Quante materie consuma la Svizzera?
Ogni cittadino svizzero consuma 10 tonnellate di materiale all’anno. Se l’acciaio è quasi interamente riciclato, questa percentuale è inferiore al 10% per la plastica. Cosa possiamo fare individualmente per ridurre i nostri consumi?
Costruzioni, strade, combustibili, carburante: la Svizzera industriale utilizza enormi quantità di materie prime. Uno studio commissionato dall’Ufficio federale dell’ambiente (OFEV) stima questo consumo intorno alle dieci tonnellate pro capite all’anno, per un totale di 87 milioni di tonnellate l’equivalente di 8’700 Torri Eiffel. Quarantotto milioni di tonnellate vengono importati ogni anno e 56 milioni provengono dalla Svizzera. Quindici milioni di tonnellate provengono anche dal riciclaggio. Globalmente e provenienti da tutto il mondo arrivano in Svizzera 119 milioni di tonnellate di materie ogni anno, di cui 52 milioni rimangono in Svizzera sotto forma di infrastrutture e merci (scorte di merce).
In Svizzera, i 40 milioni di tonnellate di calcestruzzo utilizzate rappresentano circa la metà del consumo annuo di materie. Seguono gli agenti energetici (17%) sotto forma di combustibili e carburanti, così come l’elettricità (convertita in equivalente petrolio).
L’alimentazione umana è al terzo posto (10 %). Se questo alto consumo può a prima vista sorprendere, dimostra in modo impressionante ciò che la popolazione svizzera “metabolizza” ogni anno.
La ghiaia e anche la sabbia costituiscono una parte importante del consumo di materie prime (8%).
I 15 milioni di tonnellate che rientrano ogni anno nell’economia grazie al riciclaggio consistono principalmente in cemento, asfalto, sabbia, ghiaia e acciaio. Il tasso di riciclaggio dell’acciaio raggiunge il 96% e quello del calcestruzzo l’85%, contro il 40% per legno e carta e meno del 10% per la plastica.
L’economia circolare obbedisce ai principi economici. Il riciclaggio diminuisce dove mancano gli incentivi e l’azione pubblica o economica non colma questa lacuna. Metalli tecnici rari come indio, neodimio o tantalio sono quindi oggi in gran parte persi, perché riciclarli non è redditizio. Il riciclaggio di PET, batterie o gli apparecchi di illuminazione, per i quali esistono normative ufficiali, invece, funzionano relativamente bene.
Benzina e olio combustibile
Il quadro a volte è molto diverso se confrontiamo i flussi di materiale con il loro impatto ambientale. Alla luce delle emissioni di CO2, carburanti e combustibili vengono prima di tutto: costituiscono circa la metà delle emissioni della Svizzera, seguite dal cibo umano (18%). Il cemento è nettamente dietro (3%), non lontano dall’acciaio (5%). Il tessile (4,5%), i prodotti chimici di base (4,5%), l’elettronica e anche le batterie (3,3%) hanno una quota relativamente alta di emissioni di CO2 Se consideriamo tutte le esigenze di energia non rinnovabile, le fonti energetiche (elettricità, carburanti e combustibili) generano quasi i due terzi di emissioni totali. Materie plastiche, prodotti chimici di base e l’alimentazione umana contribuiscono dal 5 al 7%.
La quota a carico dell’alimentazione emerge ancora più chiaramente se prendiamo come base la totalità del carico ambientale: passa allora al29 % e si attesta praticamente allo stesso livello di carburanti, combustibili ed elettricità (che raggiungono in totale il 31%).
I metalli, l’elettronica e la chimica di base restano molto più indietro. Il confronto tra le emissioni dirette di CO2 e l’energia “grigia” contenuta nei materiali sono interessanti. Mentre che le prime provengono dal consumo di energia, le “emissioni grigie” risultano dalla produzione dei beni in cui sono praticamente incorporate. Sembra che la produzione delle merci utilizzate in Svizzera generi tante emissioni di gas serra quanto quelle del nostro consumo energetico. Quando rappresentiamo emissioni dirette ed emissioni grigie specifiche di determinate categorie di consumo, risulta che il settore alimentare costituisce la principale fonte di emissioni (18,6 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti). A ciò fa seguito il traffico di autovetture (15,6 milioni di tonnellate) e l’industria (13,4 milioni di tonnellate).
Cosa si può fare?
Come consumatori, possiamo influenzare il consumo di materie prime fino a certo punto. Tutti hanno la possibilità di modulare i consumi in modo più consapevole e ridurne l’uso. Ci sono, tuttavia, limiti evidenti: se ognuno può, in larga misura, decidere personalmente sul proprio consumo in termini di mobilità, alloggio, cibo o abbigliamento, il campo di azione è molto più circoscritto nel caso i progetti statali o del settore privato. Abbiamo quindi un’influenza limitata sugli investimenti pubblici nella costruzione di strade, nel settore sanitario o nella fornitura di energia. Difficilmente possiamo anche condizionare la modalità e il volume di produzione nel settore privato. Pertanto, anche uno stile di vita molto rispettoso dell’ambiente e molto sostenibile non permetterà mai di ridurre le emissioni di CO2 a zero, poiché tutti gli abitanti dipendono da infrastrutture comuni come strade, scuole e ospedali.
Dove situare quindi i limiti dell’influenza di un singolo abitante?
Per trovare le risposte a questa domanda, uno studio effettuato in Svizzera nel marzo 2021 da MDPI – un editore accademico indipendente situato a Basilea – intitolato “The Influence of Consumer Behavior on Climate Change: The Case of Switzerland”, ha distinto cinque gruppi di consumatori tipici che vanno da individui molto rispettosi dell’ambiente a coloro che ne sono totalmente insensibili. L’intensità dell’impatto diretto e indiretto sull’uso delle materie è stata determinata per ciascuna area di consumo. L’impatto è diretto quando è possibile decidere personalmente quello che consumiamo. È indiretto, invece, quando si può esercitare un’influenza solo attraverso il proprio comportamento durante i processi decisionali della politica. Sembra che
anche se tutte le persone residenti in Svizzera si comportassero come il gruppo più sensibile all’ambiente, le emissioni totali di CO2 diminuirebbero solo del 16%. Al contrario, aumenterebbero del 17% se tutti adottassero le abitudini del gruppo indagato dallo studio citato poc’anzi come meno rispettoso dell’ambiente. Lo studio conclude quindi che, senza una gestione da parte di una politica ambientale attiva, le emissioni di CO2 della Svizzera non possono essere ridotte abbastanza da poter garantire il rispetto degli impegni internazionali del Paese ed evitare la crisi climatica. Il mondo politico è invitato a raddoppiare gli sforzi per sviluppare l’economia circolare.
Fonte: La Vie économique 11.2021; adattamento Cc-Ti