Una vera soluzione?
L’opinione del Direttore della Cc-Ti Luca Albertoni
Le discussioni sulla proposta di salario minimo cantonale formulata recentemente dal Consiglio di Stato, tutto sommato abbastanza equilibrata, sono state comprensibilmente molto animate. Purtroppo, forse volutamente, sono stati trascurati alcuni elementi essenziali per la discussione sull’applicabilità dello strumento e sulle possibili conseguenze che ne derivano per l’economia. È pertanto importante ricordare qualche elemento di base. Avantutto che il salario deve essere sì legato al contesto generale, ma non è una variabile indipendente modulabile a dipendenza delle molte fluttuazioni del costo della vita (affitti e costi della malattia fra i più citati). Si tratta invece della retribuzione percepita dal lavoratore dipendente per le proprie prestazioni professionali. Punto. Niente altro. Non lo dico io, bensì la legislazione federale, nello specifico il Codice delle obbligazioni e in particolare l’articolo 319 che stabilisce chiaramente come “Il contratto individuale di lavoro è quello con il quale il lavoratore si obbliga a lavorare al servizio del datore di lavoro per un tempo determinato o indeterminato e il datore di lavoro a pagare un salario stabilito a tempo o a cottimo“. Altre elementi non ve ne sono.
Comprendo che in Ticino oggi dia fastidio parlare di diritto superiore, ma, piaccia o no, questa è la base legale che definisce cosa è il salario. Che non è quindi uno strumento in cui includere qualsiasi cosa passi per la testa. Questo non può essere ignorato, altrimenti la discussione è impostata su basi errate. Un’altra insidia del salario minimo è costituita dal rischio di appiattire la curva dei salari di tutta l’azienda, perché anche la massa salariale non è una variabile indipendente dell’attività aziendale e non è adattabile a piacimento secondo le esigenze del momento.
Poniamo di avere una massa salariale di 10. Un impiegato alle prime armi o con basso livello di formazione guadagna 3 e uno più qualificato guadagna 7. Se il salario del livello inferiore sale a 4 in virtù del salario minimo salta la proporzione con chi ha salari superiori. Dato che non posso decidere a tavolino di aumentare automaticamente la massa salariale a 11, perché vi sono altri fattori aziendali da considerare (costi e ricavi per dirla in modo semplice), chi guadagna 7 rischia di scendere a 6. La compressione verso il basso del livello salariale generale è quindi un rischio molto concreto ed è un risultato diametralmente opposto a quanto perseguito dall’iniziativa volta a salvare il lavoro in Ticino. Come diametralmente opposto agli scopi dell’iniziativa è il fatto che i beneficiari siano nella misura dei 2/3 lavoratori frontalieri, come chiaramente indicato nel Messaggio del Consiglio di Stato. Del resto, è illusorio pensare che alzando i livelli di taluni salari bassi vi sarebbe una corsa dei ticinesi verso lavori come l’assemblaggio di componenti elettroniche o la produzione nel settore tessile. Che sia chiaro, ciò non significa non combattere gli abusi e le associazioni economiche hanno sempre sostenuto ogni misura atta a inasprire i controlli e a correggere distorsioni, come i contratti normali di lavoro. Ma i salari bassi, in generale ovviamente non auspicabili, non costituiscono sempre situazioni abusive e spesso rispecchiano una realtà economica consolidata da decenni sul territorio e che non sta giocando al ribasso. Anche di questo andrebbe tenuto conto se si vuole combattere efficacemente il vero dumping salariale.