Discorso del Presidente Martinetti – Assemblea FPCE

Discorso pronunciato da Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti, in occasione dell’assemblea FPCE del 2.5.2017

Fa stato il discorso pronunciato oralmente


Caro presidente, cari membri della FPCE,

sono onorato di poter partecipare ai vostri lavori a testimonianza dell’eccellente rapporto esistente fra la vostra associazione e tutto quanto ruota attorno alla vostra professione e la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino. Il settore degli impianti elettrici (in senso largo) ha una lunga tradizione di collaborazione con la Cc-Ti, con l’AIET in primis, socio storico con uno dei segretariati più importanti per la nostra struttura. Attraverso il rapporto con la FPCE, che data di tempi più recenti, il tutto si è ulteriormente intensificato, anche perché la formazione costituisce un elemento strategico fondamentale per le aziende avantutto, ma pure per la Cc-Ti che da tempo ne ha fatto un cavallo di battaglia per le innumerevoli battaglie politiche che stiamo conducendo a tutela dell’economia ticinese.

Certo, parlare di formazione davanti a questa platea qualificata, potrebbe essere considerato un po’ strano, visto che gli esperti siete voi. E di fronte alla varietà di corsi proposti dalla vostra associazione, non avete certo bisogno di indicazioni particolari né sul valore della formazione in quanto tale, né sui contenuti da darle per cavalcare le molte e rapide evoluzioni del mercato. Mi limito pertanto a sottolineare quanto sia importante in generale tutto l’ambito dell’apprendimento delle conoscenze, dalla formazione scolastica a quella professionale fino al perfezionamento e all’aggiornamento costante. E’ una sfida non da poco per tutti, se pensiamo alla velocità dei cambiamenti che pongono problemi non da poco già a partire dalla scuola media. Trovare un equilibrio fra un vasto bagaglio di conoscenze generali e quelle specialistiche è ormai il tema dominante della discussione. Il mercato, con le sue sempre più repentine evoluzioni, chiede un po’ tutto. Solide conoscenze di base che permettono una flessibilità di adattamento a situazioni sempre più mutevoli. Conoscenze specialistiche approfondite, ma nemmeno troppo, per evitare esclusioni dal mondo del lavoro nel caso di trasformazione profonda o addirittura di sparizione di determinate professioni. Perché è questa la realtà oggi. Tanto sono veloci le cancellazioni di talune professioni, altrettanto veloce è la creazione di nuove specialità. Purtroppo nei media si parla solo dei primi, dando l’impressione che la tanto temuta trasformazione digitale sarà solo uno strumento di cancellazione dei posti di lavoro. Ignorando che, in determinate circostanze, a qualche centinaio di posti di lavoro soppresso fa da contraltare qualche migliaio di posti creati in funzioni diverse. Un punto principale della sfida risiede proprio qui, cioè nel gestire la transizione verso nuovi lidi di chi fa più fatica, per età e/o formazione. Cioè evitare che troppe persone “si perdano per strada”, realtà e preoccupazione di ogni rivoluzione industriale. Rivoluzioni industriali che, detto per inciso, hanno storicamente sempre portato a progresso e sviluppo nel medio e lungo termine. E’ nel breve che dobbiamo lavorare per evitare che vi siano troppe conseguenze negative.

Impressiona pensare che talune aziende (Swisscom per non fare nomi) realizzi oltre il 70% della propria cifra d’affari con prodotti che dieci anni fa non esistevano. Sono dati che non possono lasciare indifferenti, a cavallo tra timori e grandi possibilità di sviluppo. Leggevo qualche giorno fa che nella sola Svizzera tedesca sono nate una trentina di nuove professioni negli ultimi due anni, tutte legate ad ambiti tecnici. Le potenzialità sono quindi enormi e il mondo economico sembra esserne fortunatamente cosciente. Nell’ultima inchiesta congiunturale svolta dalla Cc-Ti qualche mese fa, oltre la metà delle aziende interpellate ha affermato che sta affrontando in maniera attiva e consapevole la trasformazione digitale. Non sono cifre da poco, anche nel contesto svizzero. Senza dimenticare poi che l’80% delle aziende ha segnalato che non vi saranno conseguenze sul personale, o perché già preparato o perché si sta preparando. Altro segnale importantissimo di stabilità, checché ne dicano i tanti politici che l’interno di un’azienda non l’hanno mai visto, figuriamoci se ne capiscono il funzionamento.

Qui sta uno dei punti più delicati della situazione politica attuale. La scarsa conoscenza del mondo aziendale e delle sue dinamiche. Non si può né si deve negare che vi siano problemi legati a una concorrenza sempre più agguerrita e non sempre leale e la vostra professione li conosce bene. Dumping, lavoro nero, ecc. sono fenomeni che non vanno trascurati ed è giusto sanzionarli senza riserve né eccezioni. Ma non a costo di distruggere tutto il sistema elvetico che ha dimostrato di funzionare molto meglio degli altri che ci circondano. Regole sì, statalismo sfrenato no.

Ma oggi è difficile contrastare questa ondata di richieste di regole coercitive e sempre più invadenti.

Un’attività come la vostra è fondamentale nell’ottica della valorizzazione di quanto di positivo avviene sul territorio. Per la qualità e la varietà dell’offerta formativa, che dimostra come le aziende ticinesi, ben oltre il singolo settore, abbiano a cuore il capitale umano. Questo messaggio purtroppo passa ancora troppo poco. Come Cc-Ti stiamo facendo importanti sforzi in questo senso, per dare spazio anche mediatico alla stragrande maggioranza di imprese ticinesi che lavora con impegno e dedizione in un contesto tutt’altro che facile. Non è sempre facile, anche perché ai media le notizie positive non interessano granché e si fatica ad avere continuità sulle cose positive in un panorama che sembra crogiolarsi con piacere in sterili polemiche o in fatti di cronaca nera che tanto stimolano la curiosità della massa. Basti pensare che un’azienda che assume dieci persone passa inosservata, mentre quella che ne licenzia dieci finisce in prima pagina ovunque, Se poi in ballo vi sono dei frontalieri…

E’ pertanto assolutamente necessario che le associazioni continuino a lavorare insieme con convinzione. La ripartizione dei ruoli è chiara: le associazioni di categoria o settoriali si occupano delle questioni appunto di categoria o di settore, mentre la Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, si preoccupa delle questioni di politica economica generale. La Cc-Ti si attiva su problematiche settoriali solo se esplicitamente richiesto dagli esperti di specifici ambiti economici. Funzionamento semplice, che ha dimostrato di essere molto efficace. La Cc-Ti è quindi anche un’importante cassa di risonanza per le tante eccellenti iniziative delle associazioni a essa legate e la FPCE rappresenta un esempio di grande qualità in questo senso. Le trasformazioni della professione nell’ambito degli impianti elettrici (termine ormai quasi riduttivo) sono state enormi negli ultimi anni, ma le aziende ticinesi sono rimaste competitive. E la lista dei corsi che la FPCE offre è significativa di questa evoluzione, tanto è variegata. Al di là degli esami professionali, spaziando dai corsi prettamente tecnici a quelli sulla domotica e sul multimedia, passando per quelli più gestionali, è evidente quanto la o le professioni nel campo degli impianti elettrici siano al passo con i tempi. La sfida della trasformazione digitale per il vostro settore sembra ormai uno scherzo, tanto è variegato il campo delle vostre attività. La mia esortazione è che questo dinamismo, questa flessibilità, questa apertura possano essere maggiormente veicolate verso l’esterno, cioè verso la politica e la popolazione.

Vero che anche agli addetti ai lavori ogni tanto fa bene conoscere meglio cosa capita in altri settori, ma oggi il nostro compito principale è di veicolare importanti messaggi positivi verso l’opinione pubblica. Avantutto per la dignità della professione e per promuoverla ai fini del reclutamento di nuove leve, ma anche per far capire che le aziende ticinesi non sono una specie di associazione a delinquere preoccupata solo di fare profitti grazie a prezzi esorbitanti e ingiustificati, ma sono entità che prendono cura del territorio e che garantiscono un’eccellente qualità. Il resto sono chiacchiere e la Cc-Ti è sempre a vostra disposizione per darvi una mano, per qualsiasi esigenza. Non a caso sta nascendo un progetto comune in ambito formativo per i principi della gestione aziendale. Sono molto riconoscente di poter contare su di voi.

Mai come in questi anni è infatti importante la compattezza del mondo economico, confrontato con cambiamenti epocali, di rapidità inedita. La Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, è sempre in prima linea per cercare di trovare gli equilibri necessari, anche fra settori e rami economici. Non si può infatti nascondere che gli interessi di chi opera prevalentemente sul mercato interno siano spesso, almeno in parte, divergenti da quelli di chi opera sui mercati internazionali. Il legittimo bisogno di protezione dalla concorrenza sleale si scontra con la richiesta di sempre meno ostacoli, elemento essenziali per l’industria dell’esportazione. Conciliare queste esigenze non è facilissimo, ma è fattibile, come dimostra la nostra attività quotidiana. Inflessibile severità contro chi viola le regole (v. padroncini e distaccati), ma lotta instancabile contro l’introduzione di eccessive regole che chiudono il nostro paese in un inutile protezionismo, penalizzando in primis le aziende esportatrici ma in ultima analisi tutta l’economia. E’ quindi necessario stare molto attenti al rispetto del principio della legalità ad esempio, elemento fondante del nostro Stato e che non può essere sacrificato a cuor leggero in nome di princìpi anche ampiamente condivisi ma di difficile applicazione pratica. Ogni riferimento a “Prima i nostri” e alla famosa (o famigerata) LIA è voluto. Idee lodevoli e che sul principio ci trovano molto aperti, ma che per un’applicazione pratica effettiva a favore delle nostre aziende e della popolazione ticinese richiedono equilibrio, attenzione, capacità di lavorare sulle sfumature, per evitare effetti contrari a quelli voluti. Anche qui il riferimento alla LIA non è casuale. Qualità, quelle appena citate, che purtroppo oggi al mondo politico sembrano mancare totalmente e, se l’economia non è capace di far valere in modo compatto la libertà economica e imprenditoriale, vi sarà sempre più spazio per “soluzioni” apparentemente facili e popolari, ma in realtà inutili e perfino dannose.

Per la libertà economica e imprenditoriale continueremo a combattere, sempre lealmente come è nel nostro stile, ma senza concessioni. Perché ne va del nostro sistema, che abbiamo costruito con fatica e che dà risultati eccellenti. Lo scimmiottare esempi di paesi a noi anche vicini, soffocati dalla burocrazia e da regole mostruose, non può essere un obiettivo condiviso in nome di una pseudo-protezione.

Grazie dell’invito e buon lavoro a tutti.

 

Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

In occasione dell‘assemblea FPCE, l’associazione della formazione professionale continua nel ramo elettrico, il Presidente Cc-Ti Glauco Martinetti ha tenuto il seguente discorso, scaricabile qui in formato PDF.

La Cc-Ti compie cent’anni

La Cc-Ti compie 100 anni e per celebrare questo importante traguardo vuole portare l’attenzione su diversi temi importanti non solo per l’economia. Oggi scopriamo qualche elemento della sua storia e la funzione attuale. Già sono stati riassunti gli elementi principali che hanno portato alla creazione di una Camera di commercio e dell’industria cantonale.

Dopo i difficili anni della seconda guerra mondiale, parallelamente allo sviluppo economico del Ticino anche la Cc-Ti si è ampliata e trasformata, sia dal punto di vista numerico che nella sua funzione. Da organo prevalentemente composto da commercianti e industriali, sempre più è stata identificata come punto di riferimento per le questioni di politica economica generale, quindi complementare alle associazioni di categoria o di settore. Questo spiega l’adesione, che ricordiamo è volontaria trattandosi di un rapporto di natura puramente privato, di molti rami professionali e varie rappresentanze di tutti i settori economici, per giungere alle 44 associazioni oggi aderenti alla Cc-Ti. Senza dimenticare ovviamente i soci individuali, quantificabili in circa 1’000 aziende.

Questa tendenza si è consolidata soprattutto nell’ultimo decennio, dove è emersa ancora più chiaramente la ripartizione dei ruoli: la Cc-ti si occupa di questioni di ordine generale e solo sussidiariamente interviene a sostegno delle singole categorie, se queste ne fanno richiesta. Non è sempre facile capire dove stia il limite fra interessi settoriali e generali, ma questo è un compito anche appassionante, perché permette un confronto regolare su tutte le questioni che preoccupano i nostri molti associati, per definire al meglio quali siano gli interessi da difendere e quale sia la via migliore per farlo. Che il sistema funzioni lo testimonia il fatto che alla Cc-Ti aderiscono 44 associazioni in rappresentanza di tutti i settori dell’economia ticinese. Oltre naturalmente ai soci individuali, tutte aziende ben radicate sul territorio. Rappresentando circa 7’000 aziende e 120’000 posti di lavoro, è chiaro che la Cc-Ti non solo ha a cuore la tutela della libertà economica e imprenditoriale, ma dà il suo contributo costante affinché vi sia la necessaria attenzione verso il territorio da parte degli operatori economici associati.

Cercando di promuovere il partenariato sociale, proponendosi quale interlocutore affidabile delle autorità soprattutto cantonali e federali, affrontando anche i temi più delicati senza pregiudizi ideologici e restando aperta alla ricerca di soluzioni se possibile condivise. È anche per questo che aderire alla Cc-Ti non è automatico ma ogni richiesta viene attentamente valutata, affinché la struttura associativa serva alla tutela di chi effettivamente lo merita. E non è poco.

Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

Per saperne di più:
Il centenario della Cc-Ti:
tutte le attività previste per celebrare il traguardo della nostra associazione

Il protezionismo è una minaccia per la nostra economia

Questo primo scorcio del nuovo Secolo sarà ricordato dagli storici dell’economia come il ventennio del grande paradosso. In un mondo sempre più interconnesso grazie alle grandi reti infrastrutturali che facilitano la produzione di merci e la circolazione di persone, capitali, idee, innovazioni, dati, materie prime e informazioni, i Governi di molti Paesi tendono, invece, a chiudere e proteggere la loro economia, limitando il libero scambio. Solo negli Stati del G20, secondo i dati del Global Trade Allert, dal 2008 al 2016, sono state introdotte oltre 3’500 misure che limitano gli scambi commerciali, che stanno, perciò, registrando una brusca frenata. Dopo 5 anni di crescita, nel 2015 le esportazioni globali sono diminuite del 13,6%.

Ormai è di moda inveire contro la globalizzazione e il libero mercato, ma si dimentica che nell’ultimo mezzo secolo lo sviluppo del commercio internazionale ha strappato centinaia di milioni di persone dalla miseria più nera. Nella sola Cina ben 700 milioni di abitanti si sono lasciati alle spalle la povertà. Ex poveri che cominciano a consumare merci prodotte anche nei Paesi ricchi. Nel 1998 in tutto il pianeta si contavano 2 miliardi di persone sotto la soglia d’indigenza, oggi sono 767 milioni (dati Banca mondiale). Certo, la globalizzazione ha provocato nei singoli Paesi squilibri sociali che richiedono correttivi e aggiustamenti, ma sono sotto gli occhi di tutti gli immensi progressi fatti nelle condizioni di vita e di salute, nell’accessibilità a beni e consumi prima impossibili e nelle libertà di scelta di ognuno di noi.

Nell’epoca del grande paradosso capita persino di vedere il leader di un Paese comunista, il cinese Xi Jinping, che dalla tribuna del WEF difende la globalizzazione e il libero commercio, mentre Donald Trump, neo Presidente USA, la più grande democrazia liberale del mondo, si profila come l’alfiere del neo protezionismo. Il suo “America First” è un concentrato di nazionalismo che molti politici europei hanno eletto a loro modello. E qui il gioco si fa pericoloso. Anche per la Svizzera, la cui forza economica è trainata dalle esportazioni favorite dalla libertà di commercio. Se nei suoi furori protezionistici Trump dovesse davvero applicare quella tassa del 20% sulle importazioni, già ipotizzata per la Germania, anche per il nostro Paese sarebbero guai seri, poiché la catena di creazione del valore delle imprese svizzere si basa essenzialmente sugli scambi internazionali. Oggi la Svizzera esporta negli USA beni per 17 miliardi di franchi in più di quanto importa, sostenuta anche dagli interventi della BNS per mantenere un cambio vantaggioso. Interventi che potrebbero far storcere il naso a Trump, il quale ha, peraltro, già criticato il prezzo dei farmaci importati dalla Svizzera.

Ma il problema immediato per l’economia elvetica non è Trump, bensì l’ondata protezionista che sta montando in tutta e Europa, Svizzera compresa. Restrizioni al commercio e agli scambi, con dazi doganali e altre limitazioni, non significano solo grosse perdite per la nostra industria d’esportazione e per i consumatori che vedranno aumentare i prezzi di molti beni, ma indeboliscono tutto il tessuto produttivo. Perché è con il mercato aperto alla competizione internazionale che tutte le imprese imparano a restare competitive, invece di vivacchiare grazie a barriere protezionistiche e aiuti statali. È dall’apertura dei mercati, e non dalla loro chiusura, che nasce la spinta ad innovare processi e prodotti per conquistare altri spazi di business, a creare nuove imprese. Se il protezionismo può sembrare un vantaggio a breve termine, alla lunga si rivela un veleno per tutta la società. Come hanno dimostrato le disastrose esperienze del 1914 e degli anni Trenta.

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Come si scardina la libertà economica

di Alessio del Grande

Gratta, gratta dietro il populismo trovi l’etno- nazionalismo e il becero protezionismo delle furiose chiusure che finiscono col distruggere quella libertà economica e imprenditoriale che garantisce la crescita e il benessere per tutti.
In Ticino, per fortuna, non si sono ancora costruiti muri al confine con l’Italia, ma nel nome della difesa della manodopera indigena, si è innalzato uno steccato fatto di leggi ad hoc, di ostacoli burocratici e misure restrittive che costituiscono, di fatto, una barriera dissuasiva per i lavoratori d’oltre frontiera, che finirà col soffocare quel mercato del lavoro e quel tessuto produttivo locale che si diceva di voler proteggere.
Il Ticino non è nuovo a queste forme di esasperato regionalismo. Basta ricordare al proposito, le veementi rivendicazioni a Berna, nel 1924 e nel 1938, per la “difesa etnica” del cantone e in anni più recenti, nel 1960, la prima richiesta alla Confederazione di una sorta di statuto speciale per proteggere l’economia locale dalla concorrenza d’oltre Gottardo. Allora le minacce arrivavano dalla Svizzera tedesca e dalla Germania, ora dall’Italia. Ma di veramente nuovo c’è che anni e anni di violente campagne contro i frontalieri e i padroncini, con plateali falsificazioni della realtà diventate però verità, a prescindere, nel senso comune, hanno sedimentato nel corpo sociale una anti italianità che ha segnato una forte regressione culturale. Di inedito c’è un clima di manifesta ostilità verso le imprese colpevoli di assumere i frontalieri che, oltre a generare dumping salariale, intasano anche le strade cantonali.

“Il Ticino non è nuovo a queste forme di esasperato regionalismo.”

Sono gli effetti di un restringimento del pensiero collettivo, stimolato politicamente anche da decine e decine di atti parlamentari, con le più singolari richieste per limitare drasticamente l’arrivo dei lavoratori italiani in Ticino e per scoraggiare le imprese dall’assumerli, su cui si è innestata una deriva istituzionale e legale. Una dinamica perversa con le forze populiste costrette ad alzare sempre di più toni per mantenere la presa emotiva sulla popolazione e gli altri partiti intimiditi e troppo spesso accondiscendenti, che ha finito con lo scardinare sistematicamente l’ordinamento giuridico liberale, cassando diritti individuali e quella libertà economica riconosciuta sin dal 1874 nella Costituzione svizzera. È l’ideologia del “primanostrismo” e delle soluzioni facili che prevale sul sistema legale provocando pericolosi sbandamenti istituzionali. Tassa sui posteggi, albo delle imprese artigiane, certificati penali per i lavoratori d’oltre confine, tanto per ricordare i casi più clamorosi, tutti provvedimenti in funzione anti frontalieri e anti padroncini, ma pubblicamente motivati con nobili intenzioni: la sicurezza pubblica, la tutela del territorio, la difesa delle imprese locali, la cui compatibilità con le leggi federali e gli accordi internazionali si è dimostrata, però, assai labile. Leggi controverse e contestate con numerosi ricorsi, che hanno creato forti tensioni con Berna, l’Italia e, nel caso dell’albo degli artigiani, anche con le associazioni economiche degli altri cantoni, suscitando persino le rimostranze della Commissione federale per la concorrenza. Ottime comunque, secondo la logica della “politica dei segnali”, a vellicare il risentimento popolare, mentre la commissione parlamentare per l’attuazione dell’iniziativa udc “Prima i nostri”, non mancherà certamente di riservare altre sorprese nel mettere dei nuovi paletti alla libertà delle imprese anche nelle assunzioni.

Il libero mercato – dossier tematico

Che il libero mercato sia un elemento imprescindibile per garantire il nostro benessere è stato chiarito a più riprese dalla Cc-Ti. È pertanto innegabile che quella che sembra ormai una diffusa tendenza globale alla chiusura preoccupa non poco, soprattutto per una nazione a forte vocazione di esportazione come la Svizzera.

Per continuare a leggere la posizione Cc-Ti e tanti altri contributi interessanti sul tema del libero mercato, potete scaricare i pdf qui sotto.

Troverete, nell’ordine:

  • Il tema di Ticino Business di aprile: L’economia non cresce all’ombra dei muri ma solo con il libero commercio
  • La posizione della Cc-Ti sul tema: Il libero mercato è un processo in divenire
  • Approfondimenti: L’UE vuole guardare avanti – insieme alla Svizzera
  • Le Opinioni:
    • Patrick Dümmler, Conseguenze positive del commercio tra Svizzera e Cina
    • Alessandra Gianella, La globalizzazione e le sfide future

Buona lettura!

L’economia non cresce all’ombra dei muri ma solo con il libero commercio!
Il libero mercato è un processo in divenire
L’UE vuole guardare avanti – insieme alla Svizzera
Conseguenze positive del commercio tra Svizzera e Cina
La globalizzazione e le sfide future

La Cc-Ti: un’associazione completamente privata

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

“Temi che oggi sembrano di difficoltà insormontabile erano già d’attualità molti decenni fa (nello specifico 84 anni…) e lo sono di fatto quasi sempre stati.”

La Cc-Ti compie 100 anni e per celebrare questo importante traguardo vuole portare l’attenzione su diversi temi importanti non solo per l’economia. Oggi scopriamo qualche elemento dei primi anni della sua storia.

Le basi per l’odierna Camera di commercio e dell’industria ticinese sono state poste di domenica, più precisamente il 21 gennaio 1917, con la creazione della Camera di commercio dell’Associazione commerciale industriale del cantone Ticino.
Forse la scelta atipica della domenica è simbolica per le caratteristiche particolari della nostra associazione, oppure la quiete del giorno festivo ha favorito un’intesa raggiunta solo dopo vari tentativi, contraddistinti, nella migliore tradizione ticinese, da vari personalismi. O, più prosaicamente, il fatto di non essere chiamati al lavoro ha concesso il tempo necessario ai fondatori.

Poco importa. E’ comunque un fatto che, per raggiungere l’intesa fra Associazione commerciale industriale del cantone Ticino, Sezione ticinese delle sezioni dei commercianti e l’Associazione industriale ticinese per creare una Camera di commercio cantonale, sono stati necessari vari tentativi. Scontro anche di tipo ideologico, visto che l’Associazione commerciale industriale del cantone Ticino spingeva per una forma completamente privata, mentre le altre due associazioni consideravano anche il coinvolgimento pubblico negli organi associativi.
La prima variante ha prevalso, secondo il modello anglo-sassone, che ancora oggi contraddistingue la nostra attività, cioè un’associazione di diritto privato completamente staccata dallo Stato e senza alcun contributo pubblico, a migliore tutela del mondo imprenditoriale.
La sede scelta dai 62 membri presenti all’atto di costituzione fu Lugano. Generalmente si pensa che la scelta della città sul Ceresio fosse dettata dalla volontà di fare da contraltare al potere politico concentrato a Bellinzona (un po’ come Zurigo e Berna, tanto per intenderci). In realtà essa fu probabilmente il frutto di una disposizione statutaria, secondo la quale la sede andava fissata nel luogo con il maggior numero di aderenti e i migliori requisiti (dal punto di vista della rilevanza economica) per averla.
Nel 1918 fu assunto un segretario a tempo pieno, in un contesto economico difficile all’ombra della prima Guerra Mondiale.

Interessante è rilevare come molti temi fossero simili a quelli trattati oggi. Vale la pena segnalarne alcuni.

Nel 1918 ci si occupava di riduzioni di tariffe sulla linea del Gottardo e dei rapporti con i partner esteri (allora i consolati storici presenti a Lugano). Nel 1919 la Camera segnala alle autorità competenti il fenomeno della spesa oltre confine e dei danni all’economia nazionale e al fisco!
E nel 1933 si chiede al Consiglio di Stato una riduzione temporanea della tassa sulle patenti, per dare fiato all’industria alberghiera in crisi galoppante.

Temi che oggi sembrano di difficoltà insormontabile erano già d’attualità molti decenni fa (nello specifico 84 anni…) e lo sono di fatto quasi sempre stati.
Quale insegnamento trarne? È fondamentale occuparsi di tali questioni con serietà, ma con la consapevolezza che forse esse sono fisiologiche per una zona di frontiera e legate anche alle peculiarità del sistema elvetico. Vale la pena ricordare che proprio le caratteristiche del territorio ticinese e svizzero, al di là delle difficoltà contingenti, hanno permesso alla nostra nazione e al nostro cantone di prosperare. Non vi sono motivi perché questo non possa ripetersi ai giorni nostri.

Amministrazioni cantonali: procedure pesanti e costi elevati in un quadro globalmente positivo

Come nei rilevamenti degli scorsi anni, l’Amministrazione cantonale ticinese ottiene la miglior nota assegnata dalle imprese consultate nell’ambito della nostra inchiesta sul grado di soddisfazione relativo al lavoro delle amministrazioni cantonali. L’inchiesta viene condotta ogni due anni da MIS Trend. L’ottava edizione di questo studio, realizzata su incarico delle Camere di commercio e dell’industria della Svizzera latina, mostra nuovamente che in generale vi sono punti critici concernenti le procedure, l’attenzione verso gli utenti e gli emolumenti. Inoltre, i risultati evidenziano anche un inasprimento nell’ambito del rilascio dei permessi di lavoro e una parte considerevole di aziende ha rinunciato a progetti di sviluppo a seguito degli effetti dell’inasprimento delle regole pianificatorie, in particolare dovuti alla revisione della legge federale sulla pianificazione territoriale.

Come in occasione dei tre precedenti studi realizzati nel 2011, 2013 e 2015, l’inchiesta evidenzia come elementi negativi concernenti la complessità delle procedure, l’attenzione per le esigenze degli utenti e il livello degli emolumenti restino motivi di insoddisfazione. Sono invece generalmente considerate in modo positivo la cortesia, la bravura e le competenze del personale dell’ente pubblico, sebbene un’azienda su tre rilevi una scarsa disponibilità al dialogo. L’attenzione per le esigenze degli utenti è ritenuta insoddisfacente per un quarto delle aziende prese in considerazione. Per quanto riguarda gli emolumenti, il risultato ricalca quello del 2015, visto che quattro imprese interrogate su dieci li ritengono troppo elevati.

Pianificazione del territorio

La soddisfazione generale resta purtroppo al di sotto della media generale, sebbene vi sia un leggero miglioramento rispetto al 2015. Le imprese consultate affermano di essere meglio informate rispetto al passato, ma hanno registrato un aumento preoccupante degli intralci burocratici soprattutto a livello comunale e un allungamento dei termini per l’ottenimento delle autorizzazioni. Inoltre, un’impresa su quattro dichiara di aver rinunciato ad almeno un progetto di pianificazione, a causa dell’inasprimento delle regole seguito all’adozione della revisione della legge federale sulla pianificazione territoriale.

Ispezione del lavoro e rilascio dei permessi di lavoro

I risultati indicano globalmente un miglioramento rispetto all’inchiesta del 2015. Tuttavia, si osserva un generale e consistente aumento dei termini per l’ottenimento dei permessi di lavoro, soprattutto nei cantoni di frontiera. Un’impresa su tre registra, dopo il 9 febbraio 2014, un netto inasprimento generalizzato delle procedure per il rilascio dei permessi.

Digitalizzazione

Un po’ più della metà delle aziende interrogate ritiene che il loro cantone potrebbe compiere uno sforzo supplementare in materia di cyber amministrazione, onde agevolare le procedure amministrative e offrire un miglior servizio online.

Studio MIS Trend su incarico di Info-Chambers: Competitività delle amministrazioni cantonali della Svizzera latina 2017

Étude sur la compétitivité des administrations cantonales réalisée pour les Chambres de commerce latines

Mobility pricing: la posizione del Direttore Albertoni

Il Direttore Cc-Ti Luca Albertoni si esprime in merito al Mobility pricing

“La tentazione di “punire” finanziariamente chi viaggia negli orari di punta è purtroppo sempre in agguato”

L’idea di base del Mobility pricing potrebbe in teoria avere il pregio di considerare l’aspetto tariffale di tutto il traffico, pubblico e privato, e non solo quello legato all’utilizzo della strada.
Tuttavia, il rifiuto di alcune importanti regioni svizzere di ospitare un progetto-pilota sul tema, rispettivamente le dichiarazioni con cui la questione è considerata non prioritaria, dimostrano che non vi sono le basi per attuare il Mobility pricing, almeno secondo i termini previsti oggi dall’autorità federale.

È vero che una diversificazione delle tariffe che tenga conto dell’utilizzo delle infrastrutture sarebbe possibile anche verso il basso e non solo verso l’alto, come a volte già praticato dalle FFS per i treni meno frequentati.
Ma la tentazione di “punire” finanziariamente chi viaggia negli orari di punta è purtroppo sempre in agguato e la cosa non mi piace molto perché per molte persone non ci sono alternative. Il discorso andrebbe pertanto ampliato ad altri elementi assai complessi e legati alla struttura della società e dell’economia, come ad esempio gli orari scolastici o modelli di lavoro più flessibili.
Mi sembra però poco realistico che un discorso più strutturato possa trovare un sufficiente consenso politico.

Resto quindi scettico sulla fattibilità di un Mobility pricing che possa essere equo e al contempo portare reali soluzioni alla mobilità.

Intervista a Luca Albertoni

di Gianni Righinetti, apparsa sul CdT

“L’auspicio per il 2017 è che ci si possa confrontare maggiormente nel merito dei temi, evitando sterili polemiche personali o preconcetti. “

«Ci sono aziende che praticano la precarietà come forma di business, il cui comportamento denunciamo senza riserve». Questo è il j’accuse del segretario cantonale dell’OCST Renato Ricciardi. Ha ragione?
La precarietà non è un obiettivo delle aziende “normali”. La denuncia è quindi di principio legittima, ma prediligo andare oltre le dichiarazioni generali e ragionare su casi concreti, anche perché la precarietà non è un’esclusiva del settore privato.

La flessibilità nel mondo del lavoro d’oggi è una condizione che deve essere accettata senza battere ciglio?
Flessibilità non significa non rispettare le regole esistenti. Poi che talune regole debbano essere adattate all’evoluzione della situazione reale non è certo scandaloso.

Ma è possibile stabilire delle regole o essere flessibili presuppone la totale assenza di una disciplina?
Flessibilità non significa anarchia, per cui è normale che si stabiliscano delle regole. La sfida è che queste siano equilibrate per tutti e che nuovi modelli di lavoro non vengano stigmatizzati a priori come negativi perché diversi da quelli a cui siamo abituati.

L’OCST è conosciuto per essere un sindacato piuttosto accomodante. Oppure di sindacalisti che usano il fioretto non ve ne sono più perché tutti sfoderano la sciabola?
Essere ragionevole non significa per forza essere accomodante. Nel contesto odierno effettivamente l’uso sempre più diffuso della sciabola fa rimpiangere chi tirava di fioretto, anche se non è detto che l’arma più pesante sia quella che provoca sempre i danni maggiori. Sono comunque abituato a fronteggiare indistintamente l’uno o l’altra per difendere i valori in cui credo.

Com’è il vostro rapporto in Ticino con il fronte sindacale?
Sono soprattutto le associazioni di categoria a essere al fronte e noi ci confrontiamo con il mondo sindacale prevalentemente su temi di carattere economico generale, per cui la visione è forzatamente diversa. Ci si confronta e ci si scontra, come è normale che sia, ma sono per fortuna rari i casi in cui manca il rispetto per la persona. Quindi posso dire che, salvo qualche eccezione, i rapporti sono buoni.

Ogni tanto si ha l’impressione che le forze sindacali non si rendano conto che “i padroni” (come li chiamano taluni) creano un lavoro che, senza loro, non ci sarebbe. È davvero così?
Non si può generalizzare, ma è innegabile che alcuni, probabilmente in virtù di una cultura sindacale di stampo poco elvetico, abbiano questo genere di atteggiamento. L’auspicio è che questa mentalità non si diffonda ulteriormente, anche se ammetto che qualche timore ce l’ho.

Spesso si ha però l’impressione che le vostre organizzazioni padronali agiscano unicamente a difesa della casta, senza la capacità di fare autocritica o puntare l’indice verso chi meriterebbe di essere ripreso duramente. Siete troppo buoni?
Per quanto mi riguarda ho sempre chiaramente detto che è giusto che chi sbaglia venga sanzionato e non mi sono mai opposto a misure fondate e basate su fatti accertati. Anche quando presiedevo la Commissione tripartita in materia di libera circolazione delle persone non mi sono mai tirato indietro nella lotta agli abusi, cosa non scontata quando si dirige l’associazione-mantello dell’economia cantonale. Non mi piacciono invece le sparate fatte per attirare l’attenzione e basate su ipotesi che poi spesso si rivelano sbagliate. Perché rovinare la reputazione di un’azienda sulla base di semplici illazioni è irresponsabile e contro questo sono pronto a lottare senza esclusione di colpi.

Faccia una critica senza mezzi termini a un ramo economico che è affiliato a voi?
Mutuando una metafora sportiva, la sacralità dello spogliatoio non va violata ed eventuali critiche vanno formulate nelle sedi opportune, cioè nei nostri gremi interni. Ogni settore ha forze e debolezze, il mio compito non è di criticare ma di cercare soluzioni.

Ai sindacati interessano la quote che versano i lavoratori, ma anche voi vivete di quanto vi danno gli associati. Insomma: alla fine sembrate diversi, ma siete uguali.
Almeno non pesiamo sullo Stato! E’ vero che abbiamo funzioni simili su fronti diversi, per cui è inevitabile che vi siano talune analogie. Per quanto ci riguarda, tengo a sottolineare che da anni rifiutiamo l’adesione di aziende che riteniamo non rispettose delle regole vigenti, rinunciando quindi anche a cospicue entrate. E’ una maniera responsabile di dimostrare attenzione verso il territorio e per non difendere casi indifendibili. E‘ una linea consolidata, essenziale per mantenere la credibilità.

I cambiamenti intervenuti nel mondo del lavoro sono stati importanti e rapidi, quasi che al posto di uomini e donne si volessero già robot da usare alla bisogna?
E’ un’esagerazione. I cambiamenti generano sempre insicurezza ma non tutti sono di segno negativo, anzi. Per le imprese serie (e sono la stragrande maggioranza) il capitale umano è fondamentale, per cui l’accusa di volere manichini senz’anima da pilotare a piacimento è infondata.

Lei crede nella sostituzione della mano e il cervello di uomini e donne a vantaggio di un’entità meccanica e informatizzata?
Abbiamo vissuto già molte fasi in cui il progresso tecnologico ha fatto sparire determinate professioni, creandone però altre e ritengo che sarà sempre così. La sfida è di gestire i periodi di transizione e di adattamento che per certe persone sono difficili. L’economia non ha interesse a creare tensioni sociali o a “perdere per strada” le persone.

Il lavoro su chiamata è una piaga sociale o una semplice e concreta necessità?
E’ avantutto una necessità e come tale non va demonizzata. Poi vale quanto detto in precedenza, cioè che c’è un quadro legale che va rispettato, senza eccezioni.

Ma flessibilità e lavoro su chiamata sono i principali nemici delle famiglie e della vita sociale?
La realtà sociale è troppo complessa oggi per ridurla a un fattore dipendente dalla flessibilità e dal lavoro su chiamata. Del resto, un numero sempre crescente di lavoratrici e lavoratori chiede flessibilità per cui essa va distinta dagli abusi, che sono altra cosa. Di questo occorre tenere conto, se si vogliono evitare battaglie di retroguardia.

“Chi viene spremuto come un limone sul lavoro, magari per pochi franchi, è costretto a una vita da single”. Mi è stato detto con malinconia brindando il 31 dicembre in vista dell’anno nuovo. È una realtà o una esagerazione?
La generale accresciuta competitività in molti ambiti lavorativi è certamente una fonte di pressione, ma non si possono addossare tutte le responsabilità dei disagi sociali al lavoro. Vi sono molti fattori, a partire dall’auto-responsabilità, che influiscono sui nostri destini personali, per cui starei attento ad amalgamare situazioni difficili e quello che invece è vero e proprio sfruttamento.

Come sta la Camera di commercio e dell’industria che, quest’anno, compirà 100 anni?
E’ un’associazione molto dinamica, confrontata con grandi cambiamenti economici, politici e sociali, come tutte le altre Camere svizzere. Lo scopo principale della nostra attività resta la valorizzazione e la difesa della libertà economica e imprenditoriale e su questo costruiamo la nostra attività, improntata al rispetto e alla serietà. Valori forse oggi poco considerati, ma essenziali per affrontare in modo costruttivo ed efficace le molte sfide.

Qual è il suo auspicio per il 2017?
Che ci si possa confrontare maggiormente nel merito dei temi, evitando sterili polemiche personali o preconcetti. Ma forse è chiedere troppo.

Il vento del “primanostrismo” che soffia sul Ticino, quanto preoccupa (e perché) l’economia cantonale?
Chiedere maggiore attenzione per il nostro territorio è legittimo e condivisibile. Preoccupa invece molto il pressapochismo che illude che vi siano sempre soluzioni facili, fregandosene del principio della legalità, ormai considerato poco più che un fastidioso ammennicolo. Questo è pericoloso e poco svizzero.

L’UE vuole guardare avanti – insieme alla Svizzera

Giornata dell’export 2017

Quali sono gli effetti della geopolitica sull’economia? Era questo il tema della giornata dell’export 2017 della Cc-Ti a Lugano. L‘ambasciatore UE in Svizzera, Michael Matthiessen, ha incentivato la Confederazione a rafforzare la collaborazione a favore del mercato unico. Altri ospiti hanno discusso delle conseguenze della Brexit, della tendenza del protezionismo e della situazione nei paesi chiave al di fuori dell’UE.

Oltre un centinaio le persone presenti alla Villa Principe Leopoldo che hanno assistito con interesse ai vari interventi della conferenza. Nella foto i relatori della tavola rotonda e l’ambasciatore dell’UE in Svizzera Matthiesen.

Quest’anno ricorre il 60° anniversario dell’Unione europea mentre la Camera di commercio del Cantone Ticino (Cc-Ti) festeggia il suo centenario. Si tratta di un anno importante per l’economia, ha ribadito durante la sua introduzione Marco Passalia, vice direttore della Cc-Ti e responsabile del servizio export. In considerazione dei cento anni dalla sua fondazione, la Camera di commercio intende ampliare i servizi per i suoi affiliati e rendersi ancora più visibile sul territorio cantonale.

Quale ospite d‘onore della Giornata dell’Export la Cc-Ti ha invitato l‘ambasciatore UE in Svizzera, Michael Matthiessen. Dopo 60 anni dalla sua fondazione, l’Unione Europea come affronta le nuove sfide, come per esempio la Brexit? Ha chiesto Michele Rossi, esperto di accordi bilaterali, che ha intervistato l’ambasciatore. Secondo Matthiessen il 60° anniversario dell’Unione europea è segnato da un contesto difficile per la politica economica. L’ambasciatore si è detto dispiaciuto della decisione della Gran Bretagna di uscire dall’UE ma è convinto che la Brexit non frenerà lo sviluppo comune dei 27 Paesi restanti dell‘Unione. Ciò non solo a livello politico bensì anche riguardo del cosiddetto “single market”. Stando a Matthiessen il mercato unico è infatti decisivo per il futuro europeo che non deve venir bloccato dal populismo emergente.

Proprio gli esiti „anti populistici“ delle elezioni in Olanda e in Austria confermano l’atteggiamento degli europei di voler rimanere uniti. Rimangono comunque da risolvere in breve tempo il problema della disoccupazione e un certo timore della globalizzazione. Matthiessen ha ammesso che i partiti populistici riescono spesso a far vedere in maniera azzeccata i tipici problemi della popolazione, ma poi non sono capaci a trovare soluzioni adeguate.

Gli ulteriori passi della Svizzera

E dove si situa la Svizzera con la sua iniziativa contro l’immigrazione di massa che provocava tanto timore? L’UE, nella persona del suo ambasciatore Matthiessen, si è dichiarata soddisfatta dall’implementazione soft decisa dal parlamento nazionale lo scorso dicembre. A Lugano l’ambasciatore ha potuto così sottolineare la riapertura dei buoni rapporti tra la Confederazione e l’UE.

Ma il tempo corre e affinché non vi siano più ripercussioni sull’economia, bisogna procedere al più presto con ulteriori passi: la Svizzera dovrebbe acconsentire al cosiddetto institutional framework agreement, ovvero ad un accordo complessivo con l’UE concernente i singoli trattati bilaterali. Senza tale accordo, l’accesso delle aziende svizzere al mercato unico europeo non potrebbe più essere facilitato data la mancanza di una certo dinamismo – soprattutto a scapito dei settori elvetici dell’energia e di quello finanziario.

Le banche svizzere dovranno ancora aspettare

Purtroppo il futuro non è roseo neanche per il settore finanziario per il quale si prevedono ancora difficoltà. Benché grazie alla decisione del parlamento nazionale del cosiddetto “Inländervorrang light“ l’UE abbia sbloccato certi dossier, quello dell’accesso libero per le banche svizzere al mercato europeo rimane ancora molto limitato. Secondo l’ambasciatore vi è una speranza di una soluzione rapida visti i buoni contatti recentemente rinnovati.

Matthiessen si è invece mostrato un po’ più critico in merito all’implementazione dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa nella variante „soft“. Sarebbe un passo giusto ma vi sarebbe una trappola insidiosa nascosta nei dettagli: per esempio, in quale modo concreto e conveniente sarebbero coinvolti i cantoni?

Una discussione più razionale

Matthiesen ci tiene molto che i cittadini dell’UE vengano trattati equamente come i lavoratori svizzeri. A questo proposito l’ambasciatore seguirà per esempio con grande attenzione quali saranno i prossimi passi concernenti l’iniziativa ticinese „Prima i nostri“. Un’iniziativa di un cantone che Matthiessen apprezza molto, anche a livello economico: il Ticino nei suoi rapporti commerciali è leggermente più legato all’Europa rispetto al resto della Svizzera.

Un ulteriore motivo per rendere razionale la discussione fra l‘UE e la Svizzera sui loro rapporti bilaterali – malgrado i punti di vista diversi. Una cosa risulta chiara: il futuro economico non può essere che uno in comune.