Obiettivi ideali e realizzabili

Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti, parla della ‘Responsabilità sociale delle imprese’.

La Giornata dell’economia dedicata alla responsabilità sociale delle aziende (CSR) ha fornito spunti interessanti e che meritano di essere sviluppati e approfonditi, tenuto conto che le nostre aziende, nel contesto nazionale, hanno dimostrato di essere su buoni livelli e certamente non inferiori a quelli delle altre regioni elvetiche. Al di là degli obiettivi e dei buoni propositi, vi sono però alcuni trabocchetti da considerare per non vanificare i principi, spesso realizzati inconsapevolmente nell’attività quotidiana anche da chi sembra apparentemente essere distante dal tema. Prima insidia da evitare è l’abuso del termine “azienda virtuosa”, perché l’associazione mentale secondo cui gli altri sono automaticamente non virtuosi (e quindi magari criminali) incombe sempre. In altre parole, per essere concreti, è certamente virtuoso chi crea la palestra per i propri dipendenti, ma chi non ce l’ha non deve per forza essere “messo alla gogna”. Forse semplicemente perché non può o sarebbe una pratica che non rispecchia le esigenze della propria realtà, oppure pratica la CSR in altro modo, a esempio, banalmente, gestendo con grande flessibilità assenze dovute a visite mediche, impegni familiari, ecc..
È in questo contesto che il virtuoso non rende gli altri automaticamente poco virtuosi. Nello specifico il virtuoso applica misure che vanno oltre  gli obblighi legali, che meritano la meritata attenzione. Ma chi si “limita” a rispecchiare le leggi o sceglie altre misure meno spettacolari, spesso perché non ha altra scelta, deve avere il suo giusto riconoscimento. Anche l’applicazione pratica di talune misure spacciate genericamente come semplici e virtuosissime, va comunque valutata con attenzione. Prendiamo il telelavoro, osannato come panacea, per esempio, contro l’aumento del traffico. Tutto giusto, ma teniamo in considerazione che molte aziende non possono applicarlo. Difficile, malgrado il progresso tecnologico, immaginare il telelavoro per opere di cantiere, ma non per questo edilizia e artigianato sono nello specifico meno bravi di altri. Pure in ambiti in cui il telelavoro è tecnicamente fattibile, esso implica comunque molti risvolti, fra cui quelli giuridici concernenti la sicurezza degli impianti in azienda e al domicilio del dipendente, la protezione dei dati, il rilevamento del tempo di lavoro e delle pause, ecc.. Aspetti questi sempre da regolamentare e che non sono sempre di facile applicazione. Questo non significa che non si possa fare, ma è bene essere coscienti della “realtà” dietro a talune ricette che sembrano semplici. Soprattutto quando si parla di responsabilità sociale e la tentazione di dividere in buoni e cattivi è
particolarmente allettante.

La Cc-Ti dedica un evento al tema della CSR, il prossimo 2 marzo a Mendrisio. Informazioni e iscrizioni direttamente sul nostro sito.

Dati attesi e non disattesi!

Vi proponiamo l’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti sul tema CSR – aziende ticinesi.

Sono spesso coinvolto nelle riflessioni di persone che mi comunicano la loro impressione di aziende non attente o non rispettose del nostro territorio, pensando che il solo progetto imprenditoriale oggigiorno sia finalizzato unicamente e sempre alla resa finanziaria. La vita di ogni settore, congiuntamente a quella dei propri attori, può incorrere, a volte loro malgrado, in comportamenti non costruttivi, non corretti e quindi anche sanzionabili. Ma per la maggior parte, questo non è ciò che rileviamo.

Più utile e propositivo sarebbe, quindi, ravvisare le tante condotte (sono la maggioranza) davvero degne di nota. Non è un caso che dai dati raccolti unitamente alle altre Camere di commercio e dell’industria svizzere, le aziende ticinesi sono ben posizionate in termini di responsabilità sociale delle aziende (CSR). Questo potrebbe sorprendere coloro che, ma solo loro, non sono stati attenti a quanto accaduto nel tempo nelle nostre realtà. È incontestabile riconoscere quanto viene già fatto nell’ottica delle misure che, nel contesto dell’attività economica, hanno un impatto sociale e ambientale di rilievo. In un quadro oggettivamente difficile, contraddistinto da un contesto internazionale nervoso, da protezionismi crescenti, da cambiamenti epocali dei modelli di business imposti soprattutto da una rapidissima evoluzione tecnologica, il fatto che gli investimenti legati alla CSR siano su livelli di assoluto rispetto è un risultato accertato e assolutamente positivo.

Non dimentichiamo il fatto che, da un punto di vista generale, assistiamo a una certa contrazione degli investimenti, legati alle difficoltà summenzionate, ma anche, inevitabilmente, all’erosione dei margini di utile in atto da diversi anni e che regolarmente abbiamo segnalato. Questa diminuzione ha ridotto i margini d’azione aziendali, ma ciò non ha impedito alle imprese di applicarsi nei propri compiti e adoperarsi anche e soprattutto nell’ambito ambientale. È comprensibile che per le aziende con dimensioni più grandi, i mezzi a disposizione siano maggiori e le possibilità di disporre misure di tipo ambientale o sociale abbiano un’opportunità di realizzazione più concreta. Dobbiamo però stare molto attenti a non dimenticare l’importanza del ruolo delle piccole e medie imprese. Queste realtà imprenditoriali contribuiscono attivamente con misure, magari meno spettacolari ma altrettanto importanti, al benessere del territorio offrendo, ad esempio, “semplicemente” posti di lavoro in tante località, anche discoste, del nostro Cantone.

Il dibattito attorno al tema della CSR è certamente molto importante e legittimo quando volge a tenere alta l’attenzione e la sensibilità sul tema. È un argomento molto differenziato che offre spunti e soluzioni davvero puntuali per ogni esigenza. Rinchiuderlo in una sola definizione lo svilisce e può accadere, senza ragione, di lavorare d’accetta (come purtroppo è spesso costume fare) criminalizzando chi magari, sul piano teorico, non rientra esattamente in taluni schemi (per altro sovente molto soggettivi).

Spesso, come diceva Voltaire, “il meglio è nemico del bene”, per cui l’illusoria ricerca della perfezione per tutti e a ogni costo può causare danni maggiori dei presunti mali da curare. Ogni passo di ogni singolo per il bene comune è da valorizzare al massimo, specialmente in un’epoca dove è già molto difficoltoso “camminare”.

La Cc-Ti incontra la Console generale svizzera a Milano, Sabrina Dellafior

La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino, insieme ad altri rappresentanti del mondo economico cantonale, ha ricevuto oggi la Console generale svizzera a Milano.

Da sin. Chiara Crivelli, Michele Rossi, Sabrina Dellafior e Sandra Caluori .

Sabrina Dellafior, è succeduta a Félix Baumann lo scorso agosto 2019. La Console era accompagnata dalla Console generale aggiunta, Sandra Caluori. L’incontro conoscitivo ha permesso la discussione su temi d’attualità d’interesse reciproco per le relazioni economiche tra il Ticino e il Nord Italia. All’incontro hanno partecipato l’Associazione Bancaria Ticinese (ABT), l’Associazione Industrie Ticinesi (AITI), la Camera Ticinese Economia Fondiaria (CATEF), l’Associazione dei grandi distributori ticinesi (DISTI), economiesuisse, la Società Svizzera Impresari Costruttori Sezione Ticino (SSIC TI) e l’Unione svizzera degli imprenditori (USI). La Console Dellafior ha sottolineato l’importanza della comunicazione e dei rapporti tra il Consolato svizzero e gli operatori economici ticinesi.

Prodotti svizzeri e investimenti stranieri: quale equilibrio?

Quando si parla di “Swissness”o “Swiss Made” (sulle differenze tecniche fra queste espressioni non ci dilunghiamo in questa sede) inevitabilmente si pensa soprattutto ai prodotti elvetici conosciuti in tutto il mondo e che sono garanti di qualità.

Non solo per il prodotto stesso, ma anche e soprattutto per quanto vi è alla base, in termini di capacità imprenditoriale, serietà, qualità, puntualità, sensibilità sociale, ecc… È il caso di alcuni marchi storici, come Ricola, Läderach e Victorinox, saldamente in mano svizzera, ma vale anche per prodotti meno noti al pubblico, ma fortemente legati al nostro sistema elvetico, come componenti industriali che vengono inseriti in prodotti finali. Ad esempio i motori che hanno permesso le missioni americane alla volta di Marte, grazie a sofisticati meccanismi che hanno elementi fondamentali prodotti proprio in Ticino.

Poi vi è tutta una serie di marchi storici elvetici che, forse molti lo ignorano, sono passati in mani estere, senza però perdere le peculiarità elvetiche, perché le imprese internazionali si guardano bene dal recidere il legame con il nostro paese, identificazione ed espressione di qualità. La mitica Ovomaltina è in mani britanniche, l’altrettanto mitico Toblerone appartiene a un’azienda americana, mentre la Feldschlösschen è danese e la Valser è di proprietà della Coca-Cola. Senza dimenticare un pezzo di cultura svizzera come l’Aromat che è di proprietà olandese. È cambiato qualcosa per il godimento di questi prodotti in termini di qualità? Chiaramente no. Il fatto è che all’estero riconoscono la qualità dei nostri prodotti e del nostro modo di lavorare e ovviamente non hanno alcun interesse commerciale a ribaltare questa realtà.
Tenendo conto di questo contesto è pertanto giusto chiedersi se si giustificano controlli sugli investimenti esteri a tutela dell’identità svizzera?

Negli ultimi tempi si sono moltiplicate le richieste politiche per l’introduzione di controlli a tappeto di questo genere. Da un’interessante analisi condotta da AvenirSuisse emerge chiaramente che le imprese elvetiche non devono essere ulteriormente protette da acquisizioni da parte di ditte estere. Il nodo di queste situazioni sembra infatti essere non tanto la minaccia della sicurezza nazionale, quanto piuttosto la limitazione della concorrenza, per la quale si ritiene, vi siano però già strumenti legali utilizzabili.

In un contesto generale caratterizzato dal protezionismo, anche gli investimenti diretti esteri sono visti con sempre maggiore scetticismo, per cui, in nome della sicurezza nazionale si vorrebbe prevedere che le aziende elvetiche, prima di poter decidere dei loro destini, debbano dipendere dalle decisioni di autorità preposte a questa vigilanza.

Inutile nascondersi, il timore principale è quello di finire vittime della furia acquisitiva della Cina. Finora però risulta che gli investimenti diretti nelle nostre aziende sono stati operati dall’Europa occidentale (60%), dagli Stati Uniti e dal Canada (24%), mentre dall’Asia è giunto il 12% degli investimenti, di cui solo il 3% dalla Cina. In altre cifre, nel nostro Paese gli investimenti diretti esteri ammontano attualmente a diversi miliardi di franchi, pari a circa 450’000 posti di lavoro. Una realtà non da poco. E nello stesso contesto non va dimenticato il movimento inverso degli investimenti, cioè dalla Svizzera verso l’estero, perché la Svizzera esporta non soltanto beni industriali e servizi, ma anche importanti quantità di capitali, soprattutto sotto forma di investimenti diretti. Secondo la Banca Nazionale Svizzera, il valore statistico degli investimenti diretti, realizzati da operatori residenti in Svizzera in sedi estere di produzione, distribuzione e ricerca nel solo 2018 è ammontato a circa 61 miliardi di franchi, prevalentemente in Europa. Non si tratta soltanto di grandi gruppi: tra questi operatori vi sono anche diverse migliaia di piccole e medie imprese (PMI), che complessivamente occupano quasi 2 milioni di persone all’estero. Numeri che contribuiscono alla crescita delle nostre aziende e quindi di grande beneficio per il nostro territorio.

Introdurre ulteriori controlli sugli investimenti esteri è di un’efficacia dubbia, in termini di complessità e tempistica di intervento. Ad esempio fra il 2016 e il 2017 in Svizzera avrebbero dovuto essere controllate circa 180 acquisizioni estere, con un evidente freno alla dinamica dell’economia.

Ribadiamo che sono già previsti solidi elementi di salvaguardia, visto che lo Stato può in qualsiasi momento far valere un diritto di espropriazione per ragioni di sicurezza nazionale. Non dimentichiamo le leggi puntuali come la LAFE – Legge federale sull’acquisto di fondi da parte di persone all’estero (comunemente chiamata Lex Koller) che, per il suo carattere restrittivo, ha già pochi eguali sul piano internazionale.

Anche gli investimenti diretti esteri sono componenti essenziali per una concreta costruzione del nostro benessere. Molto spesso questi investimenti dall’estero irrobustiscono aziende svizzere innovative, essi contribuiscono in larga misura a permettere un incremento della produttività, dell’occupazione e, non da ultimo, permettono di consolidare il gettito fiscale. Considerato che il flusso di capitali, tecnologie e imprenditorialità al di là dei confini nazionali e un elemento imprescindibile del nostro ordinamento economico, bisognerebbe favorire e non reprimere, con la dovuta cautela che ci appartiene, l’apertura del nostro Paese verso gli investitori stranieri.

La Svizzera figura al quarto posto come piazza d’investimento dei Paesi dell’OCSE. I pericoli conseguenti allo spionaggio industriale e alla violazione della proprietà intellettuale non possono ovviamente essere ignorati o sottovalutati, ma non vanno risolti con un blocco degli investimenti. La nazionalità degli investitori è inoltre un fattore troppo “impreciso” di minaccia, per cui regole più severe di quelle già oggi esistenti, almeno per il momento, non si giustificano.

Aziende caute, ma propositive

Vi proponiamo un’intervista con il Presidente Cc-Ti  Glauco Martinetti. 

Dall’inchiesta congiunturale Cc-Ti emergono dati sostanzialmente positivi. La flessione negli investimenti però la preoccupa?

Con una battuta potrei dire che finalmente possiamo dare qualche indicazione non positiva, visto che siamo spesso accusati, in maniera tendenziosa e ingenerosa, di propagandare solo “false” notizie positive. Battute a parte, l’indicatore sugli investimenti va sicuramente osservato con attenzione. È indubbio che le tensioni internazionali e le modifiche strutturali in atto anche in Svizzera, pensiamo per esempio alle riforme fiscali, hanno forse frenato un po’ gli investimenti. Il timore è però che fra le cause principali vi sia l’erosione dei margini di utile delle aziende, in atto da diversi anni e che abbiamo sempre rilevato. Ora potrebbero esservi effetti come quello di meno mezzi a disposizione da reinvestire nelle attività aziendali, con rischio di perdita di competitività e quindi con effetti negativi anche sull’occupazione.

Come rimediare a questo rischio?

È molto difficile, perché l’erosione dei margini è un fenomeno che ha caratteristiche molto diverse per i vari settori. Il commercio al dettaglio soffre per motivi diversi rispetto all’industria, così come l’artigianato subisce pressioni che non sono direttamente paragonabili con quelle alle quali sono esposti i servizi. Vi sono quindi da una parte elementi derivanti dal contesto internazionale sui quali non abbiamo alcuna influenza,
mentre sul piano interno, non è sempre facile ipotizzare misure che possano andare a favore di tutti i settori indistintamente. Credo che la  migliore ricetta sia sostanzialmente quella tradizionale della Svizzera, cioè favorire nel miglior modo possibile la libertà imprenditoriale.

La sorprendono i dati sulla responsabilità sociale d’impresa (CSR)?

No, possono sorprendere solo chi ritiene, sbagliando, che le imprese non hanno alcuna sensibilità verso il territorio. I dati dicono chiaramente  altro e l’analisi effettuata dalle ricercatrici della SUPSI attesta che siamo su buoni livelli. È evidente che le aziende più grandi hanno maggiori mezzi a disposizione per disporre misure con impatto ambientale e sociale, ma attenzione a non sottovalutare l’importanza del ruolo delle  piccole imprese. Ad esempio, esse contribuiscono spesso con misure meno spettacolari ma altrettanto importanti al benessere del territorio, offrendo “semplicemente” posti di lavoro. Che è poi comunque la prima e principale missione delle aziende. Quindi bene la CSR, ma attenzione alla sua definizione ed evitiamo di criminalizzare chi apparentemente non rientra esattamente in taluni schemi. 

La Cc-Ti raccomanda di respingere l’iniziativa “più abitazioni a prezzi accessibili”

La nostra presa di posizione sulla votazione federale del 9 febbraio 2020.

L’iniziativa propone di introdurre una quota fissa ed obbligatoria del 10% di costruzioni di pubblica utilità in tutta la Svizzera. Anche se il titolo dell’iniziativa è apparentemente e teoricamente allettante, la proposta in votazione cela un approccio molto pericoloso e contrario al nostro collaudato sistema svizzero, che poggia invece sul pragmatismo e sulla sussidiarietà.
Una percentuale di costruzioni di pubblica utilità fissa ed identica in tutto il paese ha infatti poco senso, tenuto conto che la situazione a Zurigo o a Ginevra non è minimamente paragonabile a quella ticinese o ad altre zone nelle quali gli spazi sfitti hanno ormai raggiunto un livello preoccupante.

Non va inoltre dimenticato che nessun investitore privato avrà alcun interesse a realizzare questo tipo di alloggi, la cui costruzione e gestione verrebbero quindi integralmente demandate agli enti pubblici. Ciò provocherebbe un importante aumento della burocrazia e delle spese pubbliche. Saremo quindi tutti noi a dover sopportare l’onere finanziario (stimato a 120 milioni di franchi all’anno) di questa proposta che, come detto, non tiene conto delle reali necessità territoriali e non contribuisce quindi a risolvere alcun problema.
Infine occorre sottolineare come questa iniziativa rischia di bloccare ogni iniziativa privata laddove la quota del 10% di costruzioni di pubblica utilità non sarebbe ancora raggiunta. Si tratta quindi di un’ingerenza eccessiva dell’ente pubblico che penalizzerebbe in modo intollerabile l’attività privata.

Per queste ragioni raccomandiamo di respingere l’iniziativa “più abitazioni a prezzi accessibili”.

Maggiori informazioni sul sito della campagna “No all’iniziativa più abitazioni a prezzi accessibili”

L’artigianato digitale tra innovazione e tradizione

L’evoluzione della Swissness nell’artigianato. Dalla fusione tra creatività, abilità manuale e nuove tecnologie è nato l’artigianato digitale. Ne parliamo con Andrea Gehri, Direttore Gehri Rivestimenti SA.

La Gehri Rivestimenti è un ottimo modello dell’evoluzione della Swissness nel settore dell’artigianato. Dalla fusione tra creatività, sapiente manualità e solide tradizioni di qualità con le nuove tecnologie è nato l’artigianato digitale. Questo sviluppo ha comportato per l’azienda uno sforzo supplementare nella formazione dei collaboratori?

L’abilità artigianale rappresenta per la nostra azienda la base sulla quale si fondano i principi essenziali per la formazione dei nostri collaboratori. La capacità di poter creare e plasmare i lavori con il talento artigiano rimane la condizione irrinunciabile per saper tradurre in realtà le aspettative dei nostri clienti. Non si può essere o diventare un buon artigiano se non si conosce a fondo la propria professione e non si è in grado di esercitarla con passione e precisione. Si può, tuttavia, diventare un artigiano ancora migliore se, oltre al talento manuale e alle competenze specifiche, si riesce a coniugare e seguire lo sviluppo tecnologico e digitale. Oggigiorno anche l’artigiano è confrontato con l’innovazione, soprattutto quella legata al digitale, e non può permettersi di ignorarne lo sviluppo. Fondamentale per noi, quindi, sensibilizzare e formare adeguatamente i nostri collaboratori alle nuove tecnologie.

Ci sono differenze importanti tra giovani collaboratori e quelli più anziani? I primi magari più disinvolti e meno consapevoli dei rischi, i secondi magari più refrattari all’innovazione?

L’esperienza di un collaboratore più anziano nell’ambito dei lavori artigianali costituisce una risorsa e una ricchezza alla quale difficilmente si riesce a rinunciare.Disporre di un mix di lavoratori giovani con profili d’esperienza farà sicuramente la differenza e permetterà all’azienda artigianale di proporre un regolare ricambio generazionale senza grossi traumi, garantendo la continuità anche dal profilo tecnico-esecutivo. Personalmente posso confermare che anche i profili meno giovani, se confrontati con l’innovazione che permette loro di migliorare la propria performance e magari diminuire le fatiche, sono ben propensi a prendere in considerazioni cambiamenti anche importanti delle modalità di lavoro.

Formazione professionale e nuove tecnologie. Com’è la preparazione al loro uso?

Per la formazione professionale, e in generale per la scuola, le nuove tecnologie rappresentano un campo, ancora parzialmente da scoprire, che dovrà assumere maggiore importanza in futuro. Difficile immaginare l’evoluzione della formazione professionale senza un’attenzione particolare verso le nuove tecnologie. E mi spiego meglio: oggigiorno anche noi artigiani dobbiamo tenere testa ad una concorrenza globale che, soprattutto a livello di costi di produzione, risulta essere più competitiva rispetto alla nostra. Il costo della nostra manodopera è tra i più alti al mondo e ciò rappresenta sicuramente un handicap se confrontati con altre realtà.

Quali modalità ha, quindi, l’artigiano per poter affrontare comunque un mercato aperto e sempre più senza barriere?

Qualità, serietà, servizio e competenza sono criteri sempre fondamentali per il successo di qualsiasi attività, tuttavia dobbiamo poter offrire i nostri servizi a condizioni più vantaggiose e razionali. Essere un ottimo artigiano ma che costa il 50 % in dell’artigiano che arriva dall’estero non potrà garantirci la sopravvivenza.Ecco che allora che, grazie alle nuove tecnologie, dobbiamo trovare nuove soluzioni per la lavorazione, la gestione e per ottimizzare il lavoro del nostro artigiano.

Con lo sviluppo tecnologico cambiano i modelli di business. Sempre più rapidamente. Quanto è difficile per l’imprenditore e quali difficoltà hanno anche i dipendenti nell’adattarsi a questi cambiamenti? 

Ritengo che, fortunatamente, lo sviluppo tecnologico nell’ambito artigianale possa aver la piacevole conseguenza di far divenire l’artigiano, un artigiano migliore. Imprescindibile rimane sempre e comunque la qualità, la creatività e la precisione del lavoro prodotto dalla capacità artigianale e manuale. La base rimane il lavoro realizzato dalle proprie mani, mentre l’opportunità di migliorarsi ulteriormente passa senza ombra di dubbio dalla capacità innanzitutto delle aziende di adattarsi alle nuove tecnologie, ai cambiamenti, al digitale e alle nuove modalità di lavoro.
Sarà compito delle imprese saper coinvolgere i propri dipendenti e i propri artigiani nel familiarizzare con i cambiamenti e considerarli come un’occasione per un costante miglioramento. Un fattore determinante per aver successo anche in futuro.La sfida è certamente interessante e intrigante per i lavoratori e le aziende in generale, che saranno chiamati a dover adattarsi rapidamente a questa evoluzione.
Pure il sistema formativo svizzero che, è ritenuto a livello universale un modello di grande successo, dovrà dimostrare di aver altrettanto slancio e spirito innovativo nell’adeguarsi ai rapidi ed inarrestabili processi evolutivi in corso. Se lavoratori, imprese e sistema formativo saranno solleciti e attenti nel recepire l’evoluzione dei tempi, ecco che per l’artigianato vedo anche in futuro grandi opportunità di crescita e per ritagliarsi un ruolo d’eccellenza nell’ambito dell’economia svizzera.

Cc-Ti 2019: obiettivo centrato!

Fotografia delle attività della nostra associazione raccolte in un’interessante e inedita infografica. Un viaggio nella nostra realtà con cifre particolari e curiose.

Scorrendo le pagine del numero di Ticino Business di dicembre 2019 – a breve nelle vostre aziende – troverete il 2019 che abbiamo condiviso.

Si va dall’emissione di 40’000 CITES alla redazione di 729’000 (circa) battute sulle 324 pagine della nostra rivista economica. 1’080 persone hanno frequentato uno o più delle nostre 113 proposte formative, e così via…

Scoprite tutti i nostri numeri, scaricando il pdf con l’infografica!

Come aderire alla Cc-Ti? La Cc-Ti propone un ventaglio di servizi mirati alle aziende e alle associazioni di categoria attive sul territorio cantonale. L’offerta di servizi è orientata al sostegno della quotidiana gestione aziendale e associativa così come allo sviluppo del business. Lisa Pantini, Responsabile delle Relazioni con i soci, è a disposizione per dare maggiori dettagli agli interessati. Potete contattarla per e-mail o telefonicamente (+41 91 911 51 32).

Il marchio “Swissness” è un prestigio

Una riflessione del Direttore Cc-Ti Luca Albertoni.

Nonostante chi sottolinea la pubblicazione di ogni dato economico di segno negativo e celebra la partenza di aziende importanti, per il nostro Paese fortunatamente resta centrale il concetto di “Swissness”. Che non è solo il semplice atto di apporre la bandiera svizzera sui prodotti, bensì è soprattutto una questione di approccio e di mentalità.

Forma mentis strettamente legata alla propensione innovativa, come sottolineato recentemente dal brillante intervento del Professor Lino Guzzella all’Assemblea generale ordinaria della Camera di commercio e dell’industria ticinese (Cc-Ti).

In effetti, sotto il termine “Swissness” non ricadono solo norme tecniche o definizioni legate all’origine della merci, bensì una serie di fattori che contraddistinguono il modo di fare impresa elvetico, che ingloba appunto l’innovazione, anche la creatività, il rispetto delle regole, il partenariato sociale, la qualità, la precisione, ecc.. Ed è quasi superfluo sottolineare che l’approccio elvetico non ha un valore apprezzabile solo all’interno dei nostri confini, ma rappresenta qualcosa di quasi inestimabile nel contesto internazionale, come lo dimostrano ampiamente i contatti stabiliti durante le numerose missioni economiche all’estero della Cc-Ti.

Non che ci fosse un bisogno particolare di ulteriori verifiche, ma è comunque importante toccare con mano come questo pregio sia decisivo anche per le aziende ticinesi che operano nel contesto internazionale. Non sono infatti solo marchi storici come Ricola, Läderach e Victorinox, saldamente in mano svizzera, a riscuotere approvazione. Anche chi lavora con prodotti forse meno noti al pubblico, ma facenti caposaldo al nostro sistema elvetico, raccoglie consensi importanti e gode di forte credibilità, ciò che permette di fronteggiare una concorrenza sempre più agguerrita. Questo in barba a taluni superficiali osservatori che ritengono che la nostra economia non sappia più rappresentare i valori succitati. Sbagliato! Lo dimostra il fatto che molte imprese internazionali hanno acquisito prodotti svizzeri molto noti, guardandosi però bene dal recidere il legame, ormai consolidato, con la Svizzera. Sì, perché i vati dell’autarchia nostrana ignorano probabilmente che Ovomaltina è in mani britanniche, che Toblerone appartiene a un’azienda americana, che Feldschlösschen è danese, che Valser appartiene a Coca-Cola e che anche il mitico Aromat non è più di proprietà svizzera ma olandese. Il fatto è che all’estero riconoscono la qualità dei nostri prodotti e del nostro modo di lavorare. Sarebbe un clamoroso autogol se proprio noi facessimo il contrario.

Questione di prospettive

Una riflessione del Direttore Cc-Ti Luca Albertoni.

Non scrivere mai di un posto finché non sei lontano da esso, perché questo ti dà una prospettiva” scriveva Ernest Hemingway.

Come dargli torto? Spesso una sana distanza permette quel distacco sufficiente per meglio comprendere tutte le sfaccettature di una situazione. Vale senza dubbio anche nel caso della nostra realtà ticinese, a volte magari un po’ troppo autoreferenziale e poco avvezza a tener conto delle varie prospettive. Prospettive diverse che non devono certo servire a mascherare cose che non funzionano, ma che possono essere molto utili per apprezzare quanto di buono il Ticino riesce a esprimere e offrire.

Le aziende sono abituate a questo genere di esercizio visto che, sempre più, è richiesta una grande flessibilità e capacità di adattamento, che obbliga a muoversi costantemente e a ottenere il meglio da ogni punto di vista.

Come ho sottolineato in occasione della nostra Assemblea Generale Ordinaria di quest’anno, anche la Cc-Ti è abituata a giostrare fra gli interessi di associazioni, aziende grandi e piccole, rivolte al mercato interno o esportatrici, nessun settore escluso. Come è normale che sia per un’associazione-mantello sorretta da una base estremamente diversificata. Naturale quindi la necessità di tenere conto sempre di prospettive diverse, sia come osservatori, sia come attori. È un principio fondamentale del nostro agire e ammetto che sia un po’ frustrante che non venga percepito e rispettato.

E, parlando di prospettive, quale migliore esempio se non il decalogo di Abramo Lincoln, vero manifesto liberale, di una semplicità quasi disarmante, ma proprio per questo ancora e sempre attualissimo e che andrebbe ricordato instancabilmente.

Il valore delle sue parole è mille volte più significativo di fiumi di inchiostro (o, per essere moderni, di tanti click…) e se, aggiungo, nel corso del tempo esse continuano a risultare attuali ci sarà un perché.

Mi piace ricordare sei principi particolarmente forti (il decalogo completo si trova facilmente su Internet) e che mi piacerebbe tornassero a essere patrimonio comune della discussione pubblica nel nostro cantone:

  1. Non si può rafforzare il debole indebolendo il forte.
  2. Non si possono aiutare gli uomini piccoli abbattendo quelli grandi.
  3. Non si possono aiutare i poveri distruggendo i ricchi.
  4. Non si può elevare il lavoratore dipendente danneggiando il datore di lavoro.
  5. Non si possono costruire carattere e coraggio togliendo all’uomo la capacità d’iniziativa e la sua indipendenza.
  6. Non si possono aiutare gli uomini in maniera permanente facendo per loro ciò che essi potrebbero o dovrebbero fare da soli.

 E sempre in tema di prospettive, ritengo utili ricorrere a due ulteriori citazioni, particolarmente interessanti e sempre reali, visto che ci avviamo verso una campagna referendaria contro la più che necessaria riforma fiscale cantonale.

“Aliquote d’imposta ridotti stimoleranno l’attività economica e alzeranno quindi il livello dei redditi dei cittadini e delle imprese, in modo che nei prossimi anni il flusso di ricavi per il governo federale non diminuirà, ma anzi aumenterà”.

“Ogni dollaro sottratto alle imposte, speso o investito, creerà un nuovo impiego e un nuovo salario. I quali a loro volta creeranno altri impieghi e altri salari, più clienti e più crescita per un’economia americana in piena espansione”.

Chi ha pronunciato queste frasi? Probabilmente in tanti saranno sorpresi nell’apprendere che non si tratta di Ronald Reagan o George Bush, cioè di presidenti americani indicati come campioni del neo-liberismo selvaggio, ma di John Fitzgerald Kennedy, icona (a mio avviso a torto) di una buona fetta della sinistra europea. I due interventi del 1962 e del 1963 dovrebbero far riflettere anche nella nostra piccola realtà ticinese.

È, appunto, questione di prospettive.