La digitalizzazione oggi – dossier tematico
Nell’inchiesta congiunturale, che ogni anno conduciamo unitamente ad altre Camere di commercio e dell’industria, vi sono sempre alcuni approfondimenti specifici che vanno oltre le cifre dell’andamento economico generale. L’edizione 2016/2017 si è soffermata in particolare sui temi dell’innovazione, della trasformazione digitale e della formazione. Temi per molti aspetti ovviamente legati (visionate qui l’intervista).
Per quanto attiene il vastissimo mondo della trasformazione digitale, i nostri soci hanno mostrato di essere ben coscienti dell’entità del fenomeno e degli effetti concreti e potenziali non solo sui prodotti e le procedure ma anche sui modelli di business, elemento quest’ultimo che rappresenta probabilmente il risvolto che comporta le sfide più impegnative. Ben il 56% delle aziende consultate ha risposto in maniera affermativa alla domanda se “La digitalizzazione (integrazione delle tecnologie numeriche nel funzionamento dell’impresa) modifica o modificherà la vostra attività?”. La Cc-Ti da anni sensibilizza sul tema dell’utilizzo dei più o meno nuovi strumenti digitali nel contesto della valutazione del modello di business e i numerosi eventi e corsi proposti indicano che la diffusione della sensibilità verso questa trasformazione epocale sta funzionando. Poi ovviamente le singole categorie dovranno effettuare le valutazioni commisurate alle esigenze specifiche, ma questo è appunto compito dei singoli settori.
Quale associazione-mantello abbiamo il compito di accrescere l’attenzione verso il cambiamento e il dato summenzionato ci serve da spunto di riflessione per chiederci se abbia un senso parlare della digitalizzazione solo come foriera di paure. Ogni cambiamento porta insicurezze, rimette in questione modelli acquisiti ecc., per cui è umano che, almeno in una fase iniziale, prevalgano i timori.
Ben il 56% delle aziende consultate ha risposto in maniera affermativa alla domanda se “La digitalizzazione (integrazione delle tecnologie numeriche nel funzionamento dell’impresa) modifica o modificherà la vostra attività?”
Pochi ricordano che negli anni Ottanta il Parlamento federale discusse una proposta di introduzione di una tassa volta ad impedire la diffusione dei computer, rei di far sparire posti di lavoro. Fortunatamente tale tassa fu affossata e come è andata lo sappiamo tutti. Anche oggi probabilmente gli scenari apocalittici di business spazzati via in un solo colpo di mouse sono esagerati, anche se, lo concedo, i cambiamenti sono molto più rapidi di trenta anni fa e quindi il tempo di adattamento è minore. Nel contesto delle paure è però giusto rilevare che, come in tutte le trasformazioni (senza scomodare il termine di rivoluzione), vi sono elementi positivi.
A questo proposito si può ad esempio citare un articolo molto interessante pubblicato dalla “NZZ am Sonntag” lo scorso 1° gennaio 2017 intitolato “Die Weltveränderer”. Per quanto attiene lo sviluppo della robotica, che è solo una parte del vasto mondo della rivoluzione digitale, si sottolinea come essa potrà cambiare il volto non solo dell’industria, che da molto tempo ne ha compreso i vantaggi, ma anche il settore dei servizi. Si cita l’esempio della Royal Bank of Scotland presso la quale apparecchi automatici risponderanno alle domande dei clienti, come è già il caso anche per diverse aziende elvetiche. Ad una prima analisi si potrebbe reagire a questa notizia con il pensiero delle collaboratrici e collaboratori che perderanno il posto di lavoro, sostituiti da macchine e a questo occorre ovviamente prestare attenzione. Ma, cambiando prospettiva, non si può non notare che in questo modo un certo livello della qualità del servizio sarà sempre garantita e il personale, non più costretto a rispondere a semplici domande dei clienti, potrà concentrarsi su altre importanti attività. Qui entra ovviamente in gioco l’attenzione alla formazione continua e alla riqualificazione del personale. Ma il processo è ineluttabile e limitarsi a subirlo o a erigere barriere di resistenza serve a poco. Come ogni cambiamento, esso va cavalcato e affrontato con il giusto gusto della sfida.
Se pensiamo che molte aziende realizzano una fetta importante della loro cifra d’affari (anche fino al 75%) con prodotti che dieci anni fa non esistevano, senza aver ridotto l’occupazione, ecco che gli elementi positivi non mancano. Le preoccupazioni per gli esseri umani sono più che legittime, ma nel nostro piccolo Ticino vi sono indicazioni rassicuranti. Nella nostra inchiesta le aziende affermano chiaramente che non intendono procedere a licenziamenti massicci a causa, o forse grazie, alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Ben l’80% delle aziende pensa che essa non avrà nessun impatto sul numero di impiegati nella propria azienda! Alla faccia di chi continua, con eccessiva leggerezza o forse in malafede, a considerare il tessuto economico ticinese di scarso valore. L’esempio testé citato di un software che risponde alle domande dei clienti non è del resto stato scelto a caso. Infatti nei prossimi 5 anni il 30% delle aziende che hanno risposto alla nostra inchiesta prevedono di investire nel digitale per rinnovare la parte commerciale della loro attività e cioè la relazione con il cliente, la vendita e la comunicazione. E il segno degli investimenti su prodotti e processi in trasformazione sulla base dei mutamenti legati alla digitalizzazione è pure una fetta importante degli investimenti aziendali.
Ma il processo è ineluttabile e limitarsi a subirlo o a erigere barriere di resistenza serve a poco. Come ogni cambiamento, esso va cavalcato e affrontato con il giusto gusto della sfida.
Sempre nell’ottica del mito della digitalizzazione come fagocitatrice di relazioni umane e impieghi, l’articolo della “NZZ am Sonntag” cita un altro interessante caso di risvolto inaspettato dato delle nuove tecnologie: il “reshoring”, ossia il ritorno alla produzione di beni su suolo elvetico. Grazie alla robotica di nuova generazione la produzione, anche con il nostro alto costo del lavoro, sarà di nuovo più concorrenziale in Svizzera. Con il grande vantaggio di creare posti di lavoro ed essere più vicini ai clienti finali, diminuendo drasticamente i tempi di produzione e di fornitura delle merci. Si potrà quindi in una certa misura tornare a produrre dove poi si venderà la merce o comunque in prossimità dei mercati di destinazione. Chiaramente i nuovi posti di lavoro creati avranno delle esigenze diverse da quelle delle fabbriche ritenute “classiche”, il che non è una sfida facilissima. Ma implica molte possibilità di sviluppo. Anche in questo caso il ruolo della formazione sarà assolutamente centrale, ma le aziende ticinesi e svizzere hanno già dimostrato e dimostrano sensibilità in questo senso, con il forte accento posto sulla formazione professionale, asso nella manica della Svizzera e leva importantissima per riuscire a gestire i molti cambiamenti in atto.
Inutile illudersi, come in tutti i cambiamenti epocali probabilmente qualcuno, almeno all’inizio, uscirà sconfitto da questo cambio di paradigma. Una delle molte sfide sarà proprio quella di non “perdere per strada” chi sarà confrontato a queste difficoltà, perché il disagio sociale, al di là delle difficili situazioni individuali, non è nell’interesse di nessuno e nemmeno dell’economia, malgrado taluni teorici troppo ideologizzati tentino di far credere il contrario.
Continuare a cambiare, a evolversi e affrontare nuove sfide con mente aperta rimane quindi un modo lungimirante per mantenere il benessere. Niente è scontato e in futuro lo sarà sempre di meno, ma ci saranno anche tante diverse opportunità e magari potrà anche essere divertente svolgere i vecchi compiti in maniera totalmente nuova.