Certificazione eduQua:2012

La Cc-Ti ha ottenuto il rinnovo della certificazione eduQua per la propria formazione continua.

Nell’ambito dell’erogazione di formazione puntuale e di lunga durata con la Scuola manageriale, alla Cc-Ti è stata rinnovata la certificazione eduQua:2012.
Abbiamo pertanto ricevuto un attestato dalla SQS – Associazione Svizzera per Sistemi di Qualità e di Management di Berna, il quale sancisce che la Cc-Ti dispone di un sistema di gestione conforme ai requisiti della base normativa eduQua:2012.

Una conferma per la nostra associazione, che ottiene il ‘marchio’ di qualità della formazione continua.

eduQua è il primo label di qualità fatto su misura per le istituzioni che operano nel campo della formazione continua. Questa certificazione promuove la trasparenza e il confronto nella formazione continua e contribuisce a garantire la qualità nelle offerte di formazione continua in Svizzera.


NUOVA EDIZIONE DELLA SCUOLA MANAGERIALE Cc-Ti 2020
Dal 7 settembre 2020 (data da confermare) partirà la nuova edizione del corso di lunga durata “Specialista della gestione PMI” con attestato federale. A dipendenza della situazione sanitaria verrà valutata la modalità dei corsi (virtuale e/o in aula), a tutela dei partecipanti. Maggiori dettagli: Gianluca Pagani, pagani@cc-ti.ch

Tutti assieme facciamo un grande lavoro

Come imprenditore e Presidente della Camera di commercio e dell’industria Glauco Martinetti ha vissuto molto intensamente questi mesi, con un carico di lavoro e di responsabilità più accentuato.

«Da un giorno all’altro è successo quello che nessuno era disposto a credere – spiega-. Con la
Cc-Ti abbiamo dato un notevole supporto alle aziende e agli imprenditori che logicamente erano smarriti. Nel contempo abbiamo avuto contatti molto stretti con le autorità politiche, le associazioni di categoria e i sindacati. Desidero, perciò, ringraziare tutti e in particolare i collaboratori della Cc-Ti, le autorità cantonali e federali e ben inteso tutte le nostre imprese. Abbiamo fatto un gran lavoro assieme: GRAZIE».

Da Presidente del Governo, il Direttore del DFE Christian Vitta ha invitato tutti ad un ‘Patto di Paese’ per superare l’emergenza economica. Ci sono oggi le premesse per un impegno comune delle parti sociali, della politica e della società civile in questa direzione?

«In questi mesi di emergenza si è visto chiaramente come nella crisi tutti sono molto più coesi e orientati su un unico obiettivo e, difatti, la bagarre politica e partitica si è quasi annullata. Basteranno due settimane di ‘calma’ per riprendere la solita litigiosità ticinese: le brutte abitudini sono le prime a tornare».

Quali sono attualmente e quali saranno anche nei mesi a venire le difficoltà maggiori per i nostri imprenditori?

«Il problema principale sarà la ripresa dei consumi. Riprendere le attività produttive non è e non sarà il problema ma senza consumi sarà inutile. La fiducia dei consumatori è al minimo storico, c’è un’impennata della disoccupazione e del lavoro ridotto, quindi minor disponibilità di spesa, gli investimenti sono in caduta libera.Ci aspettano un paio d’anni impegnativi».

Ripetutamente, e non da sola, la Cc-Ti ha insistito sulla necessità di aiuti a fondo perso per l’economia, una proposta che ha registrato parecchi consensi ma non ancora decisioni concrete. Pensa che si riuscirà ad ottenere qualcosa?

«Credo che dipenda molto da quanto velocemente la domanda e quindi l’economia si riprenderanno. Far indebitare le aziende può aiutare a corto termine ma non a medio termine: è molto pericoloso. Credo che il Consiglio federale ne sia cosciente ma non possa oggi ancora decidere un parziale condono di questi crediti. Noi non molliamo la presa e continueremo a chiederlo».

Si è avviata la Fase 2 e con la riapertura ci potrebbe essere il rischio di un ritorno del contagio. Non teme che, in questo malaugurato caso, si possa rimproverare al mondo economico una fretta inopportuna per aver sollecitato la ripresa delle attività produttive?

«L’aumento dei contagi è sicuro. Penso però che i contagi non avverranno sul posto di lavoro che è molto controllato, monitorato e protetto. Credo che facilmente la società tornerà a contatti più ravvicinati (il genere umano è un animale sociale) ed è in quel momento che avverranno i contagi. Morire di fame sani non può però essere la soluzione».

Orientamento incerto

L’opinione del Direttore della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino Luca Albertoni

Impossibile a oggi fornire dati certi e attendibili sulle conseguenze economiche a breve, medio e lungo termine del ciclone Coronavirus che ci ha investiti. Ci vorrà molto tempo per stilare bilanci e comprendere quali impatti strutturali e non solo congiunturali vi sono stati e vi saranno. Alcune indicazioni interessanti emergono dai colleghi della Camera di commercio e dell’industria vodese, i cui membri, nel contesto di un sondaggio, hanno segnalato quasi all’unisono un impatto forte praticamente trasversale a tutti i settori economici. Infatti, il 90% delle imprese associate alla Camera vodese si attendono forti impatti negativi sulla liquidità nei prossimi tre mesi, anche dopo la ripresa dell’attività. Quattro imprese su cinque si aspettano effetti negativi anche sugli impieghi a tempo pieno, soprattutto se la crisi dovesse durare tre mesi o più.

Calo della domanda, perdita di clienti, licenziamenti, fallimenti, problemi di approvvigionamento sono i timori condivisi da praticamente tutte le imprese, fatto non sorprendente, tenendo conto degli effetti a catena dati da un’economia in cui quasi tutti i settori sono in qualche modo legati fra di loro. Se ad esempio una grande azienda limita le proprie attività, patiscono i fornitori diretti, ma anche gli artigiani come gli elettricisti, gli idraulici o i falegnami, oppure gli esercizi pubblici di ristorazione, ecc.. In questo senso è sempre stato importante preservare nel limite del possibile, la filiera delle nostre imprese. I dati vodesi sono ovviamente da prendere con le pinze, perché comunque sommari, senza precedenti di paragone, ma costituiscono comunque un indicatore di una certa rilevanza anche per il Ticino, visto che l’inchiesta congiunturale che conduciamo ogni anno presso i nostri associati ricalca praticamente sempre le tendenze generali del canton Vaud in particolare.

Speriamo tutti ovviamente di essere smentiti dai fatti e lo verificheremo nelle prossime settimane o mesi. Non è escluso, fortunatamente, che il buon andamento generale dell’economia rilevato negli scorsi anni e ad esempio il grado di autofinanziamento delle aziende, possano permetterci di limitare qualche danno. Per finire su una nota di ottimismo, i primi rilevamenti effettuati dai colleghi vodesi indicano comunque che una buona metà delle aziende confida che questa situazione così estrema acceleri i processi di trasformazione digitale e dei modelli di business, stimoli la creatività e permetta di eliminare talune procedure burocratiche eccessivamente penalizzanti. Gli imprenditori sono pronti a rimettersi in gioco, a rivedere e attualizzare i propri meccanismi aziendali. Caratteristiche che nel nostro cantone e nazione non sono mai mancate e che, ora più che mai, sono risorse essenziali nelle quali credere per un rilancio.

Un impegno comune nell’interesse di tutti

L’appello della Camera di commercio e dell’industria per scongiurare i rischi di una lunga e grave recessione

«Un Patto di Paese» per affrontare la crisi economica dopo l’emergenza sanitaria. È l’auspicio formulato come Presidente del Governo, nei giorni più cruciali dell’epidemia del coronavirus, dal Direttore del DFE Christian Vitta. Un appello che è il miglior antidoto alla contrapposizione artificiosa tra ragioni della salute pubblica e ragioni dell’economia che si è creata in Ticino con l’allentamento del lockdown. Salute ed economia non sono termini antitetici: se non si è in salute non si può lavorare e produrre, ma se l’economia non funziona non si crea neanche la ricchezza necessaria a finanziare la tutela della salute dei cittadini. L’alternativa non è, dunque, tra presunti «egoisti», interessati solo a contare i soldi, e presunti «altruisti » che non vogliono più contare morti e contagi. Ma tra il rischio concreto di veder crollare il sistema produttivo, con tutto ciò che ne consegue in termini di disoccupazione e impoverimento collettivo, e uno sforzo comune, invece, per ripristinare, in tutta sicurezza, le condizioni economiche in grado di garantire un buon livello di benessere alla società. È questo il significato del «Patto di Paese».

Come Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino siamo convinti che oggi sia urgente serrare le file tutti assieme, parti sociali, partiti, governo e società civile, mettendo da parte divisioni politiche e ideologiche. C’è in gioco non la sorte di qualche imprenditore, ma la tenuta complessiva del nostro sistema economico e sociale, che va sostenuto, come chiediamo da tempo, anche con aiuti mirati a fondo perduto. Siamo solo agli inizi di una temibile recessione la cui durata ed esiti sono imprevedibili. Dopo due mesi di blocco quasi totale delle attività produttive, sorprende perciò sentire da alcuni politici i soliti, vecchi discorsi intrisi di rivendicazioni, richieste di nuovi vincoli per le imprese e intenti dirigisti, come se tornassero da una lunga vacanza senza aver vissuto le terribili settimane che hanno incubato la più grave crisi degli ultimi 70 anni. Come se il virus, passata la concordia per l’allarme sanitario, legittimasse ora una battaglia per la supremazia politica nel governare una delicata fase di transizione. Sarebbero, invece, necessari più che mai un impegno congiunto e un condiviso senso di responsabilità per ridare fiducia e sicurezza al Paese. Per riavviare i motori dell’economia non basta premere un pulsante, ci vorranno mesi e mesi prima che essi riprendano a girare a pieno regime. La nostra industria dell’export dovrà lavorare duramente per mantenere le posizioni su mercati internazionali che funzioneranno a singhiozzo per chissà quanto tempo, con una contrazione della domanda e una concorrenza ancora più feroce. Le imprese orientate sul mercato interno saranno confrontate invece con un calo della domanda provocato dalla generale incertezza. Tutti assieme abbiamo la grande responsabilità di salvaguardare la nostra economia, i posti di lavoro e i redditi dei cittadini. Ma serve un nuovo e coraggioso approccio per uscire dai vecchi schemi della politica, mettendo da parte pregiudizi ideologici e interessi elettorali, e lavorare uniti per il futuro del Ticino.

L’apprendistato una realtà da sostenere

L’opinione di Cristina Maderni, Vice Presidente Cc-Ti, Presidente Ordine dei Commercialisti del Cantone Ticino e Presidente FTAF

La pressione sui conti economici che le imprese ticinesi si trovano ad affrontare in conseguenza del COVID-19 comporterà inevitabilmente tagli nei budget di spesa e di investimento. È di conseguenza urgente intervenire per introdurre meccanismi capaci di rendere sostenibile per i datori di lavoro il mantenimento dell’offerta di posti di apprendistato. La formazione duale è, infatti, un elemento caratterizzante del sistema svizzero, che viene osservato e ammirato con interesse da tanti altri paesi. Un programma che funziona e dà opportunità ai nostri giovani, che va preservato per le generazioni future. Assicurare continuità soprattutto in un momento di crisi presuppone però l’attuazione di provvedimenti capaci di rendere il processo meno gravoso e quindi maggiormente accessibile per le imprese. Non stiamo qui necessariamente parlando di sussidi: un primo contributo significativo potrà, infatti, derivare dalla semplificazione di quegli oneri organizzativi e amministrativi che da sempre gravano su chi offre posti di apprendistato, che maggiormente pesano nelle imprese più piccole.

La società potrà imparare molto da questa crisi. Cambieranno il modo di lavorare e di conseguenza la domanda di lavoro. Il trend di digitalizzazione dei processi aziendali che da tempo è in atto non potrà che accelerare con forza, comprimendo le opportunità per le professioni impiegatizie a favore di quelle tecniche, anche in virtù della circostanza che, oggigiorno, una formazione professionale non preclude in alcun modo la possibilità di accedere agli studi superiori. Su questi aspetti il mondo economico lavora da tempo, proprio per assicurarsi nuove leve per i molti mestieri che hanno prospettive di sviluppo, oltre che per rafforzare uno strumento competitivo sul mercato del lavoro. Ad esempio, si sta insistendo sulla via della formazione professionale e non della scuola a tempo pieno per le professioni legate alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), che rappresentano un settore di grandissime prospettive anche per il Ticino. Operazione non semplice perché in questo campo, come in altri, l’impegno richiesto alle aziende nella formazione di apprendisti è molto grande e per un tessuto economico costituito essenzialmente da piccole imprese non sempre vi è la disponibilità a farsene carico. Si tratta di ostacoli concreti, come ha evidenziato l’inchiesta congiunturale annuale della Camera di commercio e dell’industria ticinese di un paio d’anni fa. Come rimediare? Sensibilizzare in generale da una parte, ma anche diffondere informazioni precise ad esempio sul fatto che le basi legali permettono una gestione comune di un apprendista fra più aziende, ripartendosi così i vari oneri. Oppure rafforzando le esistenti reti di aziende formatrici, oggi sostenute dall’associazione ARAF, che si occupa della gestione amministrativa degli apprendisti, togliendo questo impegno all’azienda che potrà quindi concentrarsi sulla formazione in senso stretto. Uno strumento che va ulteriormente promosso e ampliato, perché oggi limitato a commercio e vendita.

Difendere l’offerta di posti di apprendistato sostenendo l’occupazione giovanile in una congiuntura di crisi è possibile oltre che doveroso. Di questo sono ben coscienti le parti sociali. Lo sono per prime le imprese, al cui senso di responsabilità i sindacati si sono di recente appellati. Di fatto, gli strumenti a disposizione per rendere l’apprendistato meno macchinoso per le aziende e quindi maggiormente accessibile anche alle piccole e medie imprese già esistono. Vanno condivisi, affinati ed utilizzati. In questo percorso, sarà importante il sostegno proveniente dalle associazioni economiche, e la disponibilità dello Stato ad assecondarne il lavoro. A noi tutti la responsabilità di implementare quello che già oggi è possibile, rispondendo con un atto concreto all’emergenza sul lavoro creata dal COVID-19.

Servono anche aiuti a fondo perso per salvare aziende e occupazione

L’impegno della Camera di commercio e dell’industria per sostenere le imprese e limitare i rischi di una grave recessione

© FOXYS FOREST MANUFACTURE/SHUTTERSTOCK.COM

L’inchiesta congiunturale condotta dalla Camera di commercio e dell’industria presentata nel mese di gennaio, aveva messo in evidenza, in tempi non sospetti, una certa flessione degli investimenti da parte delle aziende. Il drammatico momento sociale ed economico che stiamo vivendo frenerà purtroppo ulteriormente la capacità di investimento, con riflessi negativi su tutto il sistema economico. In questo contesto è significativa l’affermazione di qualche giorno fa del direttore del KOF, Jan-Egbert Sturm, secondo il quale «Tutto ciò che non viene fatto oggi, costerà più caro domani». Secondo il professor Sturm, per contrastare l’impatto dell’emergenza Coronavirus sull’economia, la Confederazione dovrebbe valutare una misura più marcata e mirata, non solo quella dei prestiti garantiti, ma anche quella dei contributi a fondo perso. «Se molte aziende saranno eccessivamente indebitate dopo la crisi – ha spiegato – non investiranno negli anni a venire. Non si disporrà di denaro per l’innovazione.

L’economia crescerà con meno forza e le imprese svizzere saranno inevitabilmente meno competitive di quelle estere». Malgrado ciò il buon livello di autofinanziamento rilevato in generale in Svizzera e anche in Ticino, come emerso regolarmente in questi anni dai nostri rilevamenti effettuati presso le nostre aziende. Chiaro però che situazioni estreme come quella attuale scombinino tutti i parametri. Ragione per la quale, a tutela del sistema economico e dell’occupazione, riteniamo che anche gli aiuti a fondo perso possano essere una risposta importante, ovviamente con interventi mirati. Del resto, lo stesso Consigliere federale Maurer non ha escluso a priori tale possibilità. Ha infatti menzionato il fatto che già attualmente determinati casi considerati di rigore saranno trattati in modo particolare e che, a bocce ferme dopo la fase acuta di crisi, si procederà a una valutazione delle varie situazioni ed eventuali soluzioni a fondo perso non sono escluse. Un’apertura importante, sebbene non immediata. Il problema è che nel breve termine, nonostante le grandi difficoltà già marcatamente palpabili, moltissime piccole e medie aziende non ricorreranno ai crediti messi sino a questo momento a disposizione, per la legittima paura di indebitarsi eccessivamente, quindi l’argomento del fondo perso potrebbe arrivare troppo tardi. Di fronte al pericolo di una devastante recessione globale, un ulteriore autorevole appello per una manovra decisa della politica di sostegno all’economia è arrivato da Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo monetario Internazionale: «… servono aiuti diretti a fondo perso». Sulla stessa linea di pensiero di Sturm e Blanchard, ci sono tanti altri economisti, scuole differenti, dei nostri Politecnici federali, tutti allineati sul fatto che in una situazione di profonda incertezza economica, molte aziende, soprattutto le piccole imprese, difficilmente attingeranno ai crediti garantiti dallo Stato.

È infatti più che comprensibile e legittimo il timore di assumersi un debito, seppure iniziale interesse zero e rimborsabile in cinque anni, che dovrà comunque essere restituito, senza nessuna certezza di ripresa a corto- medio termine dei propri affari. Per migliaia di aziende, anche quelle che non avevano alcun problema finanziario, le perdite accumulate durante il fermo o il rallentamento dell’attività produttiva, sommate all’onere di un nuovo debito e agli insufficienti guadagni, nel futuro corso di un lento ritorno alla normalità, rappresentano una miscela esplosiva che potrebbe far «saltare» i bilanci. In poco meno di un mese e mezzo in Svizzera la produzione è crollata del 25% e l’orario ridotto coinvolge già oltre un milione di dipendenti. Gli scenari delineati in un recente intervento del Consigliere Federale Guy Parmelin sono inquietanti: una possibile contrazione del PIL del 10% e un aumento della disoccupazione sino al 7%. Percentuali che potrebbero tradursi in una devastante instabilità dell’economia svizzera e ticinese. Riconoscere dei contributi a fondo perso alle aziende in difficoltà, come si è fatto in passato con diverse attività pubbliche o para pubbliche, non significa fare dei regali agli imprenditori, ma molto più concretamente mirare a salvare centinaia di aziende e migliaia di posti di lavoro. Resta inteso che ci vogliono grandi cautele e riflessioni ponderate per evitare l’eventuale dispendio di denaro a favore di aziende senza prospettive. Siamo comunque convinti che esistano gli strumenti necessari per stabilire e utilizzare criteri sufficientemente attendibili per un’attribuzione oculata degli aiuti a fondo perso. Del resto, come detto in precedenza, lo stesso Consiglio federale ha lasciato intravvedere qualche considerazione in questa direzione, parlando di «attenzione» sul tema delle modalità di restituzione dei prestiti erogati. Riflessioni e considerazioni dei tempi che verranno.

Come ripartire?

Come ci hanno insegnato queste difficili settimane, la salute pubblica ha la priorità assoluta e anche il mondo economico ha seguito alla lettera quanto indicato dalle autorità a tutela della popolazione.

D’altra parte è innegabile che sarebbe stato e sarebbe tuttora un grande errore fermare completamente il sistema economico, perché, «banalmente» occorre approvvigionarsi, disporre dei servizi essenziali, ecc.. Nell’interesse di tutta la popolazione e in primis di coloro che al fronte lottano per salvare vite. Come sempre è una questione di equilibrio, nello specifico fra la giusta protezione del bene supremo della salute e le attività che permettono, fra le altre cose, anche il funzionamento del sistema che se ne prende cura. È d’interesse generale avere un’economia che marcia, anche se a regimi minimi. Un equilibrio non facile da trovare ma non certo impossibile, soprattutto se caratterizzato dalla buona volontà di tutti di lavorare insieme, per il bene comune e nella stessa direzione.

Soluzioni differenziate

Negli ultimi anni abbiamo sempre sottolineato quanto sia importante poter disporre di un tessuto economico diversificato, con molti settori a convivere e a intersecarsi fra di loro. Per la stessa ragione, a differenza di quanto avviene per altri cantoni svizzeri con economie più «monotematiche», può diventare più impegnativo trovare soluzioni che possano essere «calzanti» per tutti. Già dall’inizio dell’attuale crisi sono emerse, legittimamente, le differenze fra i vari settori. Ad esempio l’edilizia e l’artigianato, a essa legato, si sono schierati per la chiusura del loro settore. Mentre i vari ambiti industriali erano e sono tutt’ora orientati a poter mantenere attive almeno parte delle loro attività a causa dei forti legami con il resto della Svizzera e l’estero, con fornitori e clienti disseminati in ogni parte del globo. Gli stessi problemi si ripresenteranno nella scelta dell’orientamento verso una situazione più normale, se di normalità si potrà parlare a breve termine. Fondamentale sarà l’approccio differenziato d’intervento e una grande flessibilità da parte di tutti, non solo delle imprese. Tutti gli attori del sistema devono comprendere che occorrerà ragionare quasi caso per caso, a chinandosi sui vari settori di attività e sulla loro composizione. Il mondo delle imprese è una realtà interconnessa: per una grande struttura che va in affanno, decine di imprese legate a questa attività andranno a loro volta in difficoltà o, purtroppo, non ce la faranno. Ragionare per compartimenti stagni e con l’illusione di facili soluzioni generalizzate valide per tutti sarebbe un errore fatale, un’utopia. Se nel momento di crisi più acuto vi è stato un denominatore comune legato alle difficoltà di liquidità, la riapertura delle attività presenterà invece una realtà più complessa. Ci sarà infatti chi dovrà lottare per riconquistare la clientela e far ripartire la macchina, come potrebbe essere il caso di taluni commerci e l’albergheria, ristorazione ecc. Altri invece dovranno gestire probabilmente masse di lavoro enormi per recuperare ritardi accumulati in questo eccezionale periodo, come potrebbe essere il caso dei parrucchieri, dei fisioterapisti, ecc..

Aiuti finanziari ma non solo…

Occorrerà quindi identificare e ponderare l’equilibrio fra misure finanziarie di rilancio per sostenere il nostro territorio e regolamentazioni «ad hoc» per orari, gestione del personale ecc.. Manovre che dovranno sovrapporsi e contrastare questo sentimento d’incertezza e timore. Non si può identificare con una scadenza questo duro lavoro che ci attende, viste le tante variabili che sta presentando questo virus, che non conosce confini e che sta mettendo in ginocchio socialmente ed economicamente il mondo. Si tratterà di adattare nuovamente in modo impensabile sino a mesi fa, i propri modelli di business. «I nostri sono dei seri problemi e di persone serie abbiamo bisogno» (citazione dal film «Il Presidente», del 1995). Le aziende ticinesi hanno già dimostrato in differenti modi e occasioni di essere quelle persone e di avere le carte in regola per riuscire. Il nostro tessuto ha dimostrato un avanzato civismo e vuole fortemente esserci.

Urgente necessità di chiarezza

Comunicato stampa della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino di mercoledì 25 marzo 2020

La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino ribadisce la fiducia nell’operato delle autorità, soprattutto per le questioni inerenti gli aspetti sanitari, rigorosamente rispettati in questi giorni. A seguito dell’odierna comunicazione del Consiglio federale, prendiamo atto che Confederazione e Cantone stanno cercando una soluzione comune per la questione delle misure restrittive adottate dal Consiglio di Stato. Ci attendiamo che venga fatta chiarezza al più presto e che, qualsiasi soluzione verrà concordata, tuteli la salute delle cittadine e dei cittadini e al contempo non comporti svantaggi per le aziende e le lavoratrici e i lavoratori ticinesi.

Cc-Ti e OATI affrontano insieme la sfida del coronavirus

Comunicato stampa della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino e dell’Ordine degli Avvocati del Canton Ticino di venerdì 20 marzo 2020

In data odierna, 20.3.2020, la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino (Cc-Ti) e l’Ordine degli Avvocati del Canton Ticino (OATI) hanno deciso di iniziare un dialogo strutturato al fine di affrontare in modo coordinato l’emergenza coronavirus.

A tale scopo procederanno ad individuare le criticità per le aziende dovute alla situazione attuale e proporre soluzioni a carattere giuridico nel breve e nel medio termine.

Concretamente si tratta di individuare strumenti legali già a disposizione, proporre la modifica di norme esistenti ma non adatte alla situazione straordinaria, e adottare nuove norme che possano aiutare le aziende in quest’emergenza così come sul medio termine.

Le persone di riferimento per le due organizzazioni sono l’Avv. Michele Rossi (Cc-Ti) e l’Avv. Sascha Schlub (OATI).

Le Camere di commercio e dell’industria svizzere unite nella lotta al Coronavirus

Comunicato stampa Cc-Ti/SHIK – Due ulteriori misure a sostegno dell’economia di tutti i Cantoni

La Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino (Cc-Ti), di cui Direttore Luca Albertoni presiede l’Associazione delle Camere di commercio e dell’industria svizzere (SIHK-CCIS), si è fatta promotrice di alcune ulteriori misure auspicabili in tutti i Cantoni.

In questa fase è infatti fondamentale garantire la liquidità delle aziende ed evitare danni irreparabili.  Tutte le Camere di commercio e dell’industria svizzere, ognuna nelle rispettive regioni, chiederanno le seguenti misure, in aggiunta a quelle già anticipate dalla Cc-Ti negli scorsi giorni.

  • La creazione di aiuti speciali a fondo perso per la copertura dei costi fissi aziendali, che non sono coperti dalle indennità di lavoro ridotto e che non riguardano gli stipendi.
    Si tratta in particolare dei costi di locazione, di leasing, ipotecari, ecc.  Tale misura volge a completare le richieste da noi precedentemente formulate, di estendere le indennità per lavoro ridotto agli indipendenti.  

  • Le Camere di commercio e dell’industria svizzere invitano i rispettivi governi cantonali a sospendere con effetto immediato ogni procedura di incasso dello Stato. I governi cantonali sono invitati a chiedere alle autorità competenti di applicare tale principio anche per quanto riguarda l’AVS e l’IVA.
    Tutte le richieste di acconto pendenti devono essere annullate.

La Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, ribadisce e sostiene le varie proposte espresse in questi giorni dalle associazioni di categoria.

Invitiamo le aziende a utilizzare solo i canali d’informazione ufficiali delle autorità cantonali e federali, ed a osservare scrupolosamente i divieti vigenti e le limitazioni alle attività essenziali (di norma limitate a servizi di picchetto).

Sono al vaglio ulteriori misure che verranno presentate a breve.