No all’Iniziativa “Contro la dispersione degli insediamenti”

La Cc-Ti si esprime sull’oggetto federale in votazione il prossimo 10 febbraio, indicando un deciso NO all’Iniziativa “Contro la dispersione degli insediamenti”.

Freno allo sviluppo economico

Il testo in votazione “Contro la dispersione di insediamenti” è un’iniziativa depositata dai giovani Verdi nel 2016 che mira a fermare lo sviluppo e l’espansione del Paese, congelando le superfici insediative al livello attuale.  Gli autori dell’iniziativa desiderano che ogni nuova zona edificabile venga compensata dal dezonamento  di una superficie di dimensioni almeno equivalenti. In questo modo però si limita qualsiasi sviluppo economico e sociale: se l’iniziativa fosse malauguratamente approvata ogni grande progetto infrastrutturale del settore pubblico sarebbe in pericolo, così come la crescita economica per aziende, PMI ed industria, ma non solo. Verrebbe congelata anche qualsiasi iniziativa di Cantoni e Comuni volta a incrementare la loro attrattività per nuovi insediamenti. Si bloccherebbero inoltre il progresso e ogni genere di autoiniziativa atta a far fiorire il tessuto sociale ed economico.

Sovraregolamentazione inefficace

Sono già in vigore le differenti normative che regolano queste questioni, non occorre abbondare nella sovraregolamentazione. Infatti la legge sulla pianificazione del territorio (la cui revisione è stata approvata dal popolo svizzero nel 2013) dispone di strumenti efficaci che permettono di lottare contro la dispersione degli insediamenti. Inoltre è appena stato pubblicato il messaggio sul progetto di una seconda revisione. Non occorre dunque generare nuove norme che andrebbero a creare burocrazia superflua.

Federalismo sotto attacco

Nel testo dell’iniziativa non si considerano le differenze di varietà di Cantoni e regioni. Ogni Cantone ha le proprie qualità e peculiarità, e ciò rappresenta un elemento di ricchezza per la Svizzera. Con l’iniziativa si abolirebbero tutti i possibili sviluppi delle diverse zone (centri urbani/zone di montagna), con pesanti ripercussioni sui progetti per le zone di montagna ad esempio, il cui sviluppo è già frenato dalle conseguenze dell’iniziativa sulle abitazioni secondarie. Verrebbero create iniquità e la coesione nazionale risulterebbe minacciata.

Per tutti questi motivi, la Cc-Ti raccomanda di votare NO all’Iniziativa “Contro la dispersione degli insediamenti” per non bloccare e fermare lo sviluppo del Paese e della sua economia, andando a generare difficoltà in molte zone geografiche già penalizzate. Al momento gli strumenti e le normative in vigore sono sufficienti per uno sviluppo sostenibile del Paese. 

Maggiori informazioni sul sito web del comitato No all’iniziativa “Contro la dispersione degli insediamenti”

Rapporti Svizzera- Italia: non solo frontalieri

Nel testo di Michele Rossi, Delegato alle Relazioni esterne Cc-Ti e candidato PPD al Consiglio di Stato, si approfondisce il tema dei rapporti con l’Italia

Nella mia passata attività diplomatica e nella mia attuale funzione di delegato alle relazioni esterne della Camera di commercio, mi sono in più occasioni trovato a discutere di problemi “transfrontalieri” con i nostri vicini a Sud. Ora, devo subito dire che le riunioni con gli Italiani sono molto piacevoli. Il clima di regola è disteso, gli interlocutori simpatici tanto che ci si dà quasi sempre del tu, e alla fine sorge spontaneamente la domanda di sapere come mai, con dei vicini così disponibili, possiamo avere dei problemi da risolvere. Ma non lasciamoci trarre in inganno. Su questo punto va fatta immediatamente una distinzione tra forma e sostanza. Nella forma i negoziatori italiani sanno essere cordiali, morbidi, amichevoli. Nella sostanza, per contro, sono molto attenti a difendere le loro posizioni e, pur di perseguire i loro obiettivi, non esitano a prendere decisioni a dir poco sorprendenti ed in contrasto con quanto dichiarato in precedenza. Un esempio? Nella famosa Roadmap firmata nel 2015 tra Italia e Svizzera, vi è un capitolo dedicato ai servizi finanziari. In questi passaggi, l’Italia si impegnava politicamente a continuare il dialogo con la Svizzera nell’ottica di migliorare i reciproci rapporti in questo importante settore per la nostra economia. Nonostante tale dichiarazione di disponibilità al dialogo, l’Italia ha successivamente adottato una regolamentazione che esclude invece la possibilità di libera prestazione di servizi finanziari, prevedendo, per tutti gli intermediari finanziari (banche comprese) con sede in un paese non UE (quindi anche la Svizzera), l’obbligo di avere una succursale in Italia. Ora, la normativa comunitaria in oggetto lasciava agli Stati membri la possibilità di non prevedere l’obbligo di una succursale.

Avendo scelto l’alternativa della succursale obbligatoria, l’Italia non ha quindi sfruttato il margine di manovra a sua disposizione per rispettare le buone intenzioni manifestate nella Roadmap, mentre avrebbe potuto farlo.

Ecco, di fronte a questa manovra, ritengo che nelle trattative ancora in corso sia indispensabile tener conto dell’attitudine italiana. In una simile dinamica, per difendere i nostri interessi le parole da sole non sono sufficienti. Soprattutto non possiamo più basarci su rassicurazioni e dichiarazioni di buona volontà. I fatti stanno dimostrando che sul versante Sud, raggiunti i loro obiettivi, gli Italiani non sono disposti a concedere più nulla alla Svizzera, nonostante gli impegni politici assunti. Stando così le cose, occorre a mio avviso cambiare registro e stilare una lista completa di tutti i temi attualmente in discussione con l’Italia (includendo quelli di tutti i Dipartimenti) e fare dipendere ogni nostra concessione in tali ambiti dal rispetto di quanto indicato nella Roadmap. Altrimenti passeremo ancora molto tempo a fingere di stupirci che tra le parti nulla si muove…

Un’economia solida da cui partire

Nel testo di Cristina Maderni, Vice Presidente Cc-Ti, Presidente dell’Ordine dei Commercialisti e della Federazione delle Associazioni di Fiduciarie del Cantone Ticino – e candidata PLRT al Consiglio di Stato e al Gran Consiglio – , si parla dell’economia ticinese in relazione ai risultati emersi dall’Inchiesta congiunturale della Cc-Ti. 

L’inchiesta congiunturale della Cc-Ti ha messo ancora una volta in evidenza l’attenzione che le aziende associate prestano all’occupazione, con una stabilità dell’impiego che non ha nulla da invidiare a quella registrata da regioni considerate più competitive, come l’Arco lemanico. Al di là delle considerazioni sui dati ufficiali, emerge chiaramente un quadro di segno positivo che ancora una volta conferma come l’economia stia facendo la sua parte per generare benessere al Cantone.

Proprio per garantire che il tessuto economico ticinese possa continuare a generare questi effetti positivi la Cc-Ti, in qualità di associazione mantello dell’economia ticinese, continuerà ad adoperarsi a favore di condizioni quadro vantaggiose per chi crea posti di lavoro, remunera i collaboratori in modo equo e paga le imposte.  Ci siamo sempre battuti per combattere gli abusi e per sanzionare chi non rispetta le regole e continueremo a farlo nell’interesse della stragrande maggioranza degli imprenditori seri, che vanno tutelati. Sottolineare gli aspetti positivi del nostro tessuto economico non significa mancare di rispetto a chi si trova in difficoltà o occultare la realtà. Anche sul mercato del lavoro infatti esistono dei problemi che vanno risolti. Bisogna ad esempio coordinare meglio l’orientamento professionale e l’aggiornamento dei programmi formativi, per rispondere alle esigenze concrete delle aziende. Risaltare il segnale positivo che emerge da questi dati è però fondamentale per favorire una discussione seria, che permetta di trovare soluzioni adeguate ai problemi reali. Solo con un impegno congiunto, in tipico stile svizzero, potremo infatti sostenere l’occupazione e il gettito fiscale nel medio termine, e su più cicli economici.

 

Formazione continua: una prima risposta concreta

Secondo il Presidente Cc-Ti, Glauco Martinetti, investire in modo costante nella formazione continua dei propri collaboratori resta una delle migliori azioni concrete da attuare nel breve termine per far fronte alla difficoltà di reperire risorse umane qualificate.

Il tema dell’occupazione e del reclutamento di personale anche quest’anno è stato al centro dell’Inchiesta congiunturale annuale Cc-Ti (condotta fra le aziende associate alla Cc-Ti insieme alle Camere di commercio e dell’industria di Friborgo, Ginevra, Neuchâtel e Vaud nell’autunno 2018). Il quadro generale emerso, presentato il 16 gennaio alla stampa, è stato confortante, con una radiografia positiva e stabile dell’economia ticinese, in linea con le tendenze nazionali.

A livello di occupazione, le principali criticità sono emerse nel reperire manodopera qualificata in tutti i settori. Dato questo che emerge anche costantemente dal rapporto che la Cc-Ti intrattiene con i suoi affiliati, ossia aziende ed associazioni di categoria.

Che strategia implementare per ovviare a questa problematica? Ne abbiamo parlato con il Presidente Cc-Ti Glauco Martinetti.

È una problematica complessa che va risolta a più livelli, ma sono sicuro che attraverso un dialogo fattivo e concreto con i diversi attori coinvolti (imprese, associazioni di categoria, istituzioni), si possa sicuramente correggere il tiro. Oggi più che mai è doveroso però rimboccarsi le maniche e trovare in tempi brevi una strategia che sappia rispondere a questa carenza.

Come e dove intervenire?

La formazione resta imprescindibile per garantire la prosperità ed il benessere della società e dell’economia. Visto il tema complesso, occorre dunque agire a monte per sensibilizzare gli attori in gioco sul valore della questione e per trovare in modo concertato misure che siano innovative e garantiscano la giusta preparazione – dai giovani ai professionisti – nel mondo del lavoro, rispondendo in maniera adeguata alla difficoltà di reperire manodopera qualificata. Sono numerosi gli studi che hanno confermato la mancanza di profili esperti per le PMI e messo l’accento sui diversi temi da affrontare. Tra essi la digitalizzazione – sulla quale come Cc-Ti ci stiamo chinando da tempo, nelle sue ampie sfaccettature – che richiederà ancora più competenze professionali, l’invecchiamento della popolazione e il pensionamento della generazione dei baby boomer. Le risposte ci sono e serve volontà d’azione e dialogo per implementarle. Concretamente mi riferisco al potenziare in modo incisivo la formazione duale e continua, con fatti che orientino di più i giovani e le persone che si riqualificano verso le necessità del mercato del lavoro, “ascoltando” quelle che sono le esigenze reali delle imprese. Un esempio in questo senso è la carenza, purtroppo consolidata, di manodopera qualificata nelle professioni tecniche, che andrebbe incrementata agendo a monte, con l’orientamento scolastico. Un altro fatto su cui puntare potrebbe essere il reinserimento delle donne – che sono divenute madri – nel mondo del lavoro. Esse lavorano spesso a tempo parziale e posseggono grandi competenze e qualifiche, che risultano però non sfruttate. Una miglior conciliabilità tra lavoro e famiglia, insieme alla giusta dose di flessibilità, rappresenterebbe una primo incitamento verso una soluzione. Altri assi di intervento da ricercarsi nelle misure di formazione finalizzate ad ottenere una riqualifica o una qualifica superiore.

La formazione è quindi la chiave di volta?

Assolutamente sì ed a tutti i livelli. Parlando di orientamento professionale, miglioriamo ancora il dialogo con le istituzioni e facciamo da “ponte” tra il mondo del lavoro e quello scolastico/di perfezionamento professionale. In questo senso ci poniamo in ascolto – quale associazione mantello dell’economia – delle esigenze degli affiliati (aziende ed associazioni di categoria) per costruire progetti che forniscano una risposta decisiva agli sviluppi e ai cambiamenti in atto nella società, così come al dialogo con le istituzioni preposte. D’altro canto quale Cc-Ti siamo in prima linea con la formazione continua, plasmata dai bisogni reali degli imprenditori, con cui abbiamo un dialogo quotidiano. La nostra struttura eroga corsi di formazione in ben 8 ambiti della gestione aziendale (comunicazione, diritto del lavoro, export, finanza, organizzazione, questioni giuridiche, risorse umane e vendita), toccando tutti gli aspetti essenziali per un corretto sviluppo aziendale. Inoltre, accanto alla formazione continua, abbiamo delle Scuole Manageriali (con dei corsi di lunga durata), che preparano i futuri leader di domani, che andranno ad assumere delle posizioni più strutturate nelle PMI.

 Si tratta di una sfida costante. Corretto?

Esatto. Ricercare una concreta risposta ai bisogni del tessuto economico non è facile ed è un assunto che coinvolge l’economia e altri partner. La Cc-Ti è in prima linea per un riscontro positivo e costruttivo nel perseverare con un dialogo sempre più efficiente.

Parola chiave: flessibilità

Proseguono le interviste, condotte da Caritas Ticino, al Presidente Cc-Ti Glauco Martinetti, nell’ambito di un dialogo a più voci sull’etica d’impresa

Nella seconda parte delle interviste mirate, che vi stiamo proponendo a cadenza settimanale (qui la prima puntata), condotte da Caritas Ticino, alle quali ha partecipato il Presidente Cc-Ti, Glauco Martinetti, insieme a Giovanni Scolari del sindacato OCST, affrontiamo sempre in modo interessante e con riflessioni ad ampio spettro il tema della solidarietà e dell’etica nel mondo imprenditoriale.

Questa seconda parte tocca in modo mirato la flessibilità del mondo del lavoro, spesso ingiustamente confusa con la precarietà. È stata sottolineata l’importanza dell’apertura mentale, della formazione, di modelli di business e conciliabilità fra lavoro e famiglia.

In un mondo dove spesso le visioni comuni ed il dialogo si fanno difficoltose, questi interventi rappresentano la volontà di percorrere insieme un cammino di condivisione di progetti concreti per il territorio e la società nel suo insieme; fatto per cui la Cc-Ti è sempre in prima linea.

Vediamo insieme cosa emerge da questa puntata, attraverso la video intervista!

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Accordi Svizzera-Italia: l’opinione della Cc-Ti

Sul tema degli accordi tra Confederazione Elvetica ed Italia, la Cc-Ti si esprime con l’opinione del Direttore Luca Albertoni e di Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne – candidato PPD al Consiglio di Stato -, nell’ambito di un servizio di approfondimento del Quotidiano.

Il 14 gennaio 2019 a Lugano vi è stato un incontro tra il Consigliere federale Ignazio Cassis e il Ministro italiano degli affari esteri e della cooperazione internazionale Enzo Moavero Milanesi, nel quale si è discusso – tra gli altri temi –  delle relazioni tra la Svizzera e l’Italia e dell’accordo quadro.

La tematica è di estremo interesse per l’economia e la Cc-Ti si è espressa al Quotidiano,  che ha dedicato un ampio approfondimento a riguardo.

Luca Albertoni ha evidenziato come le incertezze siano velenose per il mondo economico e come gli imprenditori auspichino una soluzione positiva che permetta di mantenere buoni rapporti con il nostro principale partner commerciale. Michele Rossi, d’altro canto, ha parlato delle aziende che impiegano manodopera frontaliera e delle loro necessità e di come se l’accordo venisse sottoscritto sarebbe l’Italia ad avere maggiori benefici.

A complemento d’informazione vi segnaliamo anche un articolo di Michele Rossi, sul tema degli accordi con l’Italia.

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In occasione della 101° Assemblea Generale Ordinaria della Cc-Ti dell’ottobre 2018, avevamo avuto quale ospite d’onore il Consigliere federale Ignazio Cassis che si era espresso anche delle relazioni con l’Italia e dell’accordo quadro.

Il prezzo da solo non è sufficiente

Vi proponiamo un’intervista a Michele Rossi, Delegato alle Relazioni esterne Cc-Ti e candidato PPD al Consiglio di Stato, apparsa sul Corriere del Ticino il 2 gennaio scorso sul tema di un accordo con l’UE, a cura di Giovanni Galli

Il Consiglio federale ha messo in consultazione fino al termine del mese di marzo il prodotto dei negoziati con l’UE per un accordo quadro istituzionale. La strada è comunque in salita, per non dire proibitiva. L’UDC e il PS, i due partiti più grossi, sono contrari. Quali la posta in gioco e le prospettive? Ne parliamo con Michele Rossi, addetto alle relazioni esterne della Cc-Ti.

Il Governo ha messo in consultazione il prodotto dei negoziati fino a fine marzo. Ha fatto bene o avrebbe dovuto tirare dritto, dicendo subito sì o no?

«Sul tema va fatta una premessa fondamentale. Gli accordi bilaterali in generale sono uno strumento, non un fine. Servono nella misura in cui ci fanno vivere meglio. Quelli in vigore permettono l’accesso della Svizzera al mercato europeo, senza alcun obbligo di adesione all’Unione europea e sono l’emblema del nostro pragmatismo nei rapporti con l’estero. Lo stesso vale anche nei riguardi di un accordo quadro. I rapporti con l’UE non vanno affrontati in modo ideologico: sempre contro o comunque a favore. Mentre per quanto riguarda la consultazione dei partiti e delle associazioni, essa fa parte del nostro sistema democratico. Non c’è alcun motivo per rinunciarvi, nemmeno quando trattiamo con Bruxelles».

Lei cosa si aspetta da questo nuovo giro di consultazioni? Ci sono forti resistenze. Pensa che potrà effettivamente cambiare qualcosa?

«Mi aspetto che proprio grazie alla consultazione si faccia finalmente una lista dei vantaggi e degli svantaggi che una firma o una non firma dell’accordo quadro avrebbe per la nostra realtà quotidiana. Sul piano economico e su quello politico. La consultazione deve permetterci di soppesare proprio questi aspetti in modo molto concreto. Perché il testo dell’accordo quadro, da solo, non ci dice nulla sugli effetti di un nostro “sì” o di un nostro “no”».

La presidente del PLR nazionale Petra Gössi ha detto che manca qualcosa sul documento: il cartellino del prezzo. Condivide? 

«Certo e vado oltre. Il prezzo da solo non è sufficiente. Prima di concludere devo anche sapere, concretamente, che cosa  compro. Una determinata cifra, ad esempio, può risultare bassa per l’acquisto di un’auto sportiva o alta se in cambio ricevo  un’utilitaria. In relazione all’accordoquadro è arrivato il momento di fare la lista dei pro e dei contro e, alla fine, valutare il saldo che ne risulta. Se è positivo si può firmare, altrimenti, come per ogni accordo sia internazionale o privato, si lascia perdere».

Cassis sostiene che senza un accordo ci sarebbe col tempo un’erosione dei Bilaterali. Lo pensa anche lei? Se sì, in concreto cosa vorrebbe dire?

«Erosione significa che col tempo le regole in vigore tra la Svizzera e l’UE finirebbero per non essere più allineate con  quelle in vigore sul mercato europeo. E ciò potrebbe provocare alcune distorsioni, soprattutto per le nostre esportazioni, con effetti negativi per la piazza economica elvetica. Ma adesso dobbiamo sapere concretamente quali sarebbero gli effetti  di una simile erosione, altrimenti non saremo in grado di metterli sulla bilancia  della valutazione complessiva».

Si potrebbe continuare, e per quanto, solo sulla base degli accordi di oggi?

«Certo, nessuno ci obbliga a firmare nuovi accordi. Dobbiamo semplicemente capire cosa è meglio per noi. Sulla base del testo in consultazione non lo possiamo stabilire. Dobbiamo invece capire quanto ci costerebbe un mancato riconoscimento dell’equivalenza della borsa svizzera, in termini di posti di lavoro, di
calo del PIL e via dicendo. Dobbiamo poter quantificare gli svantaggi di un mancato adeguamento degli standard dell’accordo sugli ostacoli tecnici al commercio,  dell’impossibilità di concludere nuovi accordi di accesso al mercato: elettricità, sicurezza alimentare, salute pubblica… e dobbiamo sapere quali complicazioni  potrebbero insorgere in materia di collaborazione sulla ricerca. Sono calcoli che vanno fatti ora».

Secondo lei gli accordi attuali hanno portato benefici al Paese e al cantone?

«Sì, anche se non sempre e non per tutti allo stesso modo. Per la correzione delle disparità interne la Confederazione prevede e dispone da tempo di un  collaudato sistema di compensazione. È su questo piano che bisognerà rimanere vigili e intervenire, per continuare ad avvantaggiare  la Svizzera nel mondo, senza lasciare indietro le diverse regioni economiche che la compongono. Oggi, di fatto, gli accordi in vigore ci permettono un accesso controllato al più importante dei nostri mercati di riferimento senza aver aderito all’UE. Ogni giorno con l’UE abbiamo uno scambio commerciale che vale un miliardo di franchi, eppure non ne siamo membri. Si tratta di una soluzione pragmatica, figlia di un tempo in cui l’unione era costituita da 15 Stati molto simili al nostro e che oggi sarebbe difficile ottenere. Anche togliendo il Regno Unito, oggi un negoziato implicherebbe l’assenso di ben 27 Paesi, alcuni dei quali poco inclini a farci regali. Se gli accordi bilaterali dovessero cadere avremmo delle ripercussioni negative per la nostra economia. Chi lo dice? Lo affermano i due istituti di ricerca consultati dal Consiglio federale: Ecoplan e BAKBASEL. Secondo i loro calcoli un abbandono dei bilaterali condurrebbe entro il 2035 ad una diminuzione tra il 5 e il 7% di tutto quello che si produce in Svizzera. In questo periodo rischieremmo di subire una perdita paragonabile alla produzione di un intero anno. E se ciò avvenisse, scomparirebbero inevitabilmente diverse migliaia di posti di lavoro. D’alta parte bisogna pur riconoscere che l’apertura dei mercati ha prodotto anche alcuni effetti indesiderati. In alcuni settori e in alcune zone del Paese particolarmente esposte si è verificata una pressione sui salari. Proprio per questa ragione sono state adottate le misure di accompagnamento: per contrastare questi effetti».

Cosa significa, in concreto, non poter aggiornare un accordo?

«Prendiamo ad esempio l’accordo del 1999 sull’abolizione degli ostacoli tecnici al commercio. In cambio del rispetto di alcuni standard ci permette di esportare in modo facilitato i nostri prodotti verso l’UE. Se questi standard non venissero più regolarmente adattati all’evoluzione dei rapporti tra gli Stati dell’UE, i prodotti svizzeri finirebbero per essere svantaggiati. Al settore farmaceutico, per fare un esempio, l’adattamento all’evoluzione degli standard ha permesso di risparmiare ogni anno alcune centinaia di milioni di franchi».

In conto va messo anche l’aspetto della perdita di sovranità. Fino a che punto è accettabile?

«Da sempre in Svizzera abbiamo difeso, anche a caro prezzo, la nostra sovranità, che rimane senz’altro un valore prezioso e che oggi inevitabilmente si confronta con una realtà economica di forte interdipendenza dagli altri Paesi. Di nuovo, si tratta di fare una valutazione concreta: quali sono i limiti alla nostra sovranità posti dall’accordo e quale il loro impatto? Il testo in consultazione stabilisce che la Svizzera deve tener conto del nuovo diritto dell’UE e delle decisioni  della Corte di Giustizia, qualora ad una vertenza sia  applicabile il diritto comunitario. La ripresa del diritto non è però automatica. Per adeguarsi alle norme europee la Svizzera può infatti seguire, come fa già oggi, le sue procedure interne. Ciò significa che prima di riprendere una norma europea deve esserci una  decisione in tal senso del Parlamento e, se il popolo lo vuole, la questione può essere oggetto di referendum. Dopo di che, nel caso in cui la Svizzera non dovesse riprendere il nuovo diritto dell’UE, Bruxelles potrebbe adottare misure di compensazione nei nostri confronti. Ecco, questo è uno degli aspetti che va soppesato nella consultazione. Quali potrebbero essere e quanto ci costerebbero realmente le ritorsioni commerciali che l’UE potrebbe mettere in atto?»

La Corte europea di giustizia non avrà di fatto eccessiva voce in capitolo?

«Il raggiungimento di un accordo quadro aumenterebbe indubbiamente l’importanza della Corte di giustizia, ma la Svizzera potrà sempre decidere di seguire o di  on seguire la decisione del Tribunale arbitrale, pagando il prezzo del suo rifiuto. Sono questi gli aspetti che vanno concretizzati per poterne valutare l’impatto sulla nostra realtà».

Lei lavora per la Camera di commercio. Se tutto andasse a monte che effetti prevede per l’economia ticinese?

«Anche in Ticino i settori particolarmente a rischio sono quelli che si basano sull’esportazione, come ad esempio l’industria farmaceutica. In caso di mancata intesa su un accordo quadro, potrebbero ad esempio sorgere problemi qualora gli standard tecnici non venissero adeguati a quelli del mercato dell’UE».

L’UE vuole un accordo istituzionale, la Svizzera l’accesso al mercato. Crede che prima o poi si arriverà a un’intesa?

«Me lo auguro. Attualmente tutto funziona grazie agli accordi bilaterali in vigore. In futuro, per contro, tutto dipende dai vantaggi e dagli svantaggi che le vie a disposizione offrono alle parti. Per la Svizzera questa consultazione serve a fare  chiarezza sulle implicazioni concrete di una firma o di una mancata firma. Solo così potremo decidere consapevolmente».

Intervista a cura di Giovanni Galli, apparsa sul Corriere del Ticino il 2 gennaio 2019

Etica d’impresa e solidarietà

Il Presidente Cc-Ti Glauco Martinetti si esprime su tematiche fondamentali per il fare impresa e la società di oggi, in un’intervista condotta da Caritas Ticino

Vi proporremo con cadenza periodica un ciclo di interviste mirate su temi di stretta attualità per l’economia e la società in cui viviamo, realizzate da Caritas Ticino, alle quali ha partecipato il Presidente Cc-Ti, Glauco Martinetti, insieme a Giovanni Scolari del sindacato OCST. Il tema della prima puntata è stato la situazione odierna dell’economia e del mercato del lavoro. Il discorso si è poi ampliato all’imprenditorialità e all’etica nel mondo professionale.

Questo progetto rappresenta una bella testimonianza di come economia, sindacati e altri partner (Caritas, nello specifico) intrattengano un dialogo costruttivo per una visione del territorio condivisa e fattiva, volta ad un benessere generalizzato.

Scoprite il tutto nella video intervista!

 

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La comunicazione è sempre più strategica

“Stiamo vivendo una fase di ampia transizione che vede il sistema produttivo e la cultura d’impresa tradizionali riconfigurarsi verso un futuro digitale che è appena agli inizi. Una realtà che sta già trasformando in profondità non solo la produzione e la distribuzione delle merci, ma la società nel suo insieme. In questa prospettiva la comunicazione – da sempre al centro della vita umana e quindi aziendale – assume sempre più un ruolo centrale” afferma Cassia Casagrande, Responsabile comunicazione ed eventi della Cc-Ti.

La digitalizzazione resta, dunque, al centro dell’attenzione della Cc-Ti?

“Indubbiamente. La digitalizzazione, che è la matrice di ogni cambiamento, l’innovazione, la sostenibilità e l’internazionalizzazione delle imprese, rappresentano per noi le articolazioni di un’unica visione per uno sviluppo della nostra economia che possa garantire un benessere generalizzato. Attorno a quest’ultime ruoteranno i nostri approfondimenti diversi, i nostri principali momenti eventistici, così come la nostra articolata offerta formativa e alcuni altri rinnovati servizi, pensati apposta per agevolare le aziende nella loro attività quotidiana . Il tutto grazie ad un approccio concreto improntato su un dialogo costante con i nostri associati e le  istituzioni che ci permette di mettere a fuoco i processi di cambiamento in corso e ripensare in
modo costante le nostre proposte, in modo tale da orientarle ancor meglio alle esigenze del tessuto imprenditoriale locale”.

Una strategia che si sviluppa dunque su più livelli per accompagnare le aziende in questa fase di trasformazione radicale?

“Sì, il nostro lavoro si svolge su diversi piani ma con un obiettivo finale: offrire agli imprenditori gli strumenti informativi e formativi necessari per gestire al meglio questa trasformazione. In questa ottica vanno pure letti i 12 Networking  Business Breakfast programmati per il 2019. Incontri focalizzati su tematiche attuali della vita aziendale e sull’offerta di una formazione mirata per sostenere gli imprenditori o i loro collaboratori nell’attività professionale. Per i nostri associati questi appuntamenti sono anche un’occasione importante per lo scambio di esperienze, conoscenze personali e contatti, favorendo così un concetto di rete tangibile che – in un contesto sempre più virtuale – resta un caposaldo per far nascere sinergie e collaborazioni promettenti”.

La comunicazione è un territorio molto vasto, dove s’incrociano esigenze e strategie diverse, come vi orientate rispetto a questa molteplicità di bisogni e saperi?

“Semplificando possiamo dire che la comunicazione della Cc-Ti si sviluppa in una triplice direzione: informazione diretta orientata sulle reali necessità delle imprese; sostegno all’ottimizzazione della comunicazione aziendale – supportando gli imprenditori, così come i manager e i collaboratori con specifici interventi informativi e corsi di formazione puntuali che abbracciano competenze trasversali ma fondamentali per tutti i settori – e comunicazione verso l’esterno per interagire con la società e il mondo politico, stimolando il dibattito pubblico. Siamo convinti che solo la piena consapevolezza di tutti sull’impatto della trasformazione digitale, ci permetterà di attrezzarci al meglio per sfruttarne le grandi opportunità e allo stesso tempo contenere gli inevitabili rischi”.

Articolo apparso sul CdT del 7.1.2019

La conoscenza è il motore della crescita

di Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

“Nelle vecchie fabbriche fordiste si lavorava con il corpo, nelle fabbriche di oggi e di domani si lavorerà sempre più con la mente” ha scritto un acuto studioso del mondo del lavoro. Un’osservazione che esprime tutto il senso dell’economia digitale e dell’industria 4.0.

La grande trasformazione tecnologica che ha come materia prima la conoscenza, in un sistema produttivo ormai basato sulla cooperazione intelligente tra uomo e macchina e  sull’interconnessione di una molteplicità di dispositivi informatici. A differenza dei fattori classici della produzione, il capitale e il lavoro, la conoscenza, come ricorda Paul Romer, premio Nobel dell’economia nel 2018, è un bene che si usa e si condivide senza che si consumi, e che si può incrementare a livello individuale. È dalla conoscenza, nelle sue diverse applicazioni, che nasce l’innovazione e, dunque, la crescita economica. Ma per creare, sviluppare e diffondere la conoscenza servono, in particolare, due condizioni imprescindibili: un’adeguata formazione e una società aperta. Sono i requisiti fondamentali su cui come Cc-Ti ci battiamo da anni, perché anche da essi dipende il futuro del nostro Paese. Una formazione che trasmetta innanzitutto la consapevolezza che l’apprendimento e il sapere sono necessariamente un processo continuo dove niente è acquisito e vale per sempre. Che predisponga all’acquisizione progressiva di nuove capacità cognitive e abilità digitali. Una formazione che ad ogni livello infonda anche una diversa cultura del lavoro che oggi richiede propositività e partecipazione, creatività e flessibilità, polivalenza e responsabilità. La conoscenza, invece, non può alimentarsi e diffondersi in un sistema chiuso da muri e barriere protezionistiche, cresce e si sviluppa solo in una società aperta ai grandi flussi internazionali del sapere, allo scambio di esperienze, competenze e intelligenze. Valorizzando il confronto delle idee e la cooperazione creativa. In fondo, non è sempre stato così?

Articolo apparso sul Corriere del Ticino il 7.1.2019