Lavoro notturno e domenicale possibile in caso di carenza di energia

L’ordinanza modificata è entrata in vigore il 1° aprile 2024

Le aziende potranno ottenere autorizzazioni temporanee per lavorare di notte e la domenica quando le Autorità ordineranno misure per prevenire o controllare la carenza di gas o elettricità. Il Consiglio federale ha appena aggiunto un paragrafo esplicito nell’ordinanza 1 (OLL 1) relativa alla legge sul diritto del lavoro. L’aggiunta di questo nuovo all’art. 1bis all’art. 27 OLL 1, ​​conferma in realtà la prassi giuridica attuale che già implicitamente consente il rilascio di autorizzazioni in caso di carenze.

Le aziende autorizzate, infatti, potranno occupare i propri dipendenti nei periodi di basso consumo energetico, ovvero nelle ore notturne e domenicali. In un contesto di carenza, questa possibilità aiuterà ad evitare misure aggiuntive di quote, razionamento del gas o dell’elettricità, disoccupazione parziale e altre misure penalizzanti. Per le aziende, la possibilità di lavorare di notte e di domenica aiuterà a garantire una certa continuità produttiva.

Affinché il nuovo paragrafo possa essere applicato, è essenziale che le Autorità abbiano disposto misure restrittive per ridurre il consumo di energia elettrica. Si noti che questa modifica fa seguito all’adozione, da parte di entrambe le Camere, di una mozione parlamentare che chiede di “rendere temporaneamente più flessibile il diritto del lavoro in caso di carenza di gas o elettricità”.

L’ordinanza modificata è entrata in vigore il 1° aprile 2024.

Nessuna modifica dei tassi d’interesse COVID-19

Il Consiglio federale ha deciso di non modificare i tassi d’interesse COVID-19 a partire dal 31 marzo 2024

Il Consiglio federale ha deciso di non modificare i tassi d’interesse COVID-19 a partire dal 31 marzo 2024. Gli accrediti fino a 500 000 franchi continueranno ad essere soggetti al tasso dell’1,5%, quelli di importo superiore a del 2%.

Il governo ricorda che i beneficiari del prestito COVID-19 sono incoraggiati a non utilizzare i prestiti più a lungo del necessario, indicazione che corrisponde all’obiettivo iniziale del programma messo in atto durante la pandemia per contribuire a colmare un gap di liquidità.

Salari e statistiche

di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Era scontato. L’ultimo rilevamento dell’Ufficio federale di statistica sulla struttura dei salari in Svizzera nel 2022 ha ridato la stura alle polemiche sulle buste paghe ticinesi che sarebbero inferiori del 18- 20% rispetto alla media nazionale.
Ecco una di quelle contraffazioni della realtà che, ripetute per anni, sono diventate una verità incontestabile. Ma le cose stanno veramente così? Non proprio. Indubbiamente una differenza salariale esiste, ma non dell’entità che si vuol far credere, sfruttando delle “distorsioni” statistiche al solo scopo di dimostrare che nel nostro Cantone i “padroni” sono disonesti.

Nella statistica federale il Ticino da solo e paragonato con intere regioni composte da più Cantoni

Innanzitutto, secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica (UST), la forbice retributiva, sia in Svizzera che in Ticino, è rimasta in generale pressoché stabile. Storicamente un certo divario salariale con le altre ragioni è dovuto al fatto che da noi, per le caratteristiche stesse che ha avuto lo sviluppo economico, ci sono
parecchi settori annoverati nella fascia media e medio bassa dei salari, ad esempio, ristorazione, servizi d’alloggio e commercio al dettaglio, mentre altrove, come sottolinea l’UST, c’è una maggiore presenza di attività a forte valore aggiunto e, quindi, buste paga più alte.
Ciò non significa che la nostra economia sia debole, anzi. Semplicemente hanno un peso specifico taluni settori che in altri cantoni hanno un ruolo “annacquato” dalla presenza di grandi strutture, spesso multinazionali. È pertanto chiaro che la situazione ticinese, con un terzo di manodopera frontaliera e pur contando tante realtà produttive avanzate, ma comunque non comparabile alla concentrazione di sedi e centri dirigenziali di grandi imprese che vantano altri Cantoni, sia strutturalmente diversa.

Una comparazione fuorviante

Ma c’è un aspetto cruciale da rimarcare per non interpretare l’inchiesta dell’UST in maniera fuorviante al fine di avvalorare la tesi del notevole scarto salariale: nella statistica federale il Ticino da solo è paragonato con intere regioni composte da più Cantoni, il che è come confrontare le mele con le pere”.

Difatti, l’UST utilizza la seguente ripartizione regionale:

  • Arco lemanico con VD, VS, GE;
  • Espace Mittelland con BE, FR, SO, NE, JU;
  • Svizzera nord-occidentale con BS, BL;
  • Svizzera orientale con GL, SH, AR, AI, SG, GR, TG;
  • Svizzera centrale con LU, UR, SZ, OW, NW, ZG;
  • Zurigo;
  • e, infine, il Ticino, da solo!

Dunque, a parte Zurigo che per forza economica e struttura generale fa storia a sé, non c’è una vera comparazione tra Cantoni. Così il Vallese, con un’economia certamente meno diversificata e per molti aspetti meno forte della nostra, è affiancato al Canton Vaud e al Canton Ginevra Stesso discorso per il Giura affiancato a Friburgo, cantone che negli ultimi anni grazie all’insediamento di importanti realtà industriali come Rolex e Nespresso, ha registrato una forte crescita grazie che hanno alzato sensibilmente anche i livelli retributivi di tutta la regione. Un assemblaggio regionale che porta a relativizzare di molto i risultati pubblicati la scorsa settimana, che necessitano di molti distinguo e interpretazioni. Basti ricordare che, quando si stilano le graduatorie per i singoli cantoni, il Ticino si colloca all’ottavo posto in termini assoluti di PIL pro capite. Difficile credere che i famelici imprenditori si pappino tutti i proventi di quanto prodotto…

Si potrebbe obiettare che nella produzione del PIL sono conteggiati anche i frontalieri. Bene, togliamoli. Ma allora per coerenza vanno tolti anche nella statistica sui salari per evitare distorsioni. Sì, perché il divario salariale arriva al 18-20% solo se nel calcolo si conteggiano gli stipendi degli oltre 78mila frontalieri che sono retribuiti in Ticino, ma non vivono qui. Retribuzioni che generalmente sono più basse e che, aggregate a quelle più alte dei residenti, comprimono la media dei salari. Detratte le paghe dei frontalieri e confrontando i salari dei soli residenti con quelli degli altri Cantoni la differenza si riduce all’ 8-10%. Anche su questo occorrerebbe confrontarsi se si vogliono fare discorsi costruttivi e correggere le vere situazioni problematiche in termini di salari e non solo quelle presunte che fanno comodo per scatenare polemiche e inventare rimedi spacciati per miracolosi.

Una distorsione statistica

Insomma, è in gioco quella stessa forzatura statistica che il Consiglio di Stato ha denunciato a Berna per ottenere maggiori contributi nell’ambito della perequazione finanziaria intercantonale.
Se il Ticino quest’anno riceverà 86,77 milioni di franchi, molto meno di quanto avranno altri Cantoni di certo non più svantaggiati (il Vallese, ad esempio, riceverà 884 milioni) ciò è dovuto anche al fatto che i redditi di quasi 79mila frontalieri vengono inclusi nel potenziale delle risorse utilizzato nel calcolo fiscale pro capite. Un’ ingente massa salariale che ci fa apparire più ricchi, quando in realtà essa fluisce oltre confine. Riconoscendo questa semplice verità il contributo per il nostro Cantone sarebbe molto più consistente. Perciò, Il Consiglio di Stato ha chiesto di limitare al 50% la quota di redditi dei frontalieri usata per stimare il potenziale fiscale.
Applicando lo stesso ragionamento non si vede perché le retribuzioni dei frontalieri, che abbassano la media salariale, non devono essere estrapolate dal totale delle paghe versate in Ticino ai fini di una più corretta valutazione statistica dei livelli salariali e del confronto con gli altri Cantoni. Tolti i salari dei frontalieri, le cifre sarebbero diverse. Infatti, dalle tabelle dell’UST si evince che per le funzioni non dirigenziali gli svizzeri guadagnano molto di più dei residenti stranieri e dei frontalieri. Elemento questo fondamentale, visto che la grande massa dei lavoratori d’oltreconfine è occupata in funzioni non dirigenziali. Un dato in particolare merita però un’attenzione speciale, perché da quanto pubblicato dall’UST emerge (almeno nel settore privato) un aumento dei salari delle funzioni più basse, tradizionalmente occupate soprattutto da frontalieri, a scapito della categoria della categoria dei quadri inferiori, dove troviamo invece soprattutto residenti. Primi effetti perversi dell’introduzione del salario minimo? Molto probabile, anche perché è sempre stato chiaro che il salario minimo sarebbe andato a beneficio soprattutto dei frontalieri. Non essendo le masse salariali variabili indipendenti modificabili a piacimento, è logico che alzando il livello degli stipendi più bassi taluni livelli più alti possano essere compressi.

Si sottrae reddito ai cittadini

Tematizzando i livelli dei salari ormai è usuale fare riferimento solo al fatto che essi non crescono abbastanza, come se questo potesse essere un meccanismo automatico e dovuto, indipendentemente dall’andamento delle aziende. Di per sé negli ultimi anni i salari, anche in assenza d’inflazione, sono costantemente aumentati in Ticino sebbene forse non in modo omogeneo e generalizzato.
Si dimentica però troppo spesso l’erosione del potere d’acquisto che, di fronte a certe evoluzioni repentine e massicce, non può essere compensata “solo” da aumenti salariali. Il riferimento è all’aumento esponenziale delle spese obbligate, assicurazione malattia in testa, e al peso dello Stato che preleva quote crescenti di reddito sottraendole ai consumi privati e ai risparmi. Secondo una recente stima dell’UST, un’economia domestica tipo, composta da 2,09 persone, con reddito lordo mensile di poco meno di 10mila franchi, vede volar via oltre 3’000 franchi al mese in spese vincolate, a cui vanno aggiunti i costi dell’affitto, del riscaldamento e dei vari premi assicurativi.

Una differenza salariale esiste, ma non dell’entità che si vuol far credere

A limitare i budget domestici ci sono imposte e tasse (comunali, cantonali, federali), oneri delle assicurazioni sociali, balzelli amministrativi, costi burocratici e i prezzi amministrati dallo Stato che rappresentano il 30% del totale dei prezzi al consumo svizzeri, una tra le più alte percentuali in Europa. Prezzi che non sono
determinati dal libero mercato, ma spesso indotti da interessi corporativi o politici e il cui livello non ha sempre una motivazione economica plausibile.
Alla radice del problema dei redditi insufficienti, assottigliati dall’esplosione dei costi e delle uscite vincolate, non c’è un’economia privata che non funziona e dal braccino corto con gli stipendi, o comunque non è la sola responsabile. Si dimenticano troppo spesso gli eccessi di un sistema pubblico il cui peso si scarica
per mille vie sui cittadini.

L’escalation delle tasse

Solitamente si parla molto delle imposte e poco invece delle tasse e dei vari balzelli che cittadini e imprese pagano per coprire i costi di gran parte dei servizi pubblici forniti dallo Stato. Ad evidenziare l’escalation di questi tributi causali in Ticino è il rapporto del novembre scorso sul “Finanziamento mediante tasse o emolumenti nel 2021”, elaborato dal Dipartimento federale delle finanze (DFF), nel quale si analizza in che misura determinati compiti svolti da Cantoni e Comuni sono coperti da queste entrate.
Nell’analisi si mettono a fuoco solo gli indicatori di quei servizi che generano i maggiori incassi, ovvero: Uffici della circolazione stradale e della navigazione, diritto generale (emolumenti riscossi dagli uffici d’esecuzione, dei fallimenti, del controllo abitanti, del registro fondiario, dello stato civile e da molti altri sportelli), approvvigionamento idrico ed eliminazione delle acque di scarico e la gestione dei rifiuti. Ebbene, in tutti questi settori tasse ed emolumenti, pagati per ricevere una determinata prestazione pubblica, hanno registrato un considerevole aumento. Una crescita vertiginosa in cui spicca il Ticino.
Alla voce Uffici della circolazione stradale (pagamenti per patenti, licenze di circolazione e collaudi di veicoli), se l’indice medio nazionale è pari al 119%, il Ticino si colloca in testa alla classifica, toccando addirittura il 162%, seguito da Ginevra col 154%. Nel nostro Cantone si è passati da un indice del 116% nel 2008 al 162% del 2021. È aumentato anche l’indicatore relativo al diritto generale: dal 79% all’80% sull’arco degli stessi anni, mentre per l’approvvigionamento idrico e lo smaltimento delle acque di scarico il balzo è stato dal 55% al 68%. Infine, per la gestione dei rifiuti si è passati dal 44% del 2008 al 75% di tre anni fa. Nel giro di 13 anni, per il totale di questi quattro servizi il Ticino ha registrato uno dei maggiori incrementi con un indice di finanziamento schizzato dal 61% al 78%. E, si badi bene, che oltre a questi servizi, c’è una miriade di altre tasse, pure rincarate, per altre funzioni che non sono contemplate nel rapporto del DFF. Tasse per servizi certamente utili, per carità e di cui non si mette certo in dubbio la legittimità. Ma elementi di cui occorre tenere conto prima di additare con superficialità e generalizzazioni la politica salariale delle imprese.
Più che solo su una presunta differenza salariale eccessiva, bisognerebbe, quindi, concentrare l’attenzione anche sulla progressiva erosione dei redditi provocata dal continuo aumento dei carichi di spesa originati dall’ente pubblico. L’onere fiscale complessivo in Ticino è molto al di sopra della media nazionale per cui parlare di fantomatici sgravi fiscali selvaggi è del tutto fuori luogo e chi insiste su questo mantra dovrebbe magari usare una maggiore prudenza… Se in questi ultimi anni le imposte non sono state toccate, è aumentato per contro in maniera sconsiderata il peso delle tasse e delle spese obbligate che impoveriscono la popolazione, contro cui non c’è aumento salariale che basti.

Serata informativa per il corso Specialista della gestione PMI con attestato federale

Mercoledì 27 marzo 2024 alle ore 17.30 presso gli Spazi Cc-Ti al 6° piano

La Cc-Ti organizza una serata informativa per tutti gli interessati ad iscriversi al corso Specialista della gestione PMI. Durante l’incontro saranno fornite maggiori informazioni inerenti al corso (costi, calendario, docenti e contenuti).

Coloro che volessero partecipare alla serata sono pregati di confermare la propria presenza al Signor Roberto Klaus all’indirizzo email: klaus@cc-ti.ch.

Consultation : Révision de l’ordonnance 2 relative à la loi sur le travail (OLT 2)

Travail du dimanche dans les quartiers touristiques urbains

Les Chambres de commerce et d’industrie des cantons de Genève, Fribourg, Jura, Neuchâtel, Tessin, Valais et Vaud, regroupant près de 10’000 entreprises et 500’000 emplois en Suisse latine, souhaitent faire part de leur position sur la consultation mentionnée en titre.


Continua a leggere

Lavoro notturno e domenicale in caso di carenza di energia

Autorizzazioni temporanee per il lavoro notturno e domenicale possono essere concesse alle imprese quando le autorità dispongono misure per prevenire o controllare la carenza di gas o di energia elettrica. La modifica dell’ordinanza sul lavoro entrerà in vigore il 1° aprile 2024

Comunicato stampa del Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca:
https://www.admin.ch/gov/it/pagina-iniziale/documentazione/comunicati-stampa.msg-id-100140.html

AVS, diamo i numeri…

Per l’AVS servono scelte responsabili e non slogan

La previdenza per la vecchiaia e la più importante voce di spesa della Confederazione e l’AVS, simbolo stesso della solidarietà tra giovani e anziani, ricchi e poveri, rappresenta, senza dubbio, una delle colonne portanti del sistema svizzero delle assicurazioni sociali. E una scelta di grande responsabilità, dunque, garantire la sua sostenibilità finanziaria, la solidità e la sicurezza delle rendite anche per le nuove generazioni. Senza costringerle a dover pagare nel corso della loro vita lavorativa maggiori contributi salariali e più imposte, per il solo fatto che noi non abbiamo saputo gestire con oculatezza e lungimiranza le casse del primo pilastro. Ecco perché e cruciale il prossimo 3 marzo un voto ragionato e basato sui fatti sull’iniziativa popolare “Vivere meglio la pensione”, per concedere una 13esima mensilità AVS – promossa dall’Unione sindacale svizzera, sostenuta dalla sinistra e da altre forze sindacali -, e sull’ iniziativa “Per una previdenza vecchiaia sicura e sostenibile”, lanciata dai Giovani Liberali Radicali, che mira ad un consolidamento strutturale del primo pilastro, innalzando a tappe l’età della pensione a 66 anni entro il 2033 e adattandola in seguito all’aspettativa di vita. Per votare con cognizione di causa, senza lasciarsi fuorviare da slogan allettanti, occorre conoscere la reale situazione finanziaria dell’AVS, far parlare dati e cifre sul suo stato attuale e le tendenze future.

I numeri dell’AVS – beneficiari e contributi

Oggi ricevono la rendita AVS 2,5 milioni di pensionati (di cui 800mila all’estero, per lo più immigrati rientrati in Patria), con un importo medio di circa 1’800 franchi al mese, per una spesa complessiva di oltre 50 miliardi di franchi ogni anno. Le prestazioni sono finanziate sulla base del principio di ripartizione: oltre il 70% circa delle rendite e coperto grazie ai contributi versati dai datori di lavoro e dai loro dipendenti, ci sono poi una parte delle entrate dell’IVA e quelle derivanti dalla tassa sull’alcol, sul tabacco e dall’imposta sul gioco di azzardo. Complessivamente la Confederazione, attraverso il gettito fiscale, finanzia il 20,2% della spesa pensionistica, che per l’anno in corso equivale a 10,3 miliardi franchi, ossia più del 12% delle sue entrate totali. Dopo cinque anni di cifre rosse, con le riforme del 2020 e del 2022, accettate in votazione popolare, si e assicurato il finanziamento dell’AVS sino al 2030 grazie all’aumento dei contributi salariali, il rincaro dell’IVA e l’armonizzazione dell’età pensionabile. Un apporto finanziario non da poco e stato assicurato nel corso degli anni anche da quel milione e mezzo d’immigrati, soprattutto dall’UE, che lavorando e risiedendo in Svizzera ha rafforzato il volume dei contributi versati per il primo pilastro. Si e cosi raggiunta una certa stabilita nelle entrate, ma soltanto sino al 2030, dopo di che, per non precipitare di nuovo nei ricorrenti deficit, bisognerà trovare altre soluzioni. Le proiezioni indicano, infatti, che dall’inizio del prossimo decennio, senza interventi correttivi, le uscite saliranno dai 50 miliardi dello scorso anno a 63,5 miliardi.

Quello attuale e, quindi, un equilibrio contabile temporaneo e molto delicato perché soggetto a diversi fattori: l’invecchiamento della popolazione, l’andamento demografico, la crescita del lavoro part-time o discontinuo che assottiglia il volume delle quote salariali, la speranza di vita che si allunga e il pensionamento di centinaia di migliaia di baby boomers, variabili che s’impatteranno negativamente sui bilanci del primo pilastro. Per questo il Consiglio federale dovrà presentare per la fine del 2026 un progetto di riforma in grado di assicurare una sostenibilità finanziaria più duratura per il primo pilastro.

Deficit miliardari

Oggi le riserve dell’AVS ammontano a 47 miliardi di franchi circa, nel 2030 sfioreranno i 70 miliardi. Settanta miliardi sembrano una gran bella cifra, ma in realtà non sono tanti. Bastano, infatti, a coprire appena un anno e poco più del totale delle rendite versate dall’AVS. Tant’e che già nel 2032, a causa dell’incidenza di quei fattori di cui si e detto sopra, le spese dell’AVS supereranno le entrate di 4,7 miliardi di franchi. A cui si aggiungerebbero altri 5 miliardi in più ogni anno, qualora l’iniziativa per la 13esima AVS venisse approvata in votazione popolare. Entrando nel dettaglio, questa tredicesima, ossia un aumento dell’8,3% delle rendite, provocherebbe un costo aggiuntivo di 4,1 miliardi di franchi all’anno a partire dal 2026, che saliranno a 5,3 miliardi dal 2033, per superare i 10 miliardi nel 2050. Secondo le stesse previsioni dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali, con la rendita supplementare il primo pilastro dopo il 2030 accumulerebbe di anno in anno deficit miliardari. E chiaro che per la tredicesima AVS i soldi non ci sono o, meglio, ci sarebbero forse oggi ma di certo non domani. A meno che per finanziarla non si ritocchi di nuovo verso l’alto l’IVA oppure, come si suggerisce a sinistra, aumentando dell’0,8% i contributi salariali e chiamando alla cassa anche la Confederazione che dovrebbe contribuire con un miliardo di franchi in più all’anno. E che sarebbe, perciò, costretta ad aumentare le imposte per non sottrarre fondi ad altre spese necessarie. Non affrontando comunque alla radice il vero problema: la forbice tra chi versa i contributi per il primo pilastro e chi ne beneficia si va allargando sempre più.

Allo stesso tempo si e allungata l’aspettativa di vita per cui si riceve una rendita per molti più anni rispetto al passato. Quando nel 1948 venne istituita l’AVS c’erano 6 persone attive per ogni pensionato, nel 2020 questo rapporto e sceso a 3,3 e nel 2050 sarà di 2,2 attivi per un pensionato; a quell’epoca la rendita minima era di 40 franchi al mese, corrispondenti al 6% del salario medio di allora; nel 2022 si e arrivati a 1’195 franchi al mese, cioè il 15% del salario medio, dunque, 2,3 volte in più rispetto al 1948. Tre quarti di secolo fa la speranza di vita quando si raggiungevano i 65 anni, l’età della pensione, era di 12 anni per gli uomini e di 13 per le donne, nel 2020 si e arrivati ad una aspettativa di vita di oltre 20 anni per gli uomini e sino 22-23 anni per le donne. In sostanza, si percepisce la pensione molto più a lungo e il numero dei pensionati cresce più  velocemente di quello degli occupati che con i loro contributi finanziano le rendite.

Serve un intervento strutturale

La maggiore aspettativa di vita, unitamente all’instabilità e alle fluttuazioni dei mercati finanziari, ha messo sotto pressione anche il secondo pilastro, tanto che anche in questo ambito occorreranno scelte strutturali sulle quali saremo chiamati a votare prossimamente.

Le tendenze delineate dall’Ufficio federale di statistica sono del resto chiare e indicano la necessita di adattamenti urgenti. Nel prossimo decennio, infatti, il numero dei pensionati aumenterà del 26%, del 41% tra 20 anni e del 54% tra 30 anni; quello delle persone attive invece aumenterà solo del 2% nei prossimi dieci anni, del 5% tra 20 anni e del 7% tra 30 anni. Considerato l’impatto dell’andamento demografico e della speranza di vita più elevata sulle casse del sistema pensionistico, non si può ignorare la necessita di un intervento strutturale che corregga il pericoloso squilibrio tra entrate e uscite, per scongiurare deficit insostenibili e salvaguardare le rendite AVS per le generazioni future. Senza dover ricorrere ancora a nuovi oneri a carico dei cittadini. L’unica strada che può assicurare al primo pilastro stabilita e solidità finanziaria sul lungo periodo e, quindi, intervenire con un innalzamento graduale dell’età della pensione, legandola anche all’aspettativa media di vita.

Una soluzione più soft di quella già adottata da diversi Stati europei, che permetterebbe, inoltre, all’economia di preservare e impiegare più a lungo competenze professionali indispensabili per la crescita del Paese, oggi ipotecata dalla carenza di manodopera qualificata.

VOTAZIONE FEDERALE DEL PROSSIMO 3 MARZO

NO all’iniziativa che vuole introdurre una tredicesima per tutti i beneficiari dell’AVS. La proposta di una tredicesima per tutti, indipendentemente dalla loro condizione finanziaria non è finanziabile. Si prevedono costi di oltre cinque miliardi di franchi che inevitabilmente porterebbero ad aumentare l’IVA, i prelievi sui salari a carico di datori di lavoro e lavoratrici e lavoratori, senza dimenticare gli aumenti di imposte. Una misura che inciderebbe quindi pesantemente sul potere d’acquisto di tutti, inutilmente costosa perché non mirata a sostenere chi è realmente in difficoltà.

SÌ all’iniziativa dei giovani liberali-radicali, volta a innalzare l’età pensionabile a 66 anni, collegandola poi all’aspettativa di vita. Essa ha il merito di mettere il dito sul problema strutturale della sfida demografica. Il momento scelto per proporre un aumento dell’età pensionabile non è forse il migliore, dato che da poco è stata parificata l’età pensionabile delle donne a quella degli uomini. Ma il problema rimane e senza interventi strutturali di questo tipo è difficile garantire la solidità dell’AVS. Stabilire un legame con l’aspettativa di vita è una soluzione sostenibile ed efficace per garantire l’AVS a lungo termine, evitando di ridurre le rendite, di accumulare debiti o di aumentare le imposte.

Tutti gridano e nessuno ascolta

di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Qualche mese fa abbiamo presentato uno studio realizzato dalla SUPSI avente scopo di mettere sul tavolo dati fattuali per permettere una discussione possibilmente oggettiva sulla situazione finanziaria del Cantone, su chi produce il gettito fiscale, su come è strutturata la spesa, ecc… Punto.

Niente altro. Di per sé, in un Paese che ragiona, non dovrebbe esserci nulla di scandaloso, tanto più che non abbiamo avanzato richieste particolari, constatando semplicemente la crescita della spesa pubblica, senza dare alcun giudizio di valore sulla stessa. Non abbiamo chiesto fantomatici tagli selvaggi, né tantomeno misure fiscali particolari, oltre a quelle già sul tavolo e sulle quali saremo chiamati alle urne prossimamente.

Non è certo un mistero che riteniamo importanti e urgenti le riforme fiscali, comprese quelle impropriamente definite “regali ai ricchi” perché molto rilevanti in un’analisi seria della situazione e delle prospettive finanziarie del Cantone. Eppure, anche un approccio costruttivo e fondato su fatti e non su sensazioni o sparate ideologiche viene considerato da taluni come un delitto di lesa maestà del “mainstream” che definisce il Ticino come Paese povero, con salari insufficienti a causa dello sfruttamento da parte dell’economia (ovviamente responsabile di tutti i mali) e che ora vuole anche addirittura fare dei regali a chi non ne ha bisogno.

L’approccio di taluni organi di informazione media già in conferenza stampa, con il purtroppo usuale tono accusatorio e con malcelate accuse di malafede senza nemmeno aver letto e approfondito lo studio, la dice lunga su come si sia completamente persa la cultura della discussione e quindi la ricerca di soluzioni che vadano oltre lo stucchevole e sterile confronto ideologico a prescindere.

Non è certo un mistero che riteniamo importanti e urgenti le riforme fiscali

Tutti gridano e nessuno ascolta, si potrebbe dire. Peccato. Questo non significa rinunciare al diritto di critica, anzi. Ma la critica dovrebbe poggiare su un’analisi attenta e ponderata e purtroppo questo non avviene, poiché ci si limita a riprendere concetti stereotipati, ignorando i fatti. Mentre altri, senza tante litanie, correggono i propri sistemi fiscali ridendo alle nostre spalle.
Tanto per non andare in paesi lontani ed esotici, il canton Grigioni ha annunciato una riduzione secca del 5% del tasso di imposizione per le persone fisiche.

Certo, non solo i “ricchi” (o presunti tali…) che tanto fanno paura in Ticino, ma diverse categorie, fra cui figurano comunque i generici “specialisti”, dietro i quali è facile intuire vi siano salari elevati.
Il Ticino, rimanendo prigioniero del terrore verso i contribuenti facoltosi, non potrà avanzare sul terreno di una concorrenza nazionale e internazionale che, in seguito alle varie riforme fiscali, si giocherà sempre più sulle persone fisiche e meno sulle aliquote delle persone giuridiche.

In altre parole, come un cowboy maldestro si sparerà nei piedi. Non si è mai visto un Paese democratico (le dittature sono altra cosa) migliorare le condizioni dei poveri eliminando i cosiddetti “ricchi”.
I dati sulla redistribuzione delle risorse parlano chiaro. Potrebbe in questo senso forse essere utile rispolverare la celebre frase del padre dell’AVS, il Consigliere federale socialista Hans-Peter Tschudi, secondo cui “I ricchi non hanno bisogno dell’AVS, ma l’AVS ha bisogno dei ricchi”. E non solo l’AVS, ci sarebbe da aggiungere.

Più poveri senza i ricchi

Una riforma tributaria necessaria per la crescita economica e sociale del Cantone

Da oltre trent’anni il dibattito politico in Ticino è bloccato sulla questione fiscale, condizionato da una contrapposizione ideologica priva di uno sguardo sul futuro e sulle nuove necessità indotte dall’evoluzione della società. Sul Cantone pesa ancora la cappa di una visione dottrinaria che vede nel fisco solo un’arma per espropriare la ricchezza e intimidire chi la produce. Manca la consapevolezza, la convinzione condivisa, che la fiscalità può essere, invece, una leva decisiva per la crescita economica e sociale.
In un contesto simile era inevitabile che la riforma tributaria, votata dal Gran Consiglio lo scorso dicembre, andasse a scontrarsi col referendum promosso dalla sinistra.  Senza questa revisione non solo si pagheranno più imposte con l’aumento del coefficiente cantonale che ritorna dall’attuale 97% al 100%, ma non si correggeranno neanche le vistose distorsioni che penalizzano le donazioni e le successioni (in particolari quelle aziendali), il prelievo del capitale previdenziale e i redditi più elevati soggetti ad un’imposizione tale da spingere il Ticino in fondo alla classifica nazionale della concorrenzialità fiscale.
Intanto, gli altri Cantoni, compresi quelli dove sono ben presenti le forze di sinistra, fanno di tutto per attirare sul loro territorio con aliquote molto vantaggiose i contribuenti più facoltosi. Basterebbe un minimo di ragionevolezza e di pragmatismo per capire, anche da noi, che, se non ci fossero le persone benestanti saremmo tutti più poveri e pagheremmo tasse più alte.

Le ragioni della riforma

Il principale obiettivo della riforma è di modernizzare il nostro sistema tributario, il cui impianto normativo risale a mezzo secolo fa, per adeguarlo alle trasformazioni economiche e sociali che hanno cambiato il volto del Paese. Rettificando alcune disposizioni che rappresentano un ingiustificato svantaggio per i contribuenti, si vuole rendere più attrattivo e concorrenziale il Ticino per chi vorrebbe risiedere o investire nel Cantone, incrementando così le entrate fiscali e la creazione anche di nuovi posti di lavoro.

La revisione tributaria si articola in quattro punti:

  • aumento della deduzione forfettaria per le spese professionali per chi esercita un’attività lucrativa dipendente, favorendo quindi tutte le categorie attive;
  • riforma delle imposte sulle successioni e le donazioni per adeguarle ai cambiamenti sociodemografici (aumento della speranza di vita, nuove relazioni coniugali e di partenariato registrato, ecc.), ma che avrà ripercussioni positive anche per le successioni aziendali con persone che non fanno parte della cerchia familiare dei titolari dell’impresa. Si tratta di una modifica molto importante, considerato che ogni anno centinaia di aziende rischiano di scomparire per mancanza di eredi. Difatti, con le disposizioni in vigore il passaggio aziendale ad eventuali subentranti al di fuori della famiglia è scoraggiato da un’imposizione molto pesante;
  • riduzione dell’imposizione sui capitali previdenziali oggi troppo penalizzante per chi dispone di un capitale medio o medio-alto. In Ticino con la tassazione del prelievo del secondo pilastro non ci si discosta dall’esosità dell’imposta sul reddito. Sino a mezzo milione di franchi di capitale il Cantone è concorrenziale rispetto alla media nazionale, ma oltre questa soglia si scivola nell’ultima posizione della graduatoria intercantonale.  La conseguenza è che molti contribuenti scelgono di trasferire il proprio domicilio fiscale altrove, nei Grigioni, a Uri o a Svitto, ad esempio, quando si avvicina il momento di prelevare il capitale previdenziale;
  • riduzione a tappe dell’aliquota massima dell’imposta sul reddito, una modifica che si attende da decenni. Un’aliquota tanto onerosa da inchiodare il Ticino negli ultimi posti del confronto intercantonale e spingere verso altri lidi un numero consistente di forti contribuenti.  È questo il punto più contestato dalla sinistra, ma non solo, e su cui si farà leva per il referendum, visto che i beneficiari di questa particolare modifica saranno i redditi più elevati.

La riforma, dopo i correttivi apportati dal Parlamento, prevede: la diminuzione dal 15 al 12%, da qui al 2030 (anziché nel 2025) dell’aliquota per i redditi più alti e la riduzione lineare dell’1,66% dell’aliquota d’imposta per tutti contribuenti, come compensazione dell’aumento del 3% del coefficiente cantonale d’imposta che da gennaio ritorna al 100%.
Senza questa compensazione ci sarebbe un aggravio fiscale per i cittadini di 45 milioni di franchi.

Necessitiamo di redditi e patrimoni elevati

Sfortunatamente il dibattito sulla riforma tributaria si è accavallato a quello sul Preventivo 2024 con la manovra da 134 milioni di risparmi sull’arco di un anno che, inevitabilmente, ha contribuito ad inasprire il confronto politico anche sulla fiscalità. “Regali ai ricchi, mentre si risparmia sulle spalle dei poveri” sarà questo il leit-motiv della campagna referendaria. Slogan certamente ad alto impatto emotivo, ma smentito dalla realtà dei fatti e che non tiene conto del sistema fiscale nella sua globalità.

Innanzitutto, va sgomberato il campo da un falso storico secondo cui da noi col fisco si vogliono premiare sempre e solo i più ricchi.  Se si guarda al raffronto con gli altri Cantoni si nota che il Ticino è nelle prime posizioni per l’imposizione leggera dei redditi bassi e medio bassi, a metà classifica per i redditi medi, mentre si va con la mano pesante nella tassazione dei redditi alti. Dunque, abbiamo una fiscalità molto sociale, con una scala di aliquote finalizzata alla redistribuzione dei redditi. Questo approccio sociale, qui non contestato, porta a esentare dalle imposte molte cittadini e molti cittadini (26,6%), mentre il solo 2,6% dei contribuenti con un imponibile superiore ai 200mila franchi garantisce ben il 35,7% del gettito fiscale cantonale. Se oggi possiamo vantare un sistema sociale tra i migliori in Svizzera è grazie soprattutto ad una ancora più minuscola quota, lo 0,5%, di contribuenti, (un migliaio di persone con un reddito di oltre 500mila franchi), che assicura il 20% delle imposte sul reddito con aliquote che superano il 40%.

Si possono caricare i ricchi, ma, come insegnano gli esempi norvegesi e californiani, non si possono oltrepassare certi limiti. Non solo per questioni di opportunità ma anche di equità, principio quest’ultimo che in uno Stato di diritto vale anche per chi ha molti mezzi finanziari, non solo per chi è in difficoltà. Del resto, il Consiglio di Stato ha rilevato come, fra il 2016 e il 2022, ben 395 grandi contribuenti, con redditi o sostanze imponibili da oltre 500mila a 5 milioni di franchi, abbiano trasferito il loro domicilio fiscale fuori dal Ticino. Nello stesso arco di tempo ne sono arrivati 190. Un saldo negativo di 205 soggetti, per loro natura molto mobili, che ha provocato una perdita di gettito fiscale pari a 10 milioni di franchi all’anno. Movimenti che dovrebbero far squillare qualche campanello d’allarme.

Non è con un fisco sanzionatorio che si favorisce la crescita economica e che si garantiscono le risorse necessarie per una socialità attenta e sollecita verso i ceti meno abbienti. Tutt’altro. Con la riforma tributaria si vuole soltanto adeguare l’imposizione sugli alti redditi a quella di quasi tutti gli altri Cantoni. Nulla di sconvolgente, un passo avanti solo per riavvicinarsi alla media nazionale e recuperare la concorrenzialità e l’attrattività fiscale che abbiamo perso, invertendo una tendenza che potrebbe pregiudicare lo sviluppo futuro.  Per favorire la crescita economica e sociale, oltre che di aziende ad alto valore aggiunto, abbiamo anche bisogno di più contribuenti facoltosi che portano molto e non pesano sulla comunità.

Un caro ritardo

Attualmente, se si considera anche l’imposta federale diretta, chi ha un reddito molto alto paga in Ticino il doppio rispetto a Zugo, Obvaldo o Appenzello interno. Un carico impositivo che non incoraggia di certo a trasferirsi nel nostro Cantone. Di fronte all’urgenza di alleggerire la pressione fiscale su questi redditi stiamo, purtroppo, scontando un pericoloso ritardo.

Con l’introduzione dall’inizio del nuovo anno della Global minimum tax, decisa dall’Ocse, la battaglia per la competitività fiscale si sposta, infatti, dalle imprese alle persone fisiche. Si orienta sulla tassazione della remunerazione dei manager e dei dirigenti dei gruppi multinazionali, ossia coloro che in definitiva decidono dove insediare un’azienda o se restare in un determinato Paese, ma che sono, altresì, molto attenti ai loro guadagni. E non si tratta solo d’imprenditori e manager stranieri, ma anche di ticinesi. Una sede fiscalmente concorrenziale per la loro tassazione è indubbiamente un elemento di forte attrazione, che può significare più aziende, più posti di lavoro, più gettito fiscale. Ecco perché gli altri Cantoni si sono già mossi e si stanno decisamente muovendo con sgravi e altri incentivi. I Grigioni a partire da questo anno hanno ridotto le imposte del 5%, Zurigo vuole alleggerire ulteriormente l’onere sulle imprese abbassando l’aliquota dal 7 al 6%, Zugo farà altrettanto con le persone fisiche, Vaud da gennaio ha ridotto del 3,5% l’imposta sul reddito dei cittadini e ha in cantiere pure una riduzione dell’imposta sulla sostanza.

Che lo si voglia o no la concorrenza fiscale esiste, anzi è connaturata al sistema federale svizzero. Quindi non si può non tenerne conto ed agire di conseguenza. Restare fermi ha un costo, comporta perdite notevoli nelle entrate e un rischio sistemico in termini di partenze o di mancati arrivi di grandi contribuenti. Nelle decisioni di questi soggetti, per loro natura molto mobili, la fiscalità rappresenta un aspetto cruciale per la scelta del domicilio. Certo, vi sono anche tutti gli altri fattori, quali la stabilità politica e monetaria, la sicurezza, la sanità, i vari servizi e la qualità stessa della vita, sono pressoché uguali in tutta la Svizzera, ma la leva fiscale in molte situazioni resta una discriminante centrale. È fondamentale, perciò, recuperare competitività fiscale per incentivare il domicilio dei contribuenti più ricchi. A chi si oppone alla riforma va ricordato che anche la politica di redistribuzione dei redditi e una socialità efficace presuppongono la presenza sul territorio di persone facoltose, che saranno sempre più rilevanti per incrementare il gettito fiscale e non aumentare l’onere impositivo sulle fasce medie della popolazione.

Collaborazione con i Comuni: approfondimento economico Mezzovico-Vira

Cauto ottimismo per il futuro, buona situazione finanziaria, andamento degli affari da soddisfacente a buono, numero di impieghi costante: questo, in sintesi, lo stato di salute delle aziende presenti sul territorio del Comune di Mezzovico-Vira. È quanto emerge da un recente approfondimento economico realizzato dal Municipio in collaborazione con la Cc-Ti. L’approfondimento si inserisce nell’ambito delle attività Camerali di rafforzamento della cooperazione con i Comuni ed è in linea con i risultati dell’inchiesta congiunturale 2023-2024, recentemente pubblicati.

Mezzovico-Vira: area industriale (per gentile concessione del Comune)

Nell’ambito del dialogo con i Comuni della Svizzera italiana e delle attività di rafforzamento della collaborazione bilaterale, congiuntamente al Municipio di Mezzovico-Vira, a giugno 2023 la Cc-Ti ha effettuato un approfondimento atto a identificare da un lato lo stato di salute e i bisogni del tessuto economico del Comune e dall’altro a promuovere lo sviluppo di sinergie tra settore pubblico e privato.

Ben 300 aziende hanno partecipato a questo primo esperimento del Comune e l’elevato tasso di risposta (72%) ha fornito una fotografia rappresentativa della situazione delle attività economiche presenti sul territorio. Ne è emerso un quadro positivo: le aziende sono solide, hanno una buona situazione finanziaria, un effettivo stabile e un andamento degli affari generalmente giudicato tra il soddisfacente e il buono. Sebbene pesi l’ombra dell’incertezza congiunturale, vi è cauto ottimismo per il futuro. Un altro segnale positivo per il Comune è la volontà espressa da oltre il 90% di chi ha risposto di voler continuare a legare il proprio futuro, a medio termine, al Mezzovico-Vira.

Con l’approfondimento si è voluto altresì sondare le necessità delle aziende in infrastrutture e/o servizi specifici che potrebbero essere forniti dal Comune, anche in previsione di eventuali ampliamenti delle loro attività. Il sondaggio ha evidenziato diversi interessi, che saranno approfonditi attraverso il dialogo diretto.

L’esito dell’esercizio svolto con il Comune di Mezzovico-Vira è in linea con i risultati dell’inchiesta congiunturale 2023/2024, presentati il 18 dicembre 2023 e riassunti qui.