Energia a 360 gradi

Una diversità imprescindibile

Consumo energetico per settore

Da molti mesi attiriamo l’attenzione sulla delicatezza del tema energetico, fondamentale per le aziende ma ovviamente per tutti le cittadine e i cittadini. Produzione insufficiente a coprire i consumi, pericolosi giochi ideologici che limitano le fonti di produzione a disposizione, dipendenza dall’estero, rischio di incremento dei prezzi, ecc..
Appelli passati quasi inosservati al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori, fino a quando il Consiglio federale ha rotto gli indugi parlando apertamente di crisi energetica imminente, con probabili black-out. Il repentino e vertiginoso aumenti dei prezzi dell’energia ha dato il tocco finale, riaprendo un dibattito che rischiava di morire imbrigliato fra false credenze e illusioni, si spera solo dettate dall’ingenuità. È evidente che siamo di fronte a un’equazione che, allo stato attuale delle cose, sembra sempre più irrisolvibile, con consumi in aumento e limitazioni alla produzione, visto che taluni vettori restano ancora un tabù, il nucleare su tutto, malgrado l’evoluzione tecnologica.

Tre pilastri essenziali

La politica energetica poggia fondamentalmente su tre pilastri: la garanzia dell’approvvigionamento, l’economicità e la sostenibilità ambientale. Su questi assi, legati indissolubilmente, occorre lavorare. Trascurarne anche solo uno significa pasticciare e trovare pseudo-soluzioni raffazzonate che, nella migliore delle ipotesi, si rivelano inutili. Un punto fermo è comunque il fatto che da parecchi anni la Svizzera è costretta a importare energia elettrica soprattutto da Germania, Francia, Italia e Austria. Energia prodotta anche con il nucleare e il carbone.
Quindi consumiamo sempre di più ma siamo costretti a fare capo ad altri Paesi per coprire il fabbisogno energetico. Altri Paesi che, nel corso dei prossimi anni, avranno sempre più la necessità di pensare per sé. Da una parte l’ambiziosa e costosissima agenda verde dell’Unione Europea (UE), a cui si sommano decisioni nazionali come quella della Germania di abbandonare il nucleare porteranno inevitabilmente a ristrettezze ovunque e quindi è verosimile ritenere che cedere energia alla Svizzera non sarà più la priorità dei Paesi dell’UE.
Non è quindi solo la difficoltà data dal mancato Accordo quadro con l’UE a caratterizzare la situazione, ma anche, molto più prosaicamente, la concreta quantità di energia disponibile. A fronte soprattutto di consumi crescenti, spesso non manifesti, ma non per questo meno “pesanti”.
Il telelavoro ad esempio, per il grande consumo di dati, è tutt’altro che neutrale dal punto di vista dei consumi e delle emissioni di CO2, vista la forte necessità di energia dei data center. Magari si userà meno l’automobile per andare al lavoro, ma certamente lavorare dal salotto di casa non è a impatto zero. E anche di questo occorre tenere conto nel bilancio energetico globale.
La sensazione netta è che le strategie energetiche pomposamente presentate dalla Confederazione negli scorsi anni siano ormai destinate al macero e necessitino cambi di paradigma importanti. Non a caso, il Consiglio federale ha comunicato la necessità di far ricorso, in caso di penuria energetica, anche a centrali a gas da realizzare nei prossimi anni, ammettendo di fatto che la legittima volontà di fare capo solo a energie rinnovabili, in particolare l’energia solare ed eolica, non sono sufficienti a coprire il fabbisogno. Inutile tergiversare, questa è la realtà.

Limitazioni pericolose

È più che evidente che non si può prescindere dal valutare soluzioni sistemiche, che comprendano tutto il pacchetto di risorse esistenti, cioè eolica, solare, idroelettrica, fotovoltaica e, ebbene sì, pure nucleare. Tema tabù quest’ultimo, malgrado l’evoluzione tecnologica ne faccia un vettore che non può essere ignorato, visto che reattori di nuova generazione offrono garanzie notevoli in termini di sicurezza. Visti però i lunghi tempi di realizzazione, sarebbe già un passo importante prolungare l’attività delle centrali nucleari svizzere esistenti, perché spegnerle nel 2035 significherebbe tagliare una percentuale consistente di copertura del fabbisogno (si stima il 25%), triplicando la parte che deve essere importata dall’estero, già oggi molto consistente.
Non si tratta certamente di rigettare lo sviluppo e l’importanza delle energie cosiddette pulite, ma far collimare la crescente fame di energia, le ristrettezze produttive e al contempo l’obiettivo di decarbonizzare la società (cioè azzerare le emissioni di CO2) sembra facile quanto una fusione (a caldo) tra Lugano e Ambrì…
Certamente, la via del nucleare è irta di ostacoli, sia per i tempi che per la decisione popolare del 2017 di abbandonare questo tipo di energia. Ma notoriamente, solo gli sciocchi non cambiano mai idea, soprattutto di fronte a sviluppi tecnologici che comunque meritano di essere approfonditi. Perché, nel contesto internazionale, gli attori maggiori si muovono in questo senso, con colossi come Cina, India e Russia che si muovono decisi nell’ottica nucleare con progetti in fase di realizzazione. Analogo discorso vale per gli Stati Uniti e per il nostro vicino tradizionalmente “nuclearista” come la Francia. Va detto che la Cina si è lanciata parallelamente nella sperimentazione di fonti differenziate, aggiungendo al nucleare pure il fotovoltaico (nel quale è leader), passando per l’eolico. Disponendo al contempo della riserva più ampia di carbone in tutto il mondo.

Costi per tutti

L’esplosione dei costi dell’energia sta già flagellando molti Paesi e segnali inquietanti si percepiscono anche da noi. Da questo fenomeno nessuno è escluso, perché sarebbe errato pensare che ne siano colpiti solo i cosiddetti grandi consumatori, cioè in particolare le aziende di ampie dimensioni. Il rincaro galoppante dell’elettricità, del gas e del gasolio, della benzina colpisce tutti indistintamente e in proporzione alle loro abitudini, comprese quindi le famiglie e le cittadine e i cittadini in generale. Nei consumi, infatti, secondo le statistiche dell’Ufficio federale dell’energia, la parte principale è costituita dalle economie domestiche con circa il 33%, seguite dall’industria e attività manifatturiere (30%), dai servizi (27%) e dal traffico (8%). Ben si capisce quindi gli effetti importanti se agli aumenti succitati sommiamo quelli delle altre materie prime che servono ad esempio alla costruzione di pale eoliche e pannelli fotovoltaici, ecco che si crea un mix micidiale di rincari su ogni fronte. Rincara la realizzazione di siti produttivi e rincara il “prodotto finito”. Sarebbe illusorio pensare che vi siano soluzioni facili e a portata di mano, soprattutto perché si tratta di un problema complicatissimo, di dimensione mondiali, in cui si intersecano anche interessi geopolitici notevoli e speculazioni varie. Impensabile che nella nostra piccola realtà cantonale si possano fare miracoli, visto che anche la Confederazione fatica ad orientarsi.
Non va però dimenticato l’articolo 89 della Costituzione federale che sancisce come “nell’ambito delle loro competenze, la Confederazione e i Cantoni si adoperano per un approvvigionamento energetico sufficiente, diversificato, sicuro, economico ed ecologico, nonché per un consumo energetico parsimonioso e razionale”. Teniamo a sottolineare il termine “diversificato”, e non è casuale. Dell’elenco degli obiettivi sembra in effetti l’elemento al momento più trascurato e non rispettare i dettami costituzionali, anche se a volte sembrano concetti astratti, non è mai una buona cosa (senza tirare in ballo le implicazioni giuridiche).
Riconsiderare la politica energetica, unitamente a quella ambientale, non è quindi solo una questione di opportunità ma è un obbligo costituzionale che incombe a Confederazione e cantoni nei rispettivi ruoli. Le belle teorie, certo accattivanti per vincere elezioni e votazioni, stanno mostrando i loro limiti. Difficile pensare che la popolazione accetti di buon grado limitazioni nei consumi o importanti rincari imposti in nome di un presunto interesse generale (vedi l’esito della votazione sul CO2, affossata sostanzialmente perché giudicata troppo costosa per i singoli cittadini). Del resto, per ridurre i consumi si invoca spesso il progresso tecnologico, non si capisce perché questo principio non dovrebbe valere per le discussioni sui mezzi di produzione dell’energia.
Nell’ambito dei consumi, ad esempio, le aziende stanno dando da anni esempi molto probanti di risparmi e misure votate all’efficienza energetica, come facilmente rilevabile dai lavori dell’Agenzia
dell’energia per l’economia (enaw.ch).

Nessuna novità

Il mix di energie non è del resto una novità nel sistema elvetico. Attualmente le centrali nucleari svizzere producono circa il 33% di elettricità, il 7% circa è generato dalle energie eolica e solare e il 60% dal settore idroelettrico. Attenzione queste cifre indicano i rapporti della produzione indigena, diversi sono quelli dell’origine dell’energia distribuita, perché entra in linea di conto quanto importato dall’estero. Ma non è questa la sede per entrare in troppi tecnicismi, molte informazioni possono essere evinte dal sito internet dell’Ufficio federale dell’energia e da www.strom.ch.
Il fatto è che, già oggi malgrado una strategia basata su varie fonti energetiche, a causa di vari fattori come il clima e le fluttuazioni stagionali, la produzione in Svizzera di energia solare ed eolica ha una parte ancora ridotta, malgrado l’incremento del fotovoltaico nel 2020 grazie in particolare all’installazione di impianti per il consumo privato. Difficile, se non impossibile recuperare questo divario, soprattutto se dal 2035 non vi fosse più il nucleare. Con le attuali 42 turbine eoliche non si va molto lontano, visto che ce ne vorrebbero 6’000. E sapendo le discussioni che questi impianti generano, così come l’eventuale innalzamento delle dighe, il tutto non è molto rassicurante e la realizzazione rapida sembra più un ideale che una realtà concreta.
Per dare un’idea, qualche settimana fa una malcapitata aquila reale è stata decapitata da una pala eolica in Svizzera romanda. Il povero pennuto è uno dei circa 800 consimili che sciaguratamente incocciano contro queste strutture. Inevitabile la levata di scudi di chi non ama le pale eoliche sul territorio e delle associazioni di difesa degli uccelli, che tradizionalmente sono favorevoli alle energie cosiddette pulite. Un accenno di schizofrenia che evidentemente complica ancora di più una situazione già intricata. Con tutto il rispetto per le specie animali e gli uccelli in particolare, forse è bene ricordare che, come sottolinea la Confederazione, 30 milioni di volatili sono uccisi dai gatti, 5 milioni si schiantano contro i vetri e 1 milione è vittima delle automobili. Così, per dare il senso delle proporzioni sul tenore delle discussioni, visto che finora nessuno ha ancora pensato a proibire la caccia ai gatti (o a proibire i gatti tout court) o a obbligarci a vivere senza finestre (il che farebbe
crescere ulteriormente i consumi energetici soprattutto in inverno).
Aneddoti a parte, è chiaro che le pale eoliche, al di là dei costi di realizzazione, si scontrano con opposizioni pianificatorie e interessi divergenti di ogni tipo, anche da ambienti di solito non ostili. Facile immaginare cosa succederebbe per realizzare le superfici necessarie di pannelli solari (pari a circa 19mila campi di calcio, contro i 1’800 odierni), in termini di discussioni interminabili. E intanto si vuole abbandonare il nucleare… Una volta dismesse le due centrali di Beznau e quelle di Gösgen e Leibstadt, ci sarebbe il forte rischio che la Confederazione possa essere costretta a comprare all’estero ancora più energia, prodotta, magari, da impianti nucleari o col carbone, mentre noi facciamo i puristi. E la dipendenza dall’estero, comprese le fluttuazioni di prezzo, crescerebbe ancora.

Quali misure a breve?

Visto che è difficile procedere in tempi rapidi a modifiche strutturali, va valutato se vi siano margini per altre manovre anche di tipo congiunturale. La Svizzera, a nostro avviso giustamente, non ha la tradizione interventista come ad esempio la Francia, dove sono state bloccate le bollette dell’elettricità per i cittadini. Misura certamente popolare in tempi di elezioni presidenziali, ma che sposta solo il problema, perché comunque qualcuno (leggi: il contribuente) sarà chiamato a pagare presto o tardi, oppure in altro modo. Ciò detto, nulla proibisce che vi sia una presa di coscienza comune e un dialogo costante fra, nel nostro caso, le aziende, la politica e i produttori e i distributori di energia. In momenti difficili è ragionevole pensare che su certi aspetti della base contrattualistica si possa magari ragionare, anche solo per misure temporanee.

Aziende e Responsabilità sociale

La nuova piattaforma TI-CSRREPORT.CH

La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti), quale associazione-mantello dell’economia ticinese, sta dedicando molte risorse a questo tema e ha s sviluppato, col supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE),un modello online di rapporto di sostenibilità, che sarà disponibile dal 1° marzo 2022.
Questo strumento, unico nel suo genere, e che costituisce un progetto-pilota per tutte le Camere di commercio e dell’industria svizzere, va ad aggiungersi al “Questionario di autovalutazione” che la Cc-Ti da più di un anno ha già messo gratuitamente online a disposizione dei suoi associati, consentendo così a tutte le imprese, anche quelle piccole e medie, di disporre di una prima valutazione sulla propria posizione in tema della responsabilità sociale.
Un primo step pensato per censire e conoscere le “buone pratiche” adottate sul territorio e che è stato già utilizzato da oltre 200 aziende del Cantone.

Uno strumento riconosciuto anche dall’Autorità cantonale

L’importanza di mettere a disposizione delle aziende un nuovo strumento è frutto quindi di un’evoluzione già esistente e riveste anche un’innegabile utilità pratica, soprattutto dopo la decisione del Consiglio di Stato di annoverare la CSR tra i criteri di valutazione delle offerte nella nuova Legge sulle commesse pubbliche. La responsabilità sociale delle imprese è infatti un elemento che dal 2021 rientra anche nei bandi di concorso pubblici, con un valore di ponderazione del 4% nei criteri di aggiudicazione. In una prima fase le nuove disposizioni cantonali saranno adottate, e testate, solo per gli appalti della pubblica amministrazione (Divisione delle costruzioni e Sezione della logistica). Successivamente esse saranno estese a gran parte delle commesse.

Alla luce di questa fondamentale svolta normativa, la possibilità di disporre, dal 1° marzo 2022, di un modello di “Rapporto di sostenibilità” è essenziale per le imprese, trattandosi di un report con cui l’azienda descrive e certifica il suo impegno nell’ambito della responsabilità sociale, in relazione anche ai 30 indicatori selezionati dal Consiglio di Stato per la ponderazione delle offerte che concorrono agli appalti pubblici.

Grazie al rapporto di sostenibilità e con l’ottenimento di una separata “Dichiarazione di conformità” aggiuntiva (rilasciata dalla Cc-Ti) si faciliterà sia il lavoro delle aziende, sia quello delle autorità chiamate a valutare i dossier. Il documento della Cc-Ti rappresenta una naturale evoluzione dopo la fase di test condotta da oltre un anno con un formulario di autovalutazione e costituisce un unicum a livello svizzero, visto che permette di stilare concretamente un rapporto di sostenibilità che poi vene anche riconosciuto formalmente quale documento, dal Cantone.

Un lavoro di consulenza puntuale aiuterà le aziende a dimostrare la realizzazione degli obiettivi economici, ambientali e sociali idonei pure nell’ottica a ottenere questa percentuale. Questo strumento non rappresenta la condizione per partecipare agli appalti pubblici ma resta su base volontaria ed è sostenuta dal DFE e dall’ufficio di vigilanza sulle commesse pubbliche.

Procedura e contenuti del Rapporto di sostenibilità

Il “Rapporto di sostenibilità” sarà accessibile a tutte le aziende sulla piattaforma online della Cc-Ti. Si è espressamente voluta una formulazione di facile compilazione, che permette di includere, oltre a paragrafi descrittivi, logo, foto e tutte le informazioni puntuali aziendali di rilevanza. Perché, ed è importante sottolinearlo, non si tratta dell’ennesimo ostacolo burocratico a carico delle aziende, bensì di uno strumento pensato per dare loro la giusta e positiva visibilità e aiutarle con un mezzo semplice. Oltre ai principali dati sull’azienda e alla sua storia, la compilazione del documento porta a descrivere le misure adottate per la responsabilità sociale in relazione a: governance, mercato, risorse umane, rapporti con la comunità e tutela dell’ambiente. Per arrivare, poi, agli obiettivi che ci si prefigge a media e lunga scadenza.

Come già descritto in precedenza, il rapporto può essere completato da una scheda supplementare dedicata ai 30 indicatori determinati dal governo ticinese che sono suddivisi
in tre aree tematiche: ambiente, economia, società. Grazie alla compilazione di questa scheda, saranno confermati i requisiti di base per ottenere il punteggio richiesto sul tema CSR negli appalti pubblici.

Per le imprese il Rapporto di sostenibilità rappresenta un ottimo dispositivo per monitorare costantemente il loro approccio alla sostenibilità, per metterne a fuoco limiti, progressi e obiettivi futuri. E scoprire, magari, che delle misure già adottate spontaneamente, ad esempio, per la mobilità aziendale, il risparmio energetico o per meglio conciliare lavoro e impegni familiari, rientrano a pieno titolo nelle “buone pratiche” contemplate dalla CSR.

La Cc-Ti organizzerà una presentazione al pubblico nelle prossime settimane e, assieme ai suoi partner istituzionali, proporrà alle imprese e alle associazioni di categoria, degli eventi formativi e informativi sui temi della CSR.

La visione del futuro vede la crescita delle nostre aziende strettamente collegata ad una prospettiva di sostenibilità economica, sociale e ambientale. Con la ferma convinzione che la forza, la coesione
di una comunità e il suo capitale sociale rappresentino un vantaggio competitivo per tutto il tessuto produttivo.

La responsabilità sociale, “questa sconosciuta”

Da anni la Cc-Ti, oltre a collaborare con istituzioni cantonali, associazioni e fondazioni per una fattiva sensibilizzazione sulla responsabilità sociale, supporta le aziende nell’implementare le “buone pratiche” della CSR attraverso un articolato lavoro di informazione e formazione. È importante rilevare che la CSR non è terreno sconosciuto per le nostre tante aziende del territorio, anzi!
Nel quadro dell’annuale inchiesta congiunturale della Cc-Ti, condotta con le altre Camere di commercio e dell’industria svizzere, un’analisi specifica sul tema ha evidenziato il grande lavoro già in atto da parte delle imprese. Rilevando, ad esempio, oltre 130 “buone pratiche”, suddivise in 32 tipologie d’intervento, applicate nei diversi rami economici. Un impegno che investe, sia nelle grandi che nelle piccole imprese, gli obiettivi qualificanti della responsabilità sociale.

Con scelte imprenditoriali coraggiose, che vanno spesso oltre i canoni ordinari della CSR, per concretizzare un concetto di responsabilità più aderente non solo alla vita dell’azienda, ma anche alla realtà del territorio e della comunità. Va fatta chiarezza e sottolineato che, se da una parte è giusto avere dei parametri di CSR, dall’altra parte non va assolutamente trascurato quanto fatto anche al di fuori dei criteri “ufficiali”. Il peso e il valore dell’impegno sociale di un’impresa difficilmente possono essere misurati solo ed esclusivamente sulla base dei soli parametri citati. Già il fatto del rischio imprenditoriale assunto per avviare un’impresa e creare posti di lavoro è un atto sociale e non solo economico, molto importante. A maggior ragione chi crea e mantiene un’azienda, ad esempio, in una regione periferica o in altri contesti “svantaggiosi”, offrendo dei posti di lavoro laddove non ci sono molte opportunità occupazionali, non è socialmente meno meritevole di chi può fregiarsi di tutti i crismi della CSR. Questo va detto in modo forte e deciso.

Purtroppo, nella discussione politica, è sempre dietro l’angolo la tentazione di usare la responsabilità sociale come discriminante per stilare avventate classifiche sulle aziende più o meno “virtuose”, per dividerle tra “buone” e “cattive”, da premiare o penalizzare. Un termine, “virtuoso”, pesantemente abusato negli ultimi anni, spesso per cercare d’imporre una concezione ideologizzata dei principi della CSR con lo scopo di resettare la libertà economica e ingabbiare lo spirito imprenditoriale. Per colpire alle radici la vocazione naturale di ogni impresa: conseguire un profitto.

Perché soltanto se si realizza un profitto, si avranno le risorse necessarie per investire e innovare, fermo restando il rispetto delle norme legali e i principi etici che regolano la società.
Restare competitivi sul mercato, creando più occupazione e ricchezza di cui beneficia poi, tutta la collettività. Esiste già una responsabilità sociale quotidiana, costante e volontaria, non dettata da prescrizioni calate dall’alto o da pressioni esterne. Le aziende sono pronte ad assumersi ulteriori responsabilità, ma è evidente che lo stesso comportamento deve essere tenuto da tutti gli attori in gioco: istituzioni, politica, partner sociali e società civile, al fine di una responsabilità condivisa per una crescita equilibrata ed armoniosa.

Area soci Cc-Ti 2022

L’Area soci Cc-Ti si rinnova con contenuti in esclusiva per le aziende e le associazioni di categoria affiliate.

Con il nuovo anno abbiamo introdotto due nuove sezioni: articoli e schede inerenti il Servizio Internazionale e un’area che riporta gli articoli dei soci dalla carta stampata (ossia dalle pagine di Ticino Business) ora anche in versione web nella nostra Area soci.

Un consolidamento dell’apprezzata area riservata, dove è possibile:
conoscere alcuni dei soci Cc-Ti, leggendo i loro profili NEW
sfogliare gli archivi della rivista economica della Cc-Ti
– leggere ed approfondire temi di natura giuridica e relativi al commercio internazionale NEW
– accedere alle piattaforme social (gruppo LinkedIn e pagina Facebook) targate Cc-Ti, strutturate per la messa in rete online dei nostri soci, per un networking di qualità.

Accedete subito all’area soci per scoprirne i contenuti!
Avete perso i dati di accesso? Lisa Pantini, Responsabile delle relazioni con i soci, è a vostra disposizione.

Posizioni della Cc-Ti sui temi oggetto della votazione federale del 13 febbraio 2022

Informazione

Iniziativa «Sì al divieto degli esperimenti sugli animali e sugli esseri umani »NO

Iniziativa «Sì alla protezione dei fanciulli e degli adolescenti dalla pubblicità per il tabacco »NO

Modifica della legge federale sulle tasse di bollo (LTB)SI

Legge federale su un pacchetto di misure a favore dei mediaSI

Il Ticino è una risorsa fondamentale

In questi ultimi mesi molto si è parlato, e si continua a parlare, del settore medicale, soprattutto in relazione alle difficoltà che esso sta riscontrando dopo la decisione del Consiglio Federale di non concludere l’accordo quadro con l’Unione Europea. Tale decisione ha, infatti, portato con sé automaticamente la conseguenza che le aziende del settore hanno perso in un colpo solo il loro accesso fino ad allora privilegiato al mercato europeo, sbocco evidentemente fondamentale per le imprese svizzere.

In effetti, il mercato europeo per le nostre imprese è più importante di quello di Stati Uniti, Cina e Giappone messi insieme. Un posto di lavoro su tre nell’industria medtech svizzera è direttamente legato a mandati che provengono dall’UE.

Per le aziende più grandi, le difficoltà di accesso al mercato europeo sono in parte meno pesanti, poiché esse hanno già punti di riferimento fisici all’interno dello spazio dell’Unione Europea. Il problema è quindi più “facilmente” risolvibile, sebbene vi sia comunque un impatto sui costi. Per le imprese più piccole altre si tratta invece di operare scelte strategiche, ad esempio, quanto alla sede aziendale e alle decisioni sugli investimenti. Con la decisione del Consiglio federale, si complica anche la situazione per l’importazione di prodotti medicali, poiché i fornitori esteri devono soddisfare nuove disposizioni in Svizzera.

Dal punto di vista ticinese, si è parlato poco dell’impatto di tale situazione sul nostro cantone, che ha sul proprio territorio molte realtà aziendali di questo settore. Ne abbiamo parlato con Peter Biedermann, Direttore dell’associazione nazionale Swiss Medtech, che ha deciso di rafforzare la sua presenza in Ticino, proprio a voler sottolineare l’importanza strategica del nostro cantone. E con Giuseppe Perale, Professore e Presidente di Regenera SA, e futuro Presidente della neocostituita sezione cantonale di Swiss Medtech che inizierà le proprie attività nel 2022 con l’obiettivo di essere pienamente operativa nel 2023.

A tale scopo si appoggerà, come molte altre associazioni nazionali, alla Cc-Ti.

Peter Biedermann, Direttore dell’associazione nazionale Swiss Medtech

Peter Biedermann, quali sono state le evoluzioni per il settore in Svizzera in questi ultimi mesi?

In generale l’andamento del settore è leggermente migliorato, anche se non siamo ancora ai livelli di prima della pandemia. Per alcune aziende attive soprattutto nella medicina intensiva e nella diagnostica la crescita è stata importante, ma dall’altra parte la limitazione di interventi chirurgici non indispensabili in tutto il mondo ha colpito anche molti attori del settore del Medtech, riducendone le attività.

La problematica del riconoscimento automatico delle apparecchiature e dei dispositivi medicali svizzeri da parte dell’Unione Europea ha conosciuto qualche sviluppo o siamo ancora fermi?

Purtroppo, siamo molto lontani da una soluzione e il fatto che la Svizzera ora è considerato uno Stato terzo è diventato una dura realtà. Secondo le nostre stime, il mancato riconoscimento automatico della conformità dei nostri prodotti e le relative procedure per ottenere tale conformità hanno comportato, ad oggi, un costo supplementare immediato di 110 milioni di franchi per le aziende elvetiche. A questi vanno aggiunte spese amministrative ricorrenti per circa 75 milioni di franchi. È evidente che, pur non potendo quantificarla in cifre esatte, la perdita di attrattività della Svizzera a medio e lungo termine è innegabile. Questa posizione di Stato terzo e alcune regole restrittive che la Svizzera stessa ha introdotto comportano anche il grande pericolo che si verifichi una strozzatura dell’offerta già nella seconda metà del 2022. Quelli che soffriranno saranno i pazienti. Tutti fatti già segnalati mesi fa e che ora si stanno concretizzando.

La Brexit ha avuto qualche effetto sul settore?

Purtroppo, è stata ed è una complicazione in più. Non sono poche le segnalazioni secondo cui le nuove condizioni per i fornitori in Gran Bretagna iniziano a mostrare qualche effetto negativo. Anche qui vi sono problemi di riconosicmento di conformità, come del resto constatano anche aziende di altri ambiti nel contesto dell’accettazione delle regole sull’origine delle merci. Tutto questo comporta costi supplementari se non si vogliono perdere quote di mercato importanti.

Non è possibile virare su altri mercati?

Dobbiamo essere realisti. L’Unione Europea è e resta un mercato fondamentale, rappresentando quasi il 50% di tutte le esportazioni svizzere, anche se le nostre aziende votate all’esportazione devono giocoforza orientarsi pure in misura maggiore verso i mercati asiatici. Fra questi vi sono in primis la Cina ma anche i Paesi membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), trattandosi di mercati che conoscono una crescita maggiore rispetto al continente americano o europeo.

Che ruolo svolgono le aziende ticinesi in questo contesto?

Swiss Medtech è una realtà abbastanza nuova a livello associativo e, pur raggruppando circa 700 imprese e oltre 60’000 posti di lavoro, deve ancora estendersi in modo capillare sul territorio. In Ticino sono presenti decine di aziende che lavorano direttamente o indirettamente, completamente o parzialmente nell’ambito del Medtech. Per noi è importante coinvolgerle nelle dinamiche nazionali, perché rafforza la rappresentatività del settore. E da parte delle imprese site in Ticino ci è stata più volte segnalata la necessità di creare un legame diretto con l’associazione nazionale, soprattutto per avere un accesso di prima mano e veloce alle informazioni che concernono il settore. Da qui la decisione di creare nei prossimi mesi un’antenna ticinese di Swiss Medtech. Essa, dopo una fase introduttiva nel corso di quest’anno, sarà pienamente operativa nel 2023, e sarà guidata da Giuseppe Perale, Presidente di Regenera SA e già membro di Swiss Medtech.

Perché appoggiarsi alla Cc-Ti, che sarà la sede operativa di questa antenna ticinese?

I rapporti con la Cc-Ti sono iniziati parecchi anni fa, in piena ristrutturazione del nostro settore, che ha unito due associazioni nel 2017 nell’odierna Swiss Medtech. La Cc-Ti ha già molti associati del nostro settore, ma ci apre anche la rete delle altre Camere di commercio e dell’industria in Svizzera grazie alla sua rete in tutte le regioni del paese. Con questa collaborazione possiamo raggiungere due obiettivi: sostenere le aziende ticinesi con il nostro supporto specialistico e rafforzarne la presenza nel contesto nazionale. È un passo che hanno fatto e stanno facendo diverse associazioni nazionali in collaborazione con la Cc-Ti, per cui anche noi abbiamo ritenuto interessante adottare questo modo operativo. Un’associazione di settore è certamente complementare a quelle già esistenti sul territorio e mira a rafforzare ulteriormente il tessuto economico ticinese.

Quando sarà operativa l’antenna ticinese?

Le decisioni da parte di Swiss Medtech e della Cc-Ti sono state prese, a breve vi sarà l’istituzione formale di un Comitato e poi il Vicedirettore della Cc-Ti, Michele Merazzi, che sarà anche segretario dell’associazione locale, coordinerà le prime attività che, pandemia permettendo, nel 2022 saranno soprattutto momenti informativi per gli addetti ai lavori. Ciò permetterà di calibrare le attività sulle esigenze delle aziende del settore, in modo che nel 2023 si procederà alle varie formalità che permetteranno un’operatività completa e commisurata alle specificità delle imprese ticinesi nel contesto nazionale e internazionale.

Breve guida: telelavoro e frontalieri italiani – assicurazioni sociali e fiscalità

Il telelavoro dei frontalieri può avere conseguenze considerevoli, sia per il datore di lavoro sia per i lavoratori, in particolare nell’ambito delle assicurazioni sociali e in materia fiscale. Una scheda in merito.

Durante la pandemia di Covid-19, il telelavoro ha registrato un’impennata in Svizzera. Secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica (UST), nel 2020 questo fenomeno ha coinvolto quasi una persona attiva su tre. Diversi sondaggi mostrano che questa pratica potrebbe affermarsi a lungo termine in un numero crescente di imprese.

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La Cc-Ti incontra l’Ambasciatrice di Polonia in Svizzera Iwona Kozlowska

Comunicato stampa

Dopo essere stata ricevuta dal Presidente del Consiglio di Stato Manuele Bertoli ieri in serata, questa mattina l’Ambasciatrice di Polonia in Svizzera Iwona Kozlowska, ha incontrato – in occasione di una visita di cortesia – i rappresentanti della Camera di Commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino, associazione mantello dell’economia ticinese.

In questo contesto è stato possibile uno scambio di vedute sui principali dossier economici che riguardano le relazioni bilaterali nonché i rapporti con l’Unione Europea.

Da sin.: Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti; Monica Zurfluh, Responsabile Commercio internazionale Cc-Ti; Iwona Kozlowska, Ambasciatrice di Polonia in Svizzera e Michele Rossi, Avv., Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti

Dobbiamo riflettere!

Serve una grande riforma fiscale

Il prossimo 13 febbraio si voterà sul referendum contro l’abolizione della tassa di bollo sull’emissione di capitale proprio lanciato da PS, Verdi e sindacati. Nell’arsenale fiscale dello Stato questo diritto di bollo è uno strumento che risale alla Prima guerra mondiale. Un’imposizione iniqua e poco sensata, poiché il capitale proprio, che i privati mettono a disposizione dell’impresa, rappresenta la sostanza indispensabile per investire, innovare e creare posti di lavoro. Si colpisce il risparmio aziendale che spesso è utilizzato in caso di crisi, come in questi anni di pandemia, ma che poi deve essere ricostituito. Quando si fonda una società, si lancia una raccolta di capitali o si fa una ricapitalizzazione, si paga all’erario un pedaggio che ammonta all’1% sui fondi raccolti che superano il milione di franchi. Contrariamente a quanto sostengono i promotori del referendum, la soppressione di un simile balzello non è un regalo alle grandi imprese e alla finanza. Si elimina, invece, un peso che indebolisce l’economia e le PMI. Che si vada votare su questa “reliquia” del diritto tributario è la dimostrazione più evidente di quanto il nostro sistema fiscale non sia più al passo coi tempi. Della necessità di una riforma strutturale ad ampio respiro, ben oltre, quindi, il solito battibeccare sugli sgravi, per adeguarlo alla realtà odierna, molto più complessa e diversificata rispetto a normative e principi rimasti ancorati a schemi superati dall’evoluzione del contesto economico e sociale.

Una tassa da abolire

Ci sono buone ragioni per abolire la tassa di bollo sui fondi propri. Imposizione a volte definita, non a torto, borbonica e adottata solo in altri quattro Paesi al mondo: Grecia, Spagna, Giappone e Corea del Sud. L’80-90% delle circa 2’300 aziende che in Svizzera pagano questo diritto di bollo sono PMI, che si vedono così erodere la sostanza e limitare le loro potenzialità di sviluppo. Si applica un prelievo che favorisce l’indebitamento, rende più costosi gli investimenti e ostacola chi vuole creare o far crescere un’impresa. Scoraggiando, altresì, gli investimenti privati che iniettano nuovi capitali nelle aziende, senza pesare sulle finanze pubbliche. È ingiusto pagare una tassa su una raccolta di capitale prima ancora che esso generi un fatturato o che sia investito per sviluppare l’attività produttiva. Un tributo gravoso in particolare per le start-up che, non disponendo solitamente di grande liquidità, necessitano dell’aumento dei capitali grazie all’apporto di investitori privati o di fondi di partecipazione. Tarpando le ali alle start-up si frena l’innova zione nelle ICT, nell’intelligenza artificiale, nella robotica e le scienze della vita. Settori cruciali per il futuro del Paese.
A fronte di una perdita per l’erario di 200-250 milioni, eliminando questa tassa, ci sarebbero più investimenti delle aziende e stimoli alla competitività, con effetti positivi sulla crescita, sull’occupazione e, quindi, con un maggiore gettito fiscale per lo Stato.

Un fisco più equo e moderno

Nella fiscalità occorre rimuovere le anticaglie di un secolo fa come le tasse di bollo e ripensare altri strumenti come il valore locativo, istituito nel 1915 come imposta di guerra una tantum, e trasformatosi, con l’espansione del mercato immobiliare e con vari artifici politici, in un prelievo ordinario. Senza dimenticare le necessità di riforma dell’imposta preventiva e la semplificazione dell’IVA. In Ticino vanno approfondite le legittime richieste di aggiustamenti più che mai urgenti all’imposta sulla successione aziendale che scoraggia i parenti non diretti o terze persone dal subentrare nella titolarità dell’impresa, mettendone a rischio la continuità. Così come la riduzione, altrettanto improrogabile, delle aliquote sulle persone fisiche con redditi elevati oggi estremamente penalizzanti, soprattutto nell’ottica, come vedremo più avanti, della concorrenza fiscale internazionale. A livello federale e cantonale c’è da lavorare intensamente e rapidamente su una riforma strutturale del sistema fiscale, commisurata a una realtà contrassegnata da un’elevata mobilità di capitali, aziende, professioni e patrimoni personali. Calibrata su una società sempre più marcata da nuove forme di impiego, da carriere, redditi e utili d’impresa non più lineari, dall’irrompere della robotica nella produzione e, soprattutto, da un “lavoro asincrono” svincolato da orari e luoghi fissi. Si lavora facilmente per un’azienda ticinese abitando in parte all’estero o in un’altra regione svizzera, pur conservando il domicilio nel cantone o, ancora, una società con sede in Svizzera fornisce un servizio di manutenzione ad un’azienda all’estero ma gestendolo esclusivamente per via telematica. Ecco due esempi di situazioni ormai abituali che aprono nuovi scenari anche nel diritto tributario. A cambiare il quadro della fiscalità internazionale ci sarà anche la tassa minima globale del 15% per i grandi gruppi. Con la Global Tax la concorrenza fiscale, tra regioni e Paesi, dalle aliquote sugli utili si sposterà su altri possibili incentivi e maggiormente sulle persone fisiche. La concorrenza si giocherà su un’imposizione più leggera per le persone fisiche ad alto reddito, come manager e dirigenti, che hanno un ruolo decisivo proprio sulla scelta della sede di un’impresa. Perciò, il Ticino deve giocare d’anticipo, riducendo le aliquote sui redditi elevati, che attualmente ci collocano negli ultimi posti della classifica fiscale nazionale, per profilare il Cantone come location conveniente per le società estere e soprattutto per le persone fisiche a esse legate.

Sono in atto cambiamenti radicali sia nei paradigmi produttivi che nei criteri impositivi, si dispiegano processi transnazionali che riorienteranno i flussi della ricchezza mondiale e il sistema fiscale svizzero non può restare indietro. Un fisco non al passo coi tempi, oltre che iniquo, frena la crescita, penalizzando non solo le aziende ma anche i ceti meno abbienti. Serve pertanto un’attenta analisi su nuove attività e base imponibile con soluzioni fiscali moderne che incoraggino e non ostacolino l’innovazione economica e sociale.

Meno imposizione per avere più gettito

Anche per il voto del 13 febbraio si levano le immancabili proteste contro gli sgravi che favorirebbero il capitale dissanguando le casse pubbliche. Rimostranze che non reggono alla prova delle cifre sulle entrate fiscali della Confederazione, dei Cantoni e dei Comuni, soprattutto tenendo conto degli effetti sul medio e lungo termine.
Se negli anni ‘90 le imposte sul capitale fruttavano allo Stato il 5% del PIL, oggi – dopo tre riforme federali per una fiscalità più attrattiva (1997-2008-2019) – si è quasi arrivati al 7%. Una crescita generata in gran parte dal boom dell’imposta sull’utile. Da anni il gettito dell’IFD, Imposta federale diretta, assicurato dalle imprese supera quello delle persone fisiche. Ancora più inconsistente è la costante critica sugli sgravi fiscali a livello ticinese che avrebbero disastrato le finanze cantonali. In realtà riducendo mediamente del 30% la pressione fiscale, si generò anni fa un aumento del gettito di oltre il 40%: circa 450 milioni di franchi in più. Non c’è stato alcun “golpe” al gettito fiscale che in questi anni è invece aumentato. Del resto, le imposte versate dalle persone fisiche sono passate dagli 822 milioni del 2009 ai 1’117 del 2019. Rispetto al 1999 l’incremento delle entrate fiscali annuali è stato di 439 milioni. E sono aumentate anche quelle delle persone giuridiche, nonostante la crisi che ha investito la piazza finanziaria ne abbia drasticamente ridotto il gettito. A vanificare la crescita degli introiti tributari è piuttosto l’aumento costante della spesa pubblica, riconducibile a vari fattori, a volte giustificabili, a volte meno. In Ticino, ma anche in molti altri cantoni, uno dei problemi principali è la fragilità della stratificazione fiscale: su poco più di 200mila contribuenti, il 26,6%, ossia 54’492 persone, non paga imposte perché non raggiunge il minimo imponibile, mentre poco meno del 10%, circa 8mila cittadini, paga quasi il 60% delle imposte delle persone fisiche. Da soli, i vituperati globalisti, 896 soggetti, nel 2020 hanno versato a Cantone, Comuni e Confederazione 157,8 milioni. Dati che dimostrano quanto sia sociale la fiscalità in Ticino, ma anche come essa dipenda da una fascia ristretta di contribuenti. Contro cui abitualmente taluni inveiscono in modo sconsiderato, ma senza la quale lo Stato non avrebbe le risorse per finanziare una generosa socialità.

Un efficace sistema redistributivo

È evidente che non si combatte la povertà impoverendo i ricchi. Tanto più in un Paese come il nostro che vanta un’efficace ridistribuzione attraverso l’imposta sulla sostanza e le aliquote dell’imposta sul reddito. L’imposizione dei redditi da capitale, come pure dei salari, è difatti fortemente progressiva: l’1% dei contribuenti versa il 44% circa dell’IFD, il 50% dei cittadini con redditi meno alti assicura il 2%, il 47% della popolazione non paga alcuna imposta federale . Allargando lo sguardo, si stima che il 53% delle imposte federali, cantonali e comunali è pagato dal 10% dei contribuenti, cioè poco meno di 515mila persone. I ceti più alti lasciano nelle casse dell’AVS una quota consistente di contributi che non riscuoteranno mai. Questi importi superano la soglia massima dell’indennità loro dovuta, di cui beneficeranno, invece, i pensionati meno abbienti. Proprio grazie alle prestazioni sociali si assicura gran parte della ridistribuzione: nel 2018 si sono spesi 177 miliardi di franchi, vale a dire un quarto del totale della produzione economica annuale, per pensioni vecchiaia, malattia e invalidità, disoccupazione ed emarginazione sociale.

In Ticino nel 2022 per la socialità si spenderanno 1’130 milioni, 148 in più rispetto a due anni fa, mentre il volume dei sussidi dal 2003 al 2021 è aumentato del 99%. Cifre che smentiscono
le insistenti voci di presunti tagli al sociale. Ad impoverire i cittadini non sono gli sgravi che, secondo la vulgata corrente, priverebbero lo Stato dei fondi necessari per la protezione sociale, né è una semplice questione di salari, come taluni vogliono far credere. Non dimentichiamo ad esempio il notevole aumento delle tasse (quelle cosiddette causali, tanto per intenderci): sui rifiuti, sulla circolazione, su ogni documento rilasciato dalla pubblica amministrazione e su altri servizi, che gravano sempre di più sui redditi medi e medio-bassi. Una raffica di balzelli che nel 2005 fruttava al Cantone 190 milioni, dieci anni dopo 246 milioni, per arrivare nel 2019 attorno ai 270 milioni. Una stangata che, unitamente ad altri rincari legati spesso a spese obbligatorie, pesa sui bilanci di molte persone, fisiche e giuridiche. Un ulteriore argomento per proporre una visione complessiva di tutte le voci contributive, imposte, tasse e balzelli vari.

Entusiasmo, curiosità e fiducia nel 2022

Il saluto del Presidente Cc-Ti Andrea Gehri.

Carissimi associati, care aziende,

vorrei idealmente distanziarmi dal rievocare il particolare momento storico ed evitare di sottolineare ulteriormente i condizionamenti che, oramai da due anni ci tengono ostaggio, proponendo una visione del futuro prossimo con orientamenti positivi, pragmatici e oggettivi.

Come d’abitudine per ogni imprenditore ma non solo, all’inizio del nuovo anno è legittimo poter cullare sogni, porsi obiettivi e affrontarli con rinnovato ottimismo e ambizioni. Ma cosa ci vorrebbe per poter trasformare la, ahimè, negatività dilagante collettiva in energia costruttiva?

In verità non molto: ci vogliono entusiasmo, curiosità, un approccio fiducioso al futuro e condizioni economiche quadro ideali, stabili e innovative, poi l’imprenditore sa fare da sé.

L’entusiasmo rappresenta il motore per ogni individuo, ma in particolare costituisce la caratteristica che identifica idealmente l’imprenditore fortemente radicato nel suo lavoro. Senza entusiasmo, difficilmente si raggiungono obiettivi e si motivano le proprie maestranze a condividerne i traguardi e i successi.

La curiosità rappresenta quell’innato, straordinario ed essenziale tratto caratteriale che alimenta l’individuo in generale, e l’imprenditore in particolare, verso l’approfondimento puntuale che a sua volta si traduce in volontà di apprendimento, voglia di evoluzione e stimolo alla ricerca dell’eccellenza.

Entusiasmo e curiosità richiedono tuttavia da parte di tutti noi anche la convinzione per un approccio fiducioso al futuro. L’imprenditore è abituato ad affrontare fasi alterne nel suo percorso imprenditoriale, fatto di successi, di insuccessi, gioie e delusioni ma rimane sempre e comunque orientato verso una visione positiva del futuro. Futuro che, e ne sono un convinto sostenitore, potendo contare sul sistema “Svizzera” e sulle sue eccellenti basi e strutture ci pone, senza ombra di dubbio, in una posizione concorrenziale favorevole e privilegiata rispetto a tanti altri paesi.

Dobbiamo tuttavia evitare di cullarci nella convinzione di essere dei privilegiati, solo perché favoriti dalla nostra invidiabile posizione nel contesto internazionale, ma dobbiamo assolutamente rimanere accorti e focalizzati sui temi, sullo sviluppo, sull’evoluzione, sul progresso. Sarebbe sbagliato e pericoloso vivere di rendita.

Le condizioni quadro del nostro Paese per promuovere l’economia e gli imprenditori sono buone, ma si può e si deve far meglio. Tutti noi facciamo parte di un sistema che deve perseguire l’obiettivo di migliorarle ulteriormente. Evitiamo con determinazione di farci trascinare in un contesto dove allo Stato si chiedono sempre più sostegno e interventi sussidiari, ignorando con disinvoltura di chiedersi responsabilmente da dove arrivano i mezzi e chi li produce per finanziare e sostenere il dilagante assistenzialismo?

La ricchezza di uno Stato e di una regione come il Canton Ticino è costituita dalla multidisciplinarità e dalla varietà del substrato economico presente e, nonostante le criticità dovute ad un posizionamento geografico che, storicamente non sempre può rivelarsi favorevole, dimostra una dinamicità esemplare.

Crediamo nella nostra regione, crediamo nel Canton Ticino e sosteniamo i temi per condizioni quadro migliori:

  • dallo Stato e le istituzioni ci attendiamo un approccio costruttivo all’accoglienza e all’ospitalità, offrendo sostegno ai cittadini e alle imprese attraverso un atteggiamento attento, premuroso e conciliativo.
  • No ad aumenti di imposte, tasse e aggravi di ogni genere e applicazione senza indugi della riforma fiscale varata.
  • Serve una trasformazione digitale effettiva e non solo a parole da promuovere senza indugio nell’amministrazione pubblica e nel contesto economico.
  • Investiamo urgentemente in infrastrutture, in particolare nella mobilità, nell’istruzione, nella formazione continua e nella tecnologia.
  • Incentiviamo e sosteniamo la transizione verso una politica energetica sostenibile premiando gli investimenti e le iniziative virtuose.

Manteniamo quindi entusiasmo nel nostro operato, sviluppiamo la curiosità e traduciamo questi propositi in nuove opportunità, consolidando così la nostra eccellente realtà economica.

Il Ticino, oltre a terra d’artisti, è anche terra d’imprenditori seri ed affermati che amano il proprio territorio e credono nel futuro delle proprie aziende.

Buon anno a tutti.

Nuovo servizio dedicato al commercio internazionale

La nuova sezione “Commercio Internazionale” è operativa dal 1° dicembre 2021

Monica Zurfluh, Martina Grisoni e Giulia Scalzi

Quale associazione mantello dell’economia ticinese, la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti) tutela gli interessi di tutti i settori economici, evidentemente anche di quelli attivi in parte o totalmente nel commercio internazionale. Attualmente l’attività camerale, non solo in Ticino ma in tutta la Svizzera, è essenzialmente concentrata sull’export, con il servizio delle legalizzazioni (rilascio di certificati d’origine, di carnet ATA e CITES e vidimazione di documentazione a fini export) e un’offerta formativa finalizzata al mondo delle esportazioni. Le aziende necessitano però di un forte sostegno anche per le questioni legate alle importazioni, per cui la Cc-Ti dal 1° dicembre ha ampliato la sua attuale gamma di servizi proponendo alle aziende e associazioni affiliate un servizio di informazione e consulenza a 360° nell’ambito internazionale, che comprende quindi sia le tematiche export sia quelle import. Si tratta di una prima in Svizzera e la Cc-Ti funge da progetto-pilota per tutte le altre Camere degli altri cantoni.

La nuova sezione “Commercio Internazionale” è operativa dal 1° dicembre 2021 ed è diretta da Monica Zurfluh, la quale vanta una lunga esperienza nell’ambito dell’internazionalizzazione, grazie alla sua attività presso Switzerland Global Enterprise, avendo in particolare guidato la sede di Lugano dell’organizzazione negli ultimi 12 anni.

La sezione “Commercio Internazionale” comprende anche il collaudato servizio delle legalizzazioni con la relativa responsabile Martina Grisoni e la sua sostituta Giulia Scalzi, che da anni accompagnano le aziende negli aspetti relativi alle certificazioni.

Il nuovo servizio dedicato al Commercio internazionale sarà in particolare chiamato a

  • fornire informazioni e consulenza alle aziende e alle associazioni di categoria affiliate su tutti i temi inerenti il commercio internazionale, dalle questioni amministrative alle formalità di import ed export, dalle regole svizzere e estere sui prodotti (incl. certificazioni, standard, etichettatura ) alle autorizzazioni necessarie per le attività transfrontaliere (controlli all’esportazione, distacco di lavoratori);
  • organizzare eventi sui temi più attuali del commercio internazionale, manifestazioni di messa in rete in Svizzera e missioni economiche all’estero, così come ricevere delegazioni estere in Ticino;
  • relazionarsi con le istituzioni e le altre associazioni cantonali e nazionali allo scopo di identificare e attivare nuove forme di collaborazione.

Questa nuova organizzazione interna permetterà di utilizzare al meglio le sinergie con gli altri servizi camerali, in particolare il già menzionato Servizio legalizzazioni, l’ambito della formazione puntuale e quello delle Scuole che portano all’ottenimento di diplomi (Scuola manageriale e Scuola dell’export) e il Servizio giuridico. Rimane invariata la collaborazione con Switzerland Global Enterprise, che rimarrà partner privilegiato nel contesto internazionale e i cui servizi continueranno ad essere complementari e sussidiari alle attività della Cc-Ti. Laddove possibile, le azioni comuni verranno rafforzate.


Contatto: Servizio Commercio internazionale – Monica Zurfluh, Responsabile, T +41 91 911 51 35