Libera circolazione modello per il futuro

I vertici dell’Unione svizzera imprenditori incontrano Aiti e Camera di commercio: ‘Dal 2002 Pil su del 25%, ma in Ticino non è tutto rose e fiori’

Per l’Usi Accordi bilaterali da mantenere

Dossier sulla previdenza, in vista della votazione sulla riforma della Lpp prevista per l’autunno, e gli Accordi bilaterali con le discussioni in atto con l’Unione europea. È stato questo il menù dell’incontro che ha avuto luogo ieri (venerdì 24 maggio) a Lugano tra i vertici nazionali dell’Unione svizzera imprenditori (Usi) col mondo economico ticinese che, insieme, hanno convocato la stampa per spiegare lo stato dell’arte dal loro punto di vista.

Dopo il saluto del presidente dell’Usi Severin Moser, è il turno di Roland Müller – direttore dell’Unione che riunisce 90 associazioni regionali e settoriali e 100mila imprese che contano circa 2 milioni di collaboratori – rompere il ghiaccio. Partendo dall’assoluta importanza che per l’Usi hanno gli Accordi bilaterali con l’Ue. E di rimpallo, la libera circolazione delle persone che «dalla sua introduzione nel 2002 ha contribuito in modo significativo al rafforzamento del mercato del lavoro svizzero, all’aumento della produttività e al benessere generale». Dal 2002, riprende Müller, «il Prodotto interno lordo reale pro capite in Svizzera è aumentato di circa il 25%. Secondo la Segreteria di Stato dell’Economia, la libera circolazione delle persone ha contribuito ogni anno alla crescita economica in misura di circa lo 0,5%». La conseguenza, rileva il direttore dell’Usi, è «un mercato del lavoro dinamico, rafforzato da immigrati qualificati e che porta a una maggiore crescita economica creando più posti di lavoro per tutti». E il mercato locale? «Anche la forza lavoro locale beneficia di migliori opportunità di impiego e di aumenti salariali». Sicuri sicuri? Fino a un certo punto, dal momento che è lo stesso Müller a riconoscere che «non è tutto rose e fiori» e che «in Ticino la popolazione è particolarmente colpita dagli effetti negativi della libera circolazione delle persone. L’alto numero di frontalieri e la pressione salariale che ne consegue, così come la concorrenza per i posti di lavoro e la pressione sulle infrastrutture, provocano tensioni sociali e in alcuni casi anche rabbia». E quindi? Che fare? «È ancora più importante avere una posizione chiara in merito ai negoziati sugli Accordi bilaterali III e definire quali posizioni sono inamovibili. Come Usi siamo favorevoli al mantenimento dell’attuale protezione dei salari».

Pesenti (Aiti): ‘Qualcuno si è scordato come era negli anni Novanta…’

«Per le nostre imprese la conferma dell’impianto degli Accordi bilaterali è fondamentale», gli fa eco il presidente dell’Associazione delle industrie ticinesi (Aiti) Oliviero Pesenti. Anche perché «forse pochi ricordano che per oltre un decennio, negli anni Novanta, l’economia svizzera non cresceva più. A metà decennio, la disoccupazione in Svizzera era oltre il 4% e i tassi d’interesse erano arrivati a superare il 6%. L’economia e la popolazione pagarono a caro prezzo quella situazione, anche in termini di posti di lavoro e potere d’acquisto». Pesenti, quindi, sottolinea che «solo lo slancio dell’aumento delle esportazioni verso l’estero, grazie anche ai Bilaterali, ci permisero di risalire la china e creare migliaia di posti di lavoro anche in Ticino». Anche il presidente di Aiti non si nasconde, «i Bilaterali comportano alcuni problemi in una regione di confine come il Ticino. Ma la loro eliminazione avrebbe conseguenze ben più negative per la popolazione e l’economia». E no, «non ci sono alternative credibili. Del resto, chi non li sostiene in tutti questi anni non è mai stato in grado di portarne neanche una».

Gehri (Cc-Ti): ‘Abbiamo versato 90 milioni in 4 anni per la conciliabilità’

Convinto è il presidente della Camera di commercio ticinese Andrea Gehri: «Purtroppo, in Ticino la discussione verte quasi esclusivamente sempre attorno alla libera circolazione delle persone. Dimenticando che, a livello sistemico, la certezza del diritto e la stabilità delle relazioni con l’Ue sono di fondamentale importanza anche per la nostra realtà locale». E Gehri spalleggia Müller: «Siamo favorevoli al mantenimento dell’attuale livello di protezione dei salari e sosteniamo pienamente, come sempre, la lotta contro il dumping salariale». Ma fermi tutti: «Senza però scadere in eccessi di nuovi strumenti che nulla hanno a che vedere con il tema specifico».

Gehri rivendica anche con orgoglio, sul tema della carenza di manodopera e sulle misure per favorire l’impiegabilità delle persone che oggi sono attive solo in parte, che «negli ultimi quattro anni l’economia ticinese ha versato nelle casse cantonali oltre 90 milioni di franchi destinati alla conciliabilità lavoro famiglia, soldi che dovrebbero permettere di coinvolgere maggiormente nel mondo del lavoro soprattutto molte donne». Questo, ribadisce Gehri, «è un dato che deve far riflettere chi afferma che l’economia non fa nulla ed è poco sensibile a favore della politica famigliare. È vero il contrario». Senza dimenticare, è la battaglia campale di queste settimane, «che per taluni aspetti la politica fiscale necessita di correttivi, come previsto dalla votazione del 9 giugno». Questo perché «è difficile incentivare il lavoro se esso viene penalizzato fiscalmente da una progressione eccessiva, per cui non è raro che in molte coppie uno dei due rinunci a lavorare o lo faccia solo parzialmente per evitare un’imposizione fiscale eccessiva, sproporzionata e confiscatoria».


Fonte: La Regione – 25 maggio 2024