La piazza finanziaria va difesa?

L’opinione di Cristina Maderni, Vice Presidente Cc-Ti, Presidente Ordine dei Commercialisti del Cantone Ticino, Presidente FTAF e candidata PLRT al Consiglio di Stato e al Gran Consiglio

È giusto alzare la voce per difendere le banche ticinesi nel recente contenzioso fiscale con l’Italia? Se sì, a chi spetta l’onere di organizzare una linea di difesa? Oppure, le banche vanno lasciate da sole a gestire le eredità del passato come implicitamente sembrano sostenere alcuni osservatori, critici sul loro comportamento? Domande difficili, che si prestano a risposte non univoche ma che, nell’interesse comune, non devono in alcun modo restare inevase. Devo a questo punto confessare il mio stupore: queste domande, fino a ieri, non le ho sentite porre da nessuno. A spaiare il mazzo ci ha pensato Giovanni Merlini, depositando un’interrogazione al Consiglio federale in cui si chiede apertamente come il Governo intenda difendere le banche svizzere, invitandolo inoltre a chiarire i dubbi relativi all’interpretazione nella fattispecie della convenzione fra Italia e Svizzera contro la doppia imposizione fiscale. Portare il problema a livello federale servirà, nella mia opinione, a porre la piazza finanziaria su di una base di partenza più chiara, se non migliore. Una presa di posizione federale consentirà a tutti quegli operatori che sono oggetto di indagine, ma che non hanno ecceduto in comportamenti invasivi in materia transfrontaliera, di dotarsi di convinzioni e di coraggio necessari per difendere se stessi e i propri dipendenti, di cui, concordo con ASIB, i nominativi vanno protetti. Purtroppo, ancora una volta, ci troviamo di fronte alle conseguenze di un accordo, quello del 2015 con l’Italia, concluso da parte svizzera senza mordente e con approssimazione. Eppure, nel 2015 la Svizzera aveva potere contrattuale, disponeva di merci di scambio che oggi non ha più. Al posto di una roadmap per la prosecuzione del dialogo andavano immediatamente ottenuti due accordi. Un primo, sull’accesso al mercato da parte degli operatori finanziari, tema che ancora ci angoscia e di cui non vediamo soluzione. Un secondo, riguardante una amnistia fino al 2015 che scongiurasse potenziali assoggettamenti (non reati) fiscali derivanti da operazioni cross border, la cui necessità sarebbe dovuta essere evidente a chiunque, e la cui conclusione avrebbe costituito un chiaro monito sulla punibilità di comportamenti futuri.

Così non è stato. Di conseguenza ci troviamo a difendere la piazza finanziaria di Lugano da un nuovo attacco. Non la difendiamo per motivi ideologici ma per supportare quei 15.000 posti di lavoro che sono generati dalle banche e in ugual misura dagli operatori fiduciari e parabancari. Posti di lavoro che non si spostano per motivi di fiscalità societaria, che impiegano manopera residente e che pagano stipendi equi.

L’economia è la vera priorità

Vi proponiamo l’opinione di Michele Rossi, Delegato alle Relazioni esterne Cc-Ti e candidato PPD al Consiglio di Stato

Ora, in questo coro di voci si perde però spesso di vista un aspetto determinante: pur ammettendo che tutti i temi meritino attenzione, alcuni ne meritano di più. La priorità tra i temi è l’ago da non perdere nel pagliaio delle opinioni e delle ricette proposte all’elettorato. E così la domanda che sorge spontanea è una sola: qual è oggi la vera, grande sfida che il Ticino deve affrontare? C’è forse un problema che sta all’origine di molti altri, sul quale dovremmo chinarci con maggior determinazione ed energia? A mio avviso c’è. E da come lo sapremo affrontare dipenderanno le soluzioni di tanti importanti problemi oggi sul tavolo.

Il Ticino sta vivendo una trasformazione profonda. Nel secondo dopoguerra il nostro Cantone ha sperimentato una rapida e consistente crescita economica. Un evento senza pari nella sua storia. Un Cantone che aveva conosciuto il dramma dell’emigrazione si è visto nascere in casa una piazza finanziaria di livello internazionale che ha generato e distribuito, direttamente o indirettamente, una ricchezza di cui tutti, compreso l’ente pubblico, hanno potuto beneficiare. Questa situazione di benessere generata quasi spontaneamente è durata per alcuni decenni, ma oggi purtroppo le cose, volenti o nolenti, sono cambiate e continuano a farlo. Il benessere generale garantito nel passato recente dalla piazza finanziaria non è più assicurato. Tanto che oggi più che mai le nostre scelte politiche diventano determinanti per la tutela del benessere. Perché se un tempo la politica e l’economia cantonale potevano contare a priori su un fondamento solido, oggi le cose stanno diversamente.

Per mantenere il nostro benessere dobbiamo pertanto assicurare all’economia quelle condizioni quadro che le permettano di funzionare al meglio, nell’interesse di tutti noi: le aziende, gli investitori, i lavoratori e le lavoratrici, i liberi professionisti e le loro famiglie. Quando l’economia gira bene tutti ne beneficiamo. Quando rallenta tutti ne soffriamo. Solo un’economia sana ed operativa può creare ricchezza, lavoro e benessere. La politica deve occuparsene prioritariamente. In modo equilibrato, certo, ma consapevole che solo questa è la base su cui è possibile costruire tutto il resto. Garantendo le giuste condizioni quadro, noi dobbiamo permettere all’economia di generare quel benessere al quale non vorremmo doverci disabituare. Tutto il resto ne dipende. È la base del nostro sistema. È un po’ come nella vita di tutti i giorni: con la pancia vuota tutto il resto perde gran parte della sua importanza.

Carenza di manodopera qualificata: che fare?

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti sulle difficoltà a reperire manodopera qualificata

Continua a leggere

Controlli sì, ma…

L’opinione di Cristina Maderni, Vice Presidente Cc-Ti, Presidente Ordine dei Commercialisti del Cantone Ticino, Presidente FTAF e candidata PLRT al Consiglio di Stato e al Gran Consiglio

Della burocrazia e del suo potenziale asfissiante per l’economia si parla spesso, ma taluni sembrano considerarlo un concetto vuoto e puramente teorico. eppure il delirio di regolamentazioni e di controlli a tappeto su ogni attività aziendale è una realtà ben presente. A scanso di equivoci, i controlli ci stanno, ci mancherebbe altro e non avendo nulla da nascondere ben vengano gli strumenti utili a stanare i comportamenti fraudolenti. Ma questo non deve comportare che di fatto si impedisca alle aziende di svolgere il loro lavoro, che, è bene ricordarlo, è finalizzato alla creazione della ricchezza che molti sono abili soprattutto a distribuire. Ritengo quindi più che fondata l’esigenza di giungere alla creazione di uno sportello unico o quantomeno a un coordinamento preciso di tutti i controlli. Si tratterebbe non solo di una scelta di equilibrio ma anche e soprattutto di efficienza dell’attività statale. Avs, iva, verifiche fiscali generali, imposta alla fonte, ispettorato del lavoro, ufficio dell’igiene, commissioni paritetiche, tra non molto i controlli sulle possibili disparità salariali tra uomo e donna e chi più ne ha più ne metta. Un corollario di interventi degni di ben altri sistemi politici molto diversi dal modello elvetico e che sembrano non bastare mai. Certamente necessari ma con parecchi effetti negativi se slegati fra loro, sia per gli ostacoli posti alle aziende sia per il poco razionale utilizzo dei mezzi pubblici.

Ma è così difficile coordinare tutte queste attività? Secondo me no. Nel settore privato vi sono casi illuminanti di diverse certificazioni rilasciate da un unico ente che rappresenta tutti e che può applicare i diversi metri di valutazione per ogni certificazione attribuita. È ovvio che i molteplici controlli esistenti rispondono a basi legali diverse e quindi partono da presupposti differenti, con competenze sparpagliate fra Confederazione e Cantoni. Ma lo scopo finale è quello della verifica del rispetto di regole che sono fondamentalmente note a tutti (legge sul lavoro, assicurazioni sociali ecc.), spesso strettamente legate tra loro, per cui un coordinamento dovrebbe essere possibile, anche in termini di scambio di dati fra i diversi uffici dell’amministrazione. La sacrosanta protezione dei dati non sarebbe rimessa in discussione, visto che si tratterebbe in fin dei conti di portare le unità amministrative a una condivisione delle informazioni di base per operare in maniera coordinata.

Con un po’ di buona volontà e malgrado la necessità di prestare attenzione a talune regole non derogabili quando si tratta di protezione della personalità, la cosa sarebbe fattibile. Non voglio pensare che il sistema dei controlli sia gonfiato artificialmente per alimentare una burocrazia che forse fa comodo ad alcuni. Preferisco pensare che sia il frutto di un contesto sempre più complesso, nel quale ogni tanto si perde la visione d’insieme. Per questo, fermarsi ogni tanto a riflettere può essere utile.

Elezioni cantonali 2019

In vista delle prossime elezioni cantonali del 7 aprile 2019, vogliamo presentarvi i due candidati appartenenti alla nostra associazione mantello: Cristina Maderni, Vice Presidente Cc-Ti, candidata PLRT al Consiglio di Stato e al Gran Consiglio e Michele Rossi, Delegato alle Relazioni esterne Cc-Ti, candidato PPD al Consiglio di Stato.

In questo modo teniamo a ribadire l’importanza di un rafforzamento della rappresentanza del mondo economico a livello istituzionale.

Vi presentiamo di seguito le loro opinioni su temi di diversa natura, così da conoscerli meglio ed approfondire alcune questioni di primaria rilevanza.

Cristina Maderni

Michele Rossi

 

 

 

Se questa è politica

Vi proponiamo l’opinione di Michele Rossi, Delegato alle Relazioni esterne Cc-Ti e candidato PPD al Consiglio di Stato

Lo scorso 27 gennaio Lugano ha celebrato il giorno della memoria con la messa in scena dell’opera teatrale “Destinatario sconosciuto”, tratta dal romanzo omonimo di Katherine Kressmann-Taylor. È una pièce di breve durata, essenziale, pungente, che mette in risalto in modo spaventosamente lucido il degrado della società tedesca che negli anni ’30 ha poi permesso l’ascesa al potere di Hitler in una società all’interno della quale le garanzie offerte da un sistema democratico, dalle istituzioni e dalla legge, sono progressivamente diminuite e per alcuni gruppi di persone, come purtroppo sappiamo, sono scomparse del tutto. Il risultato fu quello di una società volutamente spaccata, in cui i capibranco canalizzavano le rabbie e le frustrazioni della gente già provata da una gravissima crisi economica, verso presunti nemici e colpevoli designati a priori. Questa società della rabbia e della frustrazione indotte, ha generato il peggior disastro che la storia dell’uomo abbia mai conosciuto. Ed è quindi giusto ricordare a tutti e regolarmente, che queste cose sono successe davvero e che senza le dovute precauzioni, potrebbero anche ripetersi.

Una delle precauzioni più efficaci contro il possibile degrado di una collettività è lo stato di diritto: una conquista fondamentale della nostra società. Rappresenta l’alternativa all’esercizio arbitrario del potere. Protegge tutti noi da chi comanda. Mette dei limiti agli abusi. Permette di accedere ai tribunali per chiedere protezione. Garantisce la stabilità e la prevedibilità della nostra organizzazione. Nel nostro sistema la Costituzione federale all’articolo 5 recita in modo inequivocabile “Il diritto è fondamento e limite dell’attività dello Stato”. Non può esserci stato fuori dalla legge. Detto così sembra quasi scontato. La nostra generazione è nata e vive in uno stato di diritto e non ha conosciuto altri sistemi. Sistemi tristemente alternativi che però sono esistiti, anche nel mondo occidentale (basta leggere i libri di storia) e attualmente esistono e danno mostra di sé, in altri continenti.

In queste settimane alcuni politici ticinesi si sono occupati pubblicamente di questioni giudiziarie. Mi riferisco al caso del terrorista Lojacono Baragiola e dell’ex funzionario cantonale condannato per reati sessuali. Entrambi hanno commesso fatti gravissimi e assolutamente riprovevoli. Per questa ragione è giusto che nei loro confronti la legge venga applicata in tutta la sua severità. A volte la legge può, per vari motivi, sembrare non sufficiente. In tal caso, come hanno indicato alcuni politici, se ne può proporre una modifica, seguendo le procedure e i tempi previsti dal nostro ordinamento democratico. Questa, indubbiamente, è una via praticabile.

Altri per contro, sempre all’interno del mondo politico nostrano, hanno reagito denunciando la presunta inettitudine del nostro sistema giudiziario chiedendo l’adozione di provvedimenti immediati e non previsti dalla legge in vigore, ma di grande impatto mediatico. Proposte dettate dalle emozioni negative e dalla volontà di far presa sull’opinione pubblica. Ora, stiamo ben attenti a non scardinare un pilastro fondamentale del nostro vivere in comune. Non apriamo un lucchetto sapientemente ideato dalla nostra civiltà per evitare che l’inciviltà collettiva possa ripetersi oggi come allora. Lo stato di diritto serve a tutti. L’alternativa è il caos, con il degrado che ne consegue. Son cose che i più anziani tra di noi hanno già vissuto in passato. E non mi sembra che nonostante l’imminenza delle elezioni, le ricordino come un’alternativa valida..

Accordo fiscale, le buone intenzioni non bastano più

L’opinione di Cristina Maderni, Vice Presidente Cc-Ti, Presidente Ordine dei Commercialisti del Cantone Ticino, Presidente FTAF e candidata PLRT al Consiglio di Stato e al Gran Consiglio

L’accordo del 2015 fra Svizzera e Italia intende regolare, fra gli altri argomenti, anche la tassazione dei frontalieri. Il prelievo non oscillerebbe più fra l’8 e il 12%, come previsto dai patti del 1974. Farebbero invece fede le aliquote italiane, notoriamente meno vantaggiose per il contribuente; solo una parte del gettito addizionale resterebbe però in Svizzera. Attuare subito questo accordo porterebbe evidenti benefici ad entrambe le controparti. All’Italia, che potrebbe incassare fra 300 e 400 milioni di euro l’anno in più, entrate verosimilmente utili viste le attuali dinamiche del bilancio statale. Alla Svizzera, e ancor più al Ticino, che vedrebbe ridurre le pressioni create al mercato del lavoro da un sistema che  oggi incoraggia il lavoratore italiano a diventare frontaliero, anche quando dovesse accettare remunerazioni da dumping. E allora, perché nulla si muove? Come è possibile che il Governo italiano non si sappia imporre sugli interessi locali dei Comuni che oggi beneficiano dei ristorni, esemplificati dalle recenti dichiarazioni del presidente del Consiglio regionale della Lombardia, Alessandro Fermi, contrario alla ratifica dell’accordo? E quali sono le armi in mano al Consiglio federale, che in passato ha ceduto merci di scambio e quindi potere contrattuale e che oggi deve basare la propria azione principalmente sul senso di responsabilità della controparte? Queste domande sono nella testa di un numero sempre maggiore di ticinesi, di cittadini moderati, che rispettano il valore del lavoro di tutti, quindi anche dei frontalieri, ma che ancora una volta restano sorpresi nel veder procrastinare ogni soluzione al mese di giugno. Noi ticinesi sappiamo che attuare i contenuti dell’accordo fiscale del 2015 ricopre grande importanza per l’economia del Cantone, in particolare in materia di tassazione dei frontalieri e di accesso al mercato italiano per gli intermediari finanziari. Il primo tema è, come visto, cruciale, va risolto per ristabilire equilibrio nel mercato del lavoro, riducendo il rischio di dumping salariale. La libera prestazione di servizi finanziari, che costituisce il secondo tema, ha anch’essa valenza strategica,  va rapidamente affrontata per consentire agli operatori finanziari e bancari ticinesi di competere sul mercato italiano in assenza di costose sovrastrutture. Certo, la trattativa è di competenza federale e il consigliere Ignazio Cassis, che ora la conduce, ha la nostra piena fiducia. La negoziazione è però in una situazione di apparente stallo. È quindi in conflitto con l’urgenza di attuare l’accordo fiscale, sia nella sua interezza, sia con riferimento al solo sistema di imposizione dei frontalieri. Al fine di tutelare i nostri interessi, dobbiamo oggi muovere le acque e segnalare a Berna, come a Roma, l’urgenza di una soluzione definitiva. Sono questi i motivi per cui condivido e sostengo la recente mozione
PLR, volta a rompere gli indugi chiedendo al Consiglio di Stato di chinarsi sull’ipotesi di una disdetta unilaterale dell’accordo del 1974, di coordinarsi con la deputazione alle Camere federali per richiedere una compensazione finanziaria, nel caso che il Consiglio federale confermi le proprie posizioni di attesa. Dopo
tre anni di tira e molla, è questo il mezzo per sollecitare risultati concreti e non più solo buone intenzioni.

Visita in Ticino dell’Ambasciatore degli Stati Uniti in Svizzera e Liechtenstein

Il 6 e 7 febbraio 2019 si è svolta la visita in Ticino dell’Ambasciatore degli Stati Uniti in Svizzera e Liechtenstein, S.E. Edward McMullen.

Nella foto, la delegazione in visita alla Faulhaber Minimotor, accompagnata, per la Cc-Ti dal Direttore Luca Albertoni e Chiara Crivelli, Head of the International Desk.

Grazie ad un intenso programma, coordinato dalla Cc-Ti, l’Ambasciatore S.E. Edward McMullen ha avuto modo di incontrare rappresentanti delle istituzioni cantonali – il 7 febbraio si è infatti intrattenuto con il Presidente del Consiglio di Stato, Claudio Zali – e diversi attori dell’economia ticinese.

Nell’ambito del programma economico, S.E. McMullen ha dapprima visitato l’azienda Tamborini Vini a Lamone, importante impresa familiare nata nel 1944 e gestita dal 1969 da Claudio Tamborini, ora alla terza generazione con la figlia Valentina Tamborini e il nipote Mattia Bernardoni Tamborini.

In seguito l’Ambasciatore si è recato alla Faulhaber Minimotor a Croglio, uno dei maggiori fornitori nell’ambito della tecnologia di azionamento in miniatura e micro ad alta precisione. Il CEO, Karl Faulhaber rappresenta la terza generazione della famiglia fondatrice. Proprio la Faulhaber Minimotor ha fornito dei micromotori per la sonda Insight della NASA arrivata su Marte nel novembre 2018.

Il programma è continuato con la visita alla Rivopharm di Manno, attiva nello sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti farmaceutici generici a livello globale. In seguito la delegazione è stata accolta presso il “Tecnopolo Ticino” dai rappresentanti della Fondazione AGIRE: il Presidente Giambattista Ravano, il Vicepresidente Stefano Rizzi e il Direttore Lorenzo Ambrosini. In questa occasione l’Ambasciatore ha avuto modo di incontrare la startup “DAC System SA”, che, fondata nel 2013, fornisce sistemi di monitoraggio di alta qualità.

È seguito l’incontro con il Direttore dell’ Istituto Dalle Molle di Studi sull’Intelligenza Artificiale (IDSIA), Luca Gambardella, con la visita del laboratorio di robotica mobile e volante. Le attività dell’IDSIA spaziano dalla ricerca fondamentale a quella applicata, con importanti ricadute anche in Ticino. IDSIA è conosciuta a livello internazionale per la sua attività di Deep Learning, Data Mining, Ottimizzazione e Robotica Collettiva.

A chiudere il programma, vi è stato un momento di scambio informale in presenza dei Consiglieri nazionali Marco Chiesa, Presidente della Deputazione ticinese alle Camere federali, e Rocco Cattaneo, nonché di rappresentanti del mondo economico ticinese.

Scopo della visita dell’Ambasciatore McMullen era di rafforzare le relazioni con il nostro Cantone, conoscere meglio la realtà economica locale e favorire gli scambi e le collaborazioni in ambito economico, come pure nella ricerca e sviluppo. Le aziende e gli istituti visitati sono vere e proprie punte di diamante della nostra realtà e sono una chiara dimostrazione che anche il Ticino svolge un ruolo importante in Svizzera nel contesto dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico.

Svizzera e Stati Uniti, relazioni bilaterali

Gli Stati Uniti d’America e la Svizzera condividono una lunga storia di relazioni diplomatiche e commerciali. Condividendo valori simili, ad esempio in materia di democrazia, Stato di diritto o rispetto dei diritti umani, la Svizzera e gli Stati Uniti instaurano sin dal 19° secolo rapporti d’amicizia. La Svizzera apre i primi consolati a Washington e New York già nel 1822, ai quali fa seguito 60 anni più tardi nel 1882, a Washington, la prima ambasciata al di fuori dell’Europa.

Dal punto di vista degli scambi economici, gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato di esportazione della Svizzera, oltre a essere un importante centro per la formazione e la ricerca. Gli Stati Uniti sono il secondo partner commerciale più importante della Svizzera in termini di esportazioni (dati SECO: 36,3 miliardi di CHF, 12,3% delle esportazioni totali nel 2017) – principalmente prodotti farmaceutici, orologi, strumenti di precisione, macchinari – e importazioni (dati SECO: 21,3 miliardi di CHF, 8,0% delle importazioni totali nel 2017), soprattutto metalli e pietre preziose e prodotti farmaceutici. Per gli Stati Uniti, la Svizzera è al 17 ° posto nel 2017 come mercato per le esportazioni e al 15° in termini di import.

Per quanto riguarda gli investimenti diretti, con un capitale di 310 miliardi USD nel 2016, la Svizzera è il sesto investitore straniero negli Stati Uniti, mentre gli Stati Uniti sono il principale Paese di provenienza degli investimenti diretti esteri in Svizzera (300 miliardi USD).

Negli Stati Uniti hanno sede oltre 500 imprese svizzere che generano ogni anno all’incirca mezzo milione di impieghi diretti.

Vuoi avere maggiori informazioni sull’International Desk Cc-Ti? Contattaci, saremo lieti di rispondere ad ogni sollecitazione!

Grande attenzione per un’economia dinamica

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Come ormai da tradizione, l’anno della Cc-Ti si è aperto con la presentazione dell’inchiesta congiunturale condotta presso i nostri soci, coordinata con le Camere di commercio e dell’industria di Ginevra, Neuchâtel e Vaud e Friborgo.

Senza sorprese, almeno per chi conosce il nostro tessuto economico cantonale, i risultati che ne sono emersi sono nuovamente di segno positivo, come da diversi anni a questa parte. Le spiegazioni di questa situazione le diamo e le abbiamo date in esteso in altri contributi, per cui non intendo qui dilungarmi oltre. Conforta però il fatto che gli indicatori positivi e il quadro di stabilità che ne emerge siano frutto di una ferma volontà di investire sul territorio e di migliorare costantemente le competenze aziendali e la competitività sul mercato interno e su quelli esteri. Questo malgrado le note tensioni nel contesto internazionale e qualche rissa di troppo sul fronte interno. Di questo dovrebbero prendere atto tutti. Certo, il sistema non è perfetto, perché di sistemi perfetti non ne esistono ed è sacrosanto ragionare sui correttivi effettivamente necessari. Ma senza voler smontare un sistema che ha dimostrato di funzionare. Il fatto che emergano dati che ci pongono per esempio sul livello dell’Arco Lemanico, regione incontestabilmente dominante in termini di sviluppo economico, dovrebbe suggerire maggiore prudenza quando si parla del Ticino come di un cantone disastrato. In questa sede tengo però soprattutto a sottolineare come la Cc-Ti sia in prima linea per cercare di fornire alle aziende le informazioni e le formazioni (puntuali e di lunga durata) che permettano di reggere il confronto con un contesto di concorrenza sempre più agguerrita. Le risposte delle aziende in termini di sempre più assidua partecipazione alla vita camerale è la migliore testimonianza che la strada è quella giusta. Facilitare l’accesso a tutto quanto può far crescere le aziende in termini di competenze generali e specifiche resta il nostro obiettivo principale anche per i prossimi anni.

Analizzare prima di rifiutare

Una presa di posizione della Cc-Ti sul tema di un accordo istituzionale con l’Unione Europea

L’ipotesi di un accordo istituzionale con l’Unione Europea (UE) è un tema particolarmente delicato. A oggi sembra prevalere lo scetticismo, ma va detto che chi esprime pareri solo negativi non ha finora messo sul tavolo alternative concrete. È un fatto che i rapporti con il nostro maggior partner commerciale debbano essere regolati in maniera strutturata ed efficace. E il nostro maggiore partner commerciale è, piaccia o no, l’UE. L’accordo istituzionale non è forse perfetto, ma prima di affossarlo merita comunque un’attenta valutazione. Anche perché, e non è cosa da poco, permetterebbe alle imprese svizzere un accesso non discriminatorio al mercato interno europeo, il mantenimento di tre misure d’accompagnamento previste nel contesto della libera circolazione delle persone, la possibilità di nuovi accordi e il miglioramento della certezza del diritto. È vero, e sarebbe sbagliato negarlo, che vi sono ancora punti da chiarire, come la questione di limitare alle regole sull’accesso al mercato la ripresa dinamica del diritto europeo. Elemento importante in relazione all’applicazione della direttiva sulla cittadinanza europea. Oppure la questione degli aiuti statali nel contesto del nostro sistema elvetico e, soprattutto, la salvaguardia del sistema di controlli vigente in Svizzera a tutela del mercato del lavoro. È corretto e legittimo chiedere che questi punti siano chiariti, per poi trarne le debite conclusioni e capire cosa sia veramente preponderante per gli interessi svizzeri. Ma chiudere la porta a priori, senza valutare la globalità del pacchetto proposto, sarebbe un errore fondamentale.

Ritrovate l’opinione di Michele Rossi, Delegato alle Relazioni esterne Cc-Ti e candidato PPD al Consiglio di Stato, che si esprime, in un’intervista pubblicata sul CdT ad inizio gennaio 2019, sul tema