del sistema ne rinvia solo la soluzione. Ma, intanto, ne crea di altri.

Perché NO a questa riforma?

Approvata nel marzo scorso dal Parlamento con una maggioranza risicata, grazie ad un’alleanza di centrosinistra, “Previdenza 2020” potrà offrire solo una boccata di ossigeno alle casse dell’AVS, rischiando però di compromettere, col suo meccanismo espansivo e la logica dell’innaffiatoio, tutto il sistema previdenziale. Infatti, nonostante l’apporto di nuova liquidità per miliardi di franchi tramite l’aumento dell’IVA e dei prelievi sui salari, tra dieci anni l’AVS sarà di nuovo in rosso. Si stima che a partire dal 2035 mancheranno ogni anno circa sette miliardi. Per scongiurare questa voragine bisognerà, dunque, intervenire prima. Ma come? Semplice, davanti alla nuova emergenza finanziaria la sola scelta possibile sarà di portare a 67 anni, per tutti, l’età del pensionamento oppure di aumentare di altri due punti percentuali l’IVA. Intanto i cittadini sopporteranno gli effetti di una revisione iniqua che non risolve nulla, ma che penalizza in particolare i giovani che lavorano e gli attuali pensionati. I primi saranno costretti a pagare un prezzo molto alto con maggiori contributi salariali e il rincaro dell’IVA, senza avere la garanzia di poter poi godere a loro volta della previdenza per la vecchiaia. Il che rappresenta una grave lesione di quel patto tra generazioni sui cui si fonda il nostro sistema assicurativo. I secondi si troveranno di fronte ad un’AVS a due velocità. Chi oggi è già è pensionato non riceverà, infatti, i 70 franchi di aumento previsti da “Previdenza 2020” soltanto per coloro che andranno in pensione dal 2018. Una discriminazione bella e buona che viola uno dei principi fondanti dell’Assicurazione vecchiaia e superstiti, secondo cui tutti devono essere trattati allo stesso modo. Gli attuali pensionati saranno di fatto beffati: dovranno pagare un’IVA più cara per finanziare una riforma che a loro non riconosce nessun aumento, subendo, perciò, un’erosione del potere di acquisto. E ci rimetteranno pure i beneficiari delle prestazioni complementari, da cui sarà detratto ogni franco in più che riceveranno dall’AVS. Inoltre, se le prestazioni complementari sono esentasse, su quanto riceveranno in più con la rendita vecchiaia dovranno, invece, pagare le imposte. Per i socialisti e i verdi questa riforma è una rivincita dopo la sonora bocciatura popolare di AVSplus, su cui è stata ricalcata “Previdenza 2020”. Ma è anche un nuovo tentativo di fare dell’AVS una leva di quel sistema redistributivo che da sempre ispira la politica della sinistra. Un’impostazione ideologica di cui faranno le spese i pensionati di oggi e di domani.

Se la “Previdenza 2020” venisse accettata in votazione il prossimo 24 settembre, assisteremmo ad una lesione del patto generazionale su cui si fonda il nostro sistema assicurativo.

Il dossier sulla Riforma 2020 è pubblicato sull’edizione di luglio+agosto di Ticino Business.
Esso si compone di tre articoli:

“Previdenza 2020”: occorrerebbe correggere gli squilibri
Previdenza vecchiaia: non sacrifichiamo la solidarietà tra generazioni
Età di pensionamento flessibile: basta con i tabù

 

Il libero mercato è un processo in divenire

Parliamo ancora di opportunità offerte dal libero commercio, tema fondamentale per la prosperità svizzera e, di conseguenza, delle aziende del nostro territorio. Leggete anche i diversi approfondimenti di un dossier dedicato al tema, già pubblicato su Ticino Business di aprile 2017.

Che il libero mercato sia un elemento imprescindibile per garantire il nostro benessere è stato chiarito a più riprese dalle colonne di Ticino Business. Da ultimo ricordiamo l’intervento sul numero di marzo 2017  intitolato “Il protezionismo è una minaccia per la nostra economia”. È pertanto innegabile che quella che sembra ormai una diffusa tendenza globale alla chiusura preoccupa non poco, soprattutto per una nazione a forte vocazione di esportazione come la Svizzera. Quando si parla di protezionismo la Svizzera, come tutte le altre nazioni al mondo, lo applica in taluni campi sensibili, forse anche a ragione. Si cerca di tutelare le competenze presenti sul nostro territorio e anche la nostra qualità, come appunto fanno tutti, in varie misure. È evidente che la linea fra difesa degli interessi nazionali e politica protezionistica è assai sottile e può prestarsi a molte interpretazioni, più o meno legittime. E non si rimette nemmeno in discussione che l’apertura, rivelatasi sempre benefica nel corso della storia, debba spesso essere gestita per mettere qualche paletto correttivo.

La chiusura comporta delle conseguenze

È però importante rilevare che gli impeti di chiusura non sono neutrali dal punto di vista delle conseguenze. A partire dalla difficoltà di coniugare le visioni diverse fra chi, nel contesto di un tessuto economico forte perché differenziato, si dedica in buona parte all’export e deve combattere quotidianamente nell’arena globale e chi invece è prevalentemente orientato al mercato interno. Le aziende del primo gruppo necessitano di mercati senza grosse barriere, le seconde invece spesso premono per metterne a loro tutela. Nel breve periodo una protezione può essere vantaggiosa, sia per l’azienda che per il consumatore, ma alla lunga la mancanza di concorrenza potrebbe portare a meno innovazione, a minori spinte di cambiamento e quindi lentamente ad erogare un servizio o creare un prodotto meno performante, a svantaggio dei consumatori. A svantaggio quindi di tutti noi. Non fraintendiamo, la nicchia ben sfruttata o magari anche un privilegio quasi unico concesso ad una o poche aziende non è per forza negativo e ci sono molti esempi di aziende che, anche operando in queste condizioni, rimangono competitive, a vantaggio di molti, se non tutti. Ma in generale l’apertura (con i necessari correttivi) ha sempre dato risultati migliori della chiusura, anche e soprattutto in termini di benessere generale, malgrado a volte la percezione sia di segno contrario. Per questo è fondamentale che la politica svolga il suo lavoro varando o abrogando leggi, vigilandone sul rispetto, ecc., ma sempre mantenendo come obiettivo quello di un mercato il più aperto possibile.

La Cc-Ti continuerà a battersi per il libero mercato, che non significa anarchia, ma poche regole certe che danno sicurezza.

L’importanza dell’accordo per l’eliminazione degli ostacoli tecnici al commercio

In questo contesto basti pensare ai tanto deprecati Accordi bilaterali fra Svizzera e Unione europea, caratterizzati quasi solo dalla discussione sulla libera circolazione delle persone. Fondamentale è l’accordo che riguarda l’eliminazione degli ostacoli tecnici al commercio, meno famoso e scottante rispetto alla libera circolazione delle persone, ma importantissimo per le aziende perché facilita in maniera considerevole le procedure, permettendo di risparmiare molti costi e aumentandone la competitività nel contesto del fondamentale mercato europeo. La riduzione delle differenze fra le norme di omologazione e quindi una maggiore omogeneità nella valutazione di conformità dei prodotti è un tassello che facilita enormemente il lavoro delle aziende e prima di norme che possono ostacolare il commercio. Prima del 2002, senza gli accordi bilaterali, occorreva tenere conto anche di questa complessità nel fare affari con i paesi europei: senza questa difficoltà, le aziende svizzere hanno risparmiato e risparmiano centinaia di milioni, reinvestiti nei loro fattori competitivi. Chiaramente si faceva business anche senza gli accordi bilaterali ed era possibile, ma ogni norma che favorisce la semplificazione degli scambi commerciali aiuta ovviamente in maniera decisiva le nostre aziende. Senza dimenticare che in generale la politica svizzera degli Accordi di libero scambio è una carta vincente per il nostro benessere, tanto che regolarmente il nostro paese conclude tali accordi molto prima di quanto non facciano entità economiche più pesanti della nostra.

L’esempio del “Cassis de Djion”

Polemiche aveva scatenato qualche tempo fa anche l’introduzione del principio del “Cassis de Djion”. Ricordiamo che secondo tale principio i prodotti fabbricati e venduti legalmente nell’UE possono essere venduti anche in Svizzera senza particolari controlli. È prevista una regolamentazione speciale per le derrate alimentari, dato che si tratta di prodotti particolarmente sensibili. Siamo oramai ad alcuni anni di distanza dall’introduzione di questa regola e si può quindi dare uno sguardo al passato, analizzando le paure e le obiezioni espresse al riguardo prima della messa in opera di questo accordo, contestualizzandolo con quello che poi effettivamente è successo. Ed è successo poco, per la verità. In ogni caso nulla di grave, perché dopo i timori concernenti l’idraulico polacco, tale principio aveva scatenato i timori dell’invasione di yoghurt bulgari. Gli effetti sull’ “Isola dei prezzi alti” non sono forse stati così forti come auspicava il Consiglio Federale a suo tempo, ma non vi sono nemmeno stati effetti nefasti come quelli ipotizzati dai contrari, perché non si è vista un’invasione massiccia di beni europei a bassa qualità come si temeva. Insomma, questo esempio concreto mostra che, quando si parla del libero mercato, ansie e timori possono giocare brutti scherzi ma poi, a conti fatti, essi rimangono spettri quasi intangibili. Rimane il fatto che leggi e regolamenti sullo stile del “Cassis de Dijon”, con gli opportuni correttivi quando si parla di determinati elementi qualitativi, sono una buona strada da percorrere per mantenere il nostro mercato competitivo.

La tutela del libero mercato

Per fare business è ovvio che bisogna però essere almeno in due. È importante che noi ci impegniamo a tutelare il libero mercato e gli strumenti tecnici e giuridici che lo consentono (ad esempio gli accordi bilaterali o strumenti affini), ma è altresì importante avere dei partner che agiscano nella stessa maniera. Una debolezza svizzera è forse quella di voler essere quasi sempre i primi della classe, applicando pedissequamente ogni genere di accordo, mentre a volte i partner non sono così precisi. È un elemento che andrebbe riconosciuto maggiormente, non per mettere in dubbio la politica svizzera in generale, ma per evitare strumentalizzazioni politiche che, alla fine, inficiano i principi di base del libero mercato. Niente è perfetto, nessun accordo può esserlo, ma la politica di apertura economica deve continuare, indipendentemente dagli strumenti giuridici utilizzati. Un mondo aperto agli scambi è un mondo in cui il benessere può prosperare. Questo, come già detto, non significa evitare i necessari correttivi, che si chiamino misure d’accompagnamento come nel caso degli accordi bilaterali con l’UE o altro. Perché una politica di apertura economica non è inconciliabile con la difesa degli interessi nazionali o cantonali. Ma affossare qualcosa che funziona è pericoloso. Sostenere sempre che tutto va male e che dobbiamo cambiare sistema, senza peraltro indicare vie praticabili di come si vuole cambiare le cose, non è un modo di procedere costruttivo e porta a una chiusura che ottiene esattamente il contrario dello scopo che in teoria essa persegue. Illudendosi di garantire una protezione onnipresente, si chiudono sbocchi essenziali perché il paese possa prosperare. Da questo punto di vista manca probabilmente una visione di sistema che possa andare oltre le questioni individuali, certo spesso difficili e comunque da risolvere, ma che non possono essere il solo parametro per definire il funzionamento di base del paese. Purtroppo questa è una tendenza di un contesto storico e politico mondiale ostile alla globalizzazione. Alcune ragioni sono più che comprensibili perché gli indicatori mondiali di segno positivo sulla globalizzazione non interessano alle persone toccate nella loro esistenza ad esempio da una concorrenza estera a minor prezzo che ha cancellato certi posti di lavoro. La reazione umana è quella di pensare a limitare gli scambi commerciali con barriere di varia natura, ma non sempre è la decisione giusta. Correttivi sì, soppressione del libero mercato no. Purtroppo oggi è più popolare la tesi che la difesa degli interessi nazionali passa per la chiusura economica.

Nel breve periodo una protezione può essere vantaggiosa, sia per l’azienda che per il consumatore, ma alla lunga la mancanza di concorrenza potrebbe portare a meno innovazione e a minori spinte di cambiamento… A svantaggio quindi di tutti noi.

La Cc-Ti in difesa della libertà economica

La Cc-Ti continua a difendere la libertà economica e imprenditoriale e le libertà in generale, che sono tutt’altro che acquisite. Come già detto a più riprese, ciò non significa essere stoltamente bloccati su posizioni ideologiche e il nostro comportamento in questi anni lo sta a dimostrare. Mai ci siamo opposti a sanzioni per chi ignora le regole, né abbiamo combattuto i correttivi introdotti in maniera equilibrata. L’economia, malgrado quello che possono pensare taluni, non è interessata a creare tensioni sociali, perché il quadro in cui essa opera è molto più vantaggioso se caratterizzato da una situazione tranquilla (in Svizzera si chiama anche pace sociale). Opporsi a soluzioni apparentemente facili, dal grande effetto mediatico ma povere di contenuti concretizzabili non significa ignorare i problemi. Ma la difesa dei principi generali che caratterizzano il sistema liberale e la tutela degli imprenditori è essenziale per il funzionamento della nostra struttura e un’economia funzionante, sana e rispettosa del quadro legislativo e istituzionale come quella che difendiamo è la migliore tutela per il benessere di tutti i cittadini. Regole certe, migliorabili ma senza colpi di testa dettati dalle emozioni, restano essenziali per salvaguardare il principio di legalità, uno degli elementi fondanti della stabilità svizzera. Anche tale principio è assai sotto pressione alle nostre latitudini e questo non va assolutamente bene. Le leggi possono e devono essere modificate, questo è ovvio. Ma ignorare che ci sono per dare spazio a cose astruse, scientemente incompatibili con le basi legali esistenti, tanto per vedere l’effetto che fa è assurdo. Continueremo quindi a batterci per il libero mercato, che non significa anarchia, ma poche regole certe che danno sicurezza. Convinti che questo sia un modo intelligente per continuare ad avere il miglior contesto possibile in cui le aziende possano operare e prosperare, con risvolti positivi per tutti.

Da cento anni con passione e competenza

È con questo spirito che la Cc-Ti lavora da 100 anni per il territorio ticinese.

Il 2017 rappresenta per la Cc-Ti un anno cruciale: festeggiamo il nostro centenario. Per tale occasione, vogliamo trasmettere alcuni messaggi chiave per la nostra struttura, con un percorso dedicato ai nostri associati composto da eventi, formazioni e appuntamenti mediatici ad hoc. Avremo il piacere di informarvi costantemente sulle numerose prossime novità attraverso tutti i nostri canali di comunicazione (sito web, Newsletter, Ticino Business e social media). Qui sotto potrete inoltre leggere e visualizzare alcuni video su tre momenti eventistici importanti che hanno contraddistinto la nostra attività degli ultimi mesi.

Il 100° è un momento di particolare importanza per dar risalto alla solidità della nostra struttura e affermare che, oggi come allora, le sfide così come le opportunità a cui la nostra associazione deve confrontarsi, quale mantello dell’economia di tutto il territorio cantonale, sono molteplici e variate.

Sin dalla sua nascita la Cc-Ti si fa interprete delle voci delle aziende e delle associazioni di categoria, a loro tutela ed in difesa della libertà economica (che ricordiamo è sancita dall’art. 27 della Costituzione federale), ed è stata capace di adattarsi agli eventi del XX secolo, senza mai perdere di vista il proprio obiettivo: i propri soci e il loro benessere. Questo è un fil rouge che percorre trasversalmente tutti i nostri cento anni. 

Fondata sull’iniziativa privata, la Cc-Ti promuove lo sviluppo dell’economia ticinese, portando avanti iniziative, servizi e progetti in difesa della libertà imprenditoriale, spina dorsale dell’attività economica per tutto il territorio cantonale. Un dialogo franco con i nostri associati ci permette di essere costantemente “sul pezzo”, proponendo servizi innovativi costruiti sulla base delle loro esigenze. Quale interlocutore privilegiato possiamo anticipare i trend e le tematiche di stretta attualità e proporre ai soci dei momenti di aggiornamento e informazione di qualità. In questo senso identifichiamo temi, argomenti e Paesi nei quali stanno nascendo possibilità d’affari e presentiamo degli appuntamenti dove, oltre all’aggiornamento sulla tematica in questione, vi è la possibilità di un’interazione tra i partecipanti. Così facendo i membri della Cc-Ti possono disporre di molteplici occasioni di networking, per sfruttare una rete vincente e creare opportunità di business.

Su che cosa ci siamo concentrati e ci concentreremo quest’anno?

Oltre alla difesa della libertà imprenditoriale, che resta al centro della nostra costante attività, abbiamo deciso di focalizzare la nostra attenzione su 4 tematiche fondamentali per la nostra economia, che abbiamo approfondito e approfondiremo anche durante alcuni momenti eventistici. Si è parlato di internazionalizzazione (resoconto e video), di digitalizzazione (resoconto e video) e della responsabilità sociale delle aziende (resoconto e video) e durante i prossimi mesi toccheremo in modo approfondito anche il tema dello swissness – inteso nella sua accezione più larga come modo svizzero di fare impresa.

Inoltre, attraverso differenti azioni mediatiche e divulgative abbiamo deciso di evidenzierà il valore del territorio cantonale, composto da realtà aziendali importanti e forte di un sistema associativo (a livello svizzero) che rappresenta un unicum mondiale, invidiatoci da molti. Tutto ciò mostrando, con numerosi esempi positivi, la reale immagine del mondo imprenditoriale ticinese, caratterizzato da dinamismo, creatività, potenzialità e innovazione.

1 minuto e 15 secondi per conoscere meglio la Cc-Ti.
La nostra infografica!

Scopritene di più sugli eventi del centenario

Per rimarcare il traguardo del 100°, i cui festeggiamenti culmineranno durante l’Assemblea del 20 ottobre 2017, abbiamo deciso di proporre ai soci 4 momenti eventistici maggiori:

Per maggiori dettagli su questi eventi restiamo a vostra disposizione:
Tel. +41 91 911 51 11, casagrande@cc-ti.ch

 

Permessi per cittadini stranieri – Informazione alle aziende

Nessuna esigenza di domicilio per ottenere il permesso di residenza

Negli scorsi mesi ci sono stati segnalati diversi casi in cui, per il rilascio o per il rinnovo del permesso di residenza di un cittadino UE, l’autorità cantonale pretendeva che anche i famigliari della persona in oggetto trasferissero il loro domicilio in Ticino.

A seguito di un ricorso presentato proprio contro questa esigenza, il Tribunale cantonale amministrativo in una sentenza pubblicata lo scorso mese di giugno ha sancito l’illegalità di tale prassi (sentenza n. 52.2016.237).

In concreto il Tribunale ha sottolineato come:

il cittadino di una parte contraente all’ALC – come è il caso del qui ricorrente in forza della sua nazionalità italiana- dispone di un diritto a titolo originario a stabilirsi nel nostro Paese per esercitare un’attività lucrativa dipendente, ottenendo a tale scopo un permesso di dimora UE/AELS (cfr. art.2 paragrafo 1 Allegato I ALC, STF 131 II 339 consid. 2). Non vi è in effetti alcuna norma o principio giurisprudenziale sgorgante dall’ALC che faccia dipendere il rilascio di siffatta autorizzazione dalla situazione del richiedente dal profilo del suo stato civile…(omissis)…Non è quindi dato di vedere come a un cittadino che possa prevalersi dell’ALC non debba essere rilasciato un permesso di dimora per il solo fatto che il coniuge e figli continuino a vivere all’estero.

Nel caso in cui un vostro dipendente dovesse essere oggetto di una simile richiesta da parte dell’autorità cantonale, può legittimamente opporsi richiamando i principi generali di cui sopra.

Convocazione a un secondo colloquio personale

Vi segnaliamo inoltre che il nuovo Regolamento cantonale di applicazione della legge federale sugli stranieri all’art. 8 cpv. 4 prevede che l’Ufficio può esigere in ogni momento che il richiedente si presenti personalmente per fornire ulteriori informazioni, in particolare nell’ambito della procedura di rilascio, di rinnovo o di modifica del suo permesso.

Si tratta di una possibilità di incontro oltre al primo colloquio personale già previsto dalla nuova procedura per il rilascio del permesso. Su nostra specifica richiesta il Consiglio di Stato ci ha precisato che questo secondo colloquio ha carattere meramente sussidiario e che verrà quindi utilizzato dall’Autorità cantonale solo nel caso in cui il richiedente non si dimostri collaborativo e, in ogni modo, solo dopo un tentativo di raccogliere le informazioni via posta.

Infine, vi invitiamo a segnalarci tempestivamente ogni situazione concreta che non dovesse corrispondere alle assicurazioni rilasciateci dall’Autorità cantonale.

Trasformazioni fra paure e realtà

Di Luca Albertoni, direttore Cc-Ti

Al centro dell’articolo le implicazioni e opportunità della trasformazione digitale oggigiorno in corso.

Della trasformazione digitale già si è detto molto e si continuerà a dire molto per parecchio tempo. Come è giusto che sia, visto che essa rimette in discussione molti modelli che sembravano acquisiti e crea dinamiche nuove. E si sa che lo sconosciuto spesso fa paura. Reazione umanamente comprensibile e che non deve essere stigmatizzata, ma è al contempo importante non trascurare taluni fatti, indispensabili per evitare di prendere decisioni, soprattutto di ordine politico, avventate perché dettate più dai timori che da una valutazione oggettiva.

La trasformazione non è per forza negativa, ma permette sviluppi anche impensabili. Nel nostro piccolo Ticino basti pensare alla riconversione di un settore come quello della moda.

Si parla ad esempio molto spesso della deindustrializzazione in Europa, che in realtà è più una trasformazione che una fine vera e propria dell’industria.Interessante a questo proposito è un libro recentemente pubblicato da Pierre Veltz, sociologo, ingegnere ed economista francese, specialista dell’organizzazione delle aziende e delle dinamiche territoriali. Il libro, intitolato “La société hyper-industrielle” (con il sottotitolo “Le nouveau capitalisme productif”) indica come in realtà non vi sia una regressione dell’industria, ma una profonda trasformazione, soprattutto della sua organizzazione. La rivoluzione in atto e con la quale dobbiamo confrontarci non concerne tanto l’automatizzazione di taluni compiti lavorativi, quanto piuttosto la connettività derivante dalle reti di comunicazione che agevola ulteriormente la dispersione della produzione in tutto il mondo, l’inclusione dell’utilizzatore nei cicli di produzione e la ricezione costante dei dati di utilizzo grazie alle varie piattaforme di scambio di dati. Per cui Veltz ritiene che l’industria stia diventando un servizio come gli altri, mentre molti servizi si organizzano secondo criteri industriali, rendendo sempre più difficile la distinzione fra i due rami economici. E’ un brevissimo e parziale riassunto, ma fornisce comunque spunti importanti. Cioé che la trasformazione non è per forza negativa, ma permette sviluppi anche impensabili.

Nel nostro piccolo Ticino basti pensare alla riconversione di un settore come quello della moda, passato dalla fabbricazione di capi d’abbigliamento alla gestione logistica molto avanzata dei flussi della distribuzione dei prodotti nel mondo e alla cura della proprietà intellettuale legata ai vari marchi. Non è del resto un caso che si parli sempre più spesso di “reshoring”, ossia di rimpatrio in Europa di attività industriali esportate anni fa verso quelli che erano considerati paesi a basso costo di produzione. Questo è dovuto anche alla trasformazione digitale che rende talune attività economiche meno costose e quindi rilancia la competitività europea a livelli di costi e permette ad esempio di gestire a distanza il servizio post-vendita ai clienti, garantendo una qualità europea (meglio se svizzera…) oltre i processi di fabbricazione. Il discorso è ovviamente complesso e merita ulteriori approfondimenti che, per ovvie ragioni di spazio, qui non sono possibili. Ma è comunque stimolante constatare che, fra le molte opinioni espresse sul tema della trasformazione digitale in senso lato, ve ne siano parecchie autorevoli che indicano come per il mondo occidentale non vi siano solo nubi scure all’orizzonte. Pierre Veltz sottolinea anche come l’Europa abbia delle carte importantissime da giocare: il principio dell’uguaglianza che tendenzialmente evita che vi siano troppi territori abbandonati, la ridistribuzione equilibrata della ricchezza e la forte interazione fra le città e le regioni europee. Punti di forza che in Svizzera conosciamo bene e che sarebbe profondamente sbagliato abbandonare a causa solo delle paure.

L’economia del futuro è digitale – Dossier tematico apparso su Ticino Business (edizione marzo 2017)

Intervista a Luca Albertoni su influence.ch

Intervista a Luca Albertoni, direttore Cc-Ti, apparsa su influence.ch

Al centro dell’intervista, apparsa il 23.06.2017 sul portale d’approfondimento germanofono, la solidità del tessuto economico ticinese e gli importanti sviluppi di alcuni settori oggigiorno trainanti per la nostra economia, come la moda e il commercio di materie prime.

 

Das Tessin gilt als Sonnenstube der Schweiz. Stört Sie diese Bezeichnung?
Luca Albertoni: Eigentlich nicht. Das Problem ist, dass das Tessin oft aus eigenem Verschulden in der deutschsprachigen Schweiz zu wenig bekannt ist.

Wie bitte?
Das Tessin ist nicht nur ein Tourismuskanton, in dem die Sonne gerne scheint. Vielmehr ist das Tessin auch ein wichtiger Wirtschafts- und Industriestandort. So wird ein guter Fünftel des Tessiner Bruttoinlandprodukts (BIP) durch den Industriesektor erwirtschaftet. Das weiss man nicht. Man bringt uns primär mit dem Tourismus in Verbindung, der im Gegensatz zur Industrie nur 10 Prozent zur Wirtschaftsleistung beiträgt. Diese verzerrte Wahrnehmung stört mich. Wir haben es noch nicht richtig fertiggebracht, diese andere Sichtweise stärker nach Zürich und Bern zu tragen. Dadurch kennt die Schweiz unsere Trümpfe nicht.

Welches sind diese Trümpfe?
Die wichtigste Branche im Tessin ist die Pharmaindustrie, die knapp 10 Prozent unseres BIP ausmacht. Auch die Maschinenindustrie ist mit Georg Fischer oder Schindler im Tessin vertreten. Daneben gibt es zahlreiche kleinere Zulieferer für Deutschschweizer Unternehmen. Da die meisten jedoch keine eigenen Fertigprodukte herstellen und keine bekannten Marken haben, sind diese Firmen weitgehend unbekannt. Das ist häufig das Schicksal der Kleinen. Das Tessin macht punkto Bevölkerung und Wirtschaft rund 5 Prozent der Schweiz aus. Wir sind eine kleine Realität. Wir sollten mehr konstruktive Öffentlichkeitsarbeit machen, damit man uns und unsere Realität besser versteht. Bei der Diskussion um die zweite Gotthardröhre beispielsweise wusste niemand, dass für unsere Logistikbranche der Flughafen Zürich viel wichtiger ist als jener im benachbarten Mailand. In dieser Hinsicht arbeiten wir jedoch besser als in der Vergangenheit.

Ein Tessiner Bundesrat ist meines Erachtens nicht ein Muss, es ist aber klar, dass ein Vertreter der italienischen Schweiz eine andere Sensibilität einbringen und das Gremium bereichern kann.

Mit dem Rücktritt von Didier Burkhalter bietet sich nun die Chance, dass das Tessin nach Flavio Cotti wieder einen Bundesrat stellt. Wie wichtig wäre das?
Ich bin der Meinung, dass die individuellen Fähigkeiten grundsätzlich wichtiger sind als die geographische Herkunft. Ein Tessiner Bundesrat ist meines Erachtens nicht ein Muss, es ist aber klar, dass ein Vertreter der italienischen Schweiz eine andere Sensibilität einbringen und das Gremium bereichern kann.

Welche konkreten Impulse erwarten Sie von einem Tessiner Bundesrat?
Wahrscheinlich würde ein Teil der Tessiner Bevölkerung Bundesbern als weniger entfernt empfinden. Ich würde aber die konkreten Impulse wenigstens kurzfristig nicht überschätzen, denn der Bundesrat arbeitet als Gremium zuerst für die gesamtschweizerischen Interessen.

Wie werten Sie die Chancen von FDP-Mann Ignazio Cassis?
Ignazio Cassis wäre ein fähiger Bundesrat und verdient unsere Unterstützung. Er hat sich in Bern eine starke Position erarbeitet, aber ob das reicht, kann ich als Aussenstehender nicht beurteilen.

Die Achse Chiasso-Basel ist zentral. Darüber hinaus geht es darum, die Zusammenarbeit mit den Basler Kollegen und das Tessin als Logistik-Pol zu verstärken.

Eine starke Position im Tessin hat die Logistikbranche, ebenso die Mode. Möchte man diese beiden Sektoren in den nächsten Jahren ausbauen?
Sie haben sich eigentlich fast von selbst entwickelt. Früher dominierte im Tessin die Textilproduktion, die heute nahezu verschwunden ist und durch die Logistik ersetzt wurde. Traditionshäuser wie Zegna galten als Vorbilder und Magnet für andere Modehäuser, namentlich aus Italien. Kein Wunder, spricht man von einer Fashion Valley. Allerdings sind mittlerweile fast alle italienischen Unternehmen zurück nach Italien gekehrt, weil der Druck aus Rom sehr gross war.

Ein herber Verlust.
Das ist natürlich bedauerlich. Doch an deren Stelle sind französische, britische, skandinavische und amerikanische Modehäuser gekommen. Es hat sich im Laufe der Jahre ein wichtiger Cluster gebildet.

Weil diese Firmen einen steuerlichen Sonderstatus geniessen?
Nein. Das mag in der Anfangszeit so gewesen sein, ist heute aber nicht mehr der Fall. Diese Firmen sind grundsätzlich ordentlich besteuert. Wesentlich wichtiger ist die liberale Gesetzgebung der Schweiz, was für ausländische Unternehmen sehr attraktiv ist. Leider wird die Tessiner Logistikbranche zu wenig wahrgenommen. Deshalb sind wir Mitglied des Logistik Cluster Basel geworden.

Weshalb?
Die Achse Chiasso-Basel ist zentral. Darüber hinaus geht es darum, die Zusammenarbeit mit den Basler Kollegen und das Tessin als Logistik-Pol zu verstärken.

Ein Sektor, der seit der Finanzkrise mächtig gelitten hat, sind die Banken und Vermögensverwalter. Hat sich das Tessin von diesem Schock erholt?
Neben dem Stellenabbau haben die Kantone und Gemeinden stark unter den weggebrochenen Steuererträgen gelitten. Es war ein grosser Schock für die Wirtschaft, den Abzug der Banken mitzuerleben. Doch dieser Verlust ist, wenigstens was die Steuererträge anbelangt, fast vollständig wettgemacht worden durch andere Unternehmen, insbesondere aus der Rohstoffbranche, die sich im Tessin niedergelassen haben. Lugano gehört mittlerweile im Stahlhandel zur Weltspitze. Nach Genf und Zug sind wir Nummer drei der Schweiz, nur knapp hinter Zug. Allerdings ist es ein Nachteil, dass der Finanzplatz Tessin im Zuge der Finanzkrise geschwächt wurde. Die Politik der Grossbanken besteht darin, ihre Finanzdienstleistungen, namentlich die komplexeren, in Genf oder Zürich zu zentralisieren. Die fehlenden finanztechnischen Kompetenzen sind eine grosse Herausforderung für die Rohstoffbranche und die übrige Wirtschaft.

Die Tessiner Wirtschaft ist heute robuster und stärker diversifiziert.

Wie gut geht es der Tessiner Wirtschaft?
Die Wirtschaftsfaktoren zeigen, dass wir im Schweizer Durchschnitt liegen. Die Tessiner Wirtschaft ist nicht mehr so schwach wie vor 20 oder 25 Jahren mit den damals hohen Arbeitslosenzahlen. Sie ist heute robuster und stärker diversifiziert. Das zeigt sich darin, dass sie die Finanzkrise und die beiden Währungsschock relativ gut überstanden hat. Im Empfinden der Leute sieht das aber etwas anders aus. Sie reagieren sensibler und haben ein Gefühl der Unsicherheit. Arbeitsplätze bei den Banken gingen verloren, ebenso bei der Post, Armee und SBB. Diese Unsicherheit ist nicht nur im Tessin zu beobachten, sondern in der ganzen Schweiz und auch weltweit. Denn der Wettbewerb, die Konkurrenz und der Druck sind grösser geworden.

Das Empfinden der Bevölkerung im Tessin stimmt nicht mit der wirtschaftlichen Realität überein.
Der Wettbewerb ist intensiver geworden. Die Arbeitskräfte aus der Lombardei sind eine Realität. Doch dem Tessin geht es wirtschaftlich gut. Die Zahlen sind eindeutig.

Fühlt sich das Tessin isoliert?
Die Schweiz und Europa sind für die Wirtschaft kein Fremdwort, sondern gelebte Realität. Doch empfinden die Tessiner Bern als weit entfernt und Italien als aggressiv. Und für sie entspricht Italien der EU. Diese Empfindung ist stark im Bewusstsein der Bevölkerung verankert. Da klaffen die Realität der Wirtschaft und jene der Gesellschaft auseinander. Wenn ein Tessiner Arbeitnehmer durch einen italienischen ersetzt wird, hat man mehrheitlich keine gute Meinung über die bilateralen Verträge, Brüssel und Bern. Deshalb ist es für mich als Vertreter der Handelskammer nicht immer ganz einfach, hier eine Scharnierfunktion wahrzunehmen und beide Sichtweisen unter einen Hut zu bringen.

Kann der neue Tunnel durch den Gotthard eine Deblockade bewirken?
Für uns Wirtschaftsvertreter ist der Tunnel genial. Wir sind viel schneller in Zug, Zürich oder Basel an Sitzungen. Die Deutschschweiz liegt nun praktisch vor der Haustüre. Man darf nicht vergessen, dass die Deutschschweiz und Nordeuropa für die Tessiner Wirtschaft überlebensnotwendig sind – mehr als Italien. Ob die Bevölkerung das auch so sieht, muss sich weisen. Es wäre schön, wenn das Tessin mehr wäre als ein Durchgangskorridor zwischen Zürich und Mailand und sich als eigenständiger Wirtschafts- und Tourismusstandort mit Top-Lebensqualität positionieren kann. Für mich ist eine Öffnung wie der Gotthardtunnel immer eine Chance.

Wie werben Sie für den Wirtschaftsstandort Tessin?
Unsere Trümpfe sind die gleichen wie in der übrigen Schweiz: eine liberale Gesetzgebung, keine allzu grosse Bürokratie, ein einfacher, guter, persönlicher Zugang zur öffentlichen Verwaltung und eine moderate steuerliche Belastung. Vielleicht helfen auch das Tessiner Klima und die zentrale Position zwischen Mailand und Zürich. Die Vernetzung mit der Neat und der zweiten Gotthardröhre werden das Tessin für die Schweizer Wirtschaft noch wichtiger machen.

Wo steht Ihr Kanton in zehn Jahren?
Wir haben eine gute Dynamik, haben die schwierigen 1990er-Jahre endgültig hinter uns gelassen. Dank der breiten Diversifizierung hat es viele Freiräume für Neues. Darauf müssen wir aufbauen, das Positive sehen und fördern – und endlich aufhören zu nörgeln. Das bringt uns definitiv nicht weiter.

Gespräch: Pascal Ihle