Tigri, mucche e cavalli
L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti
“Alcune persone vedono un’impresa privata come una tigre feroce da uccidere subito, altri come una mucca da mungere, pochissimi la vedono com’è in realtà: un robusto cavallo che traina un carro molto pesante”.
Questa citazione di Winston Churchill è quanto mai d’attualità, un po’ a tutti i livelli, Ticino incluso. Peccato, perché questo, oltre che a essere scorretto, impedisce anche un sano e schietto confronto sul ruolo delle aziende e sulle cose che non vanno. Sì, perché difetti, scorrettezze, comportamenti poco etici, ecc. sono una realtà che si ritrova anche nel mondo imprenditoriale. Alla stessa stregua di quanto si riscontra fra i politici, fra i funzionari, fra le lavoratrici e i lavoratori e via dicendo. Nessuno escluso. Semplicemente perché vi è sempre la componente umana che, come noto, per natura è fallibile, anche se qualche politico illuminato pensa di non esserlo e di essere depositario della verità assoluta o addirittura del dogma dell’infallibilità un tempo riservato ai papi. Non deve quindi stupire che poi la “discussione” si riduca a scontro fra fazioni e alla fine è sempre colpa delle aziende. Un po’ come quando il calciatore inglese Gary Lineker diceva che “il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince”. Ecco, l’impressione oggi è che il grande gioco della politica sia molto semplice, un colpo di clava a destra, una sferzata di scimitarra a sinistra, soluzioni facili e preconfezionate (che siano inapplicabili non interessa a nessuno) e alla fine pagano le aziende (spesso non solo finanziariamente).
Esagero? Forse. Certamente sono di parte, ma almeno è chiaro cosa e chi rappresento e non mi nascondo dietro presunti interessi supremi per raccogliere facilmente qualche voto, fingendo di essere quello che non sono. Detto questo, non posso evidentemente esimermi dal portare qualche esempio concreto di approccio poco simpatico nei confronti delle imprese. Ho già ripetutamente parlato dell’esempio dello “Swissness”, per cui questa volta scelgo un’altra perla, che comunque è pure legata alla svizzerità e in particolare al settore alimentare. Lo scorso anno è stato varato dal Consiglio federale un ambizioso progetto denominato “Largo” (poi capirete perché), con l’ambizione di rivedere tutto il diritto federale sulle derrate alimentari. Già complesso fino alla revisione, ancora meno digeribile (visto che parliamo di alimentari) dopo la prevista revisione. Qualche cifra: 16 centimetri di altezza del dossier (misura media in altri ambiti ma ragguardevole per i faldoni…), 4 ordinanze del Consiglio federale, 22 ordinanze del Dipartimento degli interni e 1 ordinanza dell’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria. Per un totale di 27 ordinanze, 2’080 pagine complessive e più di 200 pagine di spiegazioni necessarie in sede di consultazione. A voler essere positivi, si può rilevare che finora le ordinanze erano 28, per cui qualcuno potrebbe parlare di liberalizzazione selvaggia visto che una manca tragicamente all’appello. Visti i numeri, tuttavia, il nome “Largo” sembra quindi particolarmente azzeccato. Da aggiungere, fatto quasi irrilevante, che per gestire questa nuova situazione servirebbero 9 nuovi funzionari federali. Ah è vero, è lo Stato che crea lavoro, non le aziende. Comunque, al di là delle cifre, del fatto che oggi probabilmente tutto è diventato più complicato e che le esigenze di sicurezza alimentare sono diventate tali che se bevo 15 caffè ho il diritto di esigere che non mi bruci lo stomaco, qualche domanda è giusto porsela.
Una revisione del diritto applicabile è probabilmente necessaria, dati i molti mutamenti del contesto generale. Fa però riflettere che ancora una volta la Svizzera abbia voluto dare prova di zelo eccessivo. Ispirata dalla decisione dell’Unione Europea secondo cui nelle carte del menu dei ristoranti devono essere indicati gli ingredienti delle pietanze, il nostro Paese ha previsto, of course, di essere ancora più restrittivo. A parte il fatto che rischiamo di ritrovarci con menu di 500 pagine per cui bambini, malati e anziani non potranno più sfogliarli perché non abbastanza forzuti, il messaggio è chiaro: dei ristoratori e in generale di chi lavora con gli alimentari non ci si può fidare perché hanno il vizietto di avvelenare la gente ed è molto meno pericoloso maneggiare l’uranio o il plutonio che una bistecca o una ciabatta (intesa nel senso del pane). La consultazione di un menu al ristorante, oltre che fisicamente impegnativa, rischia di diventare appassionante come la lettura dei fogli illustrativi dei medicamenti, con centinaia di controindicazioni.
L’obbligo di indicazione, senza riserve, del Paese di produzione dei generi alimentari e di tutte le materie prime utilizzate nei menu e nelle vetrine espositive suona francamente un po’ come un’esagerazione. Certo, si tirerà in ballo la sacrosanta sicurezza alimentare e il fatto che negli Stati Uniti quando si mangia un rib-eye ci si sottopone automaticamente anche ad una massiccia cura di antibiotici. Fatti di cui tenere conto, ma armonizzare il nostro diritto con quello della protezione dei consumatori dell’UE rendendolo ancora più severo di quest’ultimo (e comunque l’UE in fatto di severità non scherza) non sembra una scelta molto azzeccata. Tanto che durante la procedura di consultazione del progetto “Largo” non vi è stata una levata di scudi solo degli ambienti economici, ma anche i Cantoni hanno segnalato qualche problemino. Fra cui anche il Ticino, che ha sottolineato l’importante conseguenza dal punto di vista dei costi smisurati del nuovo sistema previsto, tanto per i Cantoni che per l’economia (il documento è consultabile sul sito www.blv.admin.ch).
Insomma, regole più severe, complesse e costose. Vero che la salute non ha prezzo, ma anche l’accanimento terapeutico non è che sia il massimo. Quello che stupisce è che la proposta di revisione, originata dall’approvazione il 20 giugno 2014 della nuova legge sulle derrate alimentari da parte del Parlamento federale, non in sia in qualche modo stata concertata con le cerchie interessate, sollevando un gran polverone con una procedura di consultazione molto tecnica e complicata. Piccola consolazione è che per il momento il progetto sembra bloccato in vista di una rivisitazione più sostenibile. Almeno la consultazione è servita a questo, fatto non scontato, perché capita spesso che le opinioni espresse dall’economia, soprattutto a livello cantonale, non vengano nemmeno prese in considerazione. Non sono certo premesse ideali per cercare di costruire un patto di Paese come, giustamente, invocato da più parti.