Identità elettronica: legge sull’e-ID

Avendo avuto successo il referendum, la popolazione svizzera dovrà votare, il 7 marzo 2021, la legge federale sui servizi di identificazione elettronica (LSIE), ovvero il quadro giuridico relativo all’identità elettronica, o e-ID.

La sua definizione

L’e-ID è sostanzialmente un login riconosciuto a livello statale che consente l’identificazione univoca di una persona su Internet. Questo strumento permette, ad esempio, di accertare in modo sicuro che la persona XY è effettivamente colei che dichiara di essere. L’identità elettronica (e-ID) è un’identità digitale verificata dallo Stato che garantisce l’accesso sicuro ad autorità, banche, negozi e persino agli affari politici. L’e-ID rende possibile anche la sottoscrizione di contratti.

A detta dell’Incaricato federale della protezione dei dati Adrian Lobsiger, “oggi ciascuna banca, società e amministrazione che deve ricorrere a un login affidabile ha bisogno di una soluzione specifica. L’e-ID consente invece una standardizzazione legale per la sicurezza tecnica e la protezione dei dati.” L’e-ID non è obbligatoria. Per ottenerla occorre richiederla a uno dei fornitori riconosciuti dalla Confederazione.

Una soluzione win-win

Molti prodotti e servizi si possono acquistare in Internet soltanto con una registrazione online. L’utente desidera effettuare la registrazione nel modo più semplice possibile, mentre il fornitore di un prodotto o di un servizio vuole sapere con certezza chi si registra.

Lo Stato soddisfa entrambe queste due esigenze fissando nella nuova legge regole chiare e rigorose per una procedura di identificazione semplice ma sicura e affidabile sia per gli utenti che per i fornitori. Lo Stato esercita dunque la sua funzione classica: emana regole giuridiche chiare e rigorose e ne sorveglia l’applicazione dal principio alla fine.

A tale scopo inoltre istituisce due nuovi organi:

  • il Servizio delle identità presso l’Ufficio federale di polizia (fedpol) che, prima del rilascio di un’Ie, verifica la correttezza dei dati personali.
  • la Commissione federale delle Ie (COMIe) che riconosce i fornitori e i loro sistemi e veglia sul rispetto della legge e richiedente e dia il nullaosta per il rilascio dell’Ie.

La nuova legge impone a tutti i soggetti coinvolti obblighi rigorosi in merito alla protezione dei dati utilizzati per l’identificazione elettronica. I dati non possono essere impiegati per altri scopi, il che significa che i fornitori di servizi d’identificazione elettronica non possono comunicarli a terzi. L’Incaricato federale della protezione dei dati e della trasparenza ha un ruolo attivo nell’attuazione della legge. Nel complesso, le disposizioni sulla protezione dei dati previste dalla LSIe sono più severe rispetto agli standard usuali in materia. La soluzione prevista dalla LSIe riduce l’onere amministrativo e quindi la burocrazia, il che è di importanza centrale per l’evoluzione dei settori dell’e-commerce e dell’e-government. La legge svolge dunque un ruolo chiave per il futuro della digitalizzazione.

Sono solo gli utenti a decidere in merito ai propri dati

L’e-ID ha carattere del tutto volontario. Se una persona desidera un login riconosciuto a livello statale, ovvero una e-ID, presenta una richiesta in tale senso presso un IdP certificato, il quale inoltra tale domanda allo Stato. Quest’ultimo verifica se la persona ha effettivamente presentato la richiesta ed è d’accordo con le relative condizioni, e provvede poi a inoltrare all’IdP soltanto i dati strettamente necessari per l’identificazione della persona. In questo modo il soggetto in questione rimane assolutamente padrone dei propri dati.
Tale garanzia viene fornita anche in seguito per gli/le utenti di un’e-ID. In occasione dell’impiego di un’e-ID si verifica uno scambio di dati soltanto se l’utente fornisce la propria espressa autorizzazione a riguardo. Sono trasmessi soltanto i dati necessari per lo scopo previsto (ad es. per la protezione della gioventù). Se ad esempio un’e-ID è utilizzata per la verifica dell’età necessaria per l’accesso a un casinò online, non viene comunicata l’età esatta (ad es. 30 anni), bensì viene soltanto confermato che la persona è maggiorenne.
Questo significa che gli IdP non hanno libero accesso ai registri statali. Questi ultimi possono essere consultati soltanto in occasione dell’emissione dell’e-ID presso lo Stato, e ciò a sua volta avviene soltanto previo assenso della persona interessata.
Per contro nella fase di utilizzo dell’e-ID non sono coinvolte entità statali, alle quali non vengono infatti trasmesse informazioni di sorta circa l’impiego dell’e-ID stessa. Lo Stato, quindi, non vede per quali finalità viene utilizzata l’e-ID. Questo scenario è esplicitamente escluso nella ripartizione dei compiti tra Stato e privati prevista nella LSIe, in quanto i dati non vengono conservati e amministrati in modo centralizzato presso una delle parti.

Per riassumere sull’e-ID

Si tratta di una soluzione prettamente svizzera, che evita il ricorso a servizi di identificazione di gruppi tecnologici stranieri: l’identità elettronica verificata e sicura sostituisce password e login. Consente di svolgere operazioni ufficiali, di stipulare contratti ed eseguire verifiche dell’età senza perdere tempo a stampare, fotocopiare e scannerizzare documenti. La protezione dei dati inoltre è regolamentata: tutti i dati devono essere salvati in Svizzera in conformità al diritto svizzero.
I titolari dell’e-ID stabiliscono chi è autorizzato a visualizzare ciascuna tipologia di dati. L’e-ID assicura maggiore controllo e trasparenza e offre protezione contro l’usurpazione d’identità.

La protezione dei dati

Le disposizioni sulla protezione dei dati relative all’e-ID sono più severe del solito. È vietato l’utilizzo dei dati per qualsiasi altro scopo. I fornitori dell’e-ID non possono trasmettere i dati a terzi. Chi utilizza l’e-ID può accedere online ai propri dati e stabilire personalmente le autorizzazioni per la condivisione dei dati. Inoltre, tutti i dati devono essere salvati in Svizzera.


La Cc-Ti raccomanda di votare SÌ il prossimo 7 marzo.

Fonte:
www.admin.ch
www.swissbanking.org/it/temi/digitalizzazione/identita-elettronica-eid
www.ejpd.admin.ch/ejpd/it/home/temi/abstimmungen/bgeid.html

Dal 1° marzo occorre riaprire!

In data odierna l’Unione Svizzera delle Arti e Mestieri (USAM) ha presentato una strategia e una chiara richiesta di riapertura delle attività economiche per il prossimo 1° marzo. In sostanza, il rispetto delle misure di protezione (distanze, mascherina, igiene delle mani), sommato al contact tracing, ai test a tappeto e alle vaccinazioni, dovrebbe permettere di porre fine alle limitazioni attuali. La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino, quale associazione mantello dell’economia ticinese e, al contempo, sezione ticinese dell’USAM, sostiene senza riserve tale richiesta.

In questo anno di crisi pandemica le aziende hanno dimostrato alto senso di responsabilità, rispettando le istruzioni delle Autorità e predisponendo le misure di protezione richieste, investendo anche molti soldi. Malgrado questo vi sono state chiusure inspiegabili e contraddittorie. È evidente che le misure di gestione della crisi sanitaria vanno decise sulla base di fatti, non di tentativi. E i fatti indicano che, fortunatamente, la curva dei contagi è in calo, che attualmente le strutture sanitarie dispongono delle riserve necessarie, ma, al contempo, che purtroppo una chiusura prolungata ha creato, e sta creando, gravissimi danni economici. Questo non significa non tenere conto delle mutazioni del virus che attualmente preoccupano tutti noi, ma la chiusura ad oltranza non può più essere l’unica strategia.

Proprio per evitare di dover sopportare ulteriori conseguenze negative per i nostri posti di lavoro, per il nostro benessere, e, non in ultima analisi, per le nostre vite, a partire dallo scadere previsto il 1° marzo delle misure di chiusura attualmente in vigore, l’economia deve poter ripartire.

Non si intravvedono valide ragioni per non farlo, soprattutto laddove il rispetto delle misure di protezione è garantito. Premesso ovviamente che, come andiamo ripetendo da ormai un anno, la tutela della salute di tutti, compresi le lavoratrici e i lavoratori continua a rappresentare un obiettivo primario ed indiscusso.

Pensiamo pure alle pesanti conseguenze determinate dalle limitazioni, che tengono in ostaggio le giovani generazioni, impedendo loro di appropriarsi del loro futuro.

Come già ripetutamente sottolineato, nel settore lavorativo sono state da tempo introdotte efficaci regole comportamentali atte a evitare i contagi. Grazie a queste norme sappiamo che, in generale, sono piuttosto gli assembramenti incontrollati e i comportamenti individuali non conformi alle regole a essere problematici. Laddove esistono chiare ed efficaci istruzioni, non è pertanto opportuno mantenere divieti di attività.

In un momento in cui non è possibile dare certezze assolute, le aziende ticinesi hanno bisogno perlomeno di una prospettiva.

È pertanto indispensabile che il Consiglio federale dichiari già sin d’ora la riapertura per il prossimo 1° marzo delle attività che garantiscono il rispetto delle norme di sicurezza vigenti. L’attività economica necessita di una chiara visione e la riapertura va annunciata con un sufficiente anticipo per permettere alle nostre aziende di organizzarsi al meglio.

Ribadiamo che le aziende sono preparate, da tempo, a farsi trovare pronte con le opportune misure di protezione e, dove è il caso, aggiornate. Le imprese sono anche disponibili per avere un ruolo attivo in termini di vaccinazioni e di test a tappeto, qualora l’Autorità cantonale ritenesse opportuno il loro coinvolgimento come già avviene in parte in altri cantoni.

È però fondamentale che il Consiglio federale presenti, a più di un anno di distanza, una chiara visione per la ripartenza, nella quale l’attività economica non sia relegata in secondo piano, ma sia una componente essenziale, parallelamente alle puntuali valutazioni sanitarie, anche per le implicazioni sociali delle unità lavorative. Ulteriori chiusure non suffragate da fatti chiari non sono pertanto né accettabili né sostenibili. Attenzione a voler allungare la strada delle limitazioni, stiamo marciando con scarpe che già evidenziano segni di usura.

L’equilibrio è essenziale

Dalla semplificazione del sostegno per i casi rigore alle proposte della Cc-Ti per salvaguardare il tessuto imprenditoriale ticinese

Se da un lato, l’allentamento delle regole sui casi di rigore per gli aiuti alle attività economiche più colpite dalle restrizioni rappresentano un importante intento, dall’altro è inutile nascondere che talune disposizioni imposte da Berna, pur considerando la complessità della situazione, appaiono difficilmente comprensibili.
In primo luogo, la definizione di “beni di prima necessità” pone problemi di determinazione non indifferenti. In tedesco si parla di “Systemrelevant”, ma la sostanza è la stessa. Tutti gli attori economici sono attori essenziali, per loro stessi e per il sistema. A meno di arrischiare affermando che ci si limita ai farmaci e all’alimentare, che sembrerebbe alquanto riduttivo non solo dal punto di vista economico ma anche da quello sociale.
Mal si capisce perché le calze sono più indispensabili delle scarpe. Un pericolo di simili misure è che non vi sia solo uno scollamento tra politica, economia e popolazione, ma anche un imprudente conflitto tra i settori economici messi in concorrenza fra di loro per accedere a sostegni.
Alla politica la decisione su chi è meritevole e chi no?

Uno dei propositi importanti della Cc-Ti è quello, a livello cantonale e nazionale, di mantenere l’economia unita e con una chiara unità di intenti, evitando di scatenare quelle che potrebbero rivelarsi tristi “guerre fra poveri”.
L’obiettivo deve essere chiaro: rigoroso rispetto delle norme di sicurezza, ormai risapute e applicate, per poter lavorare. Il posto di lavoro non è il luogo dove avvengono principalmente i contagi, anzi. Per questa ragione, laddove si rispettano le regole di sicurezza, si deve poter continuare a lavorare.
Purtroppo, oggi fra negazionisti e fautori di chiusure totali è sempre più difficile trovare uno spazio di ragionevolezza entro il quale fare riflessioni senza polemica alcuna. Difficile per molte attività, facciamo l’esempio di quelle sportive professionistiche, sentirsi dire “bravi, avete preso tutte le misure di sicurezza che NOI vi abbiamo indicato (anche molto costose), ma in realtà non servono a nulla e ora giocate senza pubblico”. Qualcosa non torna.

Tutto sommato in Svizzera possiamo ritenerci fortunati e abbiamo mezzi a disposizione quali aiuto notevole in un momento di grave difficoltà come quello attuale.
Benvenuto il riconoscimento automatico dei casi di rigore di tutte quelle attività che, a partire dal 1° novembre 2020, hanno dovuto chiudere per almeno 40 giorni su ordine dell’autorità, così come l’aumento dei contributi a fondo perduto. Alle imprese non servono solo sovvenzioni, quello che chiedono a gran voce è la certezza di poter riprendere a lavorare al più presto.
Inoltre, è importante sottolineare che non stiamo parlando di regali alle aziende. I prestiti vanno rimborsati e anche le estensioni delle prestazioni nel lavoro ridotto e nelle indennità IPG non sono che l’uso dei contributi già pagati da aziende e lavoratori. Lo Stato non sta regalando nulla.

Sostenere le aziende è fondamentale nell’ottica della ripresa futura

Il termine corretto, ora, è indennizzo

Il caso in cui è lo Stato a chiudere le attività è simile a un esproprio. Fondamentale è che gli indennizzi, perché d’indennizzo dobbiamo parlare e non di aiuti “tout court”, siano erogati nel più breve tempo possibile, senza intoppi o lungaggini burocratiche.
Non c’è tempo da perdere. Dalla rapidità nello stanziamento dei contributi, dipenderà l’efficacia dell’intervento di sostegno per i settori, perché non va dimenticato che le attività sono interconnesse e nessuna è esclusa dalle difficoltà. Pensiamo, per esempio, all’industria. Fortunatamente può continuare a lavorare, ma è confrontata ad una situazione internazionale che definire incerta è un eufemismo. A taluni settori si è prestata troppo poca attenzione, perché non direttamente toccati dalle chiusure. Ma si tratta degli stessi distretti che, fornendo prodotti e servizi alle imprese costrette a chiudere, hanno visto drasticamente ridursi anche il loro giro d’affari. Tutti gli attori delle filiere hanno bisogno di essere sostenuti prima di essere travolti da costi e spese a cui non riescono più a far fronte.

La prolungata chiusura di bar e ristoranti, ad esempio, sta mettendo alle corde tutta la filiera agroalimentare ticinese: contadini, allevatori, macellai, panettieri, alpigiani, viticoltori. E questi sono solo alcuni dei settori concatenati alla categoria citata. Non da ultimo, come sollecitato da più parti, sarebbe stato opportuno ridurre al 25-30% la soglia minima di perdita del fatturato per beneficiare del programma di sostegno, che è invece rimasta al 40%. Una percentuale che in molti casi equivale purtroppo già a un fallimento.

In Ticino, per il finanziamento dei casi di rigore, sono stati stanziati per ora a 75,6 milioni di franchi (quasi 52 milioni dalla Confederazione e oltre 24 a carico del Cantone), ai quali le aziende potranno attingere attraverso contributi a fondo perso oppure tramite fideiussione. Il piano d’intervento è regolato da un decreto legislativo, proposto con la clausola d’urgenza, per cui l’accesso ai sostegni finanziari, una volta ottenuto il via libera dal parlamento, dovrebbe essere immediatamente operativo (prima che in altri cantoni). Si pensa già a febbraio 2021.

Non c’è contrapposizione tra economia e salute

La seconda ondata pandemica, nonostante il susseguirsi di parziali lockdown, ha ridato prepotentemente fiato alla pericolosa, quanto fasulla, contrapposizione tra economia e salute.
C’è chi nel nome della difesa della salute pubblica ha riproposto, senza mezzi termini, un lockdown generale o quanto meno la chiusura di tutte le attività definite “non essenziali”. Come già ribadito resta da vedere sulla base di quali fantasiose distinzioni si possa qualificare essenziale o meno un esercizio economico. Ogni attività è indubbiamente indispensabile per chi la svolge, poiché assicura lavoro e reddito, ma soprattutto contribuisce ad incrementare quella ricchezza generale di cui beneficia tutta la società. Un’attività interrotta presuppone una filiera di attività a essa correlate in grave difficoltà, anche se non coinvolte direttamente dai divieti.
L’economia non può essere strutturata in compartimenti stagni. È un flusso continuo di lavoro, idee, scambi e innovazione, che si alimenta nel libero gioco della domanda e dell’offerta, per cui la rottura anche di un solo anello si ripercuote alla fine sui risultati di tutto il sistema.

La salute è il bene primario da tutelare, non si discute

Le nostre imprese hanno dimostrato con i fatti un grande senso di responsabilità, adeguandosi subito alle indicazioni della Autorità sanitarie e investendo anche parecchio per prevenire i contagi e tutelare i dipendenti. Non si tratta, infatti, di decidere se mettere al primo posto la salute pubblica o l’economia, questa è un’alternativa fuorviante, perché entrambe sono le facce di una stessa medaglia: il benessere della società.
C’è una forte interdipendenza tra economia e salute: in un Paese economicamente stabile, si vive molto meglio, la sanità e la rete di protezione sociale sono efficienti. Se non c’è questo equilibrio, che assicura un solido gettito fiscale, ci saranno meno soldi da investire per mantenere, ad esempio, l’eccellenza sanitaria e garantire cure e assistenza adeguate per tutti. A ben guardare anche la gestione di questa pandemia è riconducibile, per certi versi, a un problema di scelte economiche: decidere dove e come utilizzare le risorse per contenere la propagazione del contagio, quali apparati sanitari e dispositivi di prevenzione sono da potenziare, in che modo e con quali sostegni ridurre i danni economici e sociali.

Il termine corretto, ora, è indennizzo

Le proposte della Cc-Ti

Le preoccupazioni sull’andamento futuro della nostra economia permangono e rimarranno a lungo. Sostenere le aziende ed evitare che si indebitino è un esercizio fondamentale nell’ottica della ripresa futura. Ci vogliono coraggio e tempestività, forzando anche un po’ il rigore finanziario, certo essenziale, ma non un dogma imprescindibile quando si tratta di salvare un intero sistema economico.  Un’economia eccessivamente indebitata non avrà la capacità di risollevarsi e sarà esposta maggiormente al rischio di fallimento, mentre il settore pubblico potrà riassorbire l’indebitamento con maggiori prospettive. La Cc-Ti ha indicato al Consiglio di Stato una serie di misure mirate da affiancare a quelle già predisposte dalla Confederazione e dal Cantone. Su alcune di esse – ammortamenti accelerati in ambito fiscale, maggiori possibilità di accantonamenti e alleggerimento di talune procedure per le commesse pubbliche – il Governo si è detto pronto ad un approfondimento.
Su altre richieste per noi essenziali, che ricordiamo qui di seguito, la discussione è ancora aperta.

Accantonamenti COVID-19. Si tratta di una misura già adottata da alcuni Cantoni. Considerata l’eccezionalità e la gravità dell’attuale fase, siamo convinti che è possibile trovare una soluzione compatibile sia con la tempistica delle dichiarazioni fiscali che con le reali esigenze delle aziende.

Telelavoro e digitalizzazione. Auspichiamo che tutti gli uffici statali siano operativi e raggiungibili dall’utenza con modalità digitali, al fine di ottimizzare i loro servizi alla collettività.

Indipendenti e titolari di aziende. Riteniamo che queste figure, che rappresentano un tessuto imprenditoriale di fondamentale importanza, vadano aiutate oltre le semplici prestazioni assistenziali, come si è fatto in altri Cantoni. 
L’intervento, ad esempio, del Canton Vaud per sostenere spettacoli e rappresentazioni culturali, non limitato alla sola esenzione di alcuni balzelli, potrebbe essere un modello.

Promozione del territorio. Nel corso della prima ondata, la Svizzera si è distinta sulla scena internazionale per l’efficacia e la rapidità dei suoi interventi. Potenziali investitori esteri hanno potuto constatare la tempestività dei provvedimenti adottati per sostenere l’economia, accrescendo ai loro occhi l’immagine di affidabilità del nostro Paese.
Un capitale reputazionale che comprende anche il nostro Ticino. A tal fine andrebbero coordinati maggiormente i servizi cantonali preposti, per offrire un’adeguata accoglienza a chi vorrebbe trasferirsi nel nostro Paese. È difficile, però, promuovere il territorio senza una strategia concertata e, ancora peggio, in presenza di barriere che vanificano i fattori di attrattività della Svizzera e del Ticino.

La soluzione non è fermare l’attività di tutte le aziende: l’economia siamo tutti noi

Comunicato stampa congiunto a firma di Cc-Ti, ABT, AITI, SSIC-TI e UAE

Premesso che la tutela della salute delle lavoratrici e dei lavoratori rappresenta un obiettivo primario ed indiscusso, le associazioni economiche ticinesi si oppongono fermamente ad una chiusura generalizzata delle attività lavorative come proposto dal sindacato UNIA.
In primis, non è sul posto di lavoro che avvengono principalmente i contagi, anzi. Secondariamente una chiusura generalizzata creerebbe un danno economico enorme, con pesanti conseguenze anche sugli anni a venire.

Le associazioni firmatarie del presente comunicato ribadiscono che la gestione della crisi sanitaria rappresenta una priorità della nostra politica e che la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori rimane un obiettivo fondamentale da perseguire.

Proprio per questa ragione negli ambienti di lavoro sono state introdotte chiare regole di tutela comportamentali atte a evitare i contagi. Si pensi ai piani puntuali di protezione differenziati per settore, alle dettagliate raccomandazioni della Seco per i datori di lavoro nelle quali si fissano e si ribadiscono direttive quali, ad esempio, l’obbligo della mascherina, le distanze, l’installazione di divisori tra le postazioni, l’invito a ricorrere al telelavoro, ecc..

Grazie a queste norme oggi sappiamo che non è sul posto di lavoro che avvengono principalmente i contagi.

Ne consegue che, laddove esistono chiare ed efficaci regole, non è opportuno introdurre divieti generalizzati di attività.

Tali divieti, come indicato, non otterrebbero infatti comunque l’obiettivo dichiarato e, per contro, causerebbero pesanti e preoccupanti effetti collaterali alla nostra economia e ai posti di lavoro.

Inoltre, nonostante le parziali e settoriali misure di chiusura ormai già in vigore da settimane, non si notano purtroppo effetti rilevanti sulla curva dei contagi.

Ciò permette perlomeno di sollevare dubbi sull’efficacia di tali misure.

Per queste ragioni le associazioni firmatarie del presente comunicato ritengono sproporzionato introdurre un lock down per tutte le attività cosiddette “non indispensabili”.

Anche perché non si ravvisa un chiaro criterio per stabilire quando un’attività non sarebbe indispensabile. Per ogni lavoratore e lavoratrice, come per ogni imprenditore, la propria attività è certamente indispensabile. Ogni posto di lavoro, ogni azienda sul nostro territorio, contribuisce infatti a creare e mantenere, in silenzio ma molto concretamente, quel benessere al quale siamo abituati. Nemmeno nella primavera dello scorso anno, durante la prima ondata, la Svizzera ha optato per un lock down generalizzato e totale; anche attualmente paesi come la Germania o l’Inghilterra permettono lo svolgersi di numerose attività professionali.

«I ripetuti “stop and go” fanno male all’economia»

Intervista di Gianni Righinetti al Direttore Luca Albertoni, apparsa sul Corriere del Ticino il 22.12.2020

Luca Albertoni da oggi scatta lo stop per la ristorazione fino al prossimo 22 gennaio. Il settore, fondamentalmente, paga per tutti l’avanzata dei contagi?

«L’impressione è purtroppo questa ed è demoralizzante per un settore, che, come tutti gli altri, ha compiuto ingenti sforzi sia organizzativi che finanziari per implementare le misure di sicurezza richieste dalle autorità. Se pensiamo ad esempio agli assembramenti incontrollati nei trasporti pubblici e negli spazi pubblici comuni, la sproporzione della misura appare ovviamente manifesta. In questo contesto mi preme sottolineare come tutti i settori economici, aziende grandi e piccole, abbiano dato il massimo per garantire la sicurezza, tanto che il luogo di lavoro è ritenuto responsabile dei contagi in misura assai ridotta. Di questo dato effettivo, troppo spesso, non si tiene conto».

La ristorazione, per effetto del rilassamento natalizio e in vista del capodanno, poteva davvero diventare fonte di focolai a raffica?

«In un contesto in cui vengono garantite le misure dettate dalle Autorità, sono i comportamenti individuali a fare la differenza. Se i singoli non rispettano le regole, allora tutto diventa problematico, e la fonte dei focolai poco identificabile. Esperti improvvisati ce ne sono fin troppi e io non faccio parte di questa schiera, perché ritengo che questo virus vada affrontato con serietà e soprattutto umiltà. È però lecito porsi la domanda: una cena di 4 persone in un ristorante con le distanze e tutte le misure di igiene è più pericolosa di un/una cenone/festa in un contesto privato senza precauzioni? È l’Autorità a doversi fare la domanda e dare la risposta».

A nessuno sfugge che questo ramo economico funge da motore per tanti altri. Teme che le ricadute negative a catena saranno molte e pesanti?

«Abbiamo la fortuna di avere un tessuto economico diversificato, per cui spesso le difficoltà di un settore sono compensate da altri. Ricordo, ad esempio, che durante il lockdown primaverile l’industria fortunatamente ha potuto continuare a lavorare, seppure a ritmi ridotti, in tutta sicurezza, rivelandosi fondamentale per il mantenimento di un sostenibile andamento economico generale. Nel caso concreto, se si riuscirà a far continuare a funzionare il sistema economico senza troppe limitazioni, si potrebbero limitare i danni. È ovvio che in un meccanismo complesso e interconnesso come quello economico, ogni piccolo ingranaggio che si blocca ha conseguenze su molti altri. Vale per tutti i settori, nessuno escluso».

Dicembre doveva essere il mese buono per tentare di permettere all’economia di chiudere l’anno con il sorriso. E invece rischia di essere un mese poco positivo. Quanto peserà sul bilancio annuale?

«L’impatto sarà certamente negativo, quantificarlo esattamente al momento attuale è difficile, anche perché i parametri ai quali fare riferimento per delle previsioni cambiano continuamente. L’economia svizzera e quella ticinese, che segue le tendenze nazionali, sono riuscite, tutto sommato a limitare i danni nel 2020 e l’andamento è stato, per certi versi, meno negativo del previsto. Il livello delle esportazioni è riuscito, ad esempio, a risollevarsi su livelli buoni. Occorre però ragionare su un termine più lungo di quello annuale, visto che vi sono ancora molte aziende in lavoro ridotto. Inoltre, i prestiti COVID hanno dato un sostegno molto utile a parecchie aziende per sopravvivere, ma esse ora si trovano indebitate. Non sto parlando di quelle imprese considerate “decotte” e che avrebbero terminato il loro cammino per evoluzione naturale delle cose, ma di imprese sane che finora non avevano alcun debito e hanno dovuto, verosimilmente, erodere le proprie riserve. È una realtà che rischia di avere un peso specifico significativo».

Il 2021 partirà con il freno a mano tirato all’insegna della più grande incertezza. Come si può avere fiducia in questo contesto?

«Gli imprenditori sono abituati a confrontarsi con ogni genere di difficoltà e la grande voglia di lavorare e di recuperare dimostrata in questi mesi è la migliore garanzia in questo senso. Evidentemente i ripetuti “stop and go”, celebri nel contesto della Formula 1 per aumentarne l’elemento spettacolare, non si adattano all’economia, che si ritrova a dover quasi vivere alla giornata. L’impossibilità di pianificare su un termine, non dico lungo ma almeno medio, è un veleno pericoloso per tutti i settori. Penso, ad esempio, agli investimenti, fondamentali per rimanere competitivi e quindi anche assicurare l’occupazione. È un peccato perché le aziende ticinesi, negli scorsi anni, avevano dimostrato una grande propensione agli investimenti, spesso superiore alla media degli altri cantoni. Ma in queste condizioni diventa, oggettivamente, molto più difficile».

Le previsioni della Segreteria di Stato per l’Economia (SECO) sono però positive per l’anno a venire. Lei ci crede?

«Le previsioni, purtroppo o per fortuna, sono spesso fatte per essere smentite. Quelle pubblicate finora partono dal presupposto che la situazione epidemiologica rientri in parametri più controllabili e quindi sostenibili. Su questa visione nutro qualche serio dubbio, a corto termine. Gli esperti non avevano previsto un impatto così forte della seconda ondata che stiamo vivendo. Le nostre aziende, per fortuna, vivono di professionalità ed esperienza e non di previsioni. Tutto dipenderà, ancora una volta, dalle misure che saranno prese dalle Autorità. Si parla anche di possibile effetto rimbalzo, cioè una forte crescita dei consumi quando la situazione sul fronte della salute si calmerà. Penso sia più un auspicio che una certezza».

Da Berna e dal Ticino sono giunte decisioni chiare su chiusure e limitazioni. Dal vostro punto di vista si può dire che ci sia stata altrettanto chiarezza sugli aiuti puntuali?

«In generale nel nostro paese siamo messi piuttosto bene, gli aiuti sono importanti, effettivi e rapidi, pur avendo dovuto calibrarli a situazioni non contemplate dalla legislazione. Purtroppo, a volte, la questione degli aiuti segue solo in un secondo tempo quella delle limitazioni e in questo senso forse manca una strategia che tenga conto di entrambi gli aspetti in modo parallelo alle decisioni. Forse è più “facile” e immediato prevedere le limitazioni, ma la giusta attenzione alla salvaguardia del settore sanitario non deve distogliere dall’obiettivo di salvare un sistema economico di cui beneficiamo tutti. Non si tratta di fare regali, ovviamente, ma certamente è necessaria la massima attenzione sugli effetti finanziari di ogni singola misura restrittiva. Limitazioni e aiuti devono procedere di pari passo».

Per quanto concerne il Ticino domani si conosceranno le regole per i casi di rigore. Siete stati consultati? Sapete già cosa proporrà il Consiglio di Stato?

«Non vi è stata una consultazione formale, probabilmente perché si intende prendere come riferimento l’attuale base legale federale. Non mi aspetto quindi particolari sorprese rispetto ai settori praticamente fermi e già definiti come destinatari (come gli organizzatori di eventi, le agenzie di viaggio, ecc.). Tuttavia, nessun settore deve venire escluso a priori se adempie le condizioni. Dal nostro cantone ci aspettiamo anche un approccio coraggioso, come stanno facendo altri cantoni, che hanno previsto aiuti a fondo perso oltre i parametri stabiliti dal diritto federale. Penso ad esempio a Ginevra, Vaud o Argovia».

Dal week-end anche in Svizzera abbiamo qualche certezza in più sul vaccino. Questo può aiutare l’economia o l’incertezza dettata dal virus finirà per tarpare le ali ancora per mesi e mesi?

«Il nostro primo pensiero è per le persone a rischio che potranno finalmente, con ogni probabilità, riconquistare lentamente una serenità quotidiana e diminuire le complicazioni per la propria salute. È chiaro che ogni elemento che permette di recuperare una certa normalità sarà certamente d’aiuto. Da quanto abbiamo appreso gli effetti del vaccino, in generale, si vedranno però solo dopo mesi. Con queste premesse, penso che anche nel 2021 faremo i conti con una grande incertezza legata alla situazione sanitaria, sperando che essa sarà comunque più facilmente gestibile. Incertezza forse ridotta ma che comunque continuerà ad avere, purtroppo, un impatto importante sulla ripresa della nostra economia. Un miglioramento, sebbene non risolutivo, sarebbe comunque fondamentale, per ridare al nostro tessuto cantonale e nazionale la spinta necessaria per uscire dalla continua gestione di crisi e potersi dedicare maggiormente a progetti più positivi e propositivi. Il vaccino non sarà comunque la panacea di ogni male, purtroppo. Le persone e le aziende saranno ancora, per tanto tempo, chiamate a fare la differenza».

Le aziende sono fatte di persone

Intervista ad Andrea Gehri, che dal 1° gennaio 2021, assumerà la carica di Presidente Cc-Ti.

Dal gennaio prossimo, lei succederà a Glauco Martinetti alla presidenza della Cc-Ti, in un momento tutt’altro che semplice per la nostra economia. Non ci siamo ancora ripresi dalle pesanti conseguenze della prima ondata del Coronavirus ed ecco che il nuovo aumento dei contagi porta il rischio di un secondo lockdown generalizzato. Come intende affrontare questa sfida per la Cc-Ti?

Come andiamo ripetendo da quando siamo confrontati con il Coronavirus, il rispetto per le esigenze sanitarie e la salute di cittadine e cittadini è ovviamente prioritario. Detto questo, sono necessarie anche altre riflessioni, perché resta comunque centrale la questione di trovare un equilibrio fra le menzionate esigenze e quelle economiche. Perché, detto magari un po’ brutalmente, se l’economia si ferma o anche solo rallenta, come possono venire generati i mezzi per far funzionare il sistema, compreso quello sanitario? Chi asserisce che gli imprenditori pensano solo al soldo, si sbaglia di grosso. Persone e aziende avanzano su binari paralleli, le aziende sono fatte di persone e dalle persone, quindi la priorità della salute è sempre in primo piano. Fatta certa questa considerazione, il benessere della popolazione dipende anche dall’andamento economico del Paese. Non bisogna dimenticare che le nostre famiglie, la nostra società deve avere anche certezze economiche per sostenere e fronteggiare le tante scadenze personali. Ripeto. Le persone e l’economia devono sostenersi nella protezione reciproca per avere un futuro comune in positivo e sereno. L’economia siamo tutti noi, cittadine e cittadini parte di un solo sistema e considerare l’economia come qualcosa di astratto addirittura ostile è un errore, purtroppo comune, ma gravissimo. Possiamo asserire che le imprese hanno dimostrato grande senso di responsabilità, investendo molto sulla sicurezza e sulle richieste misure di protezione, tanto che è piuttosto raro che ci si ammali sul lavoro. Le mancanze di alcuni non devono fare da esempio. Peccato che di questo non si tenga abbastanza conto e si tenda a criminalizzare tutti sulla base di qualche episodio non giustificabile in alcun modo, predisponendo poi misure a volte non commisurate, contradditorie e discutibili. Se il comportamento del singolo fuori dal contesto lavorativo non è disciplinato, accanirsi sulle attività economiche ha poco senso ed è dannoso per tutti.

La sua azienda, la Gehri Rivestimenti SA, è rappresentativa della rapida evoluzione tecnologica del settore dell’artigianato ma anche di quel ricco e diversificato tessuto di piccole e medie imprese che ha fatto la fortuna della Svizzera e del Ticino. Oggi però è soprattutto sulle PMI che si scarica la pressione della crisi generale provocata dal COVID-19, col rischio di minarne la forza e le potenzialità.

Dobbiamo riconoscere che finora le autorità si sono mosse rapidamente e in modo efficace, in particolare durante la prima ondata COVID-19. È comunque articolato proporre soluzioni perfette per esigenze immensamente diversificate. Le azioni d’emergenza messe in atto hanno aiutato a tamponare e limitare i danni, hanno sorretto un sistema preso alla sprovvista e disorientato da una realtà impensabile. L’andamento economico avrebbe potuto soffrire ancora più pesantemente di quanto la realtà del momento si è poi dimostrata. A Attenzione, non illudiamoci in nessun modo che la situazione sia sotto controllo. Non dobbiamo dimenticare che molte aziende sono ancora in regime di lavoro ridotto e che tante PMI, che non erano indebitate sino a quest’anno, hanno dovuto attingere a riserve non sempre ingenti e, alla fine, hanno dovuto ripiegare sugli aiuti per poter sopravvivere. Gli imprenditori hanno, e stanno, lottando per mantenere “in corsa” le proprie attività. Aggiungere, in un periodo come questo, una grande pressione quale è un debito aziendale per un imprenditore è segno di grande responsabilità. Serietà verso i propri collaboratori e le loro famiglie, e serietà verso un territorio che conta su queste tutte figure fondamentali. I prossimi mesi metteranno ancora a dura prova la realtà economica del nostro Paese. Quanto faticosamente raggiunto e assicurato nei tanti mesi di pandemia già trascorsi rischia di essere nuovamente messo in discussione. Il mondo intero si muove intorno a noi con misure e modalità nuove e non sempre facilmente sostenibili per le aziende più piccole. Abbiamo imparato a reinventarci, a lavorare duramente per mantenere gli accordi e la qualità che ci rappresentano da sempre, stiamo costruendo una nuova realtà nell’interesse di tutti i settori per restare concorrenziali e presenti sui mercati. È con questo intento che le realtà aziendali volgono il proprio sguardo verso coloro che, sopra tutti, devono aiutarci a fare il nostro bene. Sottolineo che è assolutamente necessaria una seria e propositiva riflessione sui criteri dei casi di rigore e sugli aiuti a fondo perso, senza i quali molte attività di base in taluni settori economici finora sani rischieranno di dover chiudere. Quanto deve essere messo a disposizione non può essere un’incudine che trascina a fondo un sistema già duramente messo alla prova, ma una rete di protezione che permetta alle nostre aziende di ricominciare, riprendere, rispondere alle nuove sfide. La ripartenza dell’economia si materializzerà, siamone certi, e allora dovremo disporre di un tessuto economico agile e in salute, pronto per la ripresa.

Nell’ultimo studio del Credit Suisse sui Cantoni più attrattivi per le aziende, il Ticino si è piazzato in fondo alla classifica, al 23esimo posto. Come spiega questa valutazione? Un segnale allarmante per il futuro della nostra economia?

La valutazione dei tanti studi che vengono fatti non risponde mai a una teoria univoca. La stessa posizione del Ticino dipende dal tipo di studio che viene condotto. Quello menzionato ci colloca da anni in fondo alla classifica soprattutto per tre motivi: il territorio considerato non facilmente raggiungibile (almeno fino a oggi), con debolezze nelle infrastrutture legate alla mobilità, una certa scarsità di personale qualificato reperibile all’interno dei confini cantonali e nazionali e un’attrattiva fiscale relativa. I miglioramenti portati da Alptransit e l’entrata in vigore della riforma fiscale, voluta dal popolo, potrebbero far mutare, direi, “arricchire ” alcuni di questi parametri. Non è mai una classifica che può definire la forza di un’economia in quanto tale, ma si riferisce piuttosto a quelle che comunemente chiamiamo “condizioni- quadro”. E più in generale, abbiamo dimostrato in tante occasioni di essere un Cantone che raggruppa e produce un valore aggiunto di tutto riguardo. Tutto migliorabile come per ogni cosa, ma certamente in grado di dimostrare grandi capacità e imprenditorialità di rilievo. Allarmante per la nostra economia sarebbe non mantenere e implementare le condizioni quadro che permettono il successo del nostro Paese.

La Cc-Ti sostiene da sempre la linea del dialogo tra le parti sociali e il confronto dialettico col mondo politico come metodo per la soluzione dei conflitti e come approccio costruttivo per la crescita economico-sociale del Cantone. Ritiene ci siano ancora le condizioni per questo spirito di collaborazione o prevarranno invece gli irrigidimenti e le contrapposizioni che hanno contrassegnato questi ultimi anni?

La Cc-Ti crede fermamente nel dialogo e nella possibilità di una seria mediazione propositiva per entrambe le parti in causa. La nostra associazione si è sempre, e continuerà anche in futuro, fatta voce delle tante esigenze del nostro territorio economico, dalle aziende alle associazioni di categoria fungendo da punto di riferimento dell’economia in Ticino.
La capacità di ascolto delle parti sociali, della politica, e quindi la possibilità di un confronto costruttivo, sembra purtroppo essere scemata, lasciando strada a un atteggiamento e una pericolosa abitudine di individuare l’economia, rispettivamente le aziende, come la causa di tutti i mali. Come unica variabile da modificare, punire per sanare tutti i problemi. Pericoloso lasciar avanzare una tale negativa tendenza! Anche in situazioni delicate come quella che stiamo affrontando, non vedo purtroppo segnali di apertura in questo senso, e questo mi rattrista e mi preoccupa molto. Esistono difficoltà che si possono risolvere solamente concertando le intenzioni e inseguendo un intento comune. “Un soldato da solo non può fare la guerra” e anche noi, proprio perché non abbiamo questa presunzione, ricerchiamo sempre negli altri attori di questo mondo economico, degli interlocutori seri e propositivi. Quasi sempre, anzi troppo spesso, restiamo soli al fronte. Noi continueremo, nel rispetto dei ruoli e delle persone, a sottolineare le grandi qualità della nostra economia cantonale, a proporre progettualità e a metterci a disposizione per la soluzione dei problemi reali, cercando di non entrare nelle polemiche artificiose prive di fondamento.
Ma tutto questo, come detto, presuppone una capacità di ascolto che oggi non mi sembra di percepire. L’unità di intenti emersa e tangibile nel corso dell’emergenza del primo lockdown si è purtroppo rapidamente affievolita per poi perdersi. Sarebbe stata l’occasione per ricostruire un dialogo permanente. Peccato.

Vi auguriamo buona salute

I collaboratori della Cc-Ti


Siamo a vostra disposizione.
Contatti.

Il 2020 della Cc-Ti

Un’infografica peculiare, composta di icone, riassume l’anno che sta finendo.

Scorrendo le pagine del numero di Ticino Business di dicembre 2020 – a breve nelle vostre aziende – troverete il 2020 che abbiamo condiviso.

Scaricate il file completo.


Come aderire alla Cc-Ti? La Cc-Ti propone un ventaglio di servizi mirati alle aziende e alle associazioni di categoria attive sul territorio cantonale. L’offerta di servizi è orientata al sostegno della quotidiana gestione aziendale e associativa così come allo sviluppo del business. Lisa Pantini, Responsabile delle Relazioni con i soci, è a disposizione per dare maggiori dettagli agli interessati. Potete contattarla per e-mail o telefonicamente (+41 91 911 51 32).

Annuncio delle nuove misure: il Consiglio federale riveda la sua posizione!

Comunicato stampa congiunto delle Camere latine di commercio e dell’industria (CLCI); gremio di cui anche la Cc-Ti fa parte

È con grande sorpresa e sconcerto che le Camere latine di commercio e dell’ndustria (CLCI) hanno preso atto delle varie misure annunciate martedì dal Consiglio Federale, riferite a un nuovo piano strategico per fronteggiare la pandemia di COVID-19. La perplessità maggiore è stata la constatazione che queste misure sono state messe in consultazione senza preavvertire né i Cantoni né le parti sociali.

Le CLCI hanno sempre mostrato assoluto rispetto per le questioni di salute e supportato le aziende nell’allestimento dei piani di protezione. Tuttavia, esprimono la loro insoddisfazione e la loro indignazione per la procedura di consultazione in corso da martedì. Pur comprendendo l’urgenza della situazione, ritengono che l’esclusione dei rappresentanti dell’economia dalla procedura di consultazione sia del tutto incomprensibile.

Il Consiglio federale non sembra prendere sufficientemente in considerazione i numerosi provvedimenti presi nei nostri cantoni dall’inizio di novembre (dall’inizio della pandemia in realtà). La lotta al Coronavirus non è certo facile e i risultati di misure severe, anche draconiane, in termini di riduzione della diffusione del virus non sono paragonabili in tutte le regioni. I nostri cantoni, però, sono intervenuti prontamente, facendo molti sacrifici, per limitare il più possibile la diffusione del virus e mettere in sicurezza i cittadini e le realtà aziendali correlate. In generale, anche se i « numeri » restano importanti, nei nostri cantoni tendono a essere in calo o, per lo meno, stabili.

In questo contesto, è difficile capire perché, ora, tutti debbano essere improvvisamente soggetti alle stesse restrizioni, indistintamente. I nostri cantoni continuano a compiere quotidiani grandi sforzi. Gli annunci di martedì costituiscono quindi una doppia sanzione. Restano incomprensibili i drastici divieti proposti l’8 dicembre dal Consiglio federale.

In primo luogo, nessuno ha potuto stabilire o ha mai indicato ristoranti, hotel e negozi come uniche fonti di trasmissione. La responsabilità delle persone continua a essere al primo posto nel bene e nel male di questa pandemia.

Non possiamo sottovalutare che, per tutti questi settori, le festività natalizie rappresentano un momento decisivo per un miglioramento del proprio fatturato annuo.

Non è un caso che queste aziende abbiano adottato misure di grande impatto, in termini commerciali e finanziari, per garantire la sicurezza dei collaboratori e dei clienti.

Inoltre, durante le celebrazioni delle feste natalizie, queste realtà sono tra le uniche che restano pienamente attive sul territorio, mentre industria, edilizia, artigianato e servizi sospendono, con qualche eccezione, le loro attività o le esercitano in modo moderato (p. es. Telelavoro). Anche i controlli sul rispetto delle regole saranno qiuindi certamente più facili da attuare, in quanto anche meno numerosi rispetto al totale delle attività economiche.

Le misure draconiane previste, in totale contraddizione con quanto deciso e annunciato dai nostri Cantoni nei giorni scorsi, screditano l’azione dello Stato a tutti i livelli. Illeggibili e ingestibili nel nostro contesto di federalismo, si rivelano controproducenti e del tutto ingiustificate. La chiusura dei ristoranti alle 19.00 e il divieto di apertura domenicale dei negozi sono misure che non rispettano il principio di proporzionalità. Tanto più che gli aiuti finanziari citati, limitati e senza effetti immediati, non impediranno molte chiusure di imprese, con gravi conseguenze sociali ed economiche.

Chiediamo pertanto al Consiglio federale di riconsiderare le sue proposte, in particolare le limitazioni alla ristorazione e all’apertura di negozi.


Associazione Camere latine di commercio e industria – CLCI

L’associazione CLCI riunisce le Camere di commercio e industria dei cantoni FR, GE, JU, NE, TI, VD, VS e BE. Il suo scopo è quello di rappresentare l’economia cantonale nei confronti del pubblico, dei media e delle Autorità politiche cantonali e federali. Si impegna a ottenere condizioni quadro favorevoli per l’economia. Coordina le Camere di Commercio associate consentendo loro di condividere informazioni e creare sinergie. Sviluppa e organizza servizi comuni a valore aggiunto sussidiari a quelli dei suoi membri. Il gruppo fa parte dell’Associazione delle Camere di commercio e dell’industria svizzere, presieduta dal direttore della Cc-Ti.

La Cc-Ti sostiene le Squadre sportive professionistiche ticinesi

In questo difficile momento storico, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, la Cc-Ti si impegna a tutelare gli interessi di tutti i settori economici cantonali, delle relative associazioni di categoria e di tutte le aziende, siano esse piccole, medie o grandi.

Non fa eccezione l’ambito delle squadre sportive professionistiche ticinesi, vere e proprie aziende al pari di tutte le altre, purtroppo spesso considerate, a torto, come attività esclusivamente ludiche (e quindi poco necessarie) e legate alla realtà di pochi privilegiati dagli stipendi mirabolanti. La realtà è molto diversa, perché i Club, come detto, sono aziende, gestite e organizzate come ogni unità economica con costi, ricavi, stipendi, oneri sociali, dipendenti, fornitori, ecc.

Unità di intenti – Gruppo “SPorTI”

Lo sport professionistico, come tante altre attività economiche, è confrontato a una situazione finanziaria estremamente difficile. È pertanto fondamentale che anche esso, al di là di ogni genere di campanilismo, possa far valere i propri interessi in maniera strutturata e quindi più efficace.

Per questo, sotto l’egida della Cc-Ti, è stato costituito il Gruppo “SPorTI”, che raggruppa le squadre sportive professionistiche ticinesi membri della nostra associazione, ossia:

  • HC Ambrì Piotta, HC Lugano e Ticino Rockets per l’hockey su ghiaccio;
  • FC Lugano, FC Chiasso e Team Ticino per il calcio.

Si aggiungeranno a questo primo gruppo le società di pallacanestro Lugano Tigers e SAM Basket Massagno che hanno già aderito all’iniziativa.

Le cifre

Alcune cifre sono significative dell’importanza dei Club per l’economia cantonale, se osserviamo i numeri di hockey su ghiaccio e calcio della stagione 2018-2019, l’ultima giocata in modo completo:

  • 66 milioni di franchi di cifra d’affari
  • 440 collaboratori sotto contratto (indeterminato o determinato)
  • 350 collaboratori esterni
  • 1’200 fornitori esterni
  • 402’000 spettatori paganti
  • oltre 1’700 ragazzi e ragazze dei settori giovanili in formazione

L’azienda “sport ticino” è quindi un fattore economico fondamentale per il nostro territorio. Senza tenere conto dell’importante ruolo sociale svolto nell’offerta di svago e distrazione, elementi pure essenziali per superare momenti difficili come, per esempio, quelli che stiamo vivendo. Il solo surrogato televisivo non è sufficiente da questo punto di vista e nemmeno da quello finanziario. In effetti, il panorama sportivo elvetico differisce sostanzialmente da quello delle principali leghe internazionali, dove la maggior parte delle entrate è composta dai diritti televisivi e in misura minore dagli spettatori in presenza.

In Svizzera la situazione è esattamente all’opposto, perché l’incassato come diritti televisivi non si avvicina minimamente agli introiti legati alla vendita di biglietti, abbonamenti, all’accoglienza e alla ristorazione sui quali i campionati possono contare.

Le difficoltà attuali

L’incertezza regnante attualmente colpisce anche le squadre professionistiche in maniera pesante. Le limitazioni di pubblico (di fatto la principale fonte d’entrata di queste imprese) imposte nel contesto della pandemia hanno effetti devastanti perché hanno azzerato la fonte principale d’entrata. Limitazioni, va detto, decise malgrado i cospicui investimenti che i Club hanno affrontato, non senza sacrificio, per poter garantire degli adeguati piani di protezione, disponendo anche una capienza ridotta degli impianti sportivi e tutta una serie di misure di sicurezza che hanno dimostrato di poter far fronte alla situazione in modo ottimale.  

Le grandi difficoltà citate non hanno potuto passare inosservate a livello nazionale e il Consiglio Federale ha elaborato un pacchetto di aiuti di base che lasciano però margine anche al Cantone per un primo urgente intervento mirato. Questi interventi decisi a livello nazionale certificano e riconoscono l’importanza economica oltre che sociale dello sport professionistico.

Le richieste di sostegno

Pur consapevoli della grande complessità della situazione e delle esigenze di ogni settore, gli sport di squadra professionistici hanno un urgente bisogno di sostegno per potersi garantire l’esistenza, ma soprattutto le centinania di posti di lavoro e l’indotto che garantiscono anche alle altre aziende.

Si è pertanto chiesto al Consiglio di Stato di contribuire, tramite lo strumento del fondo Sport Toto, a ottenere le misure stanziate a livello nazionale, garantendo la copertura del 25% dei mezzi necessari per l’ottenimento del prestito. Questo metterebbe in condizioni di poter disporre di una base finanziaria indispensabile per fronteggiare le difficoltà che si sono ulteriormente acuite con le ultime disposizioni.

Si è pure evidenziata la necessità di valutare anche la possibilità di concedere degli aiuti a fondo perso, sul modello di quanto altri cantoni (ultimo in ordine di tempo Ginevra) stanno facendo per i settori che di fatto si trovano le attività bloccate in maniera totale o preponderante.

Attraverso la rete della Cc-Ti, questa iniziativa sarà a breve estesa a livello nazionale, con il coinvolgimento delle Camere di commercio e dell’industria degli altri cantoni, alle quali fanno capo le squadre professionistiche delle rispettive regioni. Attenzione particolare verso la nostra iniziativa è già stata manifestata in particolare dalle Camere di commercio e della Svizzera romanda.