Una ripresa economica condizionata dai costi
Intervista ad Andrea Gehri, Presidente Cc-Ti
Il rincaro dei prezzi delle materie prime in che misura rischia di compromettere la ripresa dell’economia dopo il crollo causato dalla pandemia?
L’aumento dei prezzi internazionali in dollari delle commodity, accentuatosi a inizio 2021, complica certamente le previsioni e lo scenario per l’economia nazionale e internazionale. Vi è preoccupazione per l’incremento, e l’anomala repentina oscillazione delle materie che riguardano, in particolare, l’acciaio, il ferro, i metalli non ferrosi (alluminio, rame, zinco…), la plastica, i polimeri, il legno ed i materiali isolanti. Si assisterà verosimilmente ad una fase acuta, dove i prezzi saranno condizionati dalla domanda e dall’offerta e fintanto che quest’ultima non riuscirà a soddisfare l’incremento di domanda, in particolare da paesi come la Cina e gli USA, saremo confrontati con una ripresa economica condizionata dai costi in rapida ascesa e, verosimilmente anche dalla difficoltà di reperire le materie. Significa che la ripresa, nel breve periodo, potrà essere più lenta e meno vigorosa rispetto a quanto potessimo immaginare, mentre si spera che la situazione possa migliorare nel medio – lungo termine.
Quali sono i settori più colpiti in Ticino da questo rialzo?
Sicuramente il settore della costruzione è quello che, al momento, registra incrementi di costo di cui nessuno poteva immaginare soltanto qualche mese or sono. Acciaio, ferro, polimeri, legno e materiali isolanti costituiscono materie essenziali in questo settore d’attività. Non solo, ma oltre al repentino e continuo incremento dei costi, vi è l’ormai cronica indisponibilità di materie che si traduce in notevoli ritardi nella consegna dei materiali che, a loro volta, condizionano pesantemente l’attività delle imprese. Inoltre, le conseguenze dell’aumento del petrolio, dei suoi derivati quali le plastiche e dei trasporti impatteranno in modo sostanziale anche in tutti gli altri settori economici. Significa che potremo attenderci un progressivo aumento dei costi (quindi dell’inflazione) anche, per esempio nel settore alimentare con un aggravio di costi per tutti, non solo per le aziende.
L’aumento dei prezzi delle commodity è un fenomeno temporaneo o persisterà nel medio/lungo periodo?
Domanda alla quale non è facile dare una risposta univoca. A dipendenza della velocità di ripresa economica a livello mondiale dipenderà anche l’evoluzione dei prezzi. Ritornare al livello produttivo pre-COVID richiederà tempo e ripristinare le giacenze a regime del 2019 significa scontare un differimento temporale importante, quindi costellato da nervosismo sui costi per un certo periodo fintanto che non si tornerà a pieno regime. Non possiamo quindi escludere che la tendenza rialzista dei prezzi delle materie prime perdurerà anche nel corso del 2021. Speriamo poi che domanda e offerta possano riequilibrarsi e quindi riportare i prezzi a valori sopportabili.
Solitamente si pensa che grazie al franco forte, anche se ora è a 1,10 con l’euro, le nostre imprese siano favorite nell’acquisto delle materie prime. Ma basta questo vantaggio a compensare i maggiori costi di produzione che devono sostenere le aziende?
Il corso della nostra moneta su euro e dollaro, le principali valute d’acquisto, è piuttosto stabile oramai da diverso tempo grazie alla politica monetaria della nostra banca nazionale. Sostenere che si abbia quindi un vantaggio nell’acquisto delle materie prime non è corretto, i margini delle imprese sono troppo esigui per poter sostenere incrementi a doppia cifra percentuale in così breve tempo. Ribaltare i maggiori costi sostenuti al consumatore finale diventa altrettanto difficile.
Cosa possono fare le imprese per tutelarsi contro un aumento dei prezzi che va ben oltre la normale alea contrattuale?
Innanzitutto, dovranno rendere attenti i committenti sulla situazione di mercato estremamente volatile sui costi delle materie, evitare di fissare prezzi fissi senza poter adeguare il rincaro e sottoporre offerte di durata molto limitata nel tempo. Il buon senso, inoltre deve accumunare sia impresa che committente in una logica che permetta, laddove non è possibile ragionevolmente valutare l’evoluzione dei costi, di compensare il rincaro attraverso il principio della buona fede.