Permessi per cittadini stranieri – Informazione alle aziende

Nessuna esigenza di domicilio per ottenere il permesso di residenza

Negli scorsi mesi ci sono stati segnalati diversi casi in cui, per il rilascio o per il rinnovo del permesso di residenza di un cittadino UE, l’autorità cantonale pretendeva che anche i famigliari della persona in oggetto trasferissero il loro domicilio in Ticino.

A seguito di un ricorso presentato proprio contro questa esigenza, il Tribunale cantonale amministrativo in una sentenza pubblicata lo scorso mese di giugno ha sancito l’illegalità di tale prassi (sentenza n. 52.2016.237).

In concreto il Tribunale ha sottolineato come:

il cittadino di una parte contraente all’ALC – come è il caso del qui ricorrente in forza della sua nazionalità italiana- dispone di un diritto a titolo originario a stabilirsi nel nostro Paese per esercitare un’attività lucrativa dipendente, ottenendo a tale scopo un permesso di dimora UE/AELS (cfr. art.2 paragrafo 1 Allegato I ALC, STF 131 II 339 consid. 2). Non vi è in effetti alcuna norma o principio giurisprudenziale sgorgante dall’ALC che faccia dipendere il rilascio di siffatta autorizzazione dalla situazione del richiedente dal profilo del suo stato civile…(omissis)…Non è quindi dato di vedere come a un cittadino che possa prevalersi dell’ALC non debba essere rilasciato un permesso di dimora per il solo fatto che il coniuge e figli continuino a vivere all’estero.

Nel caso in cui un vostro dipendente dovesse essere oggetto di una simile richiesta da parte dell’autorità cantonale, può legittimamente opporsi richiamando i principi generali di cui sopra.

Convocazione a un secondo colloquio personale

Vi segnaliamo inoltre che il nuovo Regolamento cantonale di applicazione della legge federale sugli stranieri all’art. 8 cpv. 4 prevede che l’Ufficio può esigere in ogni momento che il richiedente si presenti personalmente per fornire ulteriori informazioni, in particolare nell’ambito della procedura di rilascio, di rinnovo o di modifica del suo permesso.

Si tratta di una possibilità di incontro oltre al primo colloquio personale già previsto dalla nuova procedura per il rilascio del permesso. Su nostra specifica richiesta il Consiglio di Stato ci ha precisato che questo secondo colloquio ha carattere meramente sussidiario e che verrà quindi utilizzato dall’Autorità cantonale solo nel caso in cui il richiedente non si dimostri collaborativo e, in ogni modo, solo dopo un tentativo di raccogliere le informazioni via posta.

Infine, vi invitiamo a segnalarci tempestivamente ogni situazione concreta che non dovesse corrispondere alle assicurazioni rilasciateci dall’Autorità cantonale.

Trasformazioni fra paure e realtà

Di Luca Albertoni, direttore Cc-Ti

Al centro dell’articolo le implicazioni e opportunità della trasformazione digitale oggigiorno in corso.

Della trasformazione digitale già si è detto molto e si continuerà a dire molto per parecchio tempo. Come è giusto che sia, visto che essa rimette in discussione molti modelli che sembravano acquisiti e crea dinamiche nuove. E si sa che lo sconosciuto spesso fa paura. Reazione umanamente comprensibile e che non deve essere stigmatizzata, ma è al contempo importante non trascurare taluni fatti, indispensabili per evitare di prendere decisioni, soprattutto di ordine politico, avventate perché dettate più dai timori che da una valutazione oggettiva.

La trasformazione non è per forza negativa, ma permette sviluppi anche impensabili. Nel nostro piccolo Ticino basti pensare alla riconversione di un settore come quello della moda.

Si parla ad esempio molto spesso della deindustrializzazione in Europa, che in realtà è più una trasformazione che una fine vera e propria dell’industria.Interessante a questo proposito è un libro recentemente pubblicato da Pierre Veltz, sociologo, ingegnere ed economista francese, specialista dell’organizzazione delle aziende e delle dinamiche territoriali. Il libro, intitolato “La société hyper-industrielle” (con il sottotitolo “Le nouveau capitalisme productif”) indica come in realtà non vi sia una regressione dell’industria, ma una profonda trasformazione, soprattutto della sua organizzazione. La rivoluzione in atto e con la quale dobbiamo confrontarci non concerne tanto l’automatizzazione di taluni compiti lavorativi, quanto piuttosto la connettività derivante dalle reti di comunicazione che agevola ulteriormente la dispersione della produzione in tutto il mondo, l’inclusione dell’utilizzatore nei cicli di produzione e la ricezione costante dei dati di utilizzo grazie alle varie piattaforme di scambio di dati. Per cui Veltz ritiene che l’industria stia diventando un servizio come gli altri, mentre molti servizi si organizzano secondo criteri industriali, rendendo sempre più difficile la distinzione fra i due rami economici. E’ un brevissimo e parziale riassunto, ma fornisce comunque spunti importanti. Cioé che la trasformazione non è per forza negativa, ma permette sviluppi anche impensabili.

Nel nostro piccolo Ticino basti pensare alla riconversione di un settore come quello della moda, passato dalla fabbricazione di capi d’abbigliamento alla gestione logistica molto avanzata dei flussi della distribuzione dei prodotti nel mondo e alla cura della proprietà intellettuale legata ai vari marchi. Non è del resto un caso che si parli sempre più spesso di “reshoring”, ossia di rimpatrio in Europa di attività industriali esportate anni fa verso quelli che erano considerati paesi a basso costo di produzione. Questo è dovuto anche alla trasformazione digitale che rende talune attività economiche meno costose e quindi rilancia la competitività europea a livelli di costi e permette ad esempio di gestire a distanza il servizio post-vendita ai clienti, garantendo una qualità europea (meglio se svizzera…) oltre i processi di fabbricazione. Il discorso è ovviamente complesso e merita ulteriori approfondimenti che, per ovvie ragioni di spazio, qui non sono possibili. Ma è comunque stimolante constatare che, fra le molte opinioni espresse sul tema della trasformazione digitale in senso lato, ve ne siano parecchie autorevoli che indicano come per il mondo occidentale non vi siano solo nubi scure all’orizzonte. Pierre Veltz sottolinea anche come l’Europa abbia delle carte importantissime da giocare: il principio dell’uguaglianza che tendenzialmente evita che vi siano troppi territori abbandonati, la ridistribuzione equilibrata della ricchezza e la forte interazione fra le città e le regioni europee. Punti di forza che in Svizzera conosciamo bene e che sarebbe profondamente sbagliato abbandonare a causa solo delle paure.

L’economia del futuro è digitale – Dossier tematico apparso su Ticino Business (edizione marzo 2017)

Intervista a Luca Albertoni su influence.ch

Intervista a Luca Albertoni, direttore Cc-Ti, apparsa su influence.ch

Al centro dell’intervista, apparsa il 23.06.2017 sul portale d’approfondimento germanofono, la solidità del tessuto economico ticinese e gli importanti sviluppi di alcuni settori oggigiorno trainanti per la nostra economia, come la moda e il commercio di materie prime.

 

Das Tessin gilt als Sonnenstube der Schweiz. Stört Sie diese Bezeichnung?
Luca Albertoni: Eigentlich nicht. Das Problem ist, dass das Tessin oft aus eigenem Verschulden in der deutschsprachigen Schweiz zu wenig bekannt ist.

Wie bitte?
Das Tessin ist nicht nur ein Tourismuskanton, in dem die Sonne gerne scheint. Vielmehr ist das Tessin auch ein wichtiger Wirtschafts- und Industriestandort. So wird ein guter Fünftel des Tessiner Bruttoinlandprodukts (BIP) durch den Industriesektor erwirtschaftet. Das weiss man nicht. Man bringt uns primär mit dem Tourismus in Verbindung, der im Gegensatz zur Industrie nur 10 Prozent zur Wirtschaftsleistung beiträgt. Diese verzerrte Wahrnehmung stört mich. Wir haben es noch nicht richtig fertiggebracht, diese andere Sichtweise stärker nach Zürich und Bern zu tragen. Dadurch kennt die Schweiz unsere Trümpfe nicht.

Welches sind diese Trümpfe?
Die wichtigste Branche im Tessin ist die Pharmaindustrie, die knapp 10 Prozent unseres BIP ausmacht. Auch die Maschinenindustrie ist mit Georg Fischer oder Schindler im Tessin vertreten. Daneben gibt es zahlreiche kleinere Zulieferer für Deutschschweizer Unternehmen. Da die meisten jedoch keine eigenen Fertigprodukte herstellen und keine bekannten Marken haben, sind diese Firmen weitgehend unbekannt. Das ist häufig das Schicksal der Kleinen. Das Tessin macht punkto Bevölkerung und Wirtschaft rund 5 Prozent der Schweiz aus. Wir sind eine kleine Realität. Wir sollten mehr konstruktive Öffentlichkeitsarbeit machen, damit man uns und unsere Realität besser versteht. Bei der Diskussion um die zweite Gotthardröhre beispielsweise wusste niemand, dass für unsere Logistikbranche der Flughafen Zürich viel wichtiger ist als jener im benachbarten Mailand. In dieser Hinsicht arbeiten wir jedoch besser als in der Vergangenheit.

Ein Tessiner Bundesrat ist meines Erachtens nicht ein Muss, es ist aber klar, dass ein Vertreter der italienischen Schweiz eine andere Sensibilität einbringen und das Gremium bereichern kann.

Mit dem Rücktritt von Didier Burkhalter bietet sich nun die Chance, dass das Tessin nach Flavio Cotti wieder einen Bundesrat stellt. Wie wichtig wäre das?
Ich bin der Meinung, dass die individuellen Fähigkeiten grundsätzlich wichtiger sind als die geographische Herkunft. Ein Tessiner Bundesrat ist meines Erachtens nicht ein Muss, es ist aber klar, dass ein Vertreter der italienischen Schweiz eine andere Sensibilität einbringen und das Gremium bereichern kann.

Welche konkreten Impulse erwarten Sie von einem Tessiner Bundesrat?
Wahrscheinlich würde ein Teil der Tessiner Bevölkerung Bundesbern als weniger entfernt empfinden. Ich würde aber die konkreten Impulse wenigstens kurzfristig nicht überschätzen, denn der Bundesrat arbeitet als Gremium zuerst für die gesamtschweizerischen Interessen.

Wie werten Sie die Chancen von FDP-Mann Ignazio Cassis?
Ignazio Cassis wäre ein fähiger Bundesrat und verdient unsere Unterstützung. Er hat sich in Bern eine starke Position erarbeitet, aber ob das reicht, kann ich als Aussenstehender nicht beurteilen.

Die Achse Chiasso-Basel ist zentral. Darüber hinaus geht es darum, die Zusammenarbeit mit den Basler Kollegen und das Tessin als Logistik-Pol zu verstärken.

Eine starke Position im Tessin hat die Logistikbranche, ebenso die Mode. Möchte man diese beiden Sektoren in den nächsten Jahren ausbauen?
Sie haben sich eigentlich fast von selbst entwickelt. Früher dominierte im Tessin die Textilproduktion, die heute nahezu verschwunden ist und durch die Logistik ersetzt wurde. Traditionshäuser wie Zegna galten als Vorbilder und Magnet für andere Modehäuser, namentlich aus Italien. Kein Wunder, spricht man von einer Fashion Valley. Allerdings sind mittlerweile fast alle italienischen Unternehmen zurück nach Italien gekehrt, weil der Druck aus Rom sehr gross war.

Ein herber Verlust.
Das ist natürlich bedauerlich. Doch an deren Stelle sind französische, britische, skandinavische und amerikanische Modehäuser gekommen. Es hat sich im Laufe der Jahre ein wichtiger Cluster gebildet.

Weil diese Firmen einen steuerlichen Sonderstatus geniessen?
Nein. Das mag in der Anfangszeit so gewesen sein, ist heute aber nicht mehr der Fall. Diese Firmen sind grundsätzlich ordentlich besteuert. Wesentlich wichtiger ist die liberale Gesetzgebung der Schweiz, was für ausländische Unternehmen sehr attraktiv ist. Leider wird die Tessiner Logistikbranche zu wenig wahrgenommen. Deshalb sind wir Mitglied des Logistik Cluster Basel geworden.

Weshalb?
Die Achse Chiasso-Basel ist zentral. Darüber hinaus geht es darum, die Zusammenarbeit mit den Basler Kollegen und das Tessin als Logistik-Pol zu verstärken.

Ein Sektor, der seit der Finanzkrise mächtig gelitten hat, sind die Banken und Vermögensverwalter. Hat sich das Tessin von diesem Schock erholt?
Neben dem Stellenabbau haben die Kantone und Gemeinden stark unter den weggebrochenen Steuererträgen gelitten. Es war ein grosser Schock für die Wirtschaft, den Abzug der Banken mitzuerleben. Doch dieser Verlust ist, wenigstens was die Steuererträge anbelangt, fast vollständig wettgemacht worden durch andere Unternehmen, insbesondere aus der Rohstoffbranche, die sich im Tessin niedergelassen haben. Lugano gehört mittlerweile im Stahlhandel zur Weltspitze. Nach Genf und Zug sind wir Nummer drei der Schweiz, nur knapp hinter Zug. Allerdings ist es ein Nachteil, dass der Finanzplatz Tessin im Zuge der Finanzkrise geschwächt wurde. Die Politik der Grossbanken besteht darin, ihre Finanzdienstleistungen, namentlich die komplexeren, in Genf oder Zürich zu zentralisieren. Die fehlenden finanztechnischen Kompetenzen sind eine grosse Herausforderung für die Rohstoffbranche und die übrige Wirtschaft.

Die Tessiner Wirtschaft ist heute robuster und stärker diversifiziert.

Wie gut geht es der Tessiner Wirtschaft?
Die Wirtschaftsfaktoren zeigen, dass wir im Schweizer Durchschnitt liegen. Die Tessiner Wirtschaft ist nicht mehr so schwach wie vor 20 oder 25 Jahren mit den damals hohen Arbeitslosenzahlen. Sie ist heute robuster und stärker diversifiziert. Das zeigt sich darin, dass sie die Finanzkrise und die beiden Währungsschock relativ gut überstanden hat. Im Empfinden der Leute sieht das aber etwas anders aus. Sie reagieren sensibler und haben ein Gefühl der Unsicherheit. Arbeitsplätze bei den Banken gingen verloren, ebenso bei der Post, Armee und SBB. Diese Unsicherheit ist nicht nur im Tessin zu beobachten, sondern in der ganzen Schweiz und auch weltweit. Denn der Wettbewerb, die Konkurrenz und der Druck sind grösser geworden.

Das Empfinden der Bevölkerung im Tessin stimmt nicht mit der wirtschaftlichen Realität überein.
Der Wettbewerb ist intensiver geworden. Die Arbeitskräfte aus der Lombardei sind eine Realität. Doch dem Tessin geht es wirtschaftlich gut. Die Zahlen sind eindeutig.

Fühlt sich das Tessin isoliert?
Die Schweiz und Europa sind für die Wirtschaft kein Fremdwort, sondern gelebte Realität. Doch empfinden die Tessiner Bern als weit entfernt und Italien als aggressiv. Und für sie entspricht Italien der EU. Diese Empfindung ist stark im Bewusstsein der Bevölkerung verankert. Da klaffen die Realität der Wirtschaft und jene der Gesellschaft auseinander. Wenn ein Tessiner Arbeitnehmer durch einen italienischen ersetzt wird, hat man mehrheitlich keine gute Meinung über die bilateralen Verträge, Brüssel und Bern. Deshalb ist es für mich als Vertreter der Handelskammer nicht immer ganz einfach, hier eine Scharnierfunktion wahrzunehmen und beide Sichtweisen unter einen Hut zu bringen.

Kann der neue Tunnel durch den Gotthard eine Deblockade bewirken?
Für uns Wirtschaftsvertreter ist der Tunnel genial. Wir sind viel schneller in Zug, Zürich oder Basel an Sitzungen. Die Deutschschweiz liegt nun praktisch vor der Haustüre. Man darf nicht vergessen, dass die Deutschschweiz und Nordeuropa für die Tessiner Wirtschaft überlebensnotwendig sind – mehr als Italien. Ob die Bevölkerung das auch so sieht, muss sich weisen. Es wäre schön, wenn das Tessin mehr wäre als ein Durchgangskorridor zwischen Zürich und Mailand und sich als eigenständiger Wirtschafts- und Tourismusstandort mit Top-Lebensqualität positionieren kann. Für mich ist eine Öffnung wie der Gotthardtunnel immer eine Chance.

Wie werben Sie für den Wirtschaftsstandort Tessin?
Unsere Trümpfe sind die gleichen wie in der übrigen Schweiz: eine liberale Gesetzgebung, keine allzu grosse Bürokratie, ein einfacher, guter, persönlicher Zugang zur öffentlichen Verwaltung und eine moderate steuerliche Belastung. Vielleicht helfen auch das Tessiner Klima und die zentrale Position zwischen Mailand und Zürich. Die Vernetzung mit der Neat und der zweiten Gotthardröhre werden das Tessin für die Schweizer Wirtschaft noch wichtiger machen.

Wo steht Ihr Kanton in zehn Jahren?
Wir haben eine gute Dynamik, haben die schwierigen 1990er-Jahre endgültig hinter uns gelassen. Dank der breiten Diversifizierung hat es viele Freiräume für Neues. Darauf müssen wir aufbauen, das Positive sehen und fördern – und endlich aufhören zu nörgeln. Das bringt uns definitiv nicht weiter.

Gespräch: Pascal Ihle

Intervista a Luca Albertoni del Tages – Anzeiger

Intervista a Luca Albertoni, direttore Cc-Ti, da parte del Tages – Anzeiger

Al centro dell’intervista, apparsa giovedì 27.06.2017 sul noto quotidiano germanofono, il possibile scenario di un prossimo/a Consigliere federale ticinese.

Wie wichtig wäre ein Bundesrat tatsächlich für das Tessin?

Das ist eine zwiespältige Frage. Natürlich wäre es wichtig für den Bundesrat, wenn jemand aus dem Tessin eine gewisse kulturelle Sensibilität für den Kanton in das Gremium tragen würde. Gleichzeitig haben wir immer gesagt, auch bei den letzten Kandidaturen aus dem Tessin, dass die Person und ihre individuelle Fähigkeiten wichtiger sind als die Herkunft. Es muss nicht um jeden Preis ein Tessiner im Bundesrat sein. Für unseren Kanton ist das nicht überlebenswichtig.

Ist ein Bundesrat aus dem Tessin vielleicht wichtiger für die Schweiz als Ganzes als nur für Ihren Kanton? Es geht hier ja auch um Symbole.

Das könnte durchaus sein. Vielleicht muss man es so anschauen, um auch den Druck aus der ganzen Diskussion zu nehmen. Viele glauben heute, es werde direkte Effekte für den Kanton geben, wenn ein Tessiner im Bundesrat sitzt. Das ist Wunschdenken.

Aber verständliches Wunschdenken.

Ein Bundesrat ist kein kantonaler Vertreter. Erst kürzlich hatte ich eine Diskussion mit einer Journalistin aus der Romandie. Sie hat erzählt, wie wichtig es sei, dass der Bundesrat das internationale Genf verteidige. Da spielt die Herkunft des Bundesrats doch keine Rolle! Das kann auch jemand aus dem Appenzell. Genau das gleiche gilt für das Tessin. Als Flavio Cotti noch im Amt war, hat er geschaut, dass mehr Tessinerinnen und Tessiner in der Bundesverwaltung angestellt werden. Das ist eine realistische Einflussmöglichkeit eines Bundesrats aus dem Tessin. Alles, was darüber hinaus geht, sind überrissene Erwartungen. Ein Bundesrat kann keine Wunder wirken in der Schweizer Politik.

Ist es vielleicht sogar besser, wenn man einen nationalen Parteipräsidenten hat, der aus dem Kanton kommt, oder einen Fraktionschef im Bundeshaus wie aktuell Ignazio Cassis?

Ob es besser ist, vermag ich nicht zu sagen. Man darf diese Funktionen einfach nicht unterschätzen – dort kann man ganz konkret politische Ideen einbringen. Aber so etwas geht in der aktuellen Diskussion im Tessin leider völlig unter.

Weil ein Tessiner im Bundesrat zur Existenzfrage stilisiert wird?

Exakt. Seit Jahren klagen wir über die zu grosse Distanz nach Bern. Jetzt soll diese endlich kleiner werden. Das Problem dabei: Wenn unser Tessiner Bundesrat den ersten Entscheid fällt, der nicht wirklich tessinfreundlich ist, wird das Theater wieder losgehen: Der hat sich an die Deutschweiz verkauft! Darum sollte man von Beginn an nicht zu grosse Erwartungen aufbauen und auf dem Boden der Realität bleiben.

Woher kommt denn diese Vehemenz in der Diskussion?

Weil viele Probleme im Tessin kausal mit Versäumnissen des Bundes erklärt werden. Weil uns der Bund ignoriert, haben wir Probleme mit den bilateralen Verträgen, mit der Personenfreizügigkeit, etc. Daher kommen auch die enormen Erwartungen: Wenn wir es bei dieser Konstellation nicht schaffen, einen in den Bundesrat zu bringen, dann ist alles aus. Dann wird es richtig dramatisch. Was für eine absurde Übertreibung!

Viele glauben heute, es werde direkte Effekte für den Kanton geben, wenn ein Tessiner im Bundesrat sitzt. Das ist Wunschdenken.

Wenn es jetzt nur nach den Fähigkeiten geht: Wäre Ignazio Cassis ein fähiger Kandidat?

In meinen Augen schon. Er ist offen für verschiedene Anliegen der Wirtschaft und hat uns schon einige Male geholfen. Die Revision des Mehrwertsteuergesetzes, das vor allem Firmen im Tessin benachteiligt hat, haben wir via Ignazio Cassis in Bern eingebracht. Erfolgreich. Gleich war es bei den schwarzen Listen für Schweizer Firmen in Italien, bei denen uns Cassis aktiv geholfen hat. Er kennt auch seine Fähigkeiten ziemlich genau: Fühlt er sich bei einem Thema nicht wirklich sattelfest, überlässt er den Lead anderen. Das ist eine seltene Fähigkeit für einen Politiker.

Sein grosser Vorteil ist allerdings ein anderer: Ihn kennt man im Bundeshaus. Die mögliche Gegenkandidatin Laura Sadis nicht.

Ja, wer die Mechanismen des Bundeshauses etwas kennt, der weiss: Für Frau Sadis wird es eher schwierig.

Ob Cassis oder Sadis: Rettung wird offenbar erwartet. Dabei geht es dem Kanton doch eigentlich gar nicht so schlecht, wenn man sich Statistiken anschaut.

Das ist ein grosses Problem. Es gibt eine Kluft zwischen wirtschaftlicher und politischer Realität. Die Debatte dreht sich immer nur um das Tessin als Problemfall. Dabei sagen die Zahlen etwas ganz anderes. Fast alle wirtschaftlichen Indikatoren sind positiv. Die Arbeitslosigkeit ist mit 3,1 Prozent auf einem historischen tiefen Niveau.

Und das glaubt man ihnen nicht?

Nein. Die Arbeitslosenzahlen werden schweizweit nach dem gleichen Prinzip erfasst – hier aber gelten sie als Fake News. Jede Statistik wird einfach einmal bestritten. Deshalb vermeiden wir inzwischen bestimmte (Wirtschaftsthemen) Themen und öffentliche Auftritte. Wir sprechen lieber über Positivbeispiele und greifen ein, wo Falschbehauptungen herumgeboten werden. Aber manche Debatten haben schlicht keinen Sinn.

Sie gehen schwierigen Diskussionen aus dem Weg?

Wir bestreiten ja nicht, dass es in gewissen Bereichen Lohndumping gibt. Deshalb sind wir auch für flankierende Massnahmen und Kontrollen. Aber dass es im Tessin auch eine dynamische industrielle Wirtschaft auf hohem Niveau gibt, wird von vielen hier totgeschwiegen. Lieber senden sie nach Bern die Botschaft, dass alles hier eine einzige Katastrophe sei. Das ist einfach falsch. Wir hatten hier zum Beispiel kaum Massenentlassungen in den vergangenen Jahren.

Wie entstand diese Kluft zwischen Realität und gefühlter Realität?

Seit Jahren heisst es, die Bundesbehörden interessierten sich nicht für das Tessin. Jede Arbeitsmarktstatistik des Seco wird stets als falsch dargestellt. Eine objektive Diskussion ist so nicht mehr möglich. Natürlich begann diese Anti-Bern-Welle mit der Lega. Aber inzwischen ist diese Haltung längst Mainstream geworden. Zu viele Italiener, zu tiefe Löhne, ein soziales Desaster: So heisst es ständig.

Tatsache ist doch aber auch, dass viele Tessiner Unternehmen lange lieber Grenzgänger zu Tieflöhnen anstellten statt Einheimische.

Die Verfügbarkeit von vielen italienischen Grenzgängern ist für hiesige Firmen natürlich eine grosse Versuchung. Das ist so. Aber es hat auch ein Umdenken gegeben. Nur wird das in der öffentlichen Meinung nicht honoriert. Stattdessen beklagt man, dass es jetzt viel mehr Teilzeitstellen gebe. Dabei ist das auch politisch gewollt, um mehr Frauen in den Arbeitsmarkt zu bekommen. Statt darüber zu diskutieren, jammert man lieber.

Das Tessin gilt inzwischen als Jammerkanton schlechthin.

Dabei haben wir nichts zu bejammern! Wenn wir in den vergangenen Jahren ein Problem in Bern deponierten, fanden wir offene Türen vor im Parlament und in der Verwaltung (auch im Bundesrat)– vorausgesetzt, unsere Anliegen waren gut abgestützt und begründet. Da haben es Kollegen aus anderen Regionen nicht einfacher.

Alles blendend also im Tessin?

Nein, das auch nicht. Aber wir befinden uns im Schweizer Durchschnitt. Das war vor zwanzig Jahren noch ganz anders. Unsere Entwicklung ist eine positive.

Perché i conti non tornano mai

di Alessio del Grande

Inutile girarci attorno, sino a quando lo Stato continuerà a spendere più di quanto incassa, non ci sarà mai un vero risanamento delle finanze cantonali. Anzi, per sostenere gli aumenti continui di spesa s’inasprirà, sotto varie forme, la pressione fiscale su cittadini e imprese. Con il preventivo 2017 si è assistito al rituale tormentone di una classe politica che invoca sì risparmi, ma allo stesso tempo è avvezza a sollecitare nuove spese, e soprattutto incapace di affrontare quei nodi strutturali che impediscono di perseguire un reale rigore finanziario.

La situazione resta, infatti, molto critica. Con il consuntivo del 2016 non c’è stato un vero miglioramento: se il bilancio dello scorso anno si è chiuso con un deficit di 47, 4 milioni di franchi, anziché di 88, ciò è dovuto alle entrate fiscale superiori a quanto preventivato. Senza questi maggiori introiti, il consuntivo si sarebbe chiuso in rosso per 104 milioni.

Si conferma, insomma, la costante che da troppi anni sta logorando le finanze cantonali: le uscite aumentano più delle entrate. Anche nel 2016 la spesa ha registrato un’ulteriore crescita di 16 milioni. Certo, il pareggio del conto della gestione corrente per il 2019 è un obiettivo raggiungibile, ma servirà a ben poco se non si risolve il problema di fondo: la crescita inarrestabile della spesa pubblica. L’unica strada per farlo è di mettere mano, una volta per tutte, alla riforma dei compiti dello stato.

Una riforma di cui si parla da almeno un ventennio, ma mai avviata perché richiede una diversa cultura politica che sinora è mancata. Senza questa cultura capace di ragionare non solo in termini di entrate e uscite, di spendi e tassa, ma nei termini invece di un differente rapporto tra stato e cittadini, amministrazione pubblica e società civile, tra pubblico e privato, non si uscirà mai dal cul de sac dei deficit ricorrenti e di un debito pubblico ormai vicino ai 2 miliardi di franchi.

Riforma dei compiti dello stato significa innanzitutto passare ai raggi X tutto il funzionamento dell’amministrazione cantonale e i servizi offerti alla collettività (un lavoro del genere, rimasto purtroppo lettera morta, era stato fatto quando in governo c’era Marina Masoni), ma significa anche saper guardare alla società civile, alle risorse e alle idee di un’articolazione sociale a cui lo stato potrebbe delegare non poche attività. Qui non si sta facendo l’elogio del privato a scapito di uno stato che si ritiene inefficiente, si sta invece parlando di un’equilibrata complementarietà tra prestazioni e servizi che deve necessariamente garantire lo stato e quelli di cui si può far benissimo carico il mercato, secondo una logica condivisa di ripartizione delle responsabilità tra pubblico e privato.

Riforma dei compiti dello stato significa innanzitutto passare ai raggi X tutto il funzionamento dell’amministrazione cantonale

Soltanto questa radicale innovazione istituzionale permetterà di risanare strutturalmente le finanze del cantone e di liberare le risorse necessarie per affrontare le sfide di quella grande trasformazione generata dall’economia digitale e dalla robotica. Un cambiamento che, inevitabilmente, produrrà scompensi economici e sociali. Tanto più un cantone dove la politica sociale è alle corde per mancanza di mezzi e dove le imprese da 12 anni non beneficiano di sgravi fiscali.

Vanno ripensati l’attuale Welfare statale, troppo improntato sulla statalizzazione della solidarietà più che sulla autopromozione individuale, e la politica fiscale per imprese e cittadini se si vuole che garantiscano sempre entrate adeguate per l’erario. Per farlo bisogna, però, avere risorse finanziarie sufficienti, il che è possibile solo rendendo meno costosa, ma più efficiente, la macchina dello stato.

La nostra economia non è più a rimorchio

L’economia ticinese non è più a rimorchio delle altre economie svizzere, anzi, si colloca a un buon livello di competitività nel contesto nazionale e internazionale.

Intervista a Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti, pubblicata sul Giornale del popolo

“L’andamento economico ticinese segue le evoluzioni svizzere.”

Secondo un recente studio condotto da 6 banche cantonali romande e l’Istituto di ricerche congiunturali CREA, il PIL ticinese dal 2000 al 2015 è cresciuto del 30,4%, posizionando il nostro Cantone al quarto posto tra le regioni più prospere d’Europa. Qual è la sua prima reazione di fronte a questo dato?

Sulle classifiche ho sempre qualche riserva, ma al di là della collocazione precisa nella graduatoria, non sono per nulla sorpreso di un risultato positivo. E il fatto che siano le banche cantonali romande a dirlo, che non hanno nessun interesse a elogiare il Ticino, conferisce un valore particolare alla cosa. Da anni constatiamo, nel confronto diretto con i colleghi delle Camere di commercio e dell’industria degli altri cantoni, che l’andamento economico ticinese segue le evoluzioni svizzere, cosa che non si verificava venti anni fa. La forte diversificazione del nostro tessuto economico, la grande espansione delle esportazioni e l’aumento della vocazione all’internazionalizzazione sono elementi che hanno permesso un’evoluzione positiva della nostra economia e che ci collocano su un buon livello di competitività nel contesto nazionale e internazionale. Poi si può discutere a lungo cosa sia la prosperità e se il PIL costituisca l’unica unità di misura da considerare, ma è un fatto che noi quotidianamente sul terreno rileviamo che il “gap” che una volta esisteva rispetto alle altre regioni svizzere non c’è più. Non è del resto un caso che, malgrado le note trasformazioni legate ad esempio alla piazza finanziaria e tre crisi pesanti (finanziaria nel 2008 e valutaria nel 2011 e nel 2015), Il Ticino abbia saputo contenere gli effetti negativi, mantenendo sempre livelli ragguardevoli. Cosa non verificatasi in altre regioni come l’arco giurassiano o la Svizzera orientale che hanno perso migliaia di posti di lavoro, soprattutto a seguito della crisi del 2015. Questi sono fatti.

Negli ultimi 15 anni, sempre secondo questo studio, il nostro Cantone ha aumentato, e di parecchio,complessivamente la propria ricchezza, eppure la percezione nel Paese sembra essere diversa, quasi opposta. Qual è la sua opinione al riguardo?

La percezione non va mai sottovalutata ed è giusto tenerne conto, anche perché rispecchia una reazione molto umana. E’ chiaro che sono sparite molte certezze, da quella della piazza finanziaria praticamente inaffondabile alla presenza rassicurante delle regie federali. E’ quindi abbastanza normale che vi siano timori, anche perché un’economia più diversificata e dalle dinamiche certamente più complesse è meno “tangibile” e quindi foriera di maggiori insicurezze. Ed è innegabile che la concorrenza sia cresciuta in tutti gli ambiti, compreso il mercato del lavoro. Fenomeni di per sé non negativi, ma che, in quanto relativamente nuovi per la nostra realtà, creano disagi. Che umanamente comprendo, ma il mio compito è di far capire anche i vantaggi legati a questa nuova situazione, intervenendo al contempo con grande disponibilità per correggere le distorsioni di cui non ho mai negato l’esistenza. Cerco così di dare il mio contributo nella discussione pubblica non per relativizzare le paure, ma per dare quella che a mio avviso è la giusta proporzione ai vari fenomeni di cambiamento che stiamo vivendo.

Quali sono, a suo giudizio, le strade da percorrere a più livelli (politico, sociale e strategico) per riallineare, posto che è possibile, le percezioni del Paese con i dati economici, per una convivenza il più possibile pacifica tra economia e società?

Non sono molto ottimista, se consideriamo che sui dati non si discute più confrontandosi in maniera oggettiva, ma definendoli semplicemente taroccati quando non dimostrano le proprie tesi. Questo purtroppo non serve a risolvere i problemi. Penso sia importante che i vari dati ufficiali pubblicati siano presentati in maniera dettagliata e non solo “sparati” senza distinzioni. Solo così si può dibattere in maniera costruttiva. Poi è ovvio che le aziende devono avere comportamenti corretti, ma su questo lavoriamo quotidianamente e la disponibilità è ampia.

Commercio e turismo: qualche cifra e una riflessione

Testo a cura di Luca Albertoni, direttore Cc-Ti

La Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia cantonale rappresenta molte realtà. Diamo pertanto spazio ai vari rami economici con alcune indicazioni su quello che essi rappresentano. Iniziamo dai settori del commercio e del turismo, molto legati non solo dal punto di vista dei rilevamenti statistici, ma anche perché strettamente connessi sul fronte dei servizi agli ospiti del nostro territorio.

Il settore del commercio e turismo strettamente connessi

Il commercio, i servizi di alloggio e di ristorazione e il turismo rappresentano circa il 20% del PIL in Ticino, quindi oltre 5 miliardi di franchi. Parliamo di quasi 10’000 aziende attive, che impiegano oltre 35’000 collaboratrici e collaboratori (si tratta dei posti equivalenti al tempo pieno). Interessante è sottolineare che, per quanto riguarda il commercio al dettaglio, spesso considerato anello debole dell’economia e con poche ricadute sul territorio, esso conta circa 3’700 aziende, impiegando 12’000 persone (in equivalenti a tempo pieno). E le relative imprese versano 38 milioni di franchi di imposte. Le imposte pagate dagli impiegati di questo specifico settore ammontano a oltre 46 milioni di franchi, nel contesto di una massa salariale erogata di circa 650 milioni di franchi.

Il commercio, i servizi di alloggio e di ristorazione e il turismo rappresentano circa il 20% del PIL in Ticino, quindi oltre 5 miliardi di franchi. Parliamo di quasi 10’000 aziende attive, che impiegano oltre 35’000 collaboratrici e collaboratori.

Molte cifre per sfatare qualche mito che vuole queste aziende staccate dal territorio ticinese perché facenti parte di gruppi nazionali. Senza dimenticare gli investimenti negli stabili che superano agevolmente i 100 milioni di franchi annui e gli oltre 40 milioni destinati ad aziende locali per le attività pubblicitarie, nonché gli acquisti della stessa entità circa effettuati presso i produttori locali. Cifre non da poco, derivanti da fonti ufficiali, di cui si dovrebbe tenere maggiormente conto quando si parla di aziende e territorio e si ipotizzano misure di vario genere per risolvere problemi veri o presunti. L’interconnessione evidente fra il settore del commercio e quello dell’albergheria e della ristorazione è resa evidente dal fatto che, secondo le stime delle associazioni di categoria, i turisti generano in Ticino un volume di acquisti di oltre 400 milioni di franchi annui.

Cambiamenti importanti in questi rami economici

I cambiamenti in atto in questi rami economici sono sotto gli occhi di tutti. Franco forte, digitalizzazione, acquisti all’estero e su internet, ecc. sono concetti ormai espressi ogni giorno e che non necessitano ulteriori spiegazioni per illustrarne gli effetti, da tempo dibattuti. L’andamento altalenante dei settori in questione può però probabilmente trovare un equilibrio attraverso un maggiore coordinamento, perché un’offerta più coordinata non va a beneficio unicamente dei turisti, ma anche e soprattutto del territorio ticinese, come dimostrano ampiamente le cifre menzionate in precedenza. Comprensibili e condivisibili quindi gli appelli in tal senso giunti in particolare dall’ambito degli esercenti nelle ultime settimane, perché il legame fra commercio al dettaglio, servizi alberghieri e ristorazione è un elemento di successo di molti territori, anche in Svizzera. Basta dare un’occhiata agli orari di apertura, anche domenicale, dei negozi di stazioni turistiche importanti come Zermatt o Saas-Fee, dove il discorso di accoglienza è affrontato in maniera globale. Non vi sono motivi perché una formula di questo genere, sulla quale il Ticino sta comunque lavorando, non possa essere la chiave di volta per affrontare i molti cambiamenti strutturali che toccano anche il nostro cantone.

Nuovo assetto per l’Ufficio della migrazione

Riorganizzazione dell’Ufficio della migrazione

Gentili signore, egregi signori,

Cari Soci,

Lo scorso mercoledì il Consiglio di Stato ha confermato che la preannunciata riorganizzazione dell’Ufficio cantonale della migrazione verrà attuata in due tappe, la prima che riguarderà unicamente i permessi per i lavoratori frontalieri dipendenti, e la seconda che riguarderà gli altri tipi di permessi. Alleghiamo alla presente comunicazione lo schema riassuntivo del nuovo flusso.

19 giugno 2017 – Avvio della fase intermedia, con introduzione della procedura guidata per i permessi G (che prevede la verifica del documento d’identità dei richiedenti da parte dei servizi della Polizia cantonale presso gli sportelli di Chiasso, Mendrisio, Noranco, Caslano, Camorino e Locarno, dal lunedì al venerdì, dalle ore 9.00 alle 11.30 e dalle 14.00 alle 16.30, – festivi infrasettimanali esclusi) e la chiusura del Servizio regionale degli stranieri di Agno.

4 dicembre 2017 – Assetto definitivo con l’estensione della procedura guidata a tutte le richieste di un permesso per stranieri, chiusura degli sportelli di tutti i Servizi regionali e costituzione del Servizio “nuove entrate” a Lugano, incaricato di esaminare le domande di nuovi permessi di dimora 8, L e G con attività indipendente.

Vi terremo informati sui futuri sviluppi.

Strategia energetica 2050: alcuni buoni principi ma globalmente non convincenti

La revisione della legge federale sull’energia in votazione popolare il 21 maggio rappresenta un dossier estremamente complesso e che dovrebbe essere sviluppato in più tappe. Le opinioni nel mondo politico sono abbastanza definite, mentre nel contesto economico divergono in maniera anche abbastanza netta.

Gli obiettivi generali sono sostanzialmente condivisi. La strategia di abbandono dell’energia nucleare decisa dal Consiglio federale nel 2011 è ormai una realtà, almeno per quanto riguarda gli impianti “tradizionali” come quelli che conosciamo. Anche lo scopo generale di ridurre la dipendenza dalle energie fossili come petrolio e gas, favorendo la riduzione del consumo generale di energia e sviluppando le energie rinnovabili, può essere condivisa nel suo principio.

Incentivi finanziari e nuove prescrizioni

Per raggiungere tali scopi sono ovviamente necessari incentivi finanziari e nuove prescrizioni destinate a migliorare l’efficienza energetica.
Questo è uno dei primi nodi del progetto e una difficoltà importante per chi rappresenta l’economia, visto che talune aziende beneficeranno di questa prevista manna di incentivi finanziari, mentre altre temono, non senza ragioni, difficoltà di approvvigionamento per tutto il paese e un eccessivo aumento del costo dell’energia elettrica. Un aumento che indubbiamente si verificherebbe, al di là delle molte cifre menzionate durante la campagna di votazione, visto che comunque si passerebbe da 1,5 a 2,3 centesimi per Kwh. L’aumento in quanto tale sarebbe digeribile, ma essendo finalizzato soprattutto a finanziare le cosiddette energie rinnovabili, suscita qualche legittimo dubbio quanto alla reale utilità dell’obolo richiesto. Non perché le energie rinnovabili non siano degne di attenzione, anzi! Ma se pensiamo ad esempio alle fortissime opposizioni che riscontrano praticamente tutti i progetti di energia eolica che si sta cercando di ipotizzare, è più che legittimo il dubbio che uno dei tasselli considerato fondamentale per l’approvvigionamento con energie rinnovabili difficilmente potrà avere lo sviluppo sperato in tempi rapidi e atti a compensare i “buchi” lasciati dal progressivo abbandono del nucleare.

Certo, si potrebbe sempre ricorrere a una maggiore importazione di energia dall’estero per coprire tali buchi, ma questo è un po’ paradossale se si considera che tale approvvigionamento deriverebbe prevalentemente da impianti che funzionano con energie fossili. E pensare, contemporaneamente al paventato aumento di capacità di produzione delle energie rinnovabili, che sia realistico il pur lodevole scopo di diminuire il consumo generale di energia (circa il 13% per abitante) è abbastanza azzardato. Indubbiamente il progresso tecnologico può aiutare, ma lo stesso progresso porta anche spesso a un incremento della richiesta di energia, tanto è vero che ad esempio un aumento considerevole delle automobili elettriche nel parco veicoli svizzero (metà entro il 2050, tutti entro il 2070 secondo gli esperti del clima) renderebbe necessario un approvvigionamento che corrisponde al doppio della produzione della centrale nucleare di Gösgen. Difficile coprire tale richiesta senza ad esempio centrali a gas, cosa che sarebbe contraria allo spirito stesso della strategia energetica. Anche perché la questione dell’immagazzinamento della produzione di energia derivante da fonti rinnovabili non è a oggi contemplata e il progetto è limitato perché prevede un sostegno troppo limitato all’energia idroelettrica, che meriterebbe un’attenzione almeno equivalente a quella prestata ad altre fonti di energia rinnovabile meno consolidate.

Costi difficili da stabilire

Sui costi circolano molte cifre. Difficile stabilire quali siano veramente attendibili. E questo è un altro limite importante dell’attuale progetto. A parte il già citato aumento da 1,5 a 2,3 centesimi per Kwh, vanno ovviamente aggiunti gli investimenti necessari a migliorare l’efficienza energetica, ridurre il consumo e adattare i canali di distribuzione a una produzione elettrica meno centralizzata. Il rincaro per le aziende soprattutto industriali rischia di essere quindi più corposo del previsto. Confidare sullo sviluppo tecnologico è certamente buona cosa, ma non permette di fare previsioni precise a lungo termine, anche per la scarsa prevedibilità della direzione presa da tale sviluppo. Nessuno a oggi può ad esempio escludere tecnologie che rendano nuovamente interessante e praticabile il nucleare.

Malgrado si riconoscano le difficoltà di trovare soluzioni condivise, il progetto attuale deve essere rifiutato con un NO alle urne il prossimo 21 maggio.

Come detto in precedenza, non si tratta di tornare sulla decisione di abbandono del nucleare del 2011 né di rimettere in questione il principio degli obiettivi fondamentali della revisione. Sono però preponderanti i dubbi quanto all’effettiva possibilità di realizzazione di tali obiettivi, fondati più su supposizioni che su dati concreti. Vari elementi del dossier in votazione possono quindi senz’altro essere mantenuti, ma vanno inseriti in un progetto meno dirigista e burocratico, che resti sufficientemente aperto per adattare le esigenze alla realtà del mercato e all’evoluzione tecnologica. Quanto sottoposto in votazione non dà garanzie sufficienti in questo senso. Occorre evitare un salto nel buio che sarebbe un’immagine un po’ paradossale per un progetto che vuole garantire l’efficienza energetica.

Discorso del Presidente Martinetti – Assemblea CATEF

Discorso pronunciato da Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti, in occasione dell’assemblea CATEF del 12.5.2017

Fa stato il discorso pronunciato oralmente

 

Carissimo Presidente, cari delegati della CATEF,

 Cari ospiti,

sono molto felice di poter intervenire in occasione dei vostri odierni lavori assembleari, per sottolineare quanto la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti) sia attenta alle problematiche e alle necessità delle associazioni ad essa legate.

La CATEF, organizzazione ormai storica nel panorama associativo ticinese, è formalmente membro della Cc-Ti solo da qualche anno, ma la fruttuosa collaborazione ha radici lontane e molto profonde, grazie soprattutto al vostro attivissimo presidente Gianluigi Piazzini, inimitabile tessitore di relazioni e appassionato lettore ed interprete di messaggi governativi e atti parlamentari. Come non ricordare l’orami celeberrima frase del vostro presidente concernente l’aumento dei valori di stima: “Ci aspettavamo una spuntatina e ci avete fatto un taglio alla marines”. Impareggiabile!

Non è certo necessaria la mia sottolineatura per ribadire l’importanza del settore immobiliare, colonna portante della nostra economia e ciò nonostante regolarmente messo sotto pressione, soprattutto dal lato fiscale.

Paragonabile un po’ alla situazione degli automobilisti, regolarmente tartassati, forse per creare una sorta di “par condicio” fra beni tipicamente immobili e quelli per definizione mobili, come le auto.

Ma, esattamente come è anche lo stile della Cc-Ti, tengo a sottolineare come la vostra associazione abbia sempre dimostrato grande maturità e senso di responsabilità, esercitando si il diritto di critica ma senza lamentele piagnucolose né critiche scomposte, ma sempre con dati alla mano.

Approccio costruttivo forse figlio di tempi passati ma che mai come oggi dovrebbero essere attuali, nel contesto oramai cacofonico del “dagli al ricco” e quindi chiaramente compreso il proprietario immobiliare.

Numerose sono state le iniziative in questo senso combattute assieme alla vostra associazione negli anni scorsi. Una per tutte è stata la lotta condotta praticamente da soli a sostegno del referendum contro la revisione della legge federale sulla pianificazione territoriale (LPT). Ricordo alcune affermazioni del direttore della Cc-Ti Luca Albertoni nel contesto della campagna di votazione, coordinata con la CATEF e cito:

“La messa in pratica di questo nuovo sistema porterebbe con sé un importante peso burocratico, la proprietà privata verrebbe inoltre notevolmente intaccata a causa dell’imposizione dell’utilizzo del terreno edificabile, pena il depennamento dello status di zone edificabili dai terreni. Elementi particolarmente pericolosi e anche un po’ liberticidi, dal momento che toccano profondamente la proprietà privata. Non da ultimo vi è anche il problema dell’autonomia cantonale: un buon numero di competenze verrebbe infatti trasferito a livello federale”.

Mi scuso per questo excursus auto-referenziale della Cc-Ti, ma era importante sottolinearlo quale esempio di lavoro comune fra la Camera (associazione-mantello dell’economia cantonale) e rappresentanti settoriali, tanto più che i fatti ci hanno dato poi ragione perché è proprio questo che è avvenuto e sta avvenendo. Purtroppo il responso delle urne del 3 marzo 2013 ci è stato chiaramente sfavorevole.  Ma ciò non significa che occorre abbassare le braccia: ci attende in questi giorni la consultazione sulla revisione delle norme cantonali e sarà nostro compito comune vegliare a un’applicazione proporzionata e rispettosa dei diritti costituzionali. Anche perché incombono altre iniziative molto preoccupanti, volte a bloccare le possibilità edificatorie in maniera eccessiva e spesso in nome di una volontà punitiva nei confronti dell’economia. Sia chiaro, il territorio va rispettato e la stragrande maggioranza degli operatori economici si impegna in questo senso, anche perché gli imprenditori respirano esattamente la stessa aria e vivono sullo stesso lembo di terra degli altri cittadini!

Il lavoro comune, non solo fra Cc-Ti e CATEF, ma anche con tutte le altre associazioni è già eccellente ma va ulteriormente rafforzato, perché è la sola via per garantire una difesa efficace degli interessi economici generali e di quelli settoriali.

Del resto, la ripartizione dei compiti è chiara: le associazioni di categoria o settoriali si occupano delle questioni appunto di categoria, mentre la Cc-Ti, quale associazione-mantello, si preoccupa delle questioni di politica economica generale. La Cc-Ti si attiva su problematiche settoriali solo se esplicitamente richiesto dagli stessi settori. Funzionamento semplice, che ha dimostrato di essere molto efficace.

La Cc-Ti è quindi anche un’importante cassa di risonanza per le tante eccellenti iniziative delle associazioni a essa legate e con questo sistema evita di invadere il campo degli specialisti settoriali, scongiurando quindi il pericolo di commettere delitti di lesa maestà che, si sa, nel nostro cantone sono considerati particolarmente gravi.

La mia presenza fra di voi questa sera è pertanto anche e soprattutto finalizzata a darvi un quadro generale della situazione dell’economia ticinese, presentata in maniera a volte bizzarra nella discussione pubblica. E per bizzarro intendo ovviamente le molte indicazioni di segno negativo, con le insistenti sottolineature di abusi veri o presunti, omettendo scientemente di menzionare anche i molti aspetti positivi della nostra realtà economica. Certo, in un contesto che considera automaticamente falsati i dati ritenuti scomodi perché non funzionali alla dimostrazione di talune tesi politiche, non è che ci si possa aspettare molto di più. Ma tant’è, questa è la realtà odierna.

Non posso però esimermi dal sottolineare con forza che l’economia ticinese ormai da anni segue l’andamento medio di quella elvetica, cosa inimmaginabile fino a una ventina d’anni fa.

L’esplosione del settore delle esportazioni ha contribuito in maniera decisiva alla diversificazione del nostro tessuto economico, che si è trovato a essere più robusto di altri alle grandi crisi. Se pensiamo che in meno di un decennio vi sono state tre grandi scossoni (2008 con la crisi finanziaria e due crisi legate al franco nel 2011 e nel 2015) e che non vi sono stati massicci interventi sul personale da parte delle nostre aziende, questo significa molto. A differenza ad esempio di quanto avvenuto nel bacino Neuchâtel-Giura o nella Svizzera orientale, dove dal 2015 sono andate perse migliaia di posti di lavoro, a causa di una certa struttura economica monotematica (non è una critica, ma un fatto). Immaginate cosa sarebbe successo se vi fossero state conseguenze anche solo lontanamente paragonabili in Ticino. E quando parlo di posti andati persi nelle regioni menzionate non parlo di statistiche della Seco sulla disoccupazione, considerate da taluni fasulle, ma di cifre comunicate direttamente dalle aziende su quanto hanno dovuto cancellare in termini di occupazione.

Con questo non voglio certo dire che siamo esenti da problemi. Come tutte le regioni svizzere, alcuni rami economici soffrono di più, all’interno di alcuni settori c’è chi va bene e c’è chi va male, tratto caratteristico anche di un’economia in costante e rapidissima evoluzione.

E’ chiaro che quando ci si concentra prevalentemente sul negativo, un mega-tema come ad esempio quello della digitalizzazione non può non preoccupare, perché la tendenza è di vedere solo i rischi e non gli effetti positivi che potrebbero esserci.

Capisco che quello che è diverso rispetto alle precedenti rivoluzioni industriali è soprattutto la velocità del cambiamento, che chiama in causa tutti, dagli operatori economici, alla politica, ai cittadini. Basti pensare alla formazione, messa sotto pressione da molte incognite portate da un mercato del lavoro sempre più esigente e anche diversificato. Ci troviamo infatti in un periodo storico di ricerca di equilibrio fra l’acquisizione di un vasto bagaglio di conoscenze generali e un intenso lavoro di apprendimento di quelle specialistiche.

Il mercato chiede un po’ tutto: da solide conoscenze di base che permettono una flessibilità di adattamento a situazioni sempre più mutevoli, a conoscenze specialistiche approfondite, ma nemmeno troppo approfondite, per evitare esclusioni dal mondo del lavoro nel caso di trasformazione profonda o addirittura di sparizione di determinate professioni.

Perché questa è la realtà oggi. Tanto sono veloci le cancellazioni di talune professioni, altrettanto veloce è la creazione di nuove. Purtroppo nei media si parla quasi solo dei primi, dando l’impressione che la tanto temuta trasformazione digitale sarà solo uno strumento di cancellazione dei posti di lavoro.

Ignorando che, in determinate circostanze, a qualche centinaio di posti di lavoro soppresso fa da contraltare qualche migliaio di posti creati in funzioni diverse. Un punto principale della sfida risiede proprio qui, cioè nel gestire la transizione verso nuovi lidi di chi fa più fatica, per età o formazione. Cioè evitare che troppe persone “si perdano per strada”, realtà e preoccupazione di ogni rivoluzione industriale. Rivoluzioni industriali che, detto per inciso, hanno storicamente sempre portato a progresso e sviluppo nel medio e lungo termine. E’ nel breve che dobbiamo lavorare per evitare che vi siano troppe conseguenze negative.

La rapidità del cambiamento tocca ovviamente in primis le aziende. Un solo dato: Swisscom realizza oltre il 70% della propria cifra d’affari con prodotti che dieci anni fa non esistevano. Sono dati che non possono lasciare indifferenti, a cavallo tra timori e grandi possibilità di sviluppo.

Ho appreso qualche giorno fa che nella sola Svizzera tedesca sono nate una trentina di nuove professioni negli ultimi due anni, tutte legate ad ambiti tecnici e inimmaginabili fino anche solo a cinque anni fa. Nel Cantone TI si possono apprendere oltre 690 professioni.

Le potenzialità sono quindi enormi e il mondo economico svizzero e ticinese sembra esserne fortunatamente cosciente. Nell’ultima inchiesta congiunturale svolta dalla Cc-Ti qualche mese fa presso i nostri associati, oltre la metà delle aziende interpellate ha affermato che sta affrontando in maniera attiva e consapevole la trasformazione digitale.

Un dato importante perché la digitalizzazione ha effetti considerevoli sui modelli di business, che vanno costantemente aggiornati, sia per quanto concerne i prodotti, ma anche per i processi, l’organizzazione interna, la prospezione di mercati, ecc. Altro fatto rilevante, è che l’80% delle aziende ha segnalato che non vi saranno conseguenze sul personale, o perché già preparato o perché si sta preparando. Segnale importantissimo di stabilità, checché ne dicano i tanti politici lontanissimi dalle realtà aziendali.

Qui sta uno dei punti più delicati della situazione politica attuale: la scarsa conoscenza del mondo aziendale e delle sue dinamiche. Non si può né si deve negare che vi siano problemi legati a una concorrenza sempre più agguerrita e non sempre leale. Dumping, lavoro nero, abusi di vario genere, commessi soprattutto in nome di mentalità “imprenditoriali” lontane da quella elvetica, sono fenomeni da affrontare con la massima serietà e severità ed è giusto sanzionarli senza riserve né eccezioni. Ma non a costo di distruggere tutto il sistema elvetico che ha dimostrato di funzionare molto meglio di tanti altri. Regole sì, statalismo sfrenato no. Adattamento moderato, senza stravolgimenti epocali, perché la struttura liberale della nostra legislazione e il federalismo sono valori che ci hanno permesso di crescere e molto!

Ma è un dato di fatto che oggi è difficile contrastare questa ondata di richieste di regole coercitive e sempre più invadenti. Un’attività come la vostra è fondamentale nell’ottica della valorizzazione di quanto di positivo avviene sul territorio. Il valore di ogni singolo settore economico per il benessere comune è un messaggio che purtroppo passa ancora troppo poco. La Cc-Ti sta facendo importanti sforzi in questo senso, per dare spazio anche mediatico a chi, magari lontano dalle luci della ribalta, lavora con impegno e dedizione in un contesto tutt’altro che facile, contribuendo a generare quella ricchezza che sempre meno persone sembrano preoccupati di creare ma che sempre più sono pronti a ridistribuire a piene mani. La mia esortazione è che il dinamismo, la flessibilità e l’apertura dell’economia possano essere maggiormente veicolate verso l’esterno, cioè verso la politica e la popolazione. Il nostro compito principale oggi è di veicolare importanti messaggi positivi verso l’opinione pubblica. Anche perché raccontiamo realtà e non storielle inventate ad arte. Le aziende ticinesi non sono una specie di associazione a delinquere preoccupata solo di fare profitti grazie a prezzi esorbitanti e ingiustificati, ma sono entità che prendono cura del territorio e che garantiscono un’eccellente qualità.

Ribadisco quindi quanto sia importante la compattezza del mondo economico, confrontato con cambiamenti epocali, di rapidità inedita. La Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, è sempre in prima linea per cercare di trovare gli equilibri necessari, anche fra settori e rami economici diversi. Non si può infatti nascondere che gli interessi di chi opera prevalentemente sul mercato interno siano spesso divergenti da chi opera sui mercati internazionali. Il legittimo bisogno di protezione dalla concorrenza sleale si scontra con la richiesta di sempre meno ostacoli, elemento essenziali per l’industria dell’esportazione.

Conciliare queste esigenze non è facilissimo, ma è fattibile, come dimostra la nostra attività quotidiana. Inflessibile severità contro chi viola le regole (penso a padroncini e distaccati), ma lotta instancabile contro l’introduzione di eccessive regole che chiudono il nostro paese in un inutile protezionismo, penalizzando in primis le aziende esportatrici ma in ultima analisi tutta l’economia.

E’ quindi necessario stare molto attenti al rispetto del principio della legalità elemento fondante del nostro Stato e che non può essere sacrificato a cuor leggero in nome di princìpi anche ampiamente condivisi ma di difficile applicazione pratica. Ogni riferimento a “Prima i nostri” e alla famosa o famigerata LIA è voluto. Idee lodevoli e che sul principio ci trovano molto aperti, ma che per un’applicazione pratica effettiva a favore delle nostre aziende e della popolazione ticinese richiedono equilibrio, attenzione, capacità di lavorare sulle sfumature, per evitare effetti contrari a quelli voluti.

Qualità, quelle appena citate, che purtroppo oggi nella discussione pubblica sembrano mancare totalmente e se l’economia non è capace di far valere in modo compatto la libertà economica e imprenditoriale, vi sarà sempre più spazio per “soluzioni” apparentemente facili e popolari, ma in realtà inutili e perfino dannose.

In conclusione voglio dirvi che per la libertà economica e imprenditoriale continueremo a combattere, sempre lealmente come è nel nostro stile, ma senza concessioni. Perché ne va del nostro sistema, che abbiamo costruito con fatica e che dà risultati eccellenti. Lo scimmiottare esempi di paesi a noi anche vicini, soffocati dalla burocrazia e da regole mostruose, non può essere un obiettivo condiviso in nome di una pseudo-protezione.

Grazie dell’invito e buon lavoro a tutti.

 

Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

In occasione dell’Assemblea CATEF, Camera ticinese dell’economia fondiaria, il Presidente Cc-Ti Glauco Martinetti ha tenuto il seguente discorso, scaricabile qui in formato PDF.