No al protezionismo dilagante

Vi proponiamo l’opinione di Valentina Rossi, Responsabile del Servizio Export Cc-Ti, in relazione ad uno degli oggetti in votazione il prossimo 25 novembre, su cui anche la Cc-Ti si è recentemente espressa con un chiaro NO.

Non sottovalutiamo quanto sottoposto a votazione il prossimo 25 novembre che inneggia una presunta autodeterminazione. Non entrando nel merito delle singole conseguenze negative che potrebbe avere l’accettazione di questo testo, mi limito a citare ciò che tocco con mano quotidianamente, ovvero le attività delle aziende che lavorano, importando o esportando, con i mercati esteri.

Con l’iniziativa cosiddetta “per l’autodeterminazione” rischiamo di minare il nostro benessere economico, vale a dire la competitività delle nostre imprese che – in un mercato di piccola dimensione come quello elvetico – devono poter disporre di condizioni quadro favorevoli per operare all’estero. Il protezionismo purtroppo sta guadagnando terreno ma è in piena contraddizione con i principi di mercati aperti e di commercio libero promossi dall’Organizzazione Mondiale del Commercio di cui la Svizzera è onorata di fare parte.

La nostra Confederazione, piccola nazione in mezzo a grandi potenze mondiali, non può permettersi di rinchiudersi in se stessa pensando di poter garantire un benessere economico come quello attuale. La Svizzera è uno dei dieci principali Paesi esportatori al mondo. Ciò significa concretamente che la forza della nostra economia si fonda sull’export: 2 franchi su 5 sono guadagnati grazie alla politica esterna. L’iniziativa “per l’autodeterminazione” non mira solo a rivedere i possibili accordi futuri, ma mina anche quelli già in vigore. Quali sarebbero ad esempio le conseguenze per i 30 accordi di libero scambio (con oltre 40 partner) che permettono alle aziende di avere vantaggi fondamentali sui mercati esteri e di essere innovative, produttive e vincenti?

La concorrenza internazionale per le nostre PMI è molto forte ed esse sono costrette ad affrontare un contesto estremamente dinamico. Oggi dobbiamo evitare di isolarci e restare competitivi combattendo con tutta forza il protezionismo dilagante che nuoce gravemente alla nostra economia.

Già oggi la Svizzera non conclude nessun trattato che non rispetti la Costituzione federale, non mettiamo in pericolo tutto quanto costruito poiché a pagarne le conseguenze sarebbero le aziende e, in definitiva, i nostri posti di lavoro. No quindi all’isolamento della Svizzera, NO all’iniziativa per l’autodeterminazione!

 

Articolo a cura di
Valentina Rossi, Responsabile Servizio Export Cc-Ti

Testo apparso sul CdT dell’8 novembre 2018

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– la posizione della Cc-Ti, che, in vista della votazione federale del 25 novembre 2018, raccomanda di votare NO all’Iniziativa per l’autodeterminazione.

NO all’Iniziativa per l’autodeterminazione

In vista della votazione federale del 25 novembre 2018, la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino (Cc-Ti) raccomanda di votare NO all’Iniziativa per l’autodeterminazione.

NO all’isolamento della Svizzera. Con questa chiara affermazione il comitato interpartitico contrario all’iniziativa si è presentato lo scorso 15 ottobre, tra i suoi membri, anche Glauco Martinetti, Presidente della Cc-Ti. In quanto associazione mantello dell’economia, la Cc-Ti non può che schierarsi contro questa pericolosa iniziativa che rischia di danneggiare fortemente tutta l’economia svizzera e attira l’attenzione sulle implicazioni che potrebbe avere una sua implementazione.

La Svizzera è una paese piccolo, con un mercato interno altrettanto piccolo e velocemente saturo, non bisogna quindi dimenticare che la nostra prosperità dipende in gran parte dalle esportazioni, un dato su tutti: l’economia elvetica guadagna quasi due franchi su cinque all’estero. Le imprese esportatrici possono contare su ben 600 accordi commerciali stipulati tra la Svizzera e il resto del mondo. L’Iniziativa in questione metterebbe quindi a rischio questi accordi, tra cui alcuni particolarmente importanti nell’ambito del commercio internazionale, degli investimenti o della proprietà intellettuale.

Accettando l’Iniziativa si andrebbe ad indebolire la posizione della Svizzera in quanto partner affidabile e questo provocherebbe un isolamento a livello mondiale. Per una nazione esportatrice come la nostra, la cui buona interconnessione sul piano internazionale e un accesso garantito ai mercati esteri sono fondamentali, ciò sarebbe disastroso.

Perché quindi mettere a rischio l’intera economia svizzera, le nostre aziende e di conseguenza i nostri posti di lavoro?

Infine va ricordato che la nostra autodeterminazione esiste già oggi. Siamo infatti liberi di sottoscrivere gli accordi che vogliamo e di non sottoscrivere quelli che non vogliamo, in piena autonomia, come abbiamo sempre fatto. Non mettiamo quindi in pericolo una formula vincente!

Per questi motivi, la Cc-Ti raccomanda fermamente di respingere l’Iniziativa per l’autodeterminazione in votazione il prossimo 25 novembre.

Consultazione sulla revisione della Legge sullo sviluppo territoriale

Presa di posizione congiunta di Cc-Ti, AITI e SSIC Sezione Ticino all’attenzione della Sezione dello sviluppo territoriale del Dipartimento del territorio, in relazione alla consultazione della Revisione della Legge sullo sviluppo territoriale.

In generale

In primo luogo, pur consapevoli che tale aspetto dipende sostanzialmente dal diritto federale, siamo di principio contrari all’introduzione dell’obbligo di costruire, trattandosi di una grave restrizione della garanzia costituzionale della proprietà privata. La nostra opposizione include anche le modalità con cui tale obbligo è stato concretizzato, ossia l’istituzione di un diritto di compera a favore dei Comuni (sul quale ritorneremo in seguito con osservazioni di dettaglio).  In tal senso, per garantire il raggiungimento dei fini posti dalla legge federale, segnatamente per garantire uno sviluppo centripeto dell’attività edificatoria, ci chiediamo se non esistano alternative meno restrittive di un diritto di compera come ad esempio un semplice diritto di prelazione. Infatti, a differenza del diritto di compera, un diritto di prelazione permetterebbe all’ente pubblico di intervenire e di procacciarsi un immobile che il proprietario è comunque già intenzionato a vendere. Una simile fattispecie permetterebbe di meglio equilibrare interesse pubblico e garanzia costituzionale delle proprietà.

Secondariamente, proprio per attenuare gli effetti di un tale stravolgimento del concetto di proprietà privata, chiediamo che le modifiche della legge in consultazione vengano applicate solamente alle situazioni future. In altre parole, solo in caso di nuovi azzonamenti deve essere possibile intervenire con i nuovi strumenti previsti dalla legge. Ciò permetterebbe di tutelare situazioni acquisite, soprattutto considerando che gli attuali proprietari non potevano prevedere un simile sviluppo della normativa in materia di pianificazione.

In particolare

In via subordinata, ossia nel caso in cui si persistesse nel voler introdurre un obbligo di costruire, formuliamo le seguenti osservazioni particolari.

  • Il diritto di compera non è lo strumento adeguato alla fattispecie

 

Un aspetto critico riguarda quanto previsto in caso di mancato accordo tra Comune e proprietario.

Infatti l’art.87b cpv.2 indica che se il proprietario e il Comune non raggiungono un accordo, al Comune spetta un diritto di compera.

Ora, il diritto di compera è un istituto del diritto privato che presuppone un previo accordo tra le parti, segnatamente sul prezzo dell’immobile da trasferire. Ma la fattispecie indicata nel progetto di legge si riferisce invece ad una situazione in cui le parti l’accordo non l’hanno trovato. E quindi, come è possibile immaginare un diritto di compera? Chi stabilirebbe il prezzo?

Per questa ragione riteniamo che, a garanzia del proprietario, sia più opportuno, e logico dal profilo giuridico, immaginare una procedura espropriativa, che garantisce perlomeno un sistema per una corretta valutazione del prezzo dell’oggetto, oltre a che una procedura ben regolamentata.

In ogni modo i criteri per determinare il prezzo vanno inseriti nella legge, a garanzia di stabilità e prevedibilità, e non in futuri regolamenti che l’esecutivo può liberamente modificare.

  • L’interesse pubblico

Come già detto, un obbligo di edificare rappresenta una grave limitazione del diritto costituzionale alla proprietà. Deve quindi poggiare su interessi pubblici preponderanti e rispettare il principio di proporzionalità.

Il concetto di interesse pubblico assume un’importanza particolare ad esempio in relazione agli spazi sfitti. Infatti non appare in alcun modo giustificato prevedere un obbligo di edificare se il mercato offre già sufficienti riserve non utilizzate, come peraltro già rilevato dal medesimo Dipartimento in altri documenti ufficiali.

Per queste ragioni si chiede che il progetto di legge faccia esplicito riferimento al principio di interesse pubblico, sia in relazione al principio (art. 87a), sia alla successiva attuazione pratica (art. 87 b e c).

Il Comune deve infatti valutare concretamente la situazione esistente al momento dell’inserimento del fondo nei luoghi definiti strategici, sia al momento dell’attuazione della sanzione, che potrebbe differire di alcuni anni rispetto all’adozione iniziale del piano regolatore.

  • Inadempimento

Anche in caso di inadempimento dell’accordo raggiunto dalle parti, il progetto di legge prevede che al Comune spetti un diritto di compera.

Si è già detto sopra dell’inadeguatezza del diritto di compera per una fattispecie di questa natura.

Inoltre, nel caso di inadempimento alla base vi è comunque un accordo già raggiunto dalle parti, solo che, dopo la conclusione, il proprietario non procede al relativo adempimento. La conseguenza logica dovrebbe quindi essere che il Comune chieda giudizialmente l’adempimento di quanto pattuito, come succede nel caso di tutte le inadempienze contrattuali. Non vi è pertanto alcuna ragione di offrire al Comune un diritto di compera, di per sé inadeguato (vedi sopra), se ciò non è stato previsto nell’accordo raggiunto.

In altre parole, in caso di inadempimento il Comune deve poter chiedere l’adempimento di quanto stabilito nel contratto. Nulla di più.

  • L’ente pubblico deve avere già un progetto concreto

Infine, riteniamo che quando l’ente pubblico dovesse prevedere di inserire nel piano regolatore una limitazione del genere a danno dei proprietari, deve già sapere in modo molto concreto che tipo di progetto andrebbe edificato nelle zone individuate.

Infatti come è possibile obbligare un privato a costruire se non gli indico cosa dovrebbe costruire?

In altre parole, il Comune che dovesse procedere ad istituire un obbligo di edificare, dovrebbe indicare con precisione e concretezza (in modo analogo a quanto si chiede ai privati per una domanda di costruzione) i dettagli del suo progetto. È infatti per noi inimmaginabile che l’ente pubblico possa intervenire a restringere in tal modo il diritto alla proprietà sulla base di desideri generici e poco concreti.

 

Consultazione PD modifica scheda R7 – Poli di sviluppo economico

Presa di posizione ed osservazioni della Cc-Ti verso il Dipartimento del Territorio, all’attenzione della Sezione dello sviluppo territoriale, in relazione alla consultazione PD modifica scheda R7 – Poli di sviluppo economico.

In primo luogo teniamo ad evidenziare alcune perplessità in relazione alle riserve edificatorie da voi considerate per proporre un’ottimizzazione dello sfruttamento delle zone già esistenti. In effetti, seppur condivisibile a livello teorico, questo obiettivo non appare di facile e diretta attuazione. A nostro avviso non è infatti per nulla certo che questi spazi, teoricamente disponibili, possano davvero essere messi a disposizione dell’economia. Abbiamo seri dubbi circa la possibilità di mobilizzare le riserve teoriche, sia per quanto concerne i fondi liberi, quelli sotto sfruttati e gli edifici dismessi. L’economia si muove ad una sua velocità e non sempre le procedure amministrative sono in grado di seguire tempestivamente tali dinamiche. Anche perché le citate riserve serviranno ad ampliare attività già oggi esistenti.
In questa ottica chiediamo che, pur tenendo presente le riserve edificatorie, non vengano a priori esclusi futuri azzonamenti di altre ed ulteriori zone per il lavoro, oltre ai PSE già individuati. Solo in tal modo sarà possibile cogliere le occasioni e le opportunità che il futuro potrà offrirci (es. imminente apertura galleria Monte Ceneri, cooperazione  con  la “great zürich area”; …).

In secondo luogo, non possiamo non rilevare importanti criticità in relazione al rapporto tra pianificazione ed economia che emerge dai documenti in consultazione. Ci sembra infatti che la dinamica presentata sia capovolta rispetto ad una corretta trattazione del tema. In altre parole, dalla lettura della scheda, appare un’economia al servizio della pianificazione, dalla quale sembra dipendere per ottenere determinati aiuti statali. Ora, pur riconoscendo l’importanza di una corretta e rigorosa pianificazione del territorio, riteniamo che la medesima è, e rimane, uno strumento, non un fine a se stesso. Trattandosi di lavoro e di sviluppo economico, sono quindi questi gli scopi che vanno considerati nella pianificazione territoriale, non il contrario. In tale prospettiva contestiamo quindi che le singole imprese, per far capo agli strumenti di promozione economica, debbano obbligatoriamente muoversi all’interno delle regole pianificatorie decise dal PD. Anche perché un simile approccio, invece di promuovere la piazza economica ticinese, rappresenterebbe piuttosto un vincolo ed un ostacolo al nostro sviluppo. Non possiamo infatti escludere a priori che, nell’interesse del nostro Cantone, possano presentarsi situazioni non in linea con quanto indicato nella scheda, ma comunque degne di supporto da parte dell’ente pubblico.

In relazione all’indirizzo n. 3 (gestione attiva/”governance”) ci opponiamo pertanto, in linea con quanto sopra, a misure che non favoriscono l’attività economica ma che introducono condizioni inutilmente restrittive. Non possiamo assolutamente accettare, ad esempio, eventuali misure/condizioni che facciano riferimento al personale impiegato dalle aziende, o alle condizioni dei relativi impieghi. Tali limitazioni sarebbero infatti totalmente estranee a quanto una corretta pianificazione del territorio è chiamata a fare. Già nel contesto della Legge per l’innovazione economica, attraverso il relativo regolamento, esse si dimostrano problematiche perché poco atte a riconoscere il vero grado innovativo di un’azienda, essendo legate ad altri criteri come il numero di personale residente, ecc. Elementi certo degni di attenzione, ma chiaramente non adatti a giudicare la qualità intrinseca delle imprese e che sarebbe inutilmente penalizzante riprendere senza riserve anche nell’ambito pianificatorio. Pur riconoscendo che gli strumenti citati (politica regionale, innovazione economica, pianificazione del territorio, ecc.) debbano essere coordinati, ciò non significa che ci si debba genericamente basare su criteri popolari da un punto di vista politico ma non forzatamente legati alla qualità delle imprese. Il rischio di escludere aziende potenzialmente interessanti in termini di valore per il territorio (ricadute economiche in primis) sarebbe a nostro avviso troppo grande.

Analogamente a quanto precede sulla gestione attiva/governance delle zone industriali e artigianali, anche per quanto riguarda i PSE occorre essere molto attenti al rispetto della libertà economica e imprenditoriale quando si prevedono (obiettivo 2) dei criteri d’accesso, di permanenza e d’uscita dal comparto, con l’obiettivo di facilitare e accelerare l’insediamento di attività economiche interessanti (con grande potenzialità di crescita e che generano rilevanti ricadute economiche), come pure una governance riconosciuta dai principali portatori d’interessi, in primis comuni e proprietari fondiari (obiettivo 3).

La definizione di “attività economiche interessanti”, al di là del rischio di sconfinamento in una rigidità da economia pianificata, è esercizio delicato che, anche per i PSE, non può essere valutato solo sulla base di elementi che non forzatamente indicano la situazione dell’azienda e le sue possibilità di sviluppo. Ad esempio, un’attività è interessante solo perché utilizza pochi parcheggi ha o ha un numero di dipendenti stranieri inferiore ai residenti? Non per forza. Decidere a tavolino cosa sia interessante va maneggiato con molta cura e siamo contrari ad esempio al fatto che questo possa essere magari delegato a un “area manager”.

Qui si tocca anche il terzo obiettivo menzionato, ossia quello della governance. Questa figura, esistente in alcuni comparti come giustamente citato nelle spiegazioni della presente revisione, è senz’altro adatta per promuovere l’area, per essere di sostegno alle aziende presenti e quindi aiutare a coordinare le attività svolte, sostenendo ad esempio iniziative comuni (si può ipotizzare un ruolo attivo nella promozione di programmi di mobilità). Non possono però essere delegate a una figura del genere decisioni su chi possa essere ammesso all’area, risp. debba esserne escluso. La valutazione sulle situazioni aziendali è estremamente complessa se fatta seriamente e occorre comunque accettare che vi sia un certo margine di rischio, non essendo le dinamiche aziendali una scienza esatta prevedibile fino nei minimi dettagli sull’arco di più anni. Negare questo aspetto significa negare la libertà imprenditoriale che, per definizione, contempla la nozione di rischio, elemento imprescindibile dallo sviluppo. In altre parole, è giusto prevedere delle regole, ma esse devono poter essere applicate con sufficiente flessibilità per poter tenere conto delle varie situazioni aziendali e soprattutto condividendole con gli attori dell’economia che conoscono le dinamiche dei vari settori.

Infine c’è da chiedersi se nella scheda presentata non manchi una strategia attiva di vero e proprio sviluppo industriale, che tenga conto della reale disponibilità di aree concretamente utilizzabili, come ad esempio il comparto di Valera a Mendrisio. Si tratta di aree di grandi dimensioni, come quelle che in passato venivano definite “di interesse cantonale”. Sarebbe questo un modo di promuovere attivamente la piazza ticinese, tenendo conto di progetti che difficilmente potrebbero far capo alle riserve edificatorie, delle quali si è già detto.

Immutabilmente legati ai valori svizzeri

L’opinione del Direttore Cc-Ti Luca Albertoni

È già passato quasi un anno dalle celebrazioni dell’assemblea generale del centenario, in cui abbiamo ribadito la centralità per l’economia di valori fondamentali del sistema elvetico come la libertà economica, il principio di legalità, il rispetto della proprietà privata, ecc..

Il 2018 è continuato su questa linea, con la messa in evidenza delle molte caratteristiche positive del tessuto economico cantonale. Il che non significa negare che vi siano problemi da affrontare e da risolvere, ma ciò va fatto ragionando su cifre e fatti concreti, non solo su percezioni talvolta fuorvianti. Anche questo è “Swissness”.

Con gli associati e per gli associati

Il continuo progresso della nostra base di soci individuali (oltre 900) e associazioni di categoria (43) è la migliore testimonianza di fiducia verso il nostro operato, reso negli ultimi anni ancora più attento alle esigenze delle aziende, con un dialogo diretto e mirato e offerte formative e informative praticamente su misura. Quale associazione-mantello dell’economia ticinese percepiamo l’onore e l’onere del ruolo, votato completamente all’accompagnamento e al sostegno delle imprese. I profondi mutamenti in atto a livello mondiale impongono un’attenzione particolare verso temi come la trasformazione digitale e i nuovi modelli di business oppure il modo di fare impresa nel contesto sociale. E noi ci siamo.

Garantire la libertà economica

Senza questo pilastro fondamentale non vi è sviluppo né benessere. Che poi talvolta siano necessari limiti e correttivi può e deve essere oggetto di discussione. Ma non al punto da compromettere la possibilità di fare impresa, perché, contrariamente a quanto viene troppo spesso propagandato, libertà non significa anarchia. Chi abusa della libertà, imprese comprese, va sanzionato, ma senza penalizzare un intero sistema economico con “soluzioni” che funzionano benissimo solo negli slogan e non nell’applicazione pratica. Vegliare al rispetto di questo elementare principio è nell’interesse non solo delle imprese ma di tutti.

Un CCL per crescere

Nell’intervista a Flavio Franzi, Rappresentante ASIAT e membro dell’UP della Cc-Ti, facciamo il punto anche sull’introduzione del nuovo Contratto Collettivo di Lavoro settoriale (per studi d’ingegneria e di architettura).

In un settore in evoluzione quale quello degli studi d’ingegneria e di architettura, l’introduzione di un contratto collettivo di lavoro metterebbe ordine e farebbe chiarezza. A che punto siamo?

L’assemblea ordinaria 2016 dell’ASIAT ha approvato il nuovo CCL. Al momento il documento è in fase di approvazione da parte della SECO. Il CCL con decreto di forza obbligatoria ci permetterebbe di migliorare la qualità del lavoro prodotto rendendo il nostro settore competitivo con una partnership sociale stabile. Inoltre permetterebbe di creare condizioni quadro, combattendo il dumping salariale, migliorando la credibilità politica, sostenendo meglio la formazione e il perfezionamento e non da ultimo migliorando l’attrattività del settore della progettazione.

Nel mondo associativo le sinergie sono sempre più imprescindibili. Come si muove la vostra associazione a riguardo?

La nostra associazione padronale, unica nel cantone, ha da sempre riconosciuto la necessità di mettere in campo tutte le possibili sinergie tra le molte associazioni presenti nel settore della progettazione. L’ASIAT è stata tra i promotori della costituzione della Conferenza delle Associazioni Tecniche (CAT) che attualmente è riconosciuta quale unico referente istituzionale per il settore sia per consultazioni che per consulenze specifiche. Le associazioni membri di CAT, mantenendo le loro rispettive specificità, collaborano tra di loro con efficacia anche grazie alla recente nomina di un direttore e ad un segretariato con sede a Bellinzona.

Innovazione da oltre 100 anni

Prosegue il viaggio alla scoperta di opinioni e riflessioni all’interno dell’Ufficio Presidenziale Cc-Ti. Nell’intervista a Mauro Galli, Presidente SSIC Sezione Ticino, possiamo vedere come anche quest’associazione abbia raggiunto il traguardo del Centenario proprio nel 2018.

Anche la SSIC Ticino è giunta, quest’anno, al 100° di fondazione. Quali i messaggi chiave dell’edilizia nell’economia cantonale oggi?

Nella sua assemblea costitutiva la SSIC Ticino dichiarava i suoi principali intenti: unione delle forze per la tutela degli interessi comuni, formazione degli apprendisti, lotta contro la concorrenza sleale. Obiettivi attualissimi che sono anche i messaggi principali che l’edilizia manda oggi all’economia ticinese. La SSIC TI con i suoi 180 membri rappresenta l’80% della forza lavoro nelle costruzioni. Siamo costantemente impegnati nella ricerca di condizioni quadro sostenibili, di qualità e sicurezza sul lavoro, di formazione professionale adeguata ai tempi, di collaborazione con i partner contrattuali e istituzionali.

 

La digitalizzazione sta rivoluzionando tutti i settori professionali. Artigianato, nello specifico l’edilizia, e progresso tecnologico, come si combinano?

La tecnologia digitale ha rivoluzionato il nostro modo di lavorare. L’intelligenza artificiale potrebbe effettivamente sconvolgere il settore nel prossimo futuro. Per il momento la componente umana, penso all’arte del muratore, e le variabilità continue del cantiere rendono la vita difficile all’avvento di questi processi. Seguiamo con interesse l’evoluzione e soprattutto cerchiamo di adeguarci con la formazione professionale dei nostri giovani.

Lavorare uniti per la crescita del nostro Paese

di Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

Il Ticino oggi può vantare un tessuto imprenditoriale sano e dinamico, che crea lavoro e ricchezza per tutto il Cantone. Un articolato sistema d’imprese sempre più orientato all’innovazione e alla sostenibilità sociale, ambientale ed economica delle attività produttive.

Basti qui ricordare l’impegno dei nostri imprenditori per ridurre le emissioni nocive, gli esempi di mobilità aziendale alternativa per non sovraccaricare il traffico stradale, le misure per conciliare meglio lavoro e famiglia o lo sforzo delle imprese nella formazione per restare al passo con i tempi.

Come imprenditori sappiamo che il benessere dei nostri collaboratori, il legame col territorio e la società in cui operiamo sono le radici da cui si alimenta la forza delle imprese. È questo il concetto di sostenibilità a cui la Cc-Ti attribuisce una rilevanza fondamentale e che sarà sottolineato nell’evento del 25 settembre. Soprattutto alla luce delle trasformazioni indotte dalla rivoluzione digitale che sta destrutturando i vecchi schemi. Imponendo nuovi modelli di business, di gestione aziendale, di modalità di lavoro, di organizzazione sociale e di formazione, perché l’economia digitale avrà un bisogno crescente di manodopera qualificata. Sono queste le sfide che abbiamo davanti e che, oltre alla nostra tenacia, richiedono anche una forte dose d’innovazione istituzionale.

Per noi la sostenibilità è una vocazione spontanea nel fare impresa, da non soffocare con una schizofrenia regolamentatrice che, penalizzando le aziende, alla fine produce più danni che vantaggi. Al riguardo non mancano in Ticino segnali allarmanti, frutto di una cultura antindustriale che da anni ammorba il Cantone con la retorica dei famelici imprenditori che farebbero solo i loro interessi.

Siamo convinti che l’economia digitale offra opportunità inedite per una crescita sostenibile. Come Cc-Ti non possiamo che ribadire la volontà di lavorare assieme alle istituzioni e agli altri partner sociali per un progetto di sviluppo condiviso, che anche in futuro ci assicuri benessere.

Articolo apparso sul Corriere del Ticino il 17.9.2018

2 x NO all’iniziativa “Per alimenti equi” e all’iniziativa “Per la sovranità alimentare”

In vista della votazione federale del 23 settembre 2018, la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino (Cc-Ti) raccomanda di votare 2 x NO all’iniziativa “Per alimenti equi” e all’iniziativa “Per la sovranità alimentare”.

La Cc-Ti prende posizione sulle due iniziative sull’agricoltura lanciate dai Verdi e dal sindacato agricolo Uniterre e attira l’attenzione sulle implicazioni che potrebbe avere una loro implementazione.

L’Iniziativa per alimenti equi vuole che siano presenti sulla tavola degli Svizzeri unicamente alimenti derivanti da una produzione “equa”. Se  l’iniziativa venisse accettata, occorrerebbe creare un apparato di controllo costoso e rigoroso per verificare le importazioni. Oltre ad essere di impossibile attuazione, le conseguenze dirette consisterebbero nell’aumento dei prezzi, nella diminuzione delle possibilità di scelta e in un incremento del turismo degli acquisti. L’iniziativa porterebbe inoltre a un isolamento del mercato, violerebbe gli obblighi internazionali e metterebbe a rischio gli accordi di libero scambio. Riteniamo che l’iniziativa non sia necessaria poiché a livello nazionale i suoi obiettivi sono già soddisfatti grazie alla sostituzione e a diverse leggi. Per i beni di importazione, l’iniziativa sarebbe, inoltre, praticamente inapplicabile. L’iniziativa “Per la sovranità alimentare” si pone l’obiettivo di promuovere la produzione nazionale e un approvvigionamento che dia la priorità alle derrate alimentari e ai mangimi svizzeri. In quanto paese esportatore, la Svizzera non può permettersi di non rispettare i suoi obblighi internazionali, perché ha bisogno di accedere ai mercati esteri. Se dovesse tentare questa strada, rischierebbe di entrare in conflitto non solo con le organizzazioni internazionali ma anche con i più partner commerciali, con i quali è vincolata da accordi di libero scambio.

I rischi di entrambe le iniziative sono quindi molto simili: riduzione della scelta dei consumatori, più burocrazia, alimenti più cari e conseguente aumento del turismo degli acquisti verso l’estero da parte dei consumatori.

Per questi motivi, la Cc-Ti raccomanda di respingere l’iniziativa “Per alimenti equi” e l’iniziativa “Per la sovranità alimentare” in votazione il prossimo 23 settembre.

Puntare alle “località”

Nell’intervista ad Augusto Chicherio, Rappresentante Federcommercio, analizziamo alcuni aspetti legati al futuro del commercio al dettaglio.

Quali ritiene siano i nuovi modelli di business che stanno nascendo, sia online che offline, da cui il commercio al dettaglio può trarre spunto per diversificarsi e progredire?

Oltre al servizio al cliente, che rimane uno dei punti forti del commercio al dettaglio, l’informatica permette di sviluppare svariate possibilità per far conoscere le proprie offerte e fidelizzare la clientela. Ad esempio le carte-clienti si sviluppano continuamente con le più svariate offerte. In questo senso la grande distribuzione diversifica l’offerta con buoni differenti. Inoltre la possibilità di ordinare la merce e ritirarla successivamente in negozio o farsela inviare a domicilio è una possibilità per promuovere un ulteriore servizio alla clientela.

 

In un’ottica di valorizzazione dell’intero comparto quale commercio al dettaglio il binomio ‘grande distribuzione-piccolo commercio è ormai obsoleto?

Sì. Il cliente sceglie una “località” per fare gli acquisti e meno frequentemente un singolo negozio: ad esempio: Lugano Centro o Grancia. Chi ci guadagna o ci perde sono tutti i negozi che si trovano nella località piccoli o grandi che siano. È quindi importante contribuire tutti, grandi e piccoli, a sostenere e rendere attrattiva la “località”. L’esempio di Lugano centro è significativo. È quindi importante offrire una scelta completa di prodotti, potersi spostare facilmente fra i negozi, essere raggiungibili facilmente e avere posteggi a sufficienza, se possibile gratuitamente.